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LA MENZOGNA testo di sant'Agostino d'Ippona

Ultimo Aggiornamento: 10/08/2013 16:29
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10/08/2013 16:11

Passi del Vangelo addotti per giustificare la menzogna.

13. 27. Alcune cose di questo genere si trovano anche nel Vangelo, e a compierle è lo stesso nostro Salvatore, il quale, pur essendo il Signore dei profeti, s’è degnato di diventare lui stesso un profeta. Tra queste si citano le parole che rivolse alla donna affetta da perdite di sangue: Chi mi ha toccato?, e anche le altre dette al sepolcro di Lazzaro: Dove l’avete posto? Queste sue domande sembrano di uno che non sapesse quelle cose, mentre certamente le sapeva. Finse quindi di non saperle per significare qualche altra cosa attraverso quella sua apparente ignoranza. Ora siccome quel che egli intendeva significare era vero, non si può certo parlare di menzogna. La donna affetta da emorragia e colui che era morto da quattro giorni erano infatti figure di coloro che per qualche verso sfuggivano alla conoscenza anche di colui che conosce ogni cosa. La prima infatti era il simbolo del popolo pagano, del quale antecedentemente era stata pronunciata la profezia: Il popolo che non conoscevo mi ha servito; e, quanto a Lazzaro, egli con un avvicinamento allegorico, per il fatto che era segregato dai viventi, giaceva, per così dire, là dov’era anche colui che emette quella voce: Sono stato gettato lontano dai tuoi occhi. E quindi, quasi a dire che da Cristo non era conosciuto né chi fosse l’uno né dove fosse collocato l’altro, si è voluto presentare le cose con la figura dell’interrogazione, e mediante la verità della cosa significata viene esclusa ogni menzogna.

Alcuni racconti del Vangelo, in sé fittizzi ma reali nell’oggetto significato.


13. 28. Rientra in questo discorso anche quello che, stando alla tua relazione, sogliono dire i priscillianisti a proposito del Signore Gesù, quando dopo la resurrezione percorse un tratto di strada con due dei suoi discepoli e, arrivati ormai al villaggio dov’erano diretti, egli finse di voler andare oltre. Dice infatti l’evangelista: Egli finse di voler proseguire, e usa precisamente la parola che piace moltissimo ai mentitori perché possano mentire con coscienza tranquilla, quasi che sia menzogna tutto ciò che si dice fingendo, mentre son tante le finzioni che si usano, restando sempre nella verità, per indicare con parole diverse delle realtà diverse. Se pertanto Gesù con il suo fingere di voler andare più lontano non avesse significato nient’altro, si potrebbe giustamente parlare di menzogna, ma se si comprende bene la cosa e la si riferisce a ciò che egli intendeva significare, c’è da concludere che si tratta di un mistero.
Altrimenti si dovrà dire che sono menzogne tutte le cose che si raccontano come realmente accadute, mentre non sono accadute ma somigliano in qualche modo a quelle che vogliamo indicare con esse. Tale è quel racconto, assai ampio, dei due figli nati all’unico padre, dei quali il maggiore restò a casa con il padre mentre il minore andò vagando in terre lontane. In questo genere di racconti immaginari gli uomini sono andati anche più avanti, attribuendo fatti e detti umani agli animali, privi di ragione, e alle cose inanimate. Con tali racconti, in sé fittizi ma reali nell’oggetto significato, si è voluto inculcare più marcatamente l’oggetto dell’insegnamento. Così negli autori profani, come in Orazio, troviamo che il topo parla con il topo e la donnola con la volpe, evidentemente affinché attraverso il racconto inventato si colga il senso vero delle cose, come realmente accadono. Lo stesso è delle favole di Esopo, che sono raccontate con identica finalità. Nessuno certo, per quanto possa essere ignorante, vorrà pensare che siano menzogne. Così è dei libri sacri.

Ad esempio, nel libro dei Giudici gli alberi si cercano un re e rivolgono il discorso all’olivo, al fico, alla vite e al rovo. È tutta una narrazione fittizia per giungere all’oggetto che si ha di mira. A questo scopo si usa un linguaggio immaginario, il cui significato però non è menzogna ma risponde a verità. Tutto questo discorso l’ho fatto in riferimento alle parole del Vangelo, dove parlando di Gesù è scritto: Egli finse di voler proseguire, affinché nessuno basandosi su queste parole pretenda d’affermare la liceità della menzogna e lo sostenga dicendo che lo stesso Cristo non rifuggì dal mentire. Chi poi volesse approfondire che cosa egli con quel suo fingere abbia voluto significare, badi a ciò che egli compì nelle sue azioni successive, quando egli si spinse assai lontano, cioè al di sopra di tutti i cieli, senza peraltro abbandonare i suoi discepoli. Per significare quest’azione che in seguito avrebbe compiuto con virtù divina, allora egli finse di compiere quel gesto a livello umano. In quel fingere di Gesù fu anticipato questo senso reale dei fatti; nella successiva dipartita tenne dietro la verità di quanto prima raffigurato.
Si può quindi concludere che Cristo con quel suo fingere abbia mentito, solo se si nega che egli nella realtà compì quanto aveva voluto significare in antecedenza.

