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Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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LA MENZOGNA testo di sant'Agostino d'Ippona

Ultimo Aggiornamento: 10/08/2013 16:29
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10/08/2013 15:57

Non c’è buona intenzione che giustifichi la menzogna.

7. 17. Ammettiamo per un istante che per tirar fuori dalle sue spelonche l’empietà degli eretici non ci sia assolutamente altro mezzo che l’uscire dal sentiero della verità da parte della lingua del cattolico. Dico che sarebbe più tollerabile lasciar nascosta quell’empietà che non far cadere un fedele nel precipizio [della falsità]; sarebbe più tollerabile che le volpi restassero occulte nelle loro tane anziché, per prenderle, i cacciatori cadessero nel baratro della bestemmia; sarebbe più tollerabile che la perfidia dei priscillianisti rimanesse occultata dal velo della verità, piuttosto che la fede cattolica fosse rinnegata dai cattolici che la professano. E questo, anche se viene fatto per impedire ai priscillianisti di lodarla con parole di menzogna. Ma supponiamo che possano essere giustificate le menzogne, non dico quelle ordinarie ma quelle che suonano bestemmia, per il fatto che le si dicono allo scopo di smascherare gli eretici occulti. In questo modo, se cioè li si commette con buona intenzione, dico che sarebbero onesti anche gli adultèri. Che dire infatti se una delle tante male femmine dei priscillianisti s’incanti a guardare un Giuseppe cattolico e gli prometta di rivelargli i nascondigli degli eretici, se da lui otterrà di soddisfare la passione che le arde in corpo, né si possa dubitare che, ottenuto il consenso, lei manterrà il suo proposito? Penseremo che sia cosa ben fatta? O non penseremo piuttosto che per un risultato di questo genere non sia lecito pagare un prezzo così alto? Perché dunque non ci permettiamo di scovare gli eretici e catturarli abbandonando il corpo all’adulterio, mentre ci crediamo autorizzati a farlo consentendo alla bocca di prostituirsi con la bestemmia? Infatti o dobbiamo difendere alla pari le due cose e non qualificarle come illecite, perché nessuna delle due è stata compiuta con l’intenzione che renderebbe gli uomini ingiusti; ovvero, se la verace dottrina della fede proibisce di aver con donne disoneste almeno rapporti corporali (per non parlare della mente), evidentemente non ci permetterà nemmeno di diffondere la sporca dottrina degli eretici o di incriminare la genuina fede dei cattolici ricorrendo a falsità dette a voce (anche se non condivise con la mente) allo scopo di attrarre gli eretici. In effetti la decisione della mente, alla quale deve obbedire ogni atto inferiore dell’uomo, non sfuggirà alla disapprovazione che merita tutte le volte che fa qualcosa di illecito, lo si faccia con un organo del corpo o lo si faccia per mezzo della parola. Infatti anche quando il male si compie con la parola, lo si compie con un membro del corpo, in quanto la lingua di cui ci si serve per parlare, è una delle nostre membra. Non c’è azione che si effettui con una delle nostre membra che non sia stata prima concepita nel cuore; anzi, ogni nostro atto è una realtà concreta già quando lo si pensa dentro e dentro si acconsente ad esso, e poi, quando lo si compie con le membra, viene soltanto messo alla luce. Pertanto l’anima non è scusata, quasi che non abbia commesso il fatto, se una cosa, sebbene non si compia direttamente con l’anima, tuttavia non la si farebbe se l’anima non avesse deliberato di farla.

Le cose di cui si sa che sono peccati non si possono fare per nessun motivo.

7. 18. Di somma importanza è certamente stabilire il motivo, il fine e l’intenzione per cui ogni opera si compie; tuttavia le cose di cui si sa che sono peccati non si possono fare per nessun motivo: né per ottenere un buon risultato né per raggiungere un fine giudicato buono né quando esiste una qualche intenzione ritenuta buona. In realtà, riguardo agli atti umani che di per sé non sono peccati, essi sono o buoni o cattivi secondo il motivo, buono o cattivo, che li determina. Così, ad esempio, dare il cibo ai poveri è un’opera buona se la si compie per misericordia mossi da retta fede. Così i rapporti sessuali fra coniugi: son buoni se li si compie per procreare, intendendo inoltre procreare figli perché siano rigenerati [nel battesimo]. Queste azioni, e tante altre simili a queste, sono buone o cattive secondo le loro cause; e pertanto le stesse opere qui menzionate si cambiano in peccato se fatte con motivazioni cattive; se, ad esempio, si sfama il povero per mettersi in mostra, se si sta con la moglie per soddisfare la libidine o se si generano figli perché siano allevati non secondo Dio ma al servizio del diavolo. Se poi si tratta di opere che di per se stesse sono peccato, come il furto, lo stupro, la bestemmia e così via, chi mai oserà dire che le si possa compiere per una giusta causa, ottenendo che esse non siano più peccato o, quel che è più assurdo, supponendo che possano essere peccati onesti e legittimi? Supponiamo che uno dica: Andiamo a rubare ai ricchi per avere qualcosa da dare ai poveri, ovvero: Spacciamo false testimonianze, specialmente di quelle che non danneggiano gli innocenti e con le quali si possono sottrarre i colpevoli alla condanna dei giudici. Che dire al riguardo? In realtà con la diffusione di tali menzogne si ottengono due risultati buoni: il denaro, lo si prende per sostentare il misero; il giudice viene tratto in inganno per impedire che un uomo sia punito.

