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8/22/2014 10:15 AM | |
dopo aver esaurito la prima offerta di citazioni latine, cliccare qui, ecco una seconda raccolta:
http://motti-latini.dossier.net/index.html
Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera A.
Ab absurdo. Per assurdo. - Termine filosofico e matematico antico, per dimostrare una verità col provare assurdo il suo contrario. La locuzione italiana equivalente è per assurdo, usata anche per dimostrazioni matematiche o con valore più generale. Ab aeterno. Dall'eternità. - Espressione usata, in teologia e filosofia, per indicare ciò che non ha alcun cominciamento. E' frequente anche nell'uso letterario, con la grafia ab eterno: la materia stessa niuno incominciamento ebbe, cioè a dire che ella è per sua propria forza ab eterno(Leopardi). Ab antiquo. Da antico tempo. - Espressione usata, anche nella forma italianizzata ab antico, per indicare cose o avvenimenti assai remoti: quello ingrato popolo maligno Che discese di Fiesole ab antico (Dante). Ab hoc et ab hac. Da questo e da quella. - Locuzione latina usata per indicare cosa detta confusamente. Si applica a chi parla a vanvera: parlare, ragionare ab hoc et ab hac. Ab imis fundamentis. Dalle fondamenta più profonde - Espressione che si fa risalire al filosofo inglese Francesco Bacone che dice: instauratio facienda ab imis fundamentis, il rinnovamento va fatto dalle fondamenta più profonde. Si usa per indicare la necessità del rinnovamento radicale di un istituto o di un tenore di vita. E' frequente la forma abbreviata ab imis. Ab imo pectore. Dal profondo del petto, del cuore - Locuzione usata per esprimere sdegno, odio, ira erompenti. Nel parlare comune è adoperata in frasi del tipo: le sue parole venivano proprio ab imo pectore. Ab initio. Dal principio. - Locuzione di uso letterario, e in antichi testi si trova scritta anche ab inizio. E' usata da chi comincia o ripiglia a dire o fare una cosa. Ab intestato. Da chi non ha fatto testamento. - Nel linguaggio giuridico, la locuzione viene usata per definire la vocazione ereditaria che avviene senza che il defunto abbia lasciato testamento, e quindi facendo luogo alla successione legittima. Ab Jove principium. (Virgilio, Ecl. III, 60) Da Giove il principio. - Citazione dotta (usata ancor oggi), ripresa da una frase di Virgilio che dice ab Jove principium, Musae; Jovis omnia plena, cominciam da Giove, o Muse; tutte le cose son piene di Giove. Allude al fatto che quando uno vuol parlare deve cominciare dalla persona o cosa più importante. Ab irato. Da irato. - Locuzione usata per significare che si agisce o si parla nell'impulso dell' ira:decisione presa ab irato. Ab origine. Sin dall'origine - Espressione adoperata anche in contesti italiani per significare "fin dalle origini, fin dalla nascita, fin da quando ha avuto inizio": è un'istituzione che si porta dietro ab origine questi gravi difetti. Ab ovo. (Orazio, Satire. I, 3, 6-7) Dall'uovo - Espressione usata da chi comincia a narrar le cose dalla prima origine. La locuzione latina è l'inizio della frase di Orazio ab ovo usque ad mala (dall'uovo fino alle mele), brevissima sintesi del pasto degli antichi romani. Absit iniuria verbo. (Tito Livio, Hist. IX, 19) L'offesa sia lontana dalla parola - Si usa talora anche nella forma del plurale, Absit iniuria verbis, con lo stesso significato della frase italiana sia detto senza intenzione di offendere. Abstine substine. Astienti, sopporta. - Motto del filosofo greco Epittèto che riassume l'etica della filosofia stoica: sopportare con assoluta remissione tutto quel che capita e astenersi da ogni desiderio o impulso che sia diretto verso le cose esterne. Ab uno disce omnes. (Virgilio, Aen. II, 65-66) Da uno impara a conoscerli tutti - Questa frase di Virgilio trae motivo, dallo spergiuro di Sinone, di riprovazione per tutti i Greci. Ma tale generalizzazione, che estende a un'intera collettività il comportamento di un singolo, è un procedimento arbitrario, respinto dalla logica. Ab urbe condita. Dalla fondazione dell'Urbe. - Formula con cui gli antichi romani contavano gli anni partendo dall'anno di fondazione di Roma. La tradizione fissa l'atto di nascita di Roma al 21 aprile del 753 avanti Cristo, e la formula viene comunemente abbreviata in a. U. c. e tradotta, in contesti italiani, "dalla fondazione di Roma". Abusus non tollit usus. L'abuso non annulla l'uso. (Regola del Diritto Romano) Abyssus abyssum invocat. L'abisso chiama l'abisso. - Parole della Bibbia (Salmo 41) che suonano come avvertimento a tenersi lontani dalla china del vizio; nell'uso comune stanno a significare che "un male chiama l'altro". Accessit. Si avvicinò. - Locuzione in uso nelle vecchie scuole e accademie per indicare che uno studente, un candidato aveva ottenuto voti sufficienti, avvicinantisi al voto massimo: avere, ottenere, riportare l'accessit. Acta agere. (Terenzio, Phorm. II, 3, 72) Fare una cosa già fatta. - Espressione usata per chi perde l'opera e il tempo. Acta est fabula. La commedia è finita. - Parole attribuite ad Augusto Imperatore, mentre moriva; esse corrispondono alla formula consueta con cui veniva annunziata in teatro la fine di uno spettacolo. In senso estensivo, si usano talvolta per indicare che si è giunti al termine di qualche cosa, che non c'è più nulla da fare o da aggiungere. Ad abundantiam. Ad abbondanza. - Locuzione usata nel linguaggio giuridico, e anche nel parlare comune, per indicare prove, ragioni, argomenti aggiunti (sebbene non necessari) a maggior sostegno di quanto detto o provato in precedenza. Ad aperturam libri. Aprendo il libro. - Espressione che si applica a chi sa tutto un testo e ti dà ragione di esso in qualunque punto lo interroghi. Ad audiendum verbum. Per udire la parola. - Locuzione adoperata con riferimento a chi è convocato dal superiore per ricevere ordini, istruzioni o anche rimproveri o biasimi. Ad augusta per angusta. A cose eccelse si giunge per vie difficili. I congiurati contro Carlo V, nell'atto IV dell'Ernani di Victor Hugo, hanno questa parola d'ordine. Il motto latino viene talvolta usato nel linguaggio comune, per significare che i grandi risultati si raggiungono solo superando difficoltà d'ogni genere (vedi Per angusta ad augusta). Ad bestias. Alle belve. - Espressione usata presso i Romani per i condannati ai combattimenti con le belve nel circo: supplizio spesso subìto dai cristiani. Ad calendas graecas. Alle calende greche. - E' un detto di Augusto, diventato proverbiale per quelli che non mantengono alcuna promessa. A Roma, nelle calende, cioè nel primo di ogni mese, i creditori richiedevano i crediti; e i Greci non avevano calende. Nella lingua italiana, l'espressione è equivalente a rimandare alle calende greche, per significare un rinvio a tempo indeterminato. Addenda. Cose da aggiungere. - Espressione usata soprattutto in libri a stampa per indicare l'elenco delle eventuali omissioni avvenute nella composizione del testo; mentre si usa l'espressione addenda et corrigenda, corrispondente all'italiano aggiunte e correzioni, quando nell'elenco sono comprese anche le correzioni da apportare al testo. Addito salis grano. (Plinio, Nat. Hist. 23, 77, 3) Coll'aggiunta di un granellin di sale. - Frase di Plinio il Vecchio di uso frequente nel senso figurato "con un po' di buon senso, con discernimento" (vedi Cum grano salis). Ad gloriam. Per la gloria. - La locuzione si applica ad un lavoro che non dà utile materiale. Ad hoc. A ciò, a questo. - Locuzione usata per significare che una persona, un oggetto, un mezzo, un argomento e simili sono adatti, rispondenti al caso: ho trovato la soluzione ad hoc. Ad hominem. All'uomo, per l'uomo. - Adatto alla persona di cui si tratta: è stato un discorso ad hominem. Nella logica, argumentum ad hominem è quello che mira all'individuo direttamente, e lo colpisce in pieno, quando l'avversario lo trae dalle parole o dalle azioni della persona stessa. Ad honorem. A onore. - Locuzione usata a proposito di cariche, titoli, funzioni, ecc., affidate o concesse a una persona a solo fine onorario e in riconoscimento di speciali meriti: concedere la laurea ad honorem; eleggere presidente ad honorem. Ad divinis. Dalle cose divine. - La Chiesa sospende a divinis mysteriis i sacerdoti che giudica indegni di continuare nel loro ministero. Ad interim. Nel frattempo. - Espressione usata per indicare una carica provvisoria, finché non sia nominato il vero incaricato, Ministro, Capo ufficio, Comandante, ecc. Ad libitum. A piacere, a volontà. - Espressione usata: in ricette mediche (abbreviazione ad l.) quando non si intende prescrivere una dose determinata; come didascalia musicale, per indicare che l'esecuzione di un passo o una parte strumentale non ritenuta indispensabile, si lascia alla libera interpretazione dell'artista; nella liturgia della messa, per lasciare libera la recitazione di certe collette che seguono a quelle obbligatorie. Ad limina. Sulla soglia, sul limitare. - Termine con cui il Sommo Pontefice chiama i vescovi inchinantisi sulla soglia della sala pontificale, per conferire o per presentare una relazione scritta sullo stato della loro diocesi. Ad litteram. Alla lettera, testualmente. - Locuzione usata in luogo della corrispondente espressione italianaalla lettera: tradurre, intendere ad litteram. Ad