Non tutti gli esempi di personaggi dell’A. Testamento son da imitarsi.

14. 29. I nostri eretici, amanti del mentire, non trovano dunque negli scritti del Nuovo Testamento esempi di menzogna che possano imitare. Per sostenere quindi la loro polemica a sostegno della tesi sulla liceità della menzogna si sentono quanto mai equipaggiati di materiale ricorrendo agli antichi libri profetici. Immaginano di trovare in essi molte menzogne e le adducono come prove [contro di noi], per il fatto che l’oggetto significato da quei detti o fatti, in sé certo veritieri, non appare con chiarezza se non a quei pochi che riescono a capirlo. Ma per il fatto che col desiderio rincorrono certi esempi di menzogna al fine di ricopiarli e così sentirsi in qualche modo protetti, ingannano se stessi, e l’iniquità perpetra menzogne a suo danno. Ci sono poi nella Scrittura persone di cui non siamo obbligati a credere che abbiano voluto presentarsi come profeti quando con volontà d’ingannare espressero qualcosa con detti o fatti. Anche dai loro fatti o detti si può, è vero, desumere un qualche contenuto profetico, seminato e disposto in anticipo dall’onnipotenza di Colui che nella sua sapienza sa ricavare il bene anche dalle cattiverie degli uomini; tuttavia, per quanto riguarda loro personalmente, si deve dire senza esitazione che tali persone hanno mentito; e non si deve concludere che siano persone da imitarsi perché nominate in quei libri che giustamente chiamiamo libri santi e divini.

Questi libri infatti riportano azioni cattive e azioni buone compiute dagli uomini: le une perché le evitiamo, le altre perché le ricopiamo. E nei riguardi di queste azioni, di alcune se ne dà anche la valutazione; di altre invece se ne omette il giudizio e vengono lasciate al giudizio della nostra coscienza, poiché noi non dobbiamo soltanto nutrirci con verità palesi, ma anche tenerci in allenamento con la [ricerca delle] verità nascoste.

Evitare di aprire il varco sia ai peccati piccoli come anche a tutte le delinquenze.

14. 30. Gli eretici credono sia bene imitare Tamar nel dire menzogne. Perché allora non si dovrebbe imitare anche Giuda nel fornicare con lei? Tutte e due le cose infatti si leggono nella Scrittura e, delle due, non è che una sia condannata e l’altra elogiata. Il libro sacro si limita a raccontare i due fatti e lascia a noi il compito di valutarli; ma sarebbe certamente strano pensare che abbia permesso a noi di ripeterli senza che ne veniamo condannati. Sappiamo infatti che Tamar mentì non per passione lussuriosa ma perché voleva avere figli. E inoltre quanto alla fornicazione, sebbene non sia stata di questo genere quella di Giuda, si potrebbe pensare a quella che un uomo commette perché un altro sia liberato, come la menzogna di quella donna fu detta perché un uomo fosse concepito. Cosa diremo dunque? Che all’uomo sia lecito fornicare per lo stesso motivo per cui alla donna fu lecito mentire? Quale poi sia in concreto il giudizio che dobbiamo emettere in caso di peccati, non è cosa da prendersi in considerazione solo quando si tratta di menzogna ma sempre, in qualunque atto umano in cui capitano i cosiddetti “peccati di compensazione”. Dobbiamo sempre badare che non si apra il varco non solo ai peccati piccoli e ordinari nella vita, ma anche a tutte le delinquenze, e così non esista più alcun delitto o sconcezza o sacrilegio per i quali non si trovi un causa per giustificarli. Ma con questa dottrina viene sovvertita ogni moralità nella vita dell’uomo.

Il caso delle levatrici ebree e di Raab.