Ma allora, se ci si dà la possibilità, perché non facciamo scomparire i testamenti legittimi e ne tiriamo fuori dei falsi, affinché le eredità o i lasciti non vengano in mano degli indegni, che non ci farebbero niente di bene, ma piuttosto li ottengano coloro che li useranno per nutrire gli affamati, coprire i nudi, accogliere i pellegrini, riscattare i prigionieri, costruire le chiese? Perché, dico, in vista di tali beni non si dovranno compiere quelle cattive azioni, le quali, appunto perché ordinate a dei beni, non sono neppure cattive in se stesse? Orbene facciamo il caso che delle donne corrotte e facoltose si mostrino pronte a sborsare denaro dandolo ai loro amanti e drudi. Perché in tal caso un uomo dall’animo compassionevole non dovrebbe accettare le loro concessioni tanto ben congegnate, quando se ne può servire per una causa così buona com’è quella di soccorrere i bisognosi? È evidente però che egli non darebbe ascolto all’Apostolo, che dice: Colui che rubava non seguiti a rubare ma al contrario si dedichi al lavoro, e con le proprie mani si procuri un capitale per avere di che soccorrere chi è nel bisogno. In effetti, se un’azione cattiva compiuta allo scopo di fare il bene fosse buona, non solo non sarebbe cosa cattiva ma buona il furto; e lo sarebbero anche la falsa testimonianza, l’adulterio e ogni altra azione cattiva. Ma chi oserà affermare cose come questa all’infuori di coloro che si propongono di sconvolgere la vita dell’uomo e ogni sorta di morale e di legalità? In effetti, ammesso che in ogni mala azione umana si debba ricercare non l’atto che si compie ma il motivo per cui lo si compie, di quale delitto, anche il più efferato; di quale sconcezza, anche la più turpe; di quale sacrilegio, anche il più esecrando, non si dirà che è giusto e normale che lo si compia? E lo si compirà non solo sfuggendo alla pena ma anche ottenendone gloria, e perpetrandolo non s

olo non si avranno supplizi da temere ma ci saranno premi da sperare! Tutto questo ogni volta che trovandoci di fronte ad azioni cattive ma compiute per motivi buoni, per questo le riteniamo non più cattive [ma buone]. Ecco tuttavia che la giustizia umana punisce, e giustamente, il ladro, anche quello che afferma e dimostra d’aver preso al ricco soltanto roba a lui superflua e d’averlo fatto per dare al povero quanto gli era necessario. E punisce ancora e giustamente il falsario, anche quello che proclama d’aver modificato l’altrui testamento, perché diventasse erede non colui che non avrebbe fatto nessuna elemosina ma colui che avrebbe largheggiato in elemosine. E [la stessa giustizia] punisce giustamente l’adultero anche quando riesca a dimostrare d’aver commesso l’adulterio per motivi di misericordia, ad esempio perché mediante l’opera della sua ganza egli può liberare dalla morte una persona. E finalmente, per avvicinarci all’argomento che c’interessa, ecco che la giustizia condanna, e giustamente, un uomo che ha relazioni adulterine con una donna consapevole della depravazione dei priscillianisti, anche se egli lo fa per individuare i loro nascondigli. Ma, per favore, non dice forse l’Apostolo: Non offrite le vostre membra al peccato perché siano armi di iniquità? Ne segue che non dobbiamo usare per delle azioni illecite, neanche con l’intenzione di identificare i priscillianisti, né le mani né gli organi della generazione né qualsiasi altro membro del corpo. Qual è dunque il torto che ci ha fatto la nostra lingua, o la bocca, o gli organi della voce perché li mettiamo al servizio del peccato, e di peccato così grande qual è quello di bestemmiare il nostro Dio, senza l’attenuante dell’ignoranza, col pretesto di sottrarre alle bestemmie che nell’ignoranza dicono i priscillianisti che siamo riusciti a catturare?

