QUESTO FORUM E' CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO... A LUI OGNI ONORE E GLORIA NEI SECOLI DEI SECOLI, AMEN!
 
Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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Dio dice Io ti perdono perché TU ti converta

Ultimo Aggiornamento: 23/05/2014 10:46
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23/05/2014 10:44





Il Perdono e la vera giustizia nella Dottrina Cattolica

"L'indissolubile intreccio tra fede e carità.
.... risulta chiaro che non possiamo mai separare o, addirittura, opporre fede e carità. Queste due virtù teologali sono intimamente unite ed è fuorviante vedere tra di esse un contrasto o una «dialettica». Da un lato, infatti, è limitante l'atteggiamento di chi mette in modo così forte l'accento sulla priorità e la decisività della fede da sottovalutare e quasi disprezzare le concrete opere della carità e ridurre questa a generico umanitarismo. 
Dall’altro, però, è altrettanto limitante sostenere un’esagerata supremazia della carità e della sua operosità, pensando che le opere sostituiscano la fede. Per una sana vita spirituale è necessario rifuggire sia dal fideismo che dall'attivismo moralista.
L’esistenza cristiana consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio per poi ridiscendere, portando l'amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio. Nella Sacra Scrittura vediamo come lo zelo degli Apostoli per l’annuncio del Vangelo che suscita la fede è strettamente legato alla premura caritatevole riguardo al servizio verso i poveri (cfr At 6,1-4). Nella Chiesa, contemplazione e azione, simboleggiate in certo qual modo dalle figure evangeliche delle sorelle Maria e Marta, devono coesistere e integrarsi (cfr Lc 10,38-42). La priorità spetta sempre al rapporto con Dio e la vera condivisione evangelica deve radicarsi nella fede. 
Talvolta si tende, infatti, a circoscrivere il termine «carità» alla solidarietà o al semplice aiuto umanitario. E’ importante, invece, ricordare che massima opera di carità è proprio l’evangelizzazione, ossia il «servizio della Parola»....
L’invito ad evangelizzare si traduce in un appello alla conversione" (1)

Con queste parole tratte dal magistero di Benedetto XVI, vogliamo approfondire l'autentica Dottrina Cattolica su questo argomento oggi così confuso e quasi inesistente nella predicazione e persino nella tanto auspicata evangelizzazione.
Il discorso sarà inevitabilmente lungo, ce ne scusiamo ma non è possibile trattare certi argomenti esclusivamente con piccole frasi.
Cerchiamo di imparare a leggere davvero dentro il Magistero della Chiesa, e a meditare, interiorizzare e sviluppare armoniosamente ciò che leggiamo.

Nostro Signore Gesù Cristo dice che il perdono deve essere concesso solo a chi è veramente pentito:"se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli" (Lc. 17,3 ).
Il rimprovero non è assenza di perdono, ma lo stesso perdonare non significa non rimproverare,non riprendere l'errante. Forse una mamma non è amorevole verso il figlio quando lo rimprovera per delle mancanze?

Giovanni Paolo II insegna che la penitenza: "lungi dall’essere un sentimento superficiale, è un vero capovolgimento dell’anima. (…) Fare penitenza vuol dire cambiare direzione anche a costo di sacrificio e riparare il male fatto a Dio, a se stessi, ai fratelli, a tutto il creato...Fare penitenza è qualcosa di autentico ed efficace soltanto se si traduce in atti e gesti di penitenza. La penitenza è la conversione che passa dal cuore alle opere ..." (2)

L’analisi del peccato, della sua vera essenza e dell’itinerario che da esso ha origine, indica che, ad opera del diavolo, vi sarà lungo la storia una costante pressione al rifiuto di Dio che porta fino all’odio verso il Creatore: amore di sé fino al disprezzo di Dio, come dice S. Agostino. 
Come condizione del perdono, Dio fece ricadere su Gesù l’iniquità di tutti: - il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti (Is. 53,5 ).

