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LA MENZOGNA testo di sant'Agostino d'Ippona

Ultimo Aggiornamento: 10/08/2013 16:29
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10/08/2013 16:08

Si può occultare il vero ma non si deve dire il falso. Abramo e Isacco non sono stati bugiardi.

10. 23. Fra tutte le nostre azioni quelle che più turbano anche i buoni sono quelle in cui peccato e buona azione si bilanciano al segno che, se ci sono motivi adeguati per compierle, non le si considera peccato, anzi si ritiene peccato il non farle. Questa opinione si è affermata nella mentalità comune soprattutto per quel che concerne le diverse menzogne: le quali a volte son ritenute non peccati ma azioni virtuose. Così, ad esempio, quando si mente per recare dell’utile a uno che dall’inganno trae vantaggio o quando lo si fa per impedire che nuoccia uno che sembra intenzionato a nuocere se non lo si ostacolasse con la menzogna. Per giustificare menzogne di questo tipo si crede di poter ricorrere all’appoggio di esempi (sarebbero moltissimi) tratti dalle Scritture. Bisogna tuttavia ricordare che non è lo stesso nascondere la verità e proferire la menzogna. Sebbene infatti tutti coloro che mentiscono vogliono nascondere la verità, non tutti coloro che vogliono nascondere la verità dicono menzogne, essendo numerosissimi i casi in cui per nascondere la verità non si mente ma si tace soltanto. In questo senso non mentiva il Signore quando affermava: Avrei molte cose da dirvi ma voi adesso non siete in grado di portarle. Taceva la verità, non diceva il falso, giudicando i discepoli non ancora capaci d’ascoltare ciò che era vero. Se una tal cosa non l’avesse loro palesata, che cioè non erano in grado di accogliere quanto egli si rifiutava di dire, egli avrebbe naturalmente celato una parte della verità, ma noi forse non avremmo saputo che ciò può farsi innocentemente o, quanto meno, non avremmo potuto appoggiarci su un esempio di così grande autorità. Ne segue che quanti propugnano che in qualche caso si debba mentire non fan bene a citare come esempio l’operato di Abramo quando di Sara disse che era sua sorella. Egli infatti non disse: “Non è mia moglie”, ma soltanto: È mia sorella; e ciò era vero poiché gli era così strettamente imparentata da poterla chiamare sorella senza incorrere nella menzogna. Questo confermò più tardi quando la donna fu a lui ricondotta da quel tale che gliel’aveva prelevata. Rispondendo a quell’uomo, disse: Veramente è mia sorella per parte di padre, sebbene non per parte di madre, cioè: Non appartiene alla famiglia di mia madre ma solo a quella di mio padre. Quando dunque la chiamò sorella, senza dire che era sua moglie, tacque una parte della verità, ma non disse alcunché di falso. Lo stesso fece suo figlio Isacco, che, come sappiamo, si prese in moglie una sua parente. Non si ha dunque menzogna quando si tace qualcosa per nascondere la verità ma quando nel parlare si proferisce una falsità.

Quello che fece Giacobbe non è una menzogna ma un mistero.

10. 24. Riguardo a quello che fece Giacobbe per istigazione della madre al fine di trarre in inganno suo padre, se lo si considera con attenzione e sorretti dalla fede, non è una menzogna ma un mistero. Se infatti diciamo che sono menzogna cose come questa, allora tutte le parabole e le figure che si usano per significare qualsiasi cosa da non intendersi in senso proprio, ma da quella cosa se ne deve ricavare un’altra, dovranno chiamarsi menzogne. Ma questo evidentemente è un’assurdità. In effetti, a pensare così, questa ingiusta denominazione si potrebbe riversare su molti nostri modi di parlare, e con fondatezza si potrebbe chiamare menzogna la stessa metafora, come la si chiama, cioè il traslato per cui una parola si porta arbitrariamente a significare una cosa impropria invece di quella sua propria. Ad esempio: noi diciamo che le messi ondeggiano, che le viti emettono gemme, che la gioventù è nel fiore, che sulla testa del vecchio è nevicato. Ora, siccome non riscontriamo né le onde né le gemme o il fiore o la neve in quei soggetti ai quali applichiamo le parole che abbiamo mutuato altrove, questo nostro modo di parlare potrebbe da qualcuno essere preso per menzogna. E se si dice che Cristo è una roccia, che i giudei ebbero un cuore di pietra, o, ancora, se di Cristo si dice che è un leone e che leone è anche il diavolo, e così tante altre espressioni simili a queste, si dovrà dire che esse sono tutte menzogne. E che dire poi di quell’uso linguistico che nel parlare traslato si spinge fino alla cosiddetta antifrasi, per cui di una cosa che non c’è diciamo che abbonda, di ciò che è acido diciamo che è dolce, di ciò che non riluce diciamo che è chiarore?