La diversa gravità dei diversi peccati.

8. 19. Qualcuno obietterà: Non c’è dunque differenza fra il ladro comune e il ladro che ruba con l’intenzione di compiere opere di misericordia? Non è questo che si afferma, ma soltanto che dei due l’uno non è buono perché l’altro è peggiore. È certamente peggiore colui che ruba per avidità di denaro che non colui che ruba per motivi umanitari; ma se è vero che ogni furto è peccato, bisogna evitare ogni furto. Chi infatti oserà dire che si può peccare perché, mentre un peccato merita condanna [eterna], un altro è suscettibile di perdono? Ecco ora della gente che ha commesso questo o quel peccato, e noi vogliamo appurare non chi abbia commesso una colpa più grave e chi una più leggera, ma chi abbia peccato e chi non abbia peccato. In effetti, considerando i vari furti, non c’è dubbio che il furto, qualunque esso sia, è dalla legge punito con minore severità che non lo stupro. Sono, è vero, tutti e due peccati, ma ci sono peccati più leggeri e peccati più gravi; e pertanto il furto, anche quello commesso per la voglia d’arricchire, è colpa più leggera che lo stupro commesso per soccorrere [chi è in necessità]. Se si rimane sulla stessa specie di peccati, quelli che, a quanto pare, si commettono con buona intenzione sono più lievi degli altri della stessa specie; ma paragonati con peccati di altra specie, essi risultano più gravi di quelli che nella loro specie son di minore gravità.
È pertanto colpa più grave commettere un furto per avidità di danaro che commetterlo per motivi di compassione; è più grave commettere uno stupro mossi da lussuria che mossi da motivi di filantropia; comunque, è più grave commettere l’adulterio, magari a scopo di beneficenza, che non rubare per avarizia. E noi al presente non discutiamo sulla gravità maggiore o minore dei vari peccati, ma su che cosa sia peccato e che cosa non lo sia. Nessuno infatti oserà dire che è lecito peccare quando risulta chiaro che una cosa è peccato. Quel che vogliamo asserire noi è soltanto questo: ammesso che questa o quella cosa sia peccato, la si deve tollerare o no?
Esame di casi problematici riportati nella Sacra Scrittura.
9. 20. Occorre qui confessare che effettivamente si legge di certi peccati “compensativi”, di fronte ai quali la coscienza dell’uomo rimane turbata al punto da ritenerli meritevoli di lode o, quanto meno, da chiamarli azioni ben fatte. Chi infatti potrà mettere in dubbio che sia un grave peccato se un padre prostituisce le figlie offrendole alle brame lussuriose di uomini empi? Eppure ci fu un motivo sufficiente per cui un uomo giusto si ritenne autorizzato a comportarsi così, e fu perché i sodomiti, mossi da uno scellerato impulso di libidine, facevano ressa per abusare dei suoi ospiti. Egli disse: Io ho due figlie non ancora maritate. Vi concederò queste perché ne usiate come vi pare; voi però non dovete commettere iniquità su questi uomini, essendo entrati nella mia capanna. Che dire al riguardo? Non restiamo forse inorriditi di fronte al delitto che i sodomiti tentavano di compiere sugli ospiti di quell’uomo giusto, a tal segno da giustificare qualunque cosa che gli fosse stato possibile fare affinché quel male non si facesse? A questa conclusione ci spinge fra l’altro la persona che compiva quell’azione: persona che appunto per la sua giustizia veniva liberata da Sodoma. Siccome dunque è male minore lo stupro commesso su una donna rispetto a quello commesso su un uomo, si potrebbe dire che rientrava nella giustizia di quell’uomo giusto anche l’avere scelto che si abusasse delle sue figlie piuttosto che dei suoi ospiti.
E questa cosa egli non soltanto volle in cuor suo ma anche la suggerì a parole e, se loro avessero accettato la proposta, l’avrebbe compiuta nei fatti. Se però noi apriamo questa via, che cioè noi possiamo commettere peccati minori perché gli altri non ne commettano di maggiori, passando per un’apertura così larga com’è questa, anzi essendo scomparsa ogni delimitazione e abbattuti e rimossi tutti i confini, tutti i peccati avranno libero ingresso e stabiliranno [in noi] il loro dominio. Ammesso infatti che noi possiamo commettere un peccato più leggero per impedire che un’altra persona ne commetta uno più grave, sarà lecito impedire a un altro lo stupro con un furto commesso da noi, l’incesto con un nostro stupro; e se esiste un’empietà che [a noi] sembri peggiore dell’incesto, si dirà che noi possiamo commettere anche l’incesto se in questo modo si otterrà che quella empietà non venga perpetrata da quell’altra persona. In questo modo, nell’ambito di ogni singolo peccato, si crederà lecito commettere furti per furti, stupri per stupri, incesti per incesti, sacrilegi per sacrilegi; crederemo lecito commettere noi i peccati anziché farli commettere agli altri, e non solo peccati più leggeri in luogo di più gravi ma anche (venendo alle estreme e più gravi conseguenze) un minor numero di peccati anziché un numero più considerevole. Così, almeno, quando la piega dei fatti ci porta a concludere che gli altri non si tratterranno dal peccato se noi stessi non commetteremo peccati, magari più leggeri ma sempre peccati.

