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Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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LA MENZOGNA testo di sant'Agostino d'Ippona

Ultimo Aggiornamento: 10/08/2013 16:29
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10/08/2013 15:09

Evitare la collaborazione al peccato.

9. 14. Tu replichi: Come si fa a dire che quel tale non compie la tal opera se gli altri non l’avrebbero fatta qualora l’avesse fatta lui? In questa maniera siamo noi che sfondiamo la porta insieme con i predoni, poiché se noi non la tenessimo chiusa loro non la forzerebbero; siamo noi che uccidiamo la gente con gli assassini se per caso sappiamo che ciò essi avrebbero fatto, poiché se noi li avessimo uccisi prima [del delitto], essi non avrebbero ucciso nessuno. Supponiamo ancora che qualcuno ci confessi l’intenzione di commettere un parricidio. Noi siamo suoi conniventi se, potendolo, non lo uccidiamo prima che egli passi all’azione, ammesso che noi non possiamo trattenere l’omicida né impedire [il suo gesto] in altre maniere. In poche parole si può dire: Tu hai commesso [il delitto] insieme con lui, poiché egli non avrebbe potuto commetterlo se tu avessi posto quell’altro atto. Veramente, io non avrei voluto commettere nessuno dei due mali, ma son riuscito ad evitare soltanto quello che era in mio potere. Quanto all’altra parte dell’altrui colpa, io non potendola escludere con un atto della mia volontà, non dovevo impedirla con una colpa mia. Non approva quindi il colpevole colui che si rifiuta di peccare al posto di un altro, e nessuno dei due elementi peccaminosi approva colui che non si compiace di nessuno dei due, ma quello che era in sua facoltà lo esclude anche intervenendo, mentre l’altro lo disapprova solo con la volontà. E ora il caso dell’offerta dell’incenso. A chi fa ad un cristiano la proposta: «Se tu non offrirai l’incenso, ti capiterà questo e questo», egli può rispondere: «Io non scelgo nessuna delle due cose a me proposte, le disapprovo di cuore tutt’e e due e non vi acconsento in alcuna maniera». Con queste parole o simili, certamente vere, si esclude da lui ogni consenso, ogni approvazione; e qualsiasi pena egli subisca da parte loro, è da considerarsi un maltrattamento da lui subìto mentre negli altri un reato commesso. Ma allora, dirà qualcuno, quel tizio doveva subire lo stupro piuttosto che offrire l’incenso? Se domandi che cosa fosse tenuto a compiere, egli non era tenuto a compiere né l’una né l’altra cosa. Se infatti ti dicessi che era tenuto a farne una delle due, dimostrerei che l’approvo; invece io le disapprovo tutt’e e due. Può invece porsi la domanda: Quale delle due cose doveva evitare colui che non poteva evitarle entrambe ma solo una? Risponderei: Doveva evitare quella che era peccato per lui personalmente più che non quella che era peccato per l’altro, e questo anche se il suo peccato era più leggero e quello dell’altro più grave. Salvo una ricerca più approfondita, ammettiamo in via provvisoria che lo stupro sia un peccato più grave che non l’offerta dell’incenso; nel nostro caso però fare l’offerta è un peccato commesso in prima persona, mentre lo stupro un peccato commesso da un altro, anche se subìto dallo stesso soggetto. Ora il peccato è di chi compie l’opera [cattiva]. Infatti, per quanto l’omicidio sia una colpa più grave del furto, è tuttavia cosa peggiore commettere un furto che subire l’omicidio. Supponiamo dunque che ad un tizio venga proposto di rubare. Se non lo farà, verrà messo a morte, cioè si compirà un omicidio contro di lui. Non potendo evitare tutti e due i mali, egli dovrà evitare quello che è peccato suo piuttostoché quello che è peccato degli altri. Questo non diventerà peccato suo per il fatto che è stato commesso contro di lui e nemmeno perché lo avrebbe evitato se avesse commesso il suo peccato personale.