E non parliamo di Parche per il fatto che non perdonano? Non diversamente suonano le parole che secondo la Scrittura il diavolo rivolse al Signore parlando di Giobbe, e cioè: [Vedi] se non ti benedirà in faccia. La quale parola è da intendersi: “Se non ti maledirà”. Si usa quindi la stessa parola che usarono gli accusatori di Nabot per presentare calunniosamente il delitto da loro inventato. Dissero infatti che egli aveva benedetto il re, cioè che lo aveva maledetto. Tutti questi modi di dire dovranno ritenersi menzogne se ogni detto o gesto figurativo va chiamato menzogna. Se invece non sono menzogne, in quanto si riferiscono alla comprensione della verità prendendole in un significato diverso da quello ordinario, allora non è menzogna quanto disse o fece Giacobbe per essere benedetto dal padre. E non lo è nemmeno quanto Giuseppe disse ai fratelli prendendosi quasi gioco di loro, né l’operato di Davide quando simulò d’essere pazzo, e così tante altre cose di questo genere. Son tutte espressioni o azioni profetiche, da riferirsi ad una [più profonda] comprensione della verità. E se sono celate nel velo della figura, lo sono per esercitare l’interesse del pio ricercatore e perché non vi si passi sopra considerandole cose ovvie e a portata di mano.
È vero che in altri passi noi troviamo le stesse cose presentate con parole chiare e in modo palese, ma quando noi le estraiamo dai loro nascondigli, è come se nella nostra conoscenza si rinnovassero, e, così rinnovate, procurano maggiore dolcezza. Per il fatto poi che tali cose vengono nascoste dall’oscurità, non è detto che vengano sottratte a chi le voglia apprendere, anzi le si inculca di più in quanto, essendo riposte nel segreto, le si fa desiderare con più ardore e, appunto perché desiderate, le si scopre con maggior godimento. Ad ogni modo, le parole che si usano sono vere, non false, poiché significano cose vere, non false: e noi intendiamo certamente affermare quello che esse significano. Le si dovrebbe ritenere menzogne se non le si intendesse dette per significare cose vere ma si pensasse che vi siano asserite delle falsità. Per chiarire le cosa con degli esempi, poni mente all’operato stesso di Giacobbe. Egli effettivamente coprì le mani con pelli di capretto. E se badiamo alla causa prossima [del suo comportamento] dobbiamo dire che egli mentì; ma se il suo operato lo riferiamo al significato reale per cui fu compiuta quell’azione, ecco che nelle pelli di capretto troviamo un simbolo che rappresenta i peccati e nella persona che se ne coprì un simbolo di colui che prese su di sé non i peccati suoi ma i nostri. Se dunque quanto significano le parole è vero, non si può in alcun modo parlare di menzogna. E quanto si dice dell’operato va detto anche delle parole. Il padre gli chiese: Chi sei tu, figlio?, ed egli rispose: Io sono Esaù, il tuo primogenito. Se queste parole le applichiamo a quei due gemelli, sono, almeno all’apparenza delle menzogne; ma occorre intendere con esse quanto con tali gesti e affermazioni si voleva significare allorché il racconto fu posto in iscritto.
E quindi vi intendiamo, presentato nel suo corpo che è la Chiesa, colui che parlando di tali cose diceva: Quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, mentre voi sarete cacciati fuori. E verranno da Oriente e Occidente, da Settentrione e da Mezzogiorno e sederanno nel regno di Dio. Ed ecco, i primi saranno ultimi e gli ultimi saranno i primi. In questo modo Giacobbe privò il fratello maggiore del diritto di primogenitura e se ne appropriò lui stesso. Essendo dunque [queste espressioni] così vere in sé e così esatte nel loro significato, come pensare che in esse ci sia stata o sia stata narrata una menzogna? Se infatti le cose significate non sono prive di verità, sia che riguardino il passato o il presente o il futuro, il loro significato è senza dubbio vero, e non c’è [in esso] alcuna falsità. Sarebbe tuttavia assai lungo sviscerare tutte le cose in dettaglio in questo campo delle espressioni profetiche nelle quali la verità ottiene la palma, perché, come furono proferite per significare qualcosa in anticipo, così divennero chiare col succedersi degli avvenimenti.

I priscillianisti mentono in verità che toccano la fede.