maiora!. A cose maggiori!. - Formula d'augurio con cui ci si rivolge a chi ha conseguito un'affermazione, per auspicargli ulteriori successi o risultati. Ad maiorem Dei gloriam. A maggior gloria di Dio. - Motto speciale dei gesuiti (di solito abbreviato in A. M. D. G.), che risale allo stesso sant' Ignazio e distingue gli edifici, i libri, ecc. dei membri della Compagnia. Ad maiorem rei memoriam (A. M. R. M.). A più duraturo ricordo della cosa. - Motto usato nelle iscrizioni. Ad multos annos!. Per molti anni!. - Formula d'acclamazione, di saluto e d'augurio diretta (tre volte) dal vescovo consacrato al consacrante, e (una volta) dall'abate al vescovo che lo benedice. Di origine precristiana, si è mantenuta, in forma latina, anche nell'uso comune come formula augurale in occasione di un compleanno, in un brindisi, o in altre simili circostanze. Ad perpetuam rei memoriam. A perpetua memoria della cosa. - Espressione frequente (anche nella grafia abbreviata A. P. R. M.) su medaglie e monumenti e, dal secolo XIII, nel protocollo iniziale delle lettere papali solenni, di cui costituiva una caratteristica distintiva. Ad personam. Alla persona. - Locuzione usata a proposito di titoli, privilegi, ecc., concessi a un determinato individuo, ma non trasmissibili o rivendicati da altri: gode di un assegno ad personam; è stata approvata una legge ad personam. Ad referendum. Per riferire. - Espressione in uso nel linguaggio di cancelleria e diplomazia per indicare la riserva con la quale un agente o un negoziatore internazionale accetta, senza impegnare il proprio governo, proposte che non possono essere definitivamente accolte senza che il governo stesso sia interrogato al riguardo; sia il limite del mandato che il governo affida al proprio agente con l'incarico di trattare o negoziare ad referendum, ma non di dare risposta definitiva senza aver previamente informato e ottenuto l'assenso del proprio governo. Ad unguem. All'unghia. - Locuzione tratta dall'uso degli scultori i quali sogliono provare con l'unghia la rifinitura del loro lavoro. Da un passo di Orazio (Sat. I, 5, 32) è nota l'espressione ad unguem factus homo ("un uomo fatto a pennello"), che viene usata per indicare persona o cosa di singolare perfezione e raffinatezza. Ad usum Delphini. Per uso del Delfino. - La frase era l'etichetta riservata ai libri preventivamente purgati e resi adatti al Delfino, primogenito del re di Francia Luigi XIV. L'espressione oggi si adopera per testi non integri o alterati, o per indicare una cosa monca, truccata, adatta ad uno scopo. Ad vitam aeternam. Per la vita eterna. - espressione usata a proposito di una cosa che va per le lunghe. Advocatus diaboli. L'avvocato del diavolo. - Viene così chiamato nelle beatificazioni, chi è preposto a confutare le asserzioni di coloro che propugnano i meriti del beatificando. Aegri Somnia. (Orazio, Ars poet., 7). Sogni d'infermo. - Locuzione latina usata nel linguaggio corrente per indicare vaneggiamenti, desideri di cose impossibili. Aequo pulsat pede. (Orazio, Odi, I, 4, 13) Con piede uguale. - La locuzione è presa da un'ode di Orazio che dice: Pallida mors aequo pulsat pede pauperum tabernas Regumque turres, la pallida morte picchia con egual piede i poveri tuguri, e le torri dei re. Nel linguaggio comune, l'espressione viene usata per significare che la morte colpisce tutti egualmente. Affidavit. Assicurò. - Nel diritto anglosassone è una dichiarazione scritta e giurata, o un'affermazione solenne davanti a un magistrato o pubblico ufficiale, da usare in un processo o per altri scopi, previsti dalla legge. Nel linguaggio bancario, è un'attestazione giurata prestata da testimoni, a garanzia di un'operazione. A fortiori. A maggior ragione. - La locuzione completa è a fortiori ratione, a più forte ragione. Nella logica, è detto argomento a fortiori quello diretto a provare che la tesi in questione è sorretta da argomentazioni più numerose o più valide di altra, già ritenuta per valida. Ad esempio: Se io devo amare i miei nemici, a fortiori devo amare i miei amici. Age quod agis. Quel che fai, fallo bene. A latere. A fianco. - Espressione usata per designare funzionari che affiancano e coadiuvano altri nell'esercizio di alcune loro funzioni. Nella Chiesa, il cardinale legato a latere è un porporato che svolge, in rappresentanza del pontefice, una missione di particolare importanza. Nell'amministrazione della giustizia, giudice a latere, consigliere a latere, è un magistrato di carriera che, insieme al presidente e ai giudici non togati, compone il collegio giudicante. Albo signanda lapillo. Da segnare con pietra bianca. - Espressione usata per indicare cosa straordinaria, avvenimento lieto. I Romani registravano i giorni fausti su pietra bianca, e quelli infausti con pietra nera. Alea jacta est. (Svetonio, Caes., 32) Il dado è tratto. Secondo Erasmo, la frase esatta, attribuita da Svetonio a Cesare è Alea jacta èsto, il dado sia tratto. Il motto, che si ripete tuttora nell'intraprendere un'azione irrevocabile, sarebbe stato pronunciato da Cesare al passaggio del Rubicone. Alias. Altrimenti. - si interpone di solito tra il nome reale di una persona e lo pseudonimo o il soprannome o il titolo con cui è generalmente nota: Sofia Loren alias Sofia Scicolone). Alibi. Altrove. - Nel diritto penale, mezzo di prova indiziaria con il quale l'imputato o la persona indiziata di un reato mira a dimostrare la sua estraneità al fatto delittuoso in quanto al momento della consumazione del reato ascrittogli si trovava in luogo diverso da quello in cui il reato è stato consumato: presentare un alibi; avere o non avere un alibi. Per estensione, alibi vale come sinoniomo di attenuante, giustificazione. Alma mater. Madre nutrice. - Titolo che i Romani davano ad alcune dee (Cibele, Cerere); nel medioevo (e ancor oggi nei paesi anglosassoni), epiteto delle università. Alter ego. Un altro me stesso. - Locuzione usata per indicare un sostituto o in genere una persona che fa le veci di un'altra e ha la facoltà di decidere in suo nome. Nel Regno delle Due Sicilie l'Alter Ego era il luogotenente del re. Ante litteram. Avanti lettera. - Locuzione latina corrispondente al francese avant la lettre. In senso figurato, sono ante litteram quelle correnti di pensiero, quei movimenti d'opinione, ovvero quegli artisti, filosofi, letterati che anticipano le caratteristiche proprie di fenomeni storici o culturali di epoche successive: in certe sue cose, il Poliziano è un marinista ante litteram. A posteriori. Da ciò che è dopo. - Termine della filosofia medievale (ripreso poi da Kant), usato per indicare ogni conoscenza che dipende o proviene dall'esperienza; si oppone al termine a priori. La scienza moderna è figlia del metodo sperimentale, induttivo, cioè a posteriori. A priori Da ciò che è prima. - Termine della filosofia (opposto al termine a posteriori), usato in riferimento ad argomentazioni, affermazioni, giudizi non ricavati dall'esperienza ma formulati dalla ragione, deducendo dai principi le conseguenze, dagli universali i particolari, dalle cause gli effetti. Nel linguaggio comune, affermare, giudicare a priori significa agire in astratto, senza probanti elementi che diano validità all'affermazione o al giudizio, e quindi, spesso, in baase a preconcetti. Arbiter elegantiarum. Arbitro delle eleganze. - Appellativo dato da Tacito negli Annali (ma nella forma elegantiae arbiter) a un Gaio Petronio, identificato col Petronio autore del Satyricon. L'appellativo è usato oggi, spesso ironicamente, a proposito di persona ricercata e raffinata in qualsiasi manifestazione e specialmente nel vestire. Asinus asinum frigat. Un asino frega l'altro. - Espressione usata a proposito di due ignoranti che s'incensano a vicenda. Audaces fortuna iuvat, La fortuna aiuta gli audaci. Aurea mediocritas. (Orazio, Odi II, 10, 5-8 ) Aurea mediocrità. - Orazio intendeva per aurea mediocritas le virtù fondamentali dello stoicismo, la fortezza e la prudenza che tengono l'uomo lontano dalle troppo rapide fortune come dalle altrettanto improvvise rovine. Col tempo, però, l'aurea mediocritas oraziana ha perso il suo significato stoico per assumere quello banale del quotidiano barcamenarsi, cioè del vivere senza infamia e senza lode. Auri sacra fames. (Virgilio, Aen. III, 57) Esecranda fame d'oro. - Noto emistichio virgiliano nell'episodio del giovane Polidoro, ultimo figlio di Priamo, ucciso dal tracio Polimnestore avido dei suoi tesori. Viene spesso citato come sentenza contro coloro che sono disposti a qualunque azione, buona o turpe che sia, pur di fare denaro. Aut Caesar aut nihil. O Cesare o nulla. - Superbo motto che Cesare Borgia, noto come duca Valentino, fece scrivere sui suoi vessilli. Ave, Caesar, morituri te salutant. (Svetonio, Claudio, 21). Salve, Cesare, i morituri ti salutano. - In Svetonio la frase esatta, rivolta verso Claudio, è Ave, imperator, morituri te salutant, salve, o imperatore, i morituri ti salutano. Era il saluto dei gladiatori all'ingresso nel circo, prima di avviarsi al combattimento, cioè alla morte. Nel racconto di Svetonio, compaiono i conbattenti di una naumachia indetta dall'imperatore Claudio nel lago Fùcino. |
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8/22/2014 10:16 AM | |
Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera B.