Mentire per evitare le profanazioni del corpo.

9. 15. Il nocciolo della presente questione si riduce a questo: sapere se nessuno dei peccati altrui, sebbene commesso contro di te, sia imputabile a te qualora tu possa evitarlo con un tuo peccato più leggero e non l’hai fatto. Non si dovrà per caso fare eccezione per le sudicerie con cui ci si imbratta il corpo? In effetti nessuno oserà dire che l’uomo è insudiciato quando lo si uccide o lo si getta in prigione o lo si incatena o lo si flagella o colpisce con altri strumenti di tortura o di strazio. Lo stesso se lo si proscrive o danneggia nelle forme più gravi fino a ridurlo all’estrema nudità, se lo si priva di ogni titolo onorifico e gli si scarica addosso tutta una serie di insulti e vituperi. Qualunque sofferenza fra quelle elencate uno abbia subìto ingiustamente, nessuno sarà così pazzo da dire che egli ne è stato contaminato. Ma poniamo il caso che uno venga coperto di escrementi o che roba come questa gli si sbatta in faccia o cacci in bocca o si abusi di lui come di una prostituta. Il sentimento di tutti, o quasi, aborrisce queste cose, e di chi le ha subite si dice che è stato contaminato e reso immondo. Le conclusioni che derivano da tutto questo sono le seguenti: nessuno deve evitare mediante peccati propri i peccati altrui, qualunque essi siano, eccettuando quelle cose che rendono immondo colui sul quale si commettono; e quindi non si può peccare né per la propria né per l’altrui utilità, ma si deve affrontare il male e sopportarlo con fortezza. Se pertanto non è lecito evitare il male commettendo un qualsiasi peccato, non lo si può evitare nemmeno con la menzogna. Riguardo poi alle aberrazioni che si commettono sull’uomo rendendolo impuro, le dobbiamo evitare anche con peccati nostri: i quali, essendo commessi per evitare appunto tale contaminazione, non meritano nemmeno il nome di peccato. Non è infatti peccato ciò che, se non si facesse, ci attirerebbe [giusti] rimproveri. Si deduce da questo che le cose che si fanno perché non c’è alcun modo di evitarle non sono nemmeno da chiamarsi contaminazione. Anche in tale ipotesi infatti colui che le subisce ha un qualcosa di buono da compiere, e cioè sopportare con pazienza ciò che non gli è possibile evitare. Ora nessuno che fa il bene può essere contaminato dal contatto materiale con qualsiasi cosa [impura]. Dinanzi a Dio è impuro chi commette ingiustizie, mentre il giusto (qualsiasi giusto) è puro; e se non lo è dinanzi agli uomini, lo è certamente dinanzi a Dio, che giudica con verità. Pertanto, quando l’uomo subisce tali affronti, se ha facoltà di evitarli e non li evita, non viene reso impuro dal contatto materiale con le cose ma dal peccato per il quale, dandoglisi la possibilità, non ha voluto evitarli. Qualunque cosa poi sarà stata compiuta per evitarli, non sarà peccato; e quindi, se per evitarli uno fosse ricorso alla menzogna, non avrebbe peccato.

Illecite tutte le menzogne che nuocciono agli altri.