Ecco ad esempio, un nemico che, avendone il potere, viene a dirti in maniera risoluta: “Se tu non vorrai perpetrare quella scelleraggine, io ne combinerò una maggiore”, ovvero: “Se tu non commetterai quel delitto, io ne commetterò parecchi di più”. In tal caso potrebbe sembrarci lecito commettere noi stessi il delitto volendo che l’altro si astenga dai suoi. Ebbene, ragionare in questo modo cos’altro è se non sragionare o, meglio, vaneggiare? Io infatti ho l’obbligo d’evitare la condanna che deriva a me dalla mia colpa, non dalla colpa altrui, sia che il male venga perpetrato contro di me che contro altri. Dice infatti: L’anima che pecca, lei [e non altri] morrà.

Esempio di Lot e di Davide.

9. 21. È dunque certo che noi non dobbiamo peccare personalmente per impedire che gli altri commettano peccati più gravi contro di noi o contro qualunque altro. Pertanto ci si impone una valutazione sull’operato di Lot, per stabilire se costituisca per noi un esempio da imitare o non piuttosto da fuggire. E qui è da considerarsi e da notarsi in primo luogo - come sembra - il male spaventoso che incombeva sopra i suoi ospiti per la scelleratissima empietà dei sodomiti: male che Lot voleva impedire, ma non ci riusciva. In tale frangente anche l’animo di quel giusto poté essere turbato al segno da voler fare un’opera che, stando non ai dettami dell’oscura procella causata dal timore umano ma alle esigenze della serena tranquillità della legge divina, questa, se da noi consultata, ci avrebbe gridato che non lo si doveva fare. Ci avrebbe senz’altro comandato di astenerci da ogni peccato nostro personale e di non cedere in alcun modo al peccato per il timore dei peccati che potrebbero commettere altri. In realtà quell’uomo giusto era spaventato per i peccati di altri (sebbene essi deturpino la coscienza soltanto di colui che vi acconsente), e nel suo turbamento non badò al peccato che egli stesso commetteva concedendo le proprie figlie alla lussuria di quegli empi. Quando nella sacra Scrittura leggiamo cose come questa, non dobbiamo pensare che, siccome le riteniamo cose realmente avvenute, possiamo concludere che anche a noi sia lecito farle. Ciò ammesso infatti, per imitare certe azioni, finiremmo col violare i comandamenti [del Signore]. E ora vediamo il caso di Davide, quando giurò d’uccidere Nabal, ma poi considerando la cosa con animo più pacato si astenne da quella uccisione. Diremo dunque che dobbiamo imitare Davide giurando con leggerezza di fare una certa cosa che più tardi ci accorgiamo di non dover fare? Ma osserviamo. Quando Lot si proponeva di prostituire le figlie, il suo animo era turbato dal timore; quando Davide giurò a cuor leggero, era turbato dall’ira. E se ci fosse consentito d’indagare su tutt’e due i personaggi e domandare loro perché abbiano fatto quelle cose, il primo ci potrebbe rispondere: Sono piombati su di me timore e spavento e le tenebre mi hanno avvolto; e Davide ci direbbe: Il mio occhio era annebbiato dall’ira. E dopo ciò, non resteremmo meravigliati che l’uno nelle tenebre del timore e l’altro avendo l’occhio ottenebrato [dall’ira], non riuscirono a vedere ciò che era doveroso vedere per non compiere atti che non si dovevano compiere.

Considerazione sull’operato di Lot e di Davide.