Barba non facit philosophum. (Plutarco, Diso. conviv. 7, 6, 3). La barba non fa il filosofo. Espressione equivalente in tutte le lingue a: "L'abito non fa il monaco". Beati monoculi in terra caecorum. In terra di ciechi, beati coloro che hanno un occhio solo. - Proverbio latino medievale, usato spesso per significare che, dove le condizioni generali sono cattive, anche la mediocrità può ritenersi soddisfacente. I latini dicevano inter caecos regnat strabus (tra i ciechi comanda lo strabico), un proverbio di origine greca. Beati pauperes spiritu. Beati i poveri di spirito. - Frase del Vangelo di san Matteo (V, 3) che fa riferimento a coloro che non desiderano la ricchezza, a chi è umile e che, al contrario, è ricco nello spirito. Con questo significato, ritroviamo la frase evangelica in Dante (Purgatorio, XII, 109-111): "Noi volgendo ivi le nostre persone, beati pauperes spiritu voci cantaron sì che nol dirìa sermone". Beati possidentes. Beati quelli che posseggono. - Motto attribuito a Bismark, ma non suo, poiché nel Diritto Romano abbiamo: "Possessores sunt potiores, licet nullum ius habeant" (Ulpiano, I.5,Si ususfruct.,pet., 7, 6). Chi possiede è, in linea di diritto, in condizioni più favorevoli (di chi non possiede), benché non abbia diritti. Bis in idem. Due volte nella stessa cosa. Locuzione latina usata a proposito di persona che cada più di una volta nello stesso errore. Bis repetita placent. Le cose due volte ripetute, piacciono. (Vedi Repetita iuvant). Boni viri. Uomini perbene. Espressione usata talora scherzosamente per indicare i senatori. Trae la sua origine dal noto detto latino: Senatores boni viri, senatus autem mala bestia (I senatori sono uomini perbene, ma il senato è una cattiva bestia). Bononia docet. Bologna insegna.- Il motto allude al suo antico e famoso "studio", poi Università. Per contro si disse scherzosamente: "Bononia ridet" (Bologna ride), "Bononia bene manducat" (Bologna mangia bene), "Bononia gaudet" (Bologna gode). E Dante (Inferno, XXIII, 103-105):"Frati gaudenti fummo, e Bolognesi, io Catalano e questi Loderigo nomati, e da tua terra insieme presi". Brevi manu. Da mano a mano, direttamente, personalmente. - Locuzione di uso comune per indicare missive e più spesso pagamenti fatti personalmente, senza intermediarii. I brevi pontifici, cioè le lettere usate per le nomine cardinalizie, le onorificenze, la concessione di indulgenze, gli auguri a capi di Stato, derivano il nome dal fatto che venivano spedite brevi manu o brevi via (in via breve). |
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8/22/2014 10:17 AM | |
Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera C.
Caetera desiderantur, o caetera desunt. Le altre cose mancano. - La locuzione si pone sui libri, quando il testo originale non continua per mancanza di documenti o di pagine. Captatio benevolentiae. Cattura della benevolenza. - E' una delle parti dell'orazione, secondo l'antica retorica ecclesiastica, mirante a catturare la benevolenza degli ascoltatori. Un esempio classico di questa tecnica lo troviamo nella tragedia Giulio Cesare di Shakespeare, e precisamente nel discorso funebre di Marco Antonio, davanti al cadavere di Giulio Cesare, ucciso da Bruto. Caput mundi. Capo del mondo. - Attributo tradizionale di Roma: Roma caput mundi. Tito Livio racconta che il defunto Romolo appare a Giulio Procolo annunciandogli che gli dèi celesti han deciso ut mea Roma caput orbis terrarum sit, che la mia Roma sia la capitale dell'orbe terrestre. Carmina non dant panem. Le poesie non danno pane. - Dante Alighieri, infatti, non ricavò una lira dalla Divina Commedia, e così il Petrarca, il Parini ed altri illustri poeti. Carpe diem. (Orazio, Odi, I, 2) Approfitta dell'oggi. - Massima che riassume l'ideale oraziano, di origine stoico-epicurea, ispirato al principio del giusto mezzo e della temperanza, l'aurea mediocritas, secondo il quale, data la brevità della vita, dobbiamo godere giorno per giorno il poco tempo a noi assegnato senza preoccuparci del domani. Infatti, a Leuconoe, la ragazza "dalla candida mente", il poeta dice:"Dum loquimur, fugerit invida Aetas: carpe diem, quam minimum credula postero", Mentre parliamo, dileguasi l'ìnvida età; stringi l'oggi e credula non aspettar domani (Odi, I, II, 7-8). Castigat ridendo mores. Ridendo corregge i costumi. - Motto dettato dal letterato francese Jean de Santeul per il busto di Arlecchino che ornava il proscenio della Comédie Italienne a Parigi. La risata, o meglio il riso sorvegliato dall'autoironia, è la migliore medicina per i nostri difetti, per placare le smanie dell'intolleranza, per liberarci dalle ideologie maldigerite. Casus belli. Caso di guerra. - Frase che si usa per indicare fatti che possono dar luogo a questioni internazionali ed a guerre; per estensione, litigio, contrasto tra singole persone o gruppi di persone per motivi di poco conto: suvvìa, non facciamone un casus belli!. Cave canem. Guardati dal cane. - Motto che presso gli antichi si usava scrivere sulle soglie delle case in cui stava il cane incatenato dentro la porta. Lo si legge anche oggi, scolpito nella pietra, sui pilastri del cancello di qualche villa appartenuta a nobili signori. Cedant arma togae. (Cicerone, De off., I, 77). Le armi cedano alla toga. - Frase usata per indicare che la spada non deve prevalere sulla ragione e sulla giustizia. Cicerone riporta un verso di un suo Poema che andò perduto: "Cedant arma togae, concedat laurea linguae". Cedano le armi alla toga e gli allori alla facóndia". Cicero pro domo sua. Cicerone per la sua casa. - Cicerone pronunziò nel 57 a.C. un'orazione (che a noi pervenne col titolo "Pro domo sua") colla quale chiedeva al collegio dei pontefici che gli fosse restituita l'area della sua casa, che era stata incendiata dopo il suo esilio, e gli fosse dato il denaro per ricostruirla. La frase viene oggi usata a proposito di chi difenda calorosamente se stesso o le proprie idee. Cogito, ergo sum. (Cartesio) Penso, dunque sono. - Su questo postulato Cartesio fondò il razionalisno, pietra angolare della filosofia moderna. L'aforisma Cogito, ergo sum fu volto in ridicolo da quest'altro: Edo, ergo sum. Mangio, quindi esisto. Compos sui. Padrone di sé. - Locuzione latina diretta a chi è padrone di sé e delle proprie azioni (talora anchecompos mentis, cioè "padrone della propria mente"). Nel linguaggio giuridico, di soggetto che ha piena capacità di intendere e di volere. Ma per lo più, la locuzione è usata in senso negativo: "non è compos sui". Non sa quel che si faccia. Conditio sine qua non. Condizione senza la quale non. - Locuzione latina usata per esprimere la condizione indispensabile, senza la quale non è possibile compiere un'azione o mandare a effetto un proposito: per partecipare al concorso di applicato di segreteria è conditio sine qua non il possesso del diploma di scuola media superiore. Consummatum est. (Giovanni, 19, 30). E' finita. - Sono le ultime parole di Cristo morente sulla croce, dopo aver bevuto l'aceto dalla spugna. La frase è usata anche nel suo significato generico, quando un governo è bocciato, un potente cade in disgrazia, un attore non riesce a trovare una scrittura. Coram populo. Davanti al popolo. Ponzio Pilato, dicendo: "Io sono innocente del sangue di questo giusto" si lavò le mani coram populo: davanti al popolo, pubblicamente. La preposizione latina coram(davanti a) la troviamo anche in altre espressioni. Ad esempio in Dante, quando parla delle mistiche nozze di Francesco d'Assisi con la Povertà: Et coram patre le si fece unito. (Paradiso, XI, 62). Credo quia absurdum. (Tertulliano, De carne Christi, cap. 5) Credo perché assurdo. - Frase attribuita allo scrittore Tertulliano (II secolo d.C.), usata per indicare polemicamente l'atteggiamento fideistico che caratterizzerebbe, o dobvrebbe caratterizzare, il credo cristiano. Con senso estensivo, è usata anche per giustificare la propria fede in ciò