15. 31. Chi afferma che ci sono menzogne da ritenersi giuste non merita giudizio diverso da quello di chi dice che ci sono peccati giusti o, più esplicitamente, che sono giuste anche alcune delle cose ingiuste. Ora, ci può essere cosa più assurda di questa? Perché mai infatti una cosa è peccato se non perché è in contrasto con la giustizia? Si dica pure, certo, che ci sono peccati gravi e peccati leggeri. È la verità; e non si deve dar retta agli stoici che sostengono la parità fra tutti i peccati; tuttavia dire che alcuni peccati sono cosa cattiva e altri cosa buona, che significa se non dire che alcune delle azioni inique sono inique mentre altre sono giuste? Ma l’apostolo Giovanni afferma: Chi fa il peccato fa anche iniquità e [ogni] peccato è iniquità. Non ci può essere quindi un peccato che sia giusto, a meno che col nome di peccato non vogliamo chiamare qualche altra cosa, compiendo la quale non si pecca ma si fa o subisce qualcosa che ha riferimenti col peccato. Ci sono, ad esempio, sacrifici detti “per il peccato” e a volte si chiamano peccati le pene subite per il peccato. Queste cose possono, certamente, qualificarsi come peccati giusti, poiché il titolo di giusto ben si addice ai sacrifici e alle punizioni. Quanto invece alle azioni contrarie alla legge di Dio, è impossibile che siano giuste. Fu detto infatti a Dio: La tua legge è verità; e pertanto ogni cosa che sia in contrasto con la verità non può essere giusta. Ora chi vorrà mettere in dubbio che ogni genere di menzogna è in contrapposizione con la verità? È impossibile quindi che ci siano menzogne giuste. Parimenti, chi non vede con chiarezza che tutto ciò che è giusto proviene dalla verità? Ma Giovanni esclama: Qualsiasi menzogna non viene dalla verità; e quindi non c’è menzogna che sia giusta.
Quando dunque si citano esempi di menzogna presi dalla Sacra Scrittura, o non si tratta di menzogne, ma le si ritiene tali perché non le si capisce, o, se davvero sono menzogne, non le si deve imitare, perché non possono essere azioni [moralmente] giuste.

Sui benefici concessi da Dio alle ostetriche ebree.

15. 32. Su quanto afferma la Scrittura, cioè che Dio concesse benefici alle ostetriche ebree e a Raab, prostituta di Gerico, occorre tener presente che non furono loro concessi perché avevano mentito, ma perché avevano usato misericordia ad uomini di Dio. Non si ricompensò quindi il loro inganno ma la loro larghezza di cuore, non la colpa delle loro menzogne ma la generosità della loro intenzione. Non sarebbe stata infatti cosa sorprendente o assurda che Dio, in vista di opere buone compiute successivamente, abbia voluto loro perdonare delle azioni cattive commesse eventualmente in tempo anteriore.
Allo stesso modo non ci si deve stupire che Dio, vedendo in uno stesso tempo e in uno stesso comportamento le due cose, e cioè l’opera di misericordia e la colpa della falsità, ricompensò il bene e, in vista di quel bene, passò sopra a ciò che era male. In effetti, se per il merito di opere di misericordia compiute in seguito vengono rimessi i peccati che si commettono non per misericordia ma per soddisfare la concupiscenza carnale, perché per il merito della misericordia non dovrebbero essere rimessi i peccati commessi proprio per essere misericordiosi? È infatti più grave il peccato che si commette col proposito di nuocere che non quello che si commette con l’intenzione di soccorrere. Se pertanto l’uno viene cancellato dall’opera di misericordia compiuta dopo il fatto, perché quest’altro, che è più leggero, non dovrebbe essere cancellato dalla stessa opera di misericordia compiuta dall’uomo prima di peccare o durante lo stesso peccato?
La cosa potrebbe sembrare esatta; tuttavia una cosa è dire: “Certo, non dovevo peccare, ma adesso farò delle opere di misericordia con cui cancellerò il peccato commesso”, e un’altra cosa è dire: “Debbo peccare perché diversamente non potrei essere compassionevole”. Ripeto: una cosa è dire: “Siccome abbiamo peccato, ora facciamo il bene”, e un’altra è dire: “Pecchiamo per fare il bene”. Nel primo caso si dice: “Siccome abbiamo fatto il male, ora facciamo il bene”, nel secondo: Facciamo il male perché ce ne derivi il bene. Insomma lì si cerca di vuotare il bidone dei peccati, qui si afferma la riprovevole dottrina che induce al peccato.

La pazienza di Dio verso le ostetriche ebree e Raab.

15. 33. È lasciato a noi il compito d’intendere come a quelle donne, in Egitto o a Gerico, in compenso della loro generosità e compassione fu dato un compenso, certamente temporale ma capace di raffigurare un qualcosa di eterno mediante un significato profetico da loro ignorato. Infatti il problema se almeno quando ne va di mezzo la salvezza di una persona sia qualche volta lecito mentire è un problema su cui tuttora si scervellano uomini anche dottissimi senza riuscire a risolverlo. Esso quindi superava di molto le capacità di donnicciole cresciute in quei popoli ed assuefatte a quei modi di vivere. Questa loro ignoranza Dio tollerava nella sua pazienza, come tollerava diverse altre cose che allora la gente ignorava, ma che non possono essere ignorate da coloro che non appartengono più al mondo presente ma a quello futuro. In tal senso Dio concedeva loro, in premio della generosità umana usata verso i suoi servi, dei premi terreni, per quanto carichi di significati celesti. Quanto a Raab in particolare, essa fu tratta fuori da Gerico e passò nel popolo di Dio, dove, crescendo [nella fede], avrebbe potuto raggiungere i beni eterni e immortali. I quali tuttavia non si debbono mai ricercare facendo ricorso alla menzogna.

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