9. 16. Ma non bisognerà per caso eccettuare alcune menzogne, per le quali sia preferibile subire la contaminazione piuttosto che mentire? Se così fosse, ne risulterebbe che non tutto quello che si fa per evitare le sudicerie di cui sopra è esente da colpa. Lo dico di certe menzogne, commettere le quali è più grave che non subire l’oltraggio. Ecco uno, che un disonesto ricerca per violentarlo sessualmente e che invece con una menzogna si potrebbe tenere nascosto. Chi oserà dire che nemmeno in questo caso è lecito mentire? Ma se per occultarlo bisogna ricorrere a una menzogna che lede la fama altrui, incriminando falsamente questo secondo della contaminazione a cui si voleva sottoporre quell’altro? Se si dicesse, [ad esempio], a quel perverso il nome di un uomo casto e del tutto estraneo a simili disordini: «Va’ dal quel tizio, e lui ti procurerà senz’altro come qualmente tu possa scapricciarti a tuo piacimento. È infatti uno che conosce l’ambiente e ci gongola»? Ammesso che con tali parole si possa distogliere quell’uomo dal perseguire la persona ricercata, non saprei dire se si possa ledere con la menzogna la fama di uno per impedire che sia profanato dalla libidine di quel malintenzionato il corpo d’un altro. In realtà mai bisogna dire menzogne che rechino vantaggio a uno, se un altro ne viene danneggiato, anche se il danno di costui sia inferiore a quello dell’altro, che tu impedisci con la tua menzogna. Fa’ conto che si tratti del pane: se uno si rifiuta di darlo ed è in ottima salute, tu non glielo puoi togliere per sfamare un affamato. Così tu non puoi fustigare un innocente, che non voglia subire la pena, per evitare che un altro [innocente] venga ucciso. Se essi liberamente accettassero la cosa, la si faccia! Accettando loro personalmente, non c’è più lesione.

10. 16. Ci si chiede ora se si può macchiare la fama di una persona anche consenziente attribuendole falsamente il peccato di stupro per impedire che un’altra persona sia stuprata nel corpo. È una questione spinosa, e io non saprei dire se facilmente si possa trovare un motivo per concludere che è giusto macchiare con l’accusa d’uno stupro inventato la fama d’una persona consenziente piuttostoché macchiare col medesimo stupro il corpo di chi vi si oppone.

In fatto di religione la menzogna è sempre illecita.


10. 17. Ora ripensiamo a quel tale a cui si proponeva d’offrire l’incenso agli idoli piuttosto che subire delle sfrenatezze postribolari. Se per evitare questi abusi qualcuno si permettesse d’offendere con la menzogna il buon nome di Cristo, con questo suo comportamento si dimostrerebbe persona del tutto impazzita. Dico di più: egli sarebbe pazzo se per evitare un atto di libidine commesso da un altro, per impedire cioè che si compia un atto che egli subisce senza alcuna sua voglia libidinosa, falsificasse il Vangelo di Cristo lodando Cristo con lodi menzognere. Così facendo, dimostrerebbe di voler evitare la contaminazione del proprio corpo da un estraneo più che evitare di contaminarsi da se stesso nella dottrina che santifica le anime e i corpi. Pertanto occorre assolutamente evitare ogni sorta di menzogne quando si tratta di dottrina religiosa e di tutte quelle espressioni in cui si enunzia la dottrina religiosa, tanto nell’insegnarla quanto nell’apprenderla. Non si pensi che per un qualche verso si possano trovare motivi che autorizzino a mentire in questa materia, se è vero, com’è vero, che nella dottrina religiosa non è lecito mentire nemmeno per rendere più facile l’adesione ad essa. Vanificato o soltanto sminuito di un po’ il peso della verità, tutto rimarrebbe dubbio, perché certe cose, se non le si crede vere, non le si può ritenere nemmeno certe. Pertanto a un espositore o trattatista o predicatore delle verità eterne, o anche a un narratore o banditore di cose temporali che mirano ad edificare l’uomo nella religione o nella santità, sarà lecito tenere occulto per un certo tempo ciò che si ritiene dover restare occulto, ma non sarà mai lecito mentire e nemmeno occultare [la verità] ricorrendo alla menzogna.

Da escludersi tutte le menzogne che recano danno.