che la ragione non prova. Crimen laesae maiestatis. Delitto di lesa maestà. - In origine, nel diritto romano, ogni delitto contro la maestà del popolo romano e dei suoi magistrati, in seguito ogni delitto contro regnanti, principi, signori feudali e, in genere, contro lo stato e i suoi magistrati. Oggi, al posto del crimen laesae, abbiamo il reato di vilipendio. Cui prodest. (Seneca,Medea, III, 500-501). A chi giova. - Frase latina tratta dal passo della Medea di Seneca: cui prodest scelus, is fecit, il delitto l'ha commesso colui al quale esso giova. Nel linguaggio giuridico e politico il cui prodestviene spesso usato quando si cerca di scoprire chi sia l'autore o il promotore di un fatto (non necessariamente delittuoso), nel presupposto che può esserlo soltanto chi se ne ripromette un vantaggio per sé. Cuique suum. (Ulpiano, De just. et jure). A ciascuno il suo. - Tutta la giurisprudenza romana era ridotta a tre principii: "Honeste vivere, neminem laedere, suum cuique tribuere". Vivere onestamente, non ledere nessuno, dare ad ognuno ciò che gli spetta. Cum grano salis. (Plinio, Nat. hist., 23, 77, 3). Con un pizzico di sale. - Probabilmente la locuzione è un adattamento della frase di Plinio il Vecchio addito salis grano, con l'aggiunta di un pizzico di sale. In senso figurato, la locuzione significa con un po' di buon senso, con una certa misura, con discernimento: le sue parole vanno intese cum grano salis, non vanno cioè prese alla lettera. Cupio dissolvi. Desiderio d'essere dissolto. - L'espressione ha la sua origine in san Paolo, il quale nella I^ lettera ai Filippesi scrive, secondo il testo della Vulgata, desiderium habens dissolvi et cum Christo esse, avendo il desiderio d'essere sciolto dal corpo per essere con Cristo. Col tempo però il senso originario di cupio dissolvi si è via via trasformato, per indicare in genere un desiderio di mistico annientamento in Cristo, e il motto è stato assunto a simbolo di aspirazione a una vita ascetica, di rinuncia alla personalità annullando il proprio io per immedesimarlo in Dio. Cura ut valeas. (Cicerone, Ep. ad fam.). Procura di star sano. - Bella forma di saluto, chiudente le lettere, come questa: "Si tu vales bene est, ego quoque valeo"., Se tu stai bene, ne sono lieto; anch'io sto bene, - con cui Cicerone spesso iniziava le lettere. |
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8/22/2014 10:17 AM | |
Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera D.
Date obolum Belisario. Date un obolo a Belisario. - Espressione usata nel senso di dare aiuto all'uomo caduto in disgrazia, come Belisario (generale bizantino al servizio dell'imperatore Giustiniano) che vecchio e cieco, fu costretto, guidato dalla figlia, a chiedere l'elemosina. De auditu. Per sentito dire. - Locuzione latina corrispondente a cose che si ripetono per averle udite:riferire de auditu. Anche, per avere udito direttamente, nell'espressione giuridica testimone de visu et de auditu. De cuius. Del quale si tratta. - La locuzione completa è de cuius hereditate agitur, della cui eredità si tratta. Nella successione per causa di morte, il soggetto defunto che era proprietario dei beni costituenti il patrimonio ereditario. In senso scherzoso, il de cuius è la persona di cui si sta parlando. De facto. Di fatto. - Locuzione latina, usata nel linguaggio giuridico, per lo più accoppiata o contrapposta ade iure ("di diritto"), per designare una situazione di fatto non riconosciuta nell'ordinamento giuridico. In particolare, nel diritto internazionale, è usata per indicare il tacito riconoscimento di un nuovo stato o del nuovo governo di uno stato preesistente, senza la pienezza delle conseguenze giuridiche derivanti dal riconoscimento de iure. De gustibus. Dei gusti. - La frase completa è de gustibus non est disputandum, sui gusti non si può discutere. E' uno dei tanti intercalari anonimi del latino medievale, assai frequente nel liguaggio comune (spesso anche nella forma ellittica de gustibus), per affermare che i gusti sono soggettivi e ognuno ha diritto d'avere i suoi, per quanto strani possano sembrare ad altri. De hoc satis. Di ciò basta. - La locuzione è usata per indicare che l'argomento, o la discussione è esaurita e si può passare ad altro. De iure Di diritto. - Locuzione per lo più contrapposta a de facto ("di fatto"), per indicare conformità all'ordinamento giuridico. Nel diritto internazionale, è usata per indicare il riconoscimento di un nuovo stato o di un nuovo governo in modo pieno e definitivo, che implica la volontà di stabilire normali rapporti diplomatici. De iure condendo. Quanto al diritto costituendo. - Nel linguaggio giuridico la locuzione è usata in contrapposizione a de iure condito, per significare un'aspirazione di riforma della legge vigente. De iure condito. Quanto al diritto costituito. - Espressione indicante lo stato delle norme vigenti in una determinata questione o materia. Nel linguaggio giuridico si contrappone a de iure condendo. Delenda Carthago. Cartagine va distrutta. - Motto famoso di Catone il Vecchio che credeva necessario l'annullamento della rivale Cartagine. In verità, si tratta di un'abbreviazione postuma della frase originaria di Catone, che suonava Ceterum censeo Carthaginem esse delendam, del resto io penso che Cartagine è da distruggere. De minimis non curat praetor. Il pretore non si cura dei minimi affari. - Massima latina, tuttora in uso (talvolta anche nella forma abbraviata de minimis), per significare che non convierne (o che non si vuole) dare troppa importanza alle piccole cose, alle inezie. Deminutio capitis. (Gaio, Inst. Iuris Rom.). Diminuzione di capo. - Frase che in origine indicava la perdita di un individuo da parte di un gruppo, e passata poi a indicare, nell'ordinamento giuridico romano, il mutamento della posizione giuridica dell'individuo stesso rispetto al gruppo (con il senso quindi di "diminuzione della personalità giuridica"), conseguente alla perdita, per cause varie, di alcuni diritti civili. Nel linguaggio corrente, l'espressione è usata a significare perdita di prestigio, di autorità, di grado. Deo gratias. Grazie a Dio. - Formula latina di origine biblica, che sottintende agere, rendere. Rendere grazie a Dio. Questa formula liturgica era frequentissima presso i primi cristiani. I martiri, udita la sentenza che li condannava a morte perché non abiuravano alla loro fede, alzavano gli occhi al cielo esclamando Deo gratias. Nell'uso comune e familiare, è frequente come esclamazione di sollievo per l'avverarsi di un fatto atteso, per la fine di cosa noiosa e simile. De plano. Agiatamente, senza difficoltà. - Nel linguaggio giuridico medievale, la locuzione era usata per indicare l'esclusione di alcune forme solenni e la conseguente accelerazione del giudizio nella procedura sommaria, o planaria. Nell'uso corrente odierno, è talora adoperata con riferimento a conseguenze che si deducono senza bisogno di dimostrazione da premesse già poste. Questa locuzione la troviamo pure in Dante (Inferno, XXII, 85): "Danar si tolse, e lasciolli di piano". Desinit in piscem. (Orazio, Ars poet., 3-4). Finisce in pesce. - Frase latina usata comunemente a proposito di cosa che risulti comunque inferiore alle intenzioni o a quanto prometteva in principio. Deriva da un passo dell'Arte poeticadi Orazio (vv. 3-4): ut turpiter atrum Desinat in piscem mulier formosa superne, come se una donna, bella superiormente, terminasse in uno sconcio pesce. Orazio usa questo paragone per notare che l'opera d'arte richiede armonia e unità in tutte le sue parti. Deus ex machina. Il dio che appare dalla macchina. - La divinità sui teatri antichi appariva su una macchina, spesso a risolvere situazioni complicate e difficili. La locuzione è usata oggi per indicare una persona che riesce là dove altre hanno fallito, o un evento che sblocca una situazione difficile. De visu. Avendo visto. - Locuzione usata in frasi come conoscere de