E, dice ancora Giovanni Paolo II: "La giustizia di Dio ha stabilito per la redenzione il processo inverso: l’amore di Dio fino al disprezzo di sé da parte del figlio prediletto, che offrì un sacrificio perfetto mediante l’atto della sua morte: - offrì se stesso senza macchia a Dio" ( Eb 9,14 ) (3).
Il "calice" della passione è il destino che il Padre ha riservato al Figlio: nella letteratura biblica il calice è il simbolo del destino perché i nomi degli interessati che venivano tirati a sorte erano posti dentro un calice. Il sacrificio della vita è stato voluto dal Padre e Gesù, come uomo, solo a Dio chiede di togliere tale pena: "Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!" ( Mt 26,39 ).

Ma attenzione, la morte di Gesù non deve essere confusa con la logica del pacifismo: la crocifissione di Nostro Signore è un atto di obbedienza alla giustizia voluta dal Padre, è un atto di amore per noi e un atto di condivisione dell’umana sofferenza. 
In merito al pacifismo Giovanni Paolo II precisa:"Noi non siamo pacifisti, non vogliamo la pace ad ogni costo. Una pace giusta. Pace e giustizia. La pace è sempre opera della giustizia... Opus iustitiae, pax ". (4)

Se dunque, il perdono non esclude la giustizia ma, anzi, la giustizia è condizione del perdono, in che cosa consiste il perdono e lo stesso perdonare?

Chiariamo subito che il perdono del Vangelo non è il perdonismo oggi in voga! 
Perdonare significa, propriamente, donare di nuovo, una parola composta da due "per-donare" - "donare-per" è perciò quella disponibilità personale a donare di nuovo il nostro aiuto a chi è pentito, un donare qualcosa che non viene propriamente da noi, piuttosto è un dono che a nostra volta abbiamo ricevuto, per questo si parla di "grazia del perdono".
Perdonare significa che non dobbiamo odiare il colpevole che è pentito, cioè non dobbiamo desiderare il male per il male; al contrario perdonare significa proprio offrire il nostro aiuto al colpevole veramente pentito per il male fatto e questo compatibilmente con le esigenze della giustizia umana che esige la riparazione del male e la punizione del colpevole.

L'esempio più chiaro dei Vangeli è il fatto tra Gesù e l'adultera:
"Allora Gesù, alzatosi, le chiese: Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?
Rispose: Nessuno, Signore. Le disse Gesù: Neppure io ti condanno, va e non peccare più" (Gv.8,3,11). 
Purtroppo a questo episodio viene tolta, da troppe prediche, l'ultima frase "va e non peccare più", quasi fosse diventata, oggi, una richiesta intollerante.

Il castigo è un male, cioè la privazione di un bene. Il criminale, per esempio, viene privato del bene della libertà, ma tale sacrificio di un bene viene fatto non per il desiderio del male in se stesso ma con lo scopo di salvaguardare o di ottenere un bene più grande: la riabilitazione del pentito.

Bisogna tenere presente che esiste una gerarchia dei beni così come ci insegna lo stesso San Tommaso d'Aquino che qui semplifichiamo: il bene dell’anima è superiore al bene del corpo e il bene rappresentato dai diritti dell’innocente, della famiglia e della comunità civile è superiore al bene della libertà del criminale. Inoltre bisogna considerare il fatto che, anche quando si tratta di una condanna, lo Stato non dispone dei diritti dell’individuo. Lo Stato può privare il condannato del bene della libertà, in espiazione del male fatto, dopo che, con il suo crimine, egli si è già privato del suo diritto alla libertà: la perdita di certi diritti va attribuita allo stesso criminale che vi si è esposto con la sua azione. 

L'autentica e vera disposizione d’animo del perdono è bene espressa nell’opera di misericordia corporale che dice di – visitare i carcerati – ma non dice di abolire le carceri e le condanne.

Se la giustizia, dunque, non solo è lecita ma doverosa, come interpretare queste parole di Gesù: "ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due" ( Mt 5,38 - 41 ) ?

Queste parole dette da Gesù non possono essere interpretate alla lettera ma devono essere intese in senso metaforico. Infatti, Nostro Signore, che ha raccomandato di non opporsi al malvagio e di porgere l’altra guancia, in realtà, non si è comportato secondo la lettera di tale insegnamento. A Gerusalemme, dopo aver fatto una sferza, percosse i mercanti che si trovavano nel tempio ( cfr Gv 2,14 – 15 ).
Quando una delle guardie del Sommo Sacerdote lo schiaffeggia, invece di porgere l’altra guancia si oppone al gesto ingiusto del malvagio difendendosi verbalmente:"se ho parlato male, dimostrami dov’è il male, ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?"( Gv 18,23 ) 

Citando il Catechismo della Chiesa Cattolica, così si esprime Giovanni Paolo II: 
” la legittima difesa può essere non soltanto un diritto, ma un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri, del bene comune della famiglia o della comunità civile “. Accade purtroppo che la necessità di porre l’aggressore in condizione di non nuocere comporti talvolta la sua soppressione. In tale ipotesi, l’esito mortale va attribuito allo stesso aggressore che vi si è esposto con la sua azione.." ( 5 )

La legittima difesa è forse in contrasto con il V comandamento che dice di – non uccidere - ? 

Il Catechismo della Chiesa Cattolica precisa il senso del V comandamento citando integralmente il passo biblico dove viene enunciato:"la Scrittura precisa la proibizione del V comandamento: “ non far morire l’innocente e il giusto “ ( Es. 23,7 ). L’uccisione volontaria di un innocente è gravemente contraria alla dignità dell’essere umano, alla - regola d’oro – e alla santità del Creatore. 
La legge che vieta questo omicidio ha una validità universale: obbliga tutti e ciascuno, sempre e dappertutto..." (6)

La rinuncia al diritto di difendersi da parte del singolo contro un ingiusto aggressore – quando non provoca danni ai diritti del prossimo e non è fatta per vigliaccheria o per odio e indifferenza verso la propria vita – può assumere un significato profetico, cioè attestare in maniera assolutamente credibile la fede in un’altra vita e nella giustizia definitiva e perfetta di Dio. 
Ma la legittima difesa, dato il vincolo di solidarietà che ci lega agli altri uomini, è quasi sempre un grave dovere, soprattutto per i governanti che sono responsabili del bene comune. Un operaio, per esempio, può rinunciare ad esigere la giusta mercede defraudatagli da un datore di lavoro, ma i governanti devono comunque impegnarsi perché venga impedita l’ingiustizia attraverso l’uso lecito della forza e cioè attraverso l’opera delle forze dell’ordine, dei tribunali e attraverso l’applicazione delle pene stabilite dai tribunali.

Scrive il Vescovo Maggiolini di venerata memoria: "la persona può rinunciare al diritto di difendersi ma chi rinuncia al diritto di difendersi deve interrogarsi sui danni e sulla mancanza di aiuto che provoca a chi da lui dipende. Si pensi, come esempio, a un padre che ha la responsabilità di figli ancora incapaci di provvedere a se stessi ". (7)

L’apostolo Paolo, nella lettera ai Romani, dice :"Vuoi non avere da temere l’autorità? Fa il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male" ( Rm 13,3 - 4 ). 
Quindi, Dio ha affidato ai governanti la spada per punire chi fa il male (il famoso potere di Cesare, il potere temporale).
Naturalmente non entreremo per ora qui nel merito delle dittature, dell'uso perverso del potere, dell'abuso di certo potere nel fare leggi ingiuste, delle condanne ingiuste e quant'altro, qui per ora vogliamo solo approfondire alcuni principi del perdono e della giustizia divina.

Qualcuno vede una certa contraddizione tra le esigenze della giustizia e lo spirito delle beatitudini enunciato da Gesù, in particolare le beatitudini dove viene detto: "beati gli afflitti perché saranno consolati – e - beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli"( Mt 5,4 e 5,10 ).

"Le beatitudini evangeliche, in realtà, non intendono distogliere l’uomo dalla realizzazione della giustizia ma dall’atteggiamento integralista di chi crede di poter realizzare un mondo e una società perfetti per cui finisce per non fare più distinzioni tra Paradiso e mondo, tra Cesare e Dio, tra verità e legge, tra stato e religione, tra fede e vita. Il cristiano, invece, in analogia con quanto si deve praticare nella vita spirituale individuale, deve evitare di confondere la sfera della fede con quella della vita, ma altrettanto deve accuratamente guardarsi dal separare la fede dalla vita". ( 8 )

Le beatitudini: "permettono di stabilire l’ordine temporale in funzione di un ordine trascendente, che senza togliere al primo il suo specifico contenuto, gli conferisce la sua vera misura. (…) Le beatitudini preservano dall’idolatria dei beni terreni e dalle ingiustizie, che la loro sfrenata bramosia comporta. Esse distolgono dalla ricerca utopistica e pericolosa di un mondo perfetto, perché passa la scena di questo mondo"( 1 Cor 7,31 ). (9)

Le beatitudini, dunque, possono essere considerate un manifesto contro l’utopia: esse ricordano che in questo mondo non può esistere la perfezione ma è possibile un continuo progresso dell’uomo verso la verità, nel senso che può essere aumentata la comprensione soggettiva - per una applicazione poi oggettiva - della verità e può essere continuamente migliorata nella sua applicazione. 

Dopo queste spiegazioni, come interpretare l’insegnamento di Gesù in merito al – porgere l’altra guancia - ? 

San Tommaso d’Aquino spiega che Gesù non è venuto ad abolire l’antica legge ma a completarla ( cfr Mt 5,17 ). 
Queste massime di nostro Signore si riferiscono, in particolare, ai precetti giudiziali dell’antica legge: si tratta del diritto positivo del popolo ebreo che doveva garantire la giustizia. Cristo completa i precetti giudiziali nel senso che ne spiega il vero significato. Gli ebrei credevano lecito il desiderio di vendetta, mentre le pene dovevano essere applicate per amore della giustizia e non per odio verso la persona che aveva commesso un delitto. 
Per questo Cristo dice di amare il nemico e di porgere l’altra guancia. Gli ebrei credevano lecita la cupidigia delle ricchezze per le pene del taglione che comandavano la restituzione dei beni rubati con un sovrappiù di multa, mentre tali pene dovevano essere applicate per amore della giustizia e non per desiderio di ricchezza. Ecco perché il Signore dice di essere pronti a cedere di più a chi ci deruba.

Tali espressioni evangeliche, dice S. Agostino, vanno intese come – disposizioni d’animo -, altrimenti esse non hanno senso. 
Nella Enciclica sulla Divina Misericordia Giovanni Paolo II sviluppa una eccellente comprensione di questa giustizia, dice:

"..... sarebbe difficile non avvedersi che molto spesso i programmi, che prendono avvio dall’idea di giustizia e che debbono servire alla sua attuazione nella convivenza degli uomini, dei gruppi e delle società umane, in pratica subiscono deformazioni. Benché essi continuino a richiamarsi alla medesima idea di giustizia, tuttavia l’esperienza dimostra che sulla giustizia hanno preso il sopravvento altre forze negative, quali il rancore, l’odio e perfino la crudeltà. In tal caso, la brama di annientare il nemico, di limitare la sua libertà, o addirittura di imporgli una dipendenza totale, diventa il motivo fondamentale dell’azione; e ciò contrasta con l’essenza della giustizia che, per sua natura, tende a stabilire l’eguaglianza e l’equiparazione tra le parti in conflitto.
Questa specie di abuso dell’idea di giustizia e la pratica alterazione di essa attestano quanto l’azione umana possa allontanarsi dalla giustizia stessa, pur se venga intrapresa nel suo nome. Non invano Cristo contestava ai suoi ascoltatori, fedeli alla dottrina dell’Antico Testamento, l’atteggiamento che si manifestava nelle parole: “ Occhio per occhio e dente per dente “. Questa era la forma di alterazione della giustizia in quel tempo; e le forme di oggi continuano a modellarsi su di essa. E’ ovvio, infatti, che in nome di una presunta giustizia ( ad esempio, storica o di classe ) talvolta si annienta il prossimo, lo si uccide, si priva della libertà, si spoglia degli elementari diritti umani. 
L’esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all’annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda, che è l’amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni. E’ stata appunto l’esperienza storica che, fra l’altro, ha portato a formulare l’asserzione: summum ius, summa iniuria. Tale affermazione non svaluta la giustizia e non attenua il significato dell’ordine che su di essa si instaura; ma indica solamente, sotto altro aspetto, la necessità di attingere alle forze dello spirito, ancor più profonde, che condizionano l’ordine stesso della giustizia ". (10)