9. 22. Veramente a quel santo che era Davide bisognava dire, e molto giustamente, che non si doveva in alcun modo adirare, nemmeno contro quell’ingrato che gli ripagava il bene con il male; ma se in quanto uomo si lasciava prendere dall’ira, questa passione non doveva dominarlo al segno da fargli giurare una cosa che se fatta sarebbe stata una crudeltà, non facendola egli avrebbe commesso uno spergiuro. Lot al contrario si trovava di fronte alle voglie insane di quei luridi sodomiti. Orbene, in tale situazione chi avrebbe osato dirgli parole come queste: Ecco tu hai fatto entrare in casa tua questi ospiti, persuadendoli con la dolcissima violenza della tua disponibilità. Ebbene, anche se li vedrai afferrati e oppressi da quella gente sfrenata e divenuti oggetto di abusi innominabili, tu non devi per nulla spaventarti, non ci devi far caso né allontanarti o inorridire o metterti a tremare? Chi avrebbe osato dire cose come queste all’uomo timorato di Dio che ospitava quelle persone? Neppure un connivente di quegli uomini scellerati! Con perfetta ragionevolezza gli si sarebbe dovuto dire: “Fa’ tutto il possibile per impedire che si compia il male che giustamente ti impaurisce, ma questo timore non deve spingerti a fare nelle tue figlie di tua iniziativa quel male che, se fossero loro stesse a volerlo fare, commetterebbero una disonestà; se invece spinte da te si rifiuteranno di farlo, dovranno subire una violenza da parte dei sodomiti. Non crederti autorizzato a fare tu stesso un grave peccato per l’orrore che ti incute un peccato più grave commesso da altri. Sebbene infatti sia diverso quello che fai tu e quello che fa l’altro, il primo è colpa tua, il secondo colpa di un altro”. Ma per discolpare quell’uomo virtuoso qualcuno potrebbe cacciarsi nella strada stretta dicendo: Siccome è preferibile subire un danno anziché farlo e quegli ospiti di Lot non erano loro a danneggiare gli altri ma subivano il danno, quell’uomo essendo giusto, preferì che il danno lo subissero le sue figlie anziché i suoi ospiti. Un certo diritto infatti lo costituiva padrone delle sue figlie, ed egli sapeva che in quell’operato le figlie non commettevano peccato ma al contrario subivano la violenza dei peccatori, senza peccare personalmente in quanto ad essi non acconsentivano. In realtà non erano loro che offrivano allo stupro, in luogo degli ospiti, il loro corpo femminile in vece del corpo maschile.

Se si fossero regolate così, sarebbero state colpevoli anche loro: non perché soggiacevano alla lussuria di quei prepotenti, ma perché loro stesse vi prestavano il consenso della propria volontà. Quanto al loro padre, egli non avrebbe tollerato che l’abuso si commettesse contro lui stesso, se ciò avessero tentato di fare quegli sciagurati in balia dei quali egli ricusava d’abbandonare gli ospiti, sebbene fosse un male minore quello perpetrato contro un uomo solo anziché contro due. Lo vediamo resistere con tutte le forze perché lui stesso non si macchiasse di colpa dando il proprio consenso; se al contrario non avesse consentito, sebbene lo avesse sopraffatto con la violenza fisica la ferocia libidinosa di quei forsennati, trattandosi d’un atto commesso da estranei egli non si sarebbe macchiato di colpa. Egli non peccava nemmeno prestando le figlie, le quali non avrebbero commesso peccato. Siccome sarebbero state violentate senza acconsentire, egli non le induceva a commettere il peccato ma a sopportare la malvagità dei peccatori. Era come se avesse messo a disposizione di male intenzionati i suoi schiavi perché fossero picchiati e così ai suoi ospiti si risparmiasse il danno delle percosse. Di questo argomento qui non voglio discutere, poiché si andrebbe per le lunghe a stabilire se un padrone agisca rettamente qualora, usando del diritto che lo costituisce padrone dei suoi schiavi, si permetta di fustigare lo schiavo innocente perché non venga bastonato da persone violente e perverse un suo amico, anch’egli innocente, che si trova in casa sua.
Quanto a Davide, certamente bisogna dire che in nessun modo fece bene ad affermare con giuramento una cosa che s’accorgeva di non poter poi attuare. Da questo si conclude con certezza che noi non siamo autorizzati a ripetere nella nostra condotta tutte le azioni che nella Scrittura leggiamo essere state compiute dagli uomini, anche se santi e giusti. Dobbiamo anzi imparare quanto ampia e universale sia la parola dell’Apostolo: Fratelli, qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza. E vigila su te stesso, per non cadere anche tu in tentazione. Precedenti della colpa sono infatti tutte quelle cause per cui si pecca non vedendo lì per lì il da farsi, o quando uno, pur vedendolo, si lascia vincere: quando cioè si commette il peccato perché non si è raggiunta la verità o quando a peccare siamo sospinti dalla nostra fragilità.

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