visu, rendersi conto de visu, cioè con i propri occhi. E' contrapposta a de auditu, per sentito dire. I testimoni de visu et de auditusono quelli che riferiscono cose viste e udite personalmente, non sentite dire. Dies irae. Il giorno dell'ira. - Sono le prime due parole di una sequenza latina che la Chiesa canta nell'ufficio dei defunti e nel giorno dei morti. Questa sequenza, una drammatica visione della fine del mondo, è attribuita a Tommaso da Celano, discepolo e biografo di san Francesco. Nel linguaggio figurato il dies irae è il momento della resa dei conti, della vendetta. Il Giusti intitolòDies irae una satira per la morte dell'imperatore Francesco I d'Austria. Divide et impera. Dividi e comada. - Questa frase si è tramandata da secoli per via orale. C'è chi l'ha attribuita ai greci, chi a Filippo il Macedone, chi a vari imperatori romani, a re ed imperatori dal medioevo ai giorni nostri. Datato è invece il corrispondente francese diviser pour régner (dividere per regnare) che re Luigi XI di Francia aveva preso come suo motto. Do ut des. Do perché tu dia. - Nel diritto romano, tipo di contratto innominato, che si configura quando la prestazione già eseguita e quella che si aspetta in cambio consistono entrambe nel trasferimento di proprietà di una cosa (permuta). La locuzione si usa anche con significato più generico, a proposito di favori che si fanno nella previsione di ricevere adeguato contraccambio. Dulcis in fundo. Il dolce in fondo. - Si applica a cose che hanno esito felice, dopo gravi fatiche o sacrifici. Ma spesso anche in tono ironico, con senso simile a ora viene il bello. Dura lex, sed lex. Dura legge, ma legge. - Regola di diritto della tradizione scolastica, con cui si afferma la necessità morale di piegarsi a una legge, anche se dura. L'esempio più eroico di obbedienza alle leggi resta Socrate che, condannato a morte innocente, si oppose ai tentativi dell'amico Critone di farlo fuggire dal carcere, perché il buon cittadino, spiegò, deve obbedire alle leggi. |
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8/22/2014 10:18 AM | |
Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera E.
Ecce homo. (Giovanni, XIX, 5). Ecco l'uomo. - Sono le parole che, nel Vangelo di san Giovanni, pronunzia Pilato mentre presenta alla turba Gesù flagellato e coronato di spine. Questa locuzione è usata in senso figurato per indicare una persona fisicamente malridotta e malconcia. Erga omnes. Verso tutti. - Locuzione latina, frequente nel linguaggio giuridico-amministrativo, per indicare una norma, un contratto sindacale valido per tutti gli appartenenti a una determinata categoria, senza eccezioni: contratti di lavoro erga omnes; la trascrizione rende operativo erga omnes il trasferimento di proprietà. Errare humanum est. Errare è dell'uomo. - Nel medioevo la frase fu completata con l'aggiunta di perseverare autem diabolicum, ma perseverare nell'errore è diabolico. Questa aggiunta fu presa dai Sermoni (1, 11, 5) di san Bernardo. Oggi il proverbio è usato per lo più per giustificare un errore ma anche per avvertire che si può sbagliare ma non ci si deve ostinare nell'errore. Cicerone dice che perseverare nell'errore "è da ignoranti". Est modus in rebus. (Orazio, Satire, I, 1, 106). V'è una misura nelle cose. - Nota sentenza di Orazio, cui fa seguito (Satire I, 1, 106-107) sunt certi denique fines, Quos ultra citraque nequit consistere rectum, vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto. La sentenza oraziana è spesso ripetuta per esprimere la necessità di una saggia moderazione e per richiamare al senso della misura. Estote parati. (Matteo, XXIV, 43-44). Siate preparati. - La frase è tratta dal Vangelo di Matteo: "Se il padrone di casa sapesse in che ora della notte viene il ladro, veglierebbe certamente e non si lascerebbe forzare la porta di casa. Perciò anche voi state preparati, perché il Figlio dell'uomo verrà in quell'ora che non pensate". Etiam periere ruinae. (Lucano, Pharsal., 9, 969). Anche le rovine perirono. - Sono le parole di Lucano che racconta la visita di Cesare alle rovine di Troia. Eureka!. Ho trovato!. - Esclamazione di gioia che, secondo la leggenda, sarebbe stata pronunciata da Archimede quando scoprì nel bagno la legge specifica del peso dei corpi. L'espressione si usa talvolta come esclamazione di gioiosa soddisfazione per la risoluzione di qualche problema difficile. Ex abrupto. All'improvviso. - Si dice specialmente di discorsi o allocuzioni volti a rivelare con assoluta immediatezza il corso dei pensieri: dire, parlare ex abrupto. Ex abundantia cordis. (Matteo, XII, 34). Dalla pienezza del cuore. - La locuzione proviene dal Vangelo di Matteo: ex abundantia cordis os loquitur, dalla pienezza del cuore, la bocca parla. E' usata in frasi come fare, dire qualcosa ex abundantia cordis, per pienezza di cuore, ovvero con tale convincimento intellettuale e sentimentale che quasi non si riesce ad astenersene. Ex aequo. Alla pari.- Giudizio che si pronuncia nei concorsi, o gare sportive: Il premio è stato assegnato ex aequo fra le due opere migliori. Ex cathedra. Dalla cattedra. - Nella dottrina cattolica designa la condizione di infallibilità del papa quando nelle sue funzioni di pastore e dottore della Chiesa definisce un dogma di fede, emana norme riguardanti la morale, canonizza i santi. Per estensione, nell'uso comune, parlare, sentenziare ex cathedra significa in modo dogmatico, con sussiego e perentorietà. Anche in senso proprio "dalla cattedra" e senza significato peggiorativo: le lezioni ex cathedra sono assai meno efficaci delle esercitazioni di seminario. Excursus. Divagazione, digressione. - Breve disquisizione di carattere informativo , inserita a completamento di uno o più punti di una trattazione generale su questioni controverse di storia o di letteratura. Excusatio non petita, accusatio manifesta. Scusa non richiesta, accusa manifesta. - Notissimo proverbio di origine medievale. Il troppo zelo, sempre sconsigliabile, diventa in questo caso una ritorsione. Exequatur. Si esegua. - Formula imperativa che esprime concessione, convalida, autorizzazione. Nel linguaggio giuridico, con l'exequatur la magistratura italiana riconosce efficacia a una sentenza civile straniera. Nel diritto amministrativo indica il visto di esecutività apposto da un'autorità superiore ai provvedimenti di un'autorità gerarchicamente inferiore. Nel diritto internazionale, atto con il quale uno stato accetta e riconosce la nomina di un console straniero nel proprio territorio. Formula con cui lo stato, prima del Concordato, concedeva l'esecutività a taluni atti della Santa Sede e specialmente a quelli riguardanti le provvisioni dei benefici maggiori. Ex libris. Dai libri. - Contrassegno (timbro, sigillo, cartellino a stampa) che si pone sulla copertina o sul foglio di guardia di un libro per provarne la proprietà. Grazie agli ex libris, oggi siamo in grado di conoscere il nome di molti eruditi bibliofili del passato. Ex professo. Di proposito. - Si dice di chi parla di una cosa o tratta una cosa con vera compertenza: parlare ex professo; trattare ex professo un argomento. Questa locuzione è usata dal Manzoni nei Promessi Sposi (XXVII) parlando del Ferrante e lo definisce, con bonaria ironia, in grado di discorrere ex professo di tutto: dei malefici, di storia, di politica e, in particolare, della scienza cavalleresca. Ex voto. Secondo la promessa. La locuzione completa è ex voto suscepto, secondo la promessa fatta. Formula apposta a un oggetto offerto in dono alla divinità e anche, in età cristiana, a Dio, alla Vergine, a un santo, per grazia ricevuta o in adempimento di una promessa fatta. Per estensione, nome con cui sono indicati gli oggetti stessi, di solito appesi alle pareti dei santuari, sugli altari, sulle statue. |
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8/22/2014 10:19 AM | |
Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera F.