11. 25. Con il mio dire non mi son proposto cose di questo genere. Ciò riguarda piuttosto te, che ti sei messo a scovare i nascondigli dei priscillianisti in ciò che riguarda i loro dogmi falsi e aberranti. Fa’ in modo di non dare l’impressione che, quando noi indaghiamo su questi dogmi, lo facciamo quasi che volessimo insegnarli, mentre invece vogliamo confutarli. Impégnati dunque affinché le dottrine che investigando hai portato alla luce siano debellate e stese a terra, poiché non deve succedere che, mentre vogliamo raggiungere quegli uomini mentitori, lasciamo sopravvivere le loro falsità considerandole ostacoli insormontabili. In effetti noi dobbiamo distruggere le falsità che si celano nel cuore degli eretici più che non smascherare i falsari passando sopra ai loro falsi dogmi. Tra questi dogmi, che noi dobbiamo abbattere, c’è sicuramente anche quello per cui affermano categoricamente che la persona di fede, per nascondere questa sua fede, è tenuta a mentire. È doveroso mentire - dicono - non soltanto su cose che non riguardano la dottrina religiosa ma anche in fatto di religione quando occorre per non farla conoscere agli altri. Cioè: affinché il cristiano possa rimanere nascosto in mezzo ai suoi nemici, gli è lecito rinnegare Cristo.
Ti scongiuro di voler estirpare anche quella dottrina empia e perversa in base alla quale gli eretici sogliono argomentare, e cioè quel loro collezionare dalle Scritture testimonianze da cui sembrerebbe che le menzogne vanno non solo accettate e permesse ma anche onorate. Quanto poi a te stesso, nel confutare la loro setta detestabile devi mostrare come nelle citate testimonianze scritturali non si insegnano menzogne, nemmeno in quei testi che si potrebbero ritenere menzogne. Basta intenderli nel senso come debbono essere intesi. Se poi ci son testi dove la menzogna è manifesta, tu insegnerai che non si tratta di cose da imitare. E finalmente, per presentare anche questo caso estremo, almeno nei passi che riguardano la religione, tu insegnerai che lì non si deve assolutamente mentire. In questo modo, mentre si distruggono i loro nascondigli, vengono sradicati completamente anche gli eretici: nel senso che facendoli confessare che sono bugiardi nell’occultare la loro eresia, con ciò stesso si dovrà concludere che non li si deve affatto seguire ma piuttosto evitare con somma cura.

Questa persuasione si deve abbattere in primo luogo; questa loro comoda roccaforte, diciamo così, si deve perforare con i colpi della verità; questa si deve rovesciare. Né si deve fornire ad essi un nuovo ricettacolo per rifugiarvisi, nuovo perché prima non lo avevano. Non deve accadere che, se vengono scoperti da quelli che essi cercavano di sedurre ma non ci riuscivano, dicano: Li abbiamo voluti tentare, poiché certi cattolici dotati di sapienza ci hanno insegnato che questo è un metodo legittimo per scoprire gli eretici. Ed ora io voglio dirti in maniera più esplicita il motivo per cui mi sembra esser questo il metodo da usarsi nelle dispute contro quelli che per avallare le loro menzogne vogliono appoggiarsi sulle divine Scritture. È un procedimento a tre risvolti: in primo luogo dobbiamo mostrare che certe affermazioni che sembrerebbero menzogne, a comprenderle bene non sono quello che sembrano essere. Se poi è inequivocabile che si tratta di menzogne, [la conclusione è che] non le dobbiamo imitare. In terzo luogo, opponendosi a tutte le opinioni di tutti gli uomini che pensano esser consentito, anzi doveroso, all’uomo perbene dire, a volte almeno, una qualche menzogna, dobbiamo a tutti i costi ritenere che, quando si tratta di dottrina religiosa, non è assolutamente lecito mentire. Queste tre regole ti ho già prima raccomandato di seguire; anzi in certo qual modo te l’ho ingiunto.

La simulazione di Pietro e Barnaba.

12. 26. Vogliamo dimostrare come quelle parole della Scrittura, che si pensa siano menzogne, in realtà, se le si comprende bene, non sono ciò che si crede. Al riguardo non ti sembri argomento di poco valore contro gli eretici il fatto che tali esempi di menzogna li trovano non fra gli scritti degli apostoli ma in quelli dei profeti. In realtà tutti quei passi che dettagliatamente essi elencano come contenenti menzogne si leggono in quei libri nei quali sono riportati non solo detti ma anche molti fatti figurativi, poiché realmente erano accaduti con valore di figure; e nelle figure quanto viene detto con parole che sembrerebbero menzogne, se lo si comprende bene s’avverte che è la verità.
Quanto poi agli apostoli, essi nelle loro lettere si sono espressi in un linguaggio del tutto diverso, e in maniera pure diversa sono stati scritti gli Atti degli Apostoli; e questo perché tutto quello che nei profeti era nascosto nel velo del simbolismo è stato svelato dal Nuovo Testamento. Effettivamente, fra le tante lettere scritte dagli apostoli e in quell’ampio libro dove vengono narrate, con la verità propria dei libri canonici, le loro gesta, non si riscontra un solo personaggio da cui gli eretici possano trarre l’esempio per sostenere la legittimità della menzogna.

C’è al riguardo la ben nota simulazione di Pietro e Barnaba in forza della quale i pagani sarebbero stati costretti a comportarsi da giudei. Essa però fu giustamente ripresa ed emendata, perché non recasse danno ai contemporanei e non fosse per i posteri un esempio da imitare. Ecco infatti l’apostolo Paolo che, vedendo come i due non procedessero rettamente, cioè secondo la verità del Vangelo, disse a Pietro alla presenza di tutti: Se tu, che sei giudeo, vivi da pagano e non da giudeo, come puoi costringere i pagani a conformarsi ai giudei? E poi si cita anche l’operato dello stesso Paolo, quando si attenne ad alcune osservanze legali entrate nella consuetudine dei giudei, e così fece per non apparire come nemico della Legge e dei Profeti.
Lungi da noi il pensiero che egli lo abbia fatto cadendo nella menzogna. A questo riguardo infatti ci è più che nota la sua sentenza, secondo la quale egli aveva deliberato che non si doveva proibire ai giudei divenuti credenti in Cristo di conservare le tradizioni dei loro antenati, ma non si doveva neppure costringere all’osservanza delle medesime i pagani passati al cristianesimo.

In altre parole, quei riti figurativi che risultavano ordinati dal Signore non dovevano essere schivati come pratiche sacrileghe, ma, dopo la rivelazione del Nuovo Testamento, non dovevano essere ancora considerati necessari a tal segno che chi si fosse convertito a Dio non poteva senza di essi conseguire la salvezza.

Alcuni infatti, pur avendo accolto il Vangelo di Cristo, ritenevano e insegnavano proprio questo; e ad essi, per quanto simulatamente, avevano aderito anche Pietro e Barnaba, i quali in tal modo costringevano i pagani a vivere da giudei. Era infatti un costringere la gente il predicare che le osservanze giudaiche erano talmente necessarie che, anche accolto il Vangelo, non c’era per i convertiti alcuna salvezza in Cristo se si fossero escluse tali pratiche. Questo pensavano erroneamente certuni; temendo costoro, Pietro si lasciò andare alla simulazione; di questo comportamento lo rimproverò Paolo, assertore della libertà.

Se poi egli ebbe a dire: Mi son fatto tutto a tutti per guadagnare tutti, fu per condiscendenza, non per [voglia di] mentire. Uno infatti diventa pari a colui che vuol soccorrere quando lo soccorre con tanta carità quanta ne gradirebbe lui stesso se lo si dovesse soccorrere in una identica condizione di disagio. Così facendo, egli s’immedesima con l’altro non perché lo inganna, ma perché mette se stesso alla pari di lui. A ciò si riferisce anche quel detto dell’Apostolo da me sopra ricordato: Fratelli, se uno [di voi] viene sorpreso in qualche mancamento, voi che siete spirituali, istruitelo con spirito di mansuetudine, badando a te stesso per non essere tentato anche tu. Se poi disse: Io mi son fatto giudeo con i giudei, e con coloro che erano sotto la legge come uno che si assoggetta alla legge, non per questo si deve credere che egli con animo menzognero fece sue le simbologie dell’antica legge. In caso contrario, si dovrebbe anche pensare che egli, sempre per mentire, accettò alla stessa maniera l’idolatria dei pagani, dal momento che dice d’essersi fatto un senza legge per coloro che non avevano ricevuto la legge, al fine di guadagnare anche costoro. Ma è certo che una tal cosa egli non la fece.

Non risulta infatti in nessun luogo che egli abbia sacrificato agli idoli o che abbia adorato i simulacri; anzi, da vero testimone di Cristo, mostrò con estrema libertà che quegli idoli erano da detestarsi e fuggirsi. Pertanto gli eretici non possono citare alcun detto o fatto degli apostoli che sia esempio da imitare per quanto riguarda il ricorso alla menzogna. Quanto poi ai detti e ai fatti desunti dai profeti, essi immaginano d’avere del materiale probativo poiché ritengono menzogne le prefigurazioni simboliche, che con la menzogna hanno una qualche somiglianza. Tuttavia se riferiamo questi atti o detti all’oggetto per cui furono effettivamente compiuti, riscontriamo che questi significati sono sempre conformi a verità, e quindi in nessun modo sono menzogne. La menzogna infatti si ha quando si falsifica il significato [delle parole] con l’intenzione d’ingannare; ma questo significato falso non c’è quando, sebbene con una cosa se ne indichi un’altra, tuttavia quel che si vuol significare, se lo si comprende bene, corrisponde a verità.
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