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LA MENZOGNA testo di sant'Agostino d'Ippona

Ultimo Aggiornamento: 10/08/2013 16:29
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10/08/2013 16:13


Liceità della menzogna in casi estremi.

16. 33. Allorché Raab compì quell’opera buona e, secondo la condizione della sua vita, meritevole di elogio a favore degli esploratori israeliti non aveva raggiunto quel livello spirituale per cui si potesse pretendere da lei quanto prescritto [nel Vangelo]: Sulla vostra bocca il sì sia sì e il no sia no. E riguardo alle ostetriche ebree, se ebbero in cuore soltanto mire carnali, cosa giovò loro, o che gran premio fu per loro quella ricompensa per la quale potevano farsi un casato di ordine temporale? A meno che, progredendo spiritualmente, non siano giunte a far parte di quella casa della quale si canta a Dio: Beati coloro che abitano nella tua casa, ti loderanno in eterno e per sempre. In verità si deve riconoscere che è molto vicino alla giustizia e, sebbene non nella realtà dei fatti, ma certo nella speranza e nelle disposizioni, l’animo di colui che mai ricorre alla menzogna se non quando si tratta di giovare a qualcuno e non si rechi danno ad alcuno. Ma noi, nel porci il problema se all’uomo virtuoso qualche volta sia lecito mentire, non ce lo poniamo nei riguardi di colui che ancora fa parte dell’Egitto, o di Gerico, o di Babilonia, o magari di quella Gerusalemme terrena che è schiava insieme a tutti i suoi figli. Noi ci riferiamo a colui che è cittadino della città superna, che è libera ed è l’eterna nostra madre nei cieli. Se ci mettiamo a indagare su tale questione, ci si risponde: Nessuna menzogna viene dalla verità. In effetti i figli di quella città son figli della verità; sono figli dei quali sta scritto: Sulla loro bocca non si trova menzogna. Dei figli di quella città è scritto ancora: Il figlio che accoglie la parola sarà molto lontano dalla perdizione; egli la riceve e la tiene dentro di sé; e dalla sua bocca non esce alcuna falsità. Siccome però anche questi figli della Gerusalemme celeste, della santa ed eterna città, sono uomini, se ad essi capita d’incorrere in una qualche falsità, ne chiedono umilmente perdono, non vi vanno a cercare un titolo maggiore di gloria.

Norme di interpretazione scritturale.


17. 34. Qualcuno potrebbe obiettare: Dunque quelle ostetriche e Raab avrebbero fatto meglio se, per non mentire, si fossero rifiutate d’usare misericordia? Tutt’altro! Quelle donne ebree, se fossero state del numero di quelle a proposito delle quali ci ponevamo la questione se a volte sia lecito mentire, si sarebbero certo rifiutate di dire alcunché di falso e con loro liberissima scelta avrebbero ricusato di compiere quel detestabile servizio che era l’uccidere i bambini. Ma dirai che sarebbero state uccise. Però osservane le conseguenze! Esse sarebbero state messe a morte, ma si sarebbero meritate di entrare nella dimora celeste, che è una ricompensa incomparabilmente più grande che non quella di procurarsi delle case costruite qui in terra. Affrontando la morte per l’innocenza e la verità, sarebbero morte per vivere nella beatitudine eterna. E della donna di Gerico cosa diremo? Avrebbe forse potuto fare la stessa cosa? Non è forse vero che, se non avesse ingannato i suoi concittadini ricorrendo alla menzogna ma avesse detto la verità, lei avrebbe denunziato gli ospiti che teneva nascosti presso di sé? Interrogata, avrebbe potuto rispondere: So dove si trovano ma, siccome sono una timorata di Dio, non ve lo dico? Se fosse stata già una vera israelita in cui non c’è falsità, avrebbe certo potuto rispondere così; ma ciò divenne solo più tardi, quando per l’azione di Dio misericordioso fu accolta nella città di Dio. Dirai: In questo caso però, quei tali, insospettiti, udendo le sue parole l’avrebbero uccisa e messo a soqquadro la casa.

Ma avrebbero anche scoperto gli esploratori che lei aveva nascosto con tanta diligenza? In effetti quella donna, quanto mai furba, aveva previsto anche questo, e li aveva sistemati in un luogo dove potevano restare nascosti anche se non si fosse creduto alla sua menzogna. In questo modo lei, supposto che fosse stata uccisa dai suoi compatrioti per l’opera di misericordia che aveva compiuta, avrebbe concluso la vita presente, destinata di per se stessa a finire, con una morte preziosa agli occhi del Signore; e il suo intervento a vantaggio degli esploratori non sarebbe rimasto senza risultato. Replicherai: Che dire però se i ricercatori degli israeliti, setacciando per ogni dove, fossero giunti a scoprire il posto dove la donna li aveva nascosti? La domanda si può formulare anche così: Che dire se quella gente di fronte a una donna nota per la sua vita squallida e oltremodo turpe non avesse voluto prestar fede, non solo se lei fosse ricorsa alla menzogna ma anche se avesse spergiurato? In effetti anche con questo espediente poteva ottenere il risultato per il quale intimorita usò la menzogna. Ma dove intendiamo noi collocare la volontà e l’onnipotenza di Dio? Diremo forse che Egli non aveva mezzi per sottrarre ad ogni sventura quegli uomini, che erano dei suoi, e anche quella donna che aveva deciso di non mentire ai suoi compaesani e nemmeno denunziare gli uomini di Dio? Se egli li protesse dopo che la donna ebbe mentito, avrebbe potuto certamente difenderli anche se lei non fosse ricorsa alla menzogna. Non dobbiamo dimenticare che un intervento di questo genere ebbe luogo a Sodoma quando uomini accesi di sfrenata lussuria omosessuale non riuscirono a trovare la porta della casa dove si trovavano i ricercati. Fu allora che Lot, uomo giusto, trovandosi in un frangente del tutto simile, si rifiutò di mentire per la salvezza dei suoi ospiti, che egli non sapeva fossero angeli, ma temeva che dovessero subire una violenza più grave della stessa morte.
Egli certamente avrebbe potuto dire ai ricercatori le stesse cose che disse la donna di Gerico. In effetti del tutto identica era stata la domanda da loro presentata. Invece quell’uomo, che era giusto, non volle che per salvaguardare il corpo dei suoi ospiti, la sua anima si macchiasse di menzogna; preferì piuttosto che fossero violentati dalla malvagità di quegli accecati da libidine i corpi delle sue figlie. L’uomo dunque faccia tutto quel che gli è possibile per salvare anche la salute fisica dei suoi prossimi; ma se si giungesse a quell’estremo che a tale salute non si può provvedere se non attraverso il peccato, si convinca che a lui non resta nulla da fare, se veramente sente in coscienza che quanto potrebbe ancor fare non sarebbe cosa buona. Pertanto si tributino lodi anche a Raab, la donna di Gerico, e venga imitata dagli stessi cittadini della Gerusalemme del cielo. Essa infatti ospitò gli uomini di Dio stranieri in quella terra; per accoglierli incorse in vari pericoli, credette nel loro Dio, li nascose con diligenza dove le fu possibile, con estrema sincerità diede loro il suggerimento di tornare a casa passando per una via diversa. Quanto al fatto della menzogna, si potrebbe, lavorando d’ingegno, rilevare un qualche contenuto profetico; non sarebbe però mai saggio proporre il fatto alla imitazione [dei fedeli]. Quanto a Dio, egli premiò il bene compiuto da quella donna e volle che fosse ricordato; riguardo poi al male della insincerità, egli lo perdonò con un tratto della sua clemenza.

Se di una cosa si crede che realmente è cosí, bisogna mostrare che non è una menzogna.


17. 35. Stando a queste premesse, poiché si andrebbe troppo per le lunghe a voler trattare tutte le cose che nella decantata Libra di Dictinio vengono addotte come esempi di menzogne da potersi imitare, io son d’avviso che non solo in tali cose ma anche in tutte le altre simili a queste si deve stare alla norma seguente: se di una cosa si crede che realmente è avvenuta come è descritta, bisogna mostrare che non è una menzogna. Può darsi che vi si taccia la verità ma non vi si dice il falso; può darsi che il vero significato si lasci comprendere ricavandolo da un senso diverso: in realtà di detti o di fatti che hanno valore figurativo son pieni i libri profetici. Se poi ci si dovrà persuadere che effettivamente si tratta di menzogne, bisogna mostrare che son riferite non perché le imitiamo, ma se anche a noi capita di dirle, come si fa per gli altri peccati, non dobbiamo considerarle come opere di giustizia ma ne dobbiamo chiedere perdono [a Dio]. Questa è la mia opinione, e a concludere così mi costringono tutti gli argomenti esposti in precedenza.

La menzogna in caso di malattia.

18. 36. Noi però siamo uomini e viviamo fra gli uomini e, quanto a me, confesso di non essere ancora fra coloro che non provano alcuna esitazione di fronte ai peccati commessi a fin di bene. Nell’ambito delle realtà umane spesso mi vince il sentire umano, e non so cosa opporre quando mi si dice: “Guarda! C’è un malato grave: è veramente tra la vita e la morte; e se gli si andasse a dire che è morto l’unico suo figlio, da lui amato teneramente, le sue forze non reggerebbero di fronte a tale notizia”. Or ecco che questo malato ti chiede se il figlio vive, mentre tu sai che è morto. Cosa gli risponderai? La tua risposta dovrà per forza essere una di queste tre: “È morto”; “vive”; “non lo so”. Qualunque altra risposta tu volessi dare, egli non penserà ad altro se non che è morto, notizia che, come anch’egli comprende, tu hai paura di dargli, mentre però vorresti evitare la menzogna. Lo stesso vale per l’ipotesi che tu restassi nel più assoluto silenzio. Orbene, delle tre risposte sopra elencate due sono false: “Egli vive” e “Non lo so”; e tu non puoi darle se non mentendo. Se al contrario dirai quella che è l’unica notizia vera, e cioè che è morto, sconvolgendo la mente di quel malato tu ne procurerai la morte; e la gente griderà che sei stato tu ad ucciderlo.
E chi riuscirà mai a tenere a freno la gente che propensa com’è ad ingrandire il male che si fa quando per evitare una menzogna apportatrice di salvezza le si preferisce una verità apportatrice di morte? Nel contrasto rimango profondamente turbato, ma rimarrei ugualmente sorpreso se dicessi che il mio turbamento è conforme a sapienza. Voglio pertanto porre dinanzi agli occhi del mio cuore (siano come siano) l’intelligibile bellezza della verità, dalla cui bocca non emana alcuna falsità. Sebbene la verità, quanto più splende con i suoi raggi dinanzi ai miei occhi, tanto più la mia palpitante debolezza viene respinta.
Ed ecco, io mi sento così infiammato d’amore per la sua eccezionale bellezza, che non posso non disprezzare ogni realtà umana che mi allontani da lei. È però importante che questa attrattiva sia stabile, perché la meta conquistata non abbia a sfuggirmi all’arrivo della tentazione. Elevato così alla contemplazione di quel bene luminoso in cui non sono tenebre di menzogna, io non rimango turbato dal fatto che a noi che ci rifiutiamo di mentire e agli uomini che muoiono per avere udito la verità, questa verità venga presentata come omicida. Fa’ il caso di una donna depravata che ti aspetti per avere con te un rapporto carnale, e che tu ricusi di consentire alle sue voglie. Se sconvolta dalla ferocia del suo amore ella ne muore, forse che sarà omicida anche la castità? Inoltre leggiamo le parole: Noi siamo il buon profumo di Cristo in ogni luogo. Lo siamo in quelli che si salvano e in quelli che periscono: negli uni odore di vita che conduce alla vita, negli altri odore di morte che conduce alla morte. Oseremo chiamare omicida anche il profumo di Cristo? Noi però siamo uomini, e in problemi e casi dibattuti come questi il più delle volte prende il sopravvento la sensibilità umana e ne usciamo affaticati. In vista di ciò Paolo aggiunge: Ma chi è capace di tutto questo?.

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