Faber est suae quisque fortunae. Ciascuno è artefice della propria fortuna. - Antica massima che Sallustio attribuisce ad Appio Claudio Cieco (Appio Cieco, in Sallustio, Epist. ad Caes., 2, 1), e che si suole citare per affermare che nella vita dell'uomo conta più la volontà e l'azione che l'intervento della sorte. Facsimile, Cosa simile - Copia esatta di scritto, stampato, disegno, oggetto, ottenuta mediante riproduzione fotografica o con altre tecniche. Nel linguaggio figurato, di cosa o persona tanto simile a un'altra da poter essere scambiata con questa. Factotum. Fa tutto. - Chi, in un'azienda, in una comunità, e in genere in un luogo di lavoro, edempie i più diversi incarichi, facendo o pretendendo di fare tutto lui: Renzo, come giovane di talento, e abile nel mestiere, era, in una fabbrica, di grande aiuto al factotum (Manzoni); sono il factotum della città (nel Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini). Fama volat. (Virgilio, Aen., 3, 121). La fama vola. - Il verso virgiliano sta ad indicare come rapidamente corre la notizia delle cose, dei fatti e degli uomini. Felix culpa. Felice Colpa. - Parole di sant'Agostino a proposito del peccato originale che all'umanità aveva valso la venuta di Cristo. La frase in senso estensivo viene riferita ad errore che porta conseguenze non cattive. Ferrum ferro exacuitur. Il ferro s'aguzza col ferro. - Proverbio di Salomone. Noi abbiamo "Una mano lava l'altra"; "chiodo scaccia chiodo". Fervet opus. (Virgilio, Georg., 4, 169). Ferve il lavoro. - Così dice Virgilio del lavoro delle api. E si applica al lavoro umano, quando è più febbrile e intenso. Festina lente. (Svetonio, August., 25). Affrettati lentamente. - Detto attribuito da Svetonio ad Augusto, che si usa ripetere per esortare ad agire presto ma con cautela. Fiat lux. Sia fatta la luce. - Parole nella Genesi (I, 3), quando Dio creò il mondo e ordinò che fosse fatta la luce: dixitque Deus fiat lux et lux facta est, e disse Dio: sia fatta la luce, e la luce fu fatta. Le due parole fiat lux, o anche l'intera frase, sono spesso ripetute, talora scherzosamente in senso proprio, talora con gli usi figurati che si adattano a occasioni e situazioni particolari. Fiat voluntas tua. (Matteo XXVI, 42). Sia fatta la tua volontà. - Parole di Gesù nell'orto degli ulivi; le stesse parole sono contenute nelPater noster (Matteo VI, 10). Si ripetono, talora, nella loro forma latina per esprimere concessione oppure accettazione rassegnata. Fides punica. Fede cartaginese. - L'espressione (che appare in questa forma presso Sallustio, e in forma variata - "fides graeca" - presso altri scrittori latini) è stata spesso usata col senso peggiorativo di mancanza di fede, slealtà, per la frequenza con cui i Cartaginesi avevano violato i patti. Finis coronat opus. La fine corona l'opera. - Frase latina spesso ripetuta nel senso che la fine è coronamento dell'opera, cioè costituisce il premio della fatica durata. Talvolta, però, finis è interpretato come il fine, lo scopo dell'azione. Finis Polonae. Fine della Polonia. - Esclamazione attribuita al generale Taddeo Kosciuszko, eroe polacco, vinto dal generale russo Suvarov, alla battaglia di Maciejowice (1794), ma lui la smentì. Fluctuat, nec mergitur. E' agitata dalle onde, ma non si sommerge. - Motto della città di Parigi, che ha per stemma una nave in mare. Forma mentis. Conformazione della mente. - Struttura mentale, quale si determina nell'individuo, per indole o per educazione, e si rivela nell'affrontare problemi di ordine teorico o pratico. Frangar non flectar. Mi spezzerò ma non mi piegherò. - Nota frase latina, usata come motto gentilizio per significare l'energia morale che non cede davanti a nessuna minaccia o pericolo. Furor Teutonicus. Furore teutonico. - Espressione che si trova nella Farsaglia del poeta latino Lucano (I, 255-256), ripresa da vari scrittori latini e volgari e passata poi in proverbio con allusione alla fierezza e violenza guerriera dei popoli germanici. Si veda fra gli altri il Petrarca, che nella canzone O aspettata in ciel beata e bella parla di tedesco furor, e di tedesca rabbia nella canzone Italia mia.
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8/22/2014 10:19 AM | |
Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera G.
Gaudeamus igitur. Godiamo dunque. - E' l'inizio di un famoso canto goliardico medievale, poi diventato l'inno internazionale degli studenti: Gaudeamus igitur Iuvenes dum sumus, godiamo dunque finché siamo giovani. Le prime due parole, gaudeamus igitur, sono spesso ripetute come invito gioviale ad abbandonarsi spensieratamente alla gioia, alle feste. Genius loci. Genio del luogo. - Per la religione romana, ogni uomo che nasceva aveva il suo genius e l'interessato lo festeggiava nel giorno del compleanno. Qualcosa di analogo è, nella religione cristiana, l'angelo custode. Il genius era anche il nume tutelare dei luoghi. Genus irritabile vatum. (Orazio, Epist., II, 2, 102). La razza irritabile dei poeti. - Frase con cui Orazio definisce la naturale suscettibilità dei poeti. Divenuta proverbiale, è usata anche estensivamente, con allusione al carattere talora scontroso di quanti hanno familiarità con la poesia, con l'arte in genere o con gli studi. Gloria victis. Gloria ai vinti. - Generosa frase latina in opposizione alla frase barbarica pronunciata da Brenno, capo dei Galli, mentre si pesavano i tributi per il riscatto: "Vae victis"!, guai ai vinti!. Graecum est, non legitur. E' greco, non si può leggere. - Motto usato un tempo da chi leggendo un testo latino incontrava qualche frase greca. Nel medievo il greco era noto a pochi. Dante stesso pare che non lo conoscesse. Gratis et amore dei. Gratuitamente e per amore di Dio. - Locuzione latina usata oggi nel linguaggio familiare, per lo più nella forma abbreviata gratis o gratis et amore in riferimento a qualcosa che vien data o ricevuta gratuitamente. Gutta cavat lapidem. La goccia scava la pietra. Frase che aveva valore di proverbio già presso i Latini, per indicare l'efficacia, soprattutto dannosa, di un'azione anche lieve quando sia ripetuta e continua. La frase ricorre frequentemente in vari autori latini con diverse varianti; nel medioevo fu completata così:gutta cavat lapidem, non vi sed saepe cadendo, la goccia scava la pietra, non con la forza ma con il cadere spesso.
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Motti latini che iniziano con la lettera H.
Habeas corpus Abbi il (tuo) corpo. - Nel diritto anglosassone, il principio e la tutela della inviolabilità personale, e per esso, il diritto di conoscere la causa di un arresto. Per estensione, la locuzione è usata per indicare le garanzie delle libertà personali del cittadino. Habemus confitentem reum. (Cicerone, Pro Ligario, I, 2). Abbiamo il reo confesso. - Espressione usata talora nel linguaggio giuridico o anche scherzosamente nell'uso comune, per indicare che una persona si è decisa a confessare il suo fallo. Habemus papam Abbiamo il pontefice. - A concistoro finito, il cardinale decano annuncia al popolo, che attende, l'elezione del nuovo papa con questa formula: "Nuntio vobis gaudium magnum: habemus papam, eminentissimum et reverendissimum dominum..., qui sibi imposuit nomen...". La frase, anche nella forma habemus pontificem, si usa scherzosamente per indicare qualunque elezione ad un'alta carica. Habent sua fata libelli. I libretti hanno la loro fortuna. - Frase del grammatico latino Terenziano Mauro (sec. 3° d.C.), la quale, nella sua forma completa, Pro captu lectoris habent sua fata libelli, secondo la disposizione del lettore, i libri hanno la loro fortuna, si usa per significare che ogni libro ha il suo destino, è predestinato cioè a maggiore o minore fortuna quale che sia il suo merito intrinseco (oppure anche che ogni libro è destinato presto o tardi, all'oblio). Haec ornamenta mea Questi sono i miei gioielli. - Valerio Massimo pone questa frase in bocca a Cornelia, madre dei Gracchi, che mostrò i suoi figli ad una matrona la quale vantava i suoi gioielli ed i suoi ori. Hannibal ad portas o ante portas. Annibale è alle porte (di Roma). - Lo dice Tito Livio, narrando il terrore dei romani all'annuncio della vittoria riportata dal generale cartaginese a Canne (216 a.C.). Si temeva che Annibale marciasse su Roma. La frase viene oggi ripetuta nell'imminenza di un pericolo. Hic et nunc Qui ed ora. - Locuzione che significa "subito, immediatamente" ; è pronunciata soprattutto nel dare un ordine, o da parte di chi si affretta a eseguirlo. Hic manebimus optime. (Livio, Hist., 5, 55) Qui resteremo benissimo. - Quando i Galli ebbero incendiata Roma (390 a. C.), alcuni senatori proposero di trasferirsi a Veio; ma Furio Camillo cercò di dissuaderli. Un centurione che passava pel foro gridò: "Signifer, statue signum, hic manebimus optime", vessillifero, pianta l'insegna, qui resteremo benissimo. Udita questa frase, i senatori vi ravvisarono un ammonimento divino, e d'accordo con la plebe Roma non fu abbandonata. La frase venne ripetuta da Quintino Sella nel 1870, quando la capitale da Firenze fu portata a Roma. Hic Rhodus, hic salta. Qui è Rodi, qui salta. - Traduzione latina di una frase greca che in una favola di Esopo viene rivolta a un millantatore il quale si vantava di aver fatto un grandissimo salto nell'isola di Rodi. Si usa oggi per deridere gli spacconi e metterli alla prova. Hic sun leones. Qui ci sono i leoni. - Frase che si legge sulle carte geografiche antiche, nelle regioni allora inesplorate dell'Africa. La frase è talora ripetuta per accennare scherzosamente a un pericolo certo ma di natura ancora non ben precisata, o anche per indicare una materia o una scienza che non si conosce molto bene. Hoc erat in votis. (Orazio, Sat., II, 6, 1). Questo era nei desideri. - Parole, divenute proverbiali (anche nelle forme quod erat in votis esicut erat in votis), con le quali Orazio ringrazia Mecenate del dono di una villa in Sabina. Si usano talora, per indicare l'esito ottenuto di una cosa che si desiderava. Hoc opus, hic labor. (Virgilio, Aen., IV, 129). Questo il lavoro, questa la fatica. - Emistichio virgiliano in cui la Sibilla avverte Enea sulle soglie dell'inferno che il difficile non è entrarvi ma uscirne. Si usa proverbialmente per indicare quali sono le maggiori difficoltà di un'impresa. Equivale pressappoco al dantesco Qui si parrà la tua nobilitate (Inferno, II, 9). Hodie mihi, cras tibi. Oggi a me, domani a te. - Si pronuncia talvolta per esortare altri o se stessi alla sopportazione di mali inevitabili, o come ammonimenti a non rallegrarsi delle altrui sventure, perché la ruota della fortuna gira rapidamente. Homo homini lupus. L'uomo è lupo per l'uomo. - Proverbio pessimistico, derivato da Plauto (Asinaria, II, 4, 88), che vuole alludere all'egoismo umano, e assunto dal filosofo inglese Thomas Hobbes, nella sua operaDe cive, per designare lo stato di natura in cui gli uomini, soggiogati dall'egoismo, si combattono l'un l'altro per sopravvivere. Homo sum, humani nihil a me alienum puto. (Terenzio, Heautontimorumenos, I, 1, 25) Sono uomo, niente di ciò ch'è umano ritengo estraneo a me. - Parole pronunciate dal vecchio Cremete, a giustificazione della sua curiosita, e divenute proverbiali per alludere alla fondamentale debolezza della natura umana, alla difficoltà di evitare l'errore o la colpa. Si citano anche per significare di essere aperto a ogni esperienza umana. Homo trium literarum. (Plauto, Trinum). Uomo di tre lettere. - Con questa frase, Plauto definisce un ladro, "Fur", senza che appaia l'accusa. Honoris causa. A titolo di onore. - Così è definita la laurea che le Università accordano a persone che si sono distinte per alti meriti, senza che abbiano subito esami; ma, anche, senza che acquistino il diritto di insegnare o concorrere a cattedre. Horribile dictu. Orribile a dirsi. - Horresco referens (inorridisco raccontando) sono invece le parole che Virgilio (Aen., II, 204) fa pronunciare ad Enea quando narra a Didone l'orribile fine di Laocoonte e dei suoi figli. Horror vacui. Orrore del vuoto. - Frase con la quale si espresse un concetto fondamentale della fisica aristotelica che, in polemica con la fisica democritea, asseriva l'inesistenza di spazi vuoti (la natura aborre dal vuoto).
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8/22/2014 10:20 AM | |
Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera I.
Ibis redibis non morieris in bello. Andrai tornerai non morirai in guerra. - La frase latina, riferita a un antico oracolo dalChronicon del monaco cistercense Alberico delle Tre Fontane, è priva di punteggiatura. Quindi, si presta a una doppia interpretazione secondo la collocazione della virgola. Se la mettiamo doporedibis, la frase significa: "Andrai tornerai, non morirai in guerra". Se la mettiamo dopo non, vuol dire: "Andrai non tornerai, morirai in guerra".L'inizio della frase Ibis redibis è usato talvolta come locuzione sostantivata per indicare risposta sibillina, azione o discorso ambiguo, e in genere cosa che riesca oscura, incomprensibile. Ignorantia legis non excusat. L'ignoranza della legge non giustifica. - In altre parole, si è obbligati a rispettare la legge anche quando non la si conosce. Ignoti nulla cupido. (Ovidio, Ars am., 3, 397). Nessun desiderio dell'ignoto. - Espressione usata per chi non ha una certa cultura che lo porti a pensare, a ricercare, a dubitare: e si sa che il dubbio è principio della sapienza. Illico et immediate. Sul luogo ed immediatamente. - Locuzione usata talvolta, per lo più in tono scherzoso, per imporre che un ordine sia eseguito subito, senza por tempo in mezzo. Imprimatur. Si stampi. - Parola apposta dal competente vescovo, o spesso per delega dal suo vicario generale, a un libro o foglio stampato che gli sia stato sottoposto per la censura ecclesiastica e sia da lui approvato. Nel linguaggio corrente, il termine è usato nel senso di approvazione, consenso (sempre con riferimento alla stampa): ha ottenuto l'imprimatur del direttore della rivista per il suo articolo. In articulo mortis. In punto di morte. - Benedizione, assoluzione usata soprattutto nelle frasi assolvere, assoluzione in articulo mortis che risalgono al Concilio tridentino, ma sono sostituite, nel codice di diritto canonico, con la locuzione in periculo mortis, usata anche per il matrimonio contratto in extremis. In camera caritatis. Nella camera della carità. - Locuzione latina usata spesso a proposito di rimproveri, ammonizioni, avvertimenti dati in segreto, amichevolmente e senza che altri lo sappia. In cauda venenum. Nella coda sta il veleno. - Antico proverbio medievale (che si riferiva in origine allo scorpione), usato comunemente in senso figurato per significare che il momento finale di qualcosa è quello più difficile, che il brutto viene da ultimo, o, più spesso, per indicare che la fine di un discorso svela il carattere polemico prima dissimulato, o contiene le parole che più direttamente vogliono colpire una persona. Incipit. Incomincia. - Nei codici antichi era la formula che si poneva al