11. 18. Una volta stabilito con assoluta fermezza quanto or ora detto, si può con maggiore tranquillità indagare sulle altre menzogne. E come conseguenza logica segnaliamo subito che è da escludersi qualsiasi menzogna che ingiustamente leda la persona altrui. A nessuno infatti è lecito recare un danno, anche se leggero, per allontanare da un altro un danno magari più grave. Né si debbono tollerare quelle menzogne che, sebbene non nuocciano ad alcuno, non giovano a nessuno mentre nuocciono a chi le proferisce senza un perché. Chi mente così, propriamente merita il nome di impostore. C’è infatti differenza fra mentitore e impostore. È infatti mentitore anche chi mente contro voglia; impostore invece è colui che ama mentire e dentro l’animo in modo abituale si diletta della menzogna. Sono da prendersi in considerazione anche coloro che nel mentire si propongono di accattivarsi il plauso della gente. Costoro non danneggiano né offendono nessuno (questo genere di mentitori li abbiamo già condannati!), ma agiscono così per essere piacevoli nel loro discorrere. Questi tali differiscono dalla categoria degli impostori, di cui parlavamo sopra, perché questi provano gusto nel mentire godendo della falsità della cosa stessa, mentre questi altri intendono piacere per il loro parlare faceto ma vorrebbero piacere più ancora per la verità che dicono. Non trovando facilmente cose vere con cui rendersi graditi agli uditori, preferiscono dire menzogne anziché tacere. È comunque difficile che questi bugiardi riescano una qualche volta a imbastire un racconto del tutto falso; in genere essi mescolano il falso con il vero, quando viene loro a mancare la vena del dire. Queste due specie di menzogna non danneggiano chi vi presta fede, poiché non lo si imbroglia nella dottrina concernente la religione o la verità né in qualcosa che gli rechi profitto o emolumento. A chi crede così è, infatti, sufficiente poter concludere che quanto gli viene raccontato sia potuto realmente avvenire, e in tal modo conservi fiducia nel narratore che non si può prendere per bugiardo senza validi motivi. Che pregiudizio infatti mi reca supporre che il padre o il nonno d’un tale sia stato una buona persona mentre non lo era? O che uno, facendo il soldato, sia arrivato magari in Persia, mentre di fatto non si è allontanato mai da Roma? Tali menzogne però son di grave danno a coloro che le dicono. Nuocciono agli uni perché si allontanano dalla verità per godere della falsità; nuocciono agli altri perché al piacere proprio della verità antepongono il loro piacere personale.

La menzogna che arreca vantaggi.

12. 19. Condannate senza esitazione di sorta queste specie di menzogna, saliamo gradatamente verso il meglio e consideriamo quella menzogna che la gente dice esser propria dei buoni e dei bendisposti: quando cioè chi la proferisce non solo non nuoce a nessuno ma a qualcuno procura vantaggi. Riguardo a questo genere di menzogne, tutta la controversia sta nel decidere se chi offende la verità per giovare a un altro non rechi danno a se stesso. È pacifico, certo, che merita il nome di verità solo quella che illumina le menti con la sua luce interiore e immutabile; tuttavia chi agisce così agisce contro un qualcosa di vero. Pur ammettendo infatti che i sensi del corpo si ingannano, è indubitato che si pone in contrasto con la verità colui che di una cosa asserisce che è così, o non così, senza che tale conclusione gli venga presentata o dalla ragione o dai sensi o da personali congetture o persuasioni. Stabilire quindi se un’affermazione che giova a un altro non nuoccia a chi la dice o non gli nuoccia, perché il danno è compensato dal vantaggio che si reca al prossimo, è una gran questione. Se fosse vero questo, ne seguirebbe che uno può anche procurare vantaggi a se stesso con una menzogna che non nuoce a nessuno. Son questioni collegate fra loro; e se le si accetta, ne derivano conseguenze che lasciano molto sconcertati. Ci si potrebbe chiedere infatti quale danno derivi a un uomo che nuota nell’abbondanza di beni superflui se dagli innumerevoli mucchi di frumento gli si sottragga un moggio, con il quale il ladro possa procurarsi il necessario per vivere. La conseguenza sarebbe che si può impunemente anche rubare e dire falsa testimonianza senza commettere peccato. Ma quale conclusione potrebbe essere più sballata di questa? Ancora: si potrà ammettere che un tizio rubi quel moggio [di frumento] sotto i tuoi occhi e tu, interrogato del fatto, per favorire il povero possa dire una menzogna a coscienza tranquilla, mentre saresti colpevole se rubassi per rimediare alla tua povertà? Quasi che tu debba amare più il prossimo che non te stesso!... Se ne deduce che le cose sono tutt’e due sconvenienti, e quindi da evitarsi.

Menzogne oneste: ci sono? e quando ci sono?

12. 20. Forse qualcuno vorrà qui aggiungere una qualche eccezione e sostenere che ci siano menzogne innocenti: quelle cioè che, senza nuocere ad alcuno, recano anche dei vantaggi. Si escludono evidentemente quelle dette per occultare o difendere le azioni criminose. È infatti senz’altro riprovevole la menzogna che, pur senza danno per alcuno, anzi con utilità del povero, tuttavia serve ad occultare un furto; ma se non danneggiasse nessuno e a qualcuno recasse utilità né vi si nascondesse o difendesse alcuna azione peccaminosa, diremo che è cosa disonesta? Facciamo l’esempio che tu veda un tizio che sta nascondendo il proprio denaro per non farselo rubare o portar via per forza. Interrogato del fatto, tu dici una menzogna, che non reca danno a nessuno mentre è utile a colui che occulta il denaro. Col tuo mentire non commetteresti peccato, come non è peccato nascondere i propri averi di cui si teme la perdita. Ma se mentendo non pecchiamo in quanto non occultiamo alcuna colpa, né rechiamo danno ad alcuno né a qualcuno rechiamo vantaggi, come la metteremo nei confronti di quel peccato che è la menzogna di per se stessa? Dove sta scritto infatti: Non rubare, sta anche scritto: Non dire falsa testimonianza. Sono cose proibite tutt’e due. Perché dunque dovrebbe essere illecita la falsa testimonianza quando serve a nascondere il furto o qualche altro peccato, ed essere esente da colpa quando la si dice solo per mentire e non per difendere una qualche colpa? Il furto e gli altri peccati sono colpe di per se stessi: che quindi sia lecito fare il peccato, mentre è illecito occultarlo?

Menzogna e falsa testimonianza.

12. 21. È questa una conclusione assurda: e allora che diremo? Che non ci sia falsa testimonianza se non quando si mente per attribuire a qualcuno un delitto, o per nascondere il delitto commesso da qualcuno, o in qualsiasi modo per incolpare qualcuno in tribunale? Il testimone infatti sembra esser necessario al giudice per essere informato sul processo. Ma se la Scrittura facesse menzione del testimone solo a questo riguardo, l’Apostolo non direbbe: Noi risultiamo essere falsi testimoni di Dio se contro Dio abbiamo attestato che egli ha risuscitato Cristo dai morti, mentre invece non l’ha risuscitato. Con tali parole mostra che la falsa testimonianza è una menzogna, anche quando la si dice per elogiare falsamente qualcuno.

Falsa testimonianza e menzogna.

13. 21. Chiediamo se dica una falsa testimonianza colui che mente attribuendo a qualcuno un peccato o nascondendolo, ovvero se in qualche modo reca danno a qualcuno. Se infatti è riprovevole una menzogna che si dice per nuocere alla vita temporale di qualcuno, quanto maggiormente non lo sarà quella che danneggia la vita eterna? Tale è ogni menzogna che verte circa la dottrina religiosa, per cui l’Apostolo chiama falsa testimonianza la menzogna che tocca la persona di Cristo, anche se le parole sembrano contenere una sua lode. Ma supponiamo che si tratti di menzogne dette non per attribuire a qualcuno un peccato o per nasconderlo, menzogne che esulano da inchieste giudiziarie, menzogne dalle quali deriva dell’utile a qualcuno senza che nuocciano ad alcuno. Diremo forse che non sono false testimonianze né menzogne meritevoli di biasimo?

Se mente chi occulta un omicida o un innocente accusato di reato.

13. 22. Che dire pertanto se in casa di un cristiano si rifugi un omicida, o se un cristiano veda dov’egli si è rifugiato, quando di questo venga interrogato da colui che vuol mettere a morte quell’omicida? Dovrà per caso mentire? E se mente, non sarà forse per occultare il peccato, dal momento che quel tale per cui si mente ha commesso una scelleratezza? [Non peccherà] forse perché non gli vien chiesto qualcosa sul fatto peccaminoso ma solo nel luogo dove si è nascosto? Sarebbe dunque un male dire una menzogna per occultare il peccato che uno ha commesso e non sarebbe un male dirla per occultare colui che l’ha commesso? Proprio così, dirà qualcuno. Non si pecca infatti quando si sfugge alla pena capitale ma quando si commette il peccato per cui si merita quella pena. Nella dottrina cristiana poi s’insegna a non disperare del ravvedimento di nessuno e a non chiudere ad alcuno l’accesso alla penitenza. Che dire però dell’evenienza che tu, condotto alla presenza del giudice, venga da lui interrogato proprio del luogo dove quel ricercato si nasconde? Risponderai per caso che non lo sai, mentre invece sai che è in quel luogo? Ovvero dirai: «Non lo so, non l’ho visto «pur sapendolo e avendolo visto? Vorrai dunque dire una falsa testimonianza, uccidendo la tua anima, perché non venga ucciso l’omicida? Vorrai dunque mentire finché non ti trovi di fronte al giudice, mentre quando il giudice ti farà un’esplicita domanda dirai finalmente la verità per non essere un falso testimone? Con il tuo palesare la cosa, tu allora ucciderai quell’uomo! La Scrittura divina infatti condanna severamente colui che rivela il colpevole. Diremo quindi che non ci si renda colpevoli di denunzia quando si risponde con verità al giudice inquirente, mentre si sarebbe rei palesando di propria iniziativa un colpevole per farlo condannare a morte? E che diremo se tu, informato del luogo dove si nasconda un cittadino giusto e innocente, venga interrogato da un giudice, mentre a condannarlo a morte sia un’autorità superiore [al giudice], per cui chi ti interroga sia un esecutore della legge e non il legislatore stesso? Forse che il mentire a pro’ dell’innocente non dovrà dirsi falsa testimonianza, perché a interrogarti non è il [vero] giudice ma un esecutore della legge? Che diremo quindi se ti interrogasse il legislatore in persona o un giudice [competente], il quale perché iniquo stia cercando di condannare a morte l’innocente? Che farai in tal caso? Dirai la falsa testimonianza o rivelerai quell’uomo? E poi, sarà veramente un delatore colui che di sua spontanea volontà indica a un giudice giusto il nascondiglio dell’omicida e non lo sarà colui che, interrogato da un giudice iniquo dove si nasconda l’innocente, da lui perseguitato a morte, rivela colui che si era messo fiduciosamente nelle sue mani? Rimarrai dunque dubbioso e incerto fra il delitto di falsa testimonianza e quello di delazione? Forse che stando in silenzio o ripromettendoti di non dir nulla potrai esser certo di aver evitato tutt’e due i mali? Perché allora, prima di comparire davanti al giudice, non vorrai evitare la menzogna? Evitando la menzogna, eviterai anche la falsa testimonianza, tanto se qualsiasi specie di menzogna è anche falsa testimonianza quanto se non lo è; se invece eviterai ogni falsa testimonianza, intesa come tu vuoi, non eviterai ogni specie di menzogna. Con quanto maggiore fortezza e nobiltà di spirito dirai dunque: Non lo denunzierò e non mentirò!

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