La giustizia, da sola, può portare alla negazione di se stessa senza la disposizione d’animo dell’amore per il nemico. Quando Gesù afferma, - (…) io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello – ( Mt 5, 39 - 40 ), cosa realmente vuole dire? Cosa significano queste frasi: sono una metafora o vanno prese alla lettera ? 

Dice ancora Giovanni Paolo II:"Non si tratta qui certamente di acconsentire al male. E neppure ci viene proibita una legittima difesa nei confronti dell’ingiustizia, del sopruso o della violenza. Anzi è a volte soltanto con un’energica difesa, che certe violenze possono e debbono essere respinte. Quello che Gesù ci vuole insegnare innanzitutto con quelle parole, come con le altre (…), è la netta distinzione che dobbiamo fare tra la giustizia e la vendetta. Ci è consentito di chiedere giustizia; è nostro dovere praticare la giustizia. Ci è invece proibito vendicarci o fomentare in qualunque modo la vendetta, in quanto espressione dell’odio e della violenza ". (11)

"Un'altra controversia - spiega invece Benedetto XVI - riguarda il problema della conciliazione della bontà e dell'onnipotenza di Dio con l'esistenza del male. Se Dio è onnipotente e buono, come si spiega la realtà del male? Ruperto infatti reagì alla posizione assunta dai maestri della scuola teologica di Laon, che con una serie di ragionamenti filosofici distinguevano nella volontà di Dio l'"approvare" e il "permettere", concludendo che Dio permette il male senza approvarlo e, dunque, senza volerlo. Ruperto, invece, rinuncia all'uso della filosofia, che ritiene inadeguata di fronte a un problema così grande, e rimane semplicemente fedele alla narrazione biblica. Egli parte dalla bontà di Dio, dalla verità che Dio è sommamente buono e non può che volere il bene. Così egli individua l'origine del male nell'uomo stesso e nell'uso sbagliato della libertà umana. Quando Ruperto affronta questo argomento, scrive delle pagine piene di afflato religioso per lodare la misericordia infinita del Padre, la pazienza e la benevolenza di Dio verso l'uomo peccatore..." (12)

Per quanto riguarda l’insegnamento di Gesù che afferma - amate i vostri nemici – ( Mt 5,44 ), Giovanni Paolo II dice che: "non va inteso nel senso di un’approvazione del male compiuto dal nemico. Gesù invece ci invita ad una veduta superiore, magnanima, simile a quella del Padre celeste, per la quale, anche nel nemico e nonostante sia nemico, il cristiano sa scoprire ed apprezzare aspetti positivi, meritevoli di stima e degni d’essere amati: primo fra tutti, la persona stessa del nemico, creata, come tale, ad immagine di Dio, anche se, al presente, è offuscata da un’indegna condotta. - (13)

Il nemico - nell'insegnamento di Gesù - è il non amico, colui che fa il male e che non vuole pentirsi. 
La persona del peccatore deve essere sempre amata perché essa è stata creata da Dio a sua immagine anche se al momento presente è offuscata e deformata dal peccato. Il peccato del nemico, al contrario, deve essere odiato e combattuto e l’aggressore deve essere messo in condizione di non nuocere, ma anche portato in una condizione tale che possa comprendere il peccato, il male che compie per potersi pentire.

  - continua


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