principio di un'opera o di parte di essa, con l'indicazione del titolo e del nome dell'autore: Incipit liber primus de remediis utriusque fortune Francisci Petrarche, comincia il primo libro sui rimedi dell'una e dell'altra sorte di Francesco Petrarca. Dante , presentando l'autobiografia sentimentale della sua giovinezza, esordisce Incipit Vita Nova, incomincia la Vita Nuova. Più genericamente l'incipitindica le parole iniziali di un testo, di un canto. In corpore vili. Su un corpo di poco valore. - Locuzione usata, per lo più scherzosamente, a proposito di esperienze arrischiate o che comunque possano riuscire dannose per chi le subisce. La locuzione è la forma abbreviata della frase faciamus experimentum in corpore vili, facciamo esperienza (di un medicamento) su un corpo di poco valore. Nel '500, la frase sarebbe stata pronunciata da alcuni medici italiani al capezzale dell'umanista francese Marc-Antoine Muret (allora in incognito in Italia sotto povere vesti), il quale spaventato si alzò dal letto e fuggì, e fu tanta la gioia per lo scampato pericolo, che si sentì subito guarito. Inde irae. (Giovenale, Sat., I, 168). Da ciò le ire. - Dice Giovenale, nella prima satira, Inde irae et lacrimae, da lì le ire e le lacrime. La locuzione si usa ripetere a proposito di fatti che suscitano sdegno e deplorazione. In dubiis abstine. Nei casi dubbi astieniti. - Formula tradizionale con cui si raccomanda di non prendere mai deliberazioni o formulare giudizi, quando non si sia assolutamente certi di essere nel giusto o nel vero. In dubio pro reo. Nel dubbio, a favore dell'imputato. - Massima tradizionale che esprime il principio giuridico per cui, mancando prove certe, è meglio assolvere un colpevole che condannare un innocente. E' un principio basilare della nostra civiltà giuridica. In extremis. Nell'ultimo momento. - Locuzione che si usa soprattutto in alcune frasi: essere in extremis, vicino a morire; pentirsi in extremis, fare testamento in extremis, sposare in extramis, matrimonio in extremis, espressioni del linguaggio comune per indicare il matrimonio canonico celebrato in caso di imminente pericolo di morte. In senso figurato: una nomina fatta in extremis, da persona la cui autorità sta per scadere; un provvedimento preso in extremis, poco prima della scadenza dei termini. In fieri. In fase di formazione - Dicesi di cosa che è in via di farsi, non ancora compiuta o addirittura ancora in fase di ideazione o di progettazione: una costruzione, un'istituzione, un'iniziativa in fieri. In hoc signo vinces. (Eusebio, Vita Costantini, I, 27, 31 e Hist. eccl., IX, 9). In questo segno vincerai. - Frase latina con cui viene comunemente tradotto il motto grecoTouto níka che sarebbe apparso in sogno, unitamente a una croce fiammeggiante, a Costantino poco prima che dalla Gallia muovesse alla volta di Roma contro Massenzio. Secondo Lattanzio, invece, Costantino avrebbe avuto la visione in sogno alla vigilia della battaglia decisiva di Ponte Milvio. La frase è talvolta ripetuta con significato generico, e spesso scherzoso. In illo tempore. In quel tempo. - Frase che ritorna spesso in molti passi evangelici: In illo tempore dixit Iesus, in quel tempo Gesù disse. Si ripete scherzosamente per indicare tempi remoti. In itinere. In viaggio. - Locuzione usata nel linguaggio assicurativo con riferimento all'infortunio riportato durante il percorso per recarsi al lavoro. In manus tuas commendo spiritum meum. (Luca, XXIII, 46). Nelle tue mani affido lo spirito mio. - Gesù morendo rivolse a Dio queste parole. Noi le usiamo quando ci rivolgiamo a qualcuno da cui dipende la nostra sorte, l'esito di una qualche nostra aspirazione. In media res. (Orazio, Ars poet., 148). Nel mezzo dell'argomento. - Parole di Orazio riferentisi all'arte narrativa di Omero che inizia il racconto a metà degli avvenimenti, a differenza di altri poeti epici, che cominciano ab ovo, cioè dall'inizio. Nell'uso comune entrare in medias res significa entrare nel vivo dell'argomento, senza tanti preamboli. In medio stat virtus. La virtù sta nel mezzo. - Sentenza della scolastica medievale che deriva da alcune frasi dell'Etica Nicomachea di Aristotele, esprimenti l'ideale greco della misura, della moderazione, dell'equilibrio. E' talvolta ripetuta per affermare la necessità o la convenienza della moderazione, dell'equilibrio, o come invito a evitare gli eccessi. In memoriam. In memoria, a ricordo. - Espressione che ricorre in iscrizioni sepolcrali o in monumenti commemorativi. Si usa talvolta (anche nella forma in perpetuam memoriam, a ricordo perpetuo del fatto) sia in contesti seri sia con tono scherzoso, a proposito di cose di scarsa importanza. In mente Dei. Nella mente di Dio. - Espressione presente nella frase essere in mente Dei, non esistere, non essere ancora nato: dieci anni fa tu eri ancora in mente Dei. Nel linguaggio comune si usa per indicare cosa, azione, avvenimento, che si sentono molto lontani e non realizzabili se non a grande distanza di tempo, o che non sono, almeno per ora, che un pio desiderio. In nuce. In una noce. - Locuzione latina con probabile riferimento a Plinio il Vecchio, che parla di un esemplare dell'Iliade di dimensioni così piccole, da poter essere contenuto in una noce. Si usa oggi per indicare concetti, teorie espressi in forma sintetica, o anche a fenomeno che è ancora allo stato embrionale. In partibus infidelium. Nelle regioni degl'infedeli. - Espressione usata in passato, anche nella forma abbreviata in partibus, per indicare i vescovi (oggi detti vescovi titolari), le cui diocesi, puramente onorifiche, si trovavano in paesi occupati dai Turchi, gli infedeli per eccellenza. In pectore. In petto. - Nel linguaggio ecclesiastico, locuzione con cui è indicata una forma speciale di nomina a cardinale che il papa annuncia nel concistoro, riservandosi di farne in seguito il nome. Per estensione, si dice pure di persona che è stata investita di una carica in modo non ancora ufficiale: il nuovo ministro in pectore. In saecula saeculorum. Nei secoli dei secoli. - Espressione con la quale terminano molte formule liturgiche, per affermare l'eternità della Trinità. Si usa talora con riferimento a fatti che si prolungano o si rinviano indefinitivamente. Insalutato hospite. Senza salutare l'ospite. - Si usa soprattuto nella frase scherzosa andarsene, partire insalutato hospite (o ospite), andarsene alla chetichella, senza prender congedo, senza dir nulla a nessuno. Instrumentum regni. Strumento di regno, di potere. - L'espressione è soprattutto usata con riferimento all'azione che lo stato svolge sul potere ecclesiastico o su istituzioni religiose, considerandoli come mezzo per l'affermazione dei propri fini temporanei. Intelligenti pauca. A un intelligente, poche cose (bastano). - Frase proverbiale latina corrispondente a quella italiana a buon intenditor poche parole e, come questa, usata sia in senso proprio (chi è pronto a capire non ha bisogno di tante spiegazioni), sia come avvertimento, ammonizione o minaccia. Interim. Frattanto. - Nell'uso odierno, il tempo che intercorre fra il momento in cui un soggetto cessa dall'esercizio di determinate funzioni e il momento in cui avviene l'assunzione delle funzioni stesse da parte di un nuovo titolare. Ministro ad interim è quello che assume provvisoriamente un dicastero rimasto vacante e compie gli atti urgenti e di ordinaria amministrazione. Inter nos. Fra di noi. - Locuzione latina cautelativa, che si premette a una confidenza che si fa a qualcuno, a quattrocchi, ma che deve restare segreta: mi raccomando, che resti inter nos! Inter pocula. (Virgilio, Georg., II, 383). Tra i bicchieri. - Parole di Virgilio usate talora scherzosamente tra discorsi, motti, verità che si dicono bevendo, e stando in allegra comitiva. In utroque iure. Nell'uno e nell'altro diritto. - Parte della formula usata un tempo nel conferire la laurea in diritto civile e canonico; oggi usata scherzosamente, e in forma abbreviata (in utroque), con riferimento a laureati in legge. In verba magistri. (Orazio, Ep., I, I, 14). Nelle parole del maestro. - Credere o giurare nell'autorità del maestro, senza ch'egli adduca documenti o prove di quel che dice o scrive. Atteggiamento tipico dei seguaci di Aristotele e degli scolastici medievali, che respingevano ogni teoria che fosse in contrasto con la filosofia del maestro. In vino veritas. Nel vino la verità. - Proverbio latino medievale, spesso citato in varie forme da parecchi autori. Già Alceo, poeta greco (sec. VII-VI a.C.), aveva detto "vino è verità". Sul vino e sulla verità non va dimenticata la vasta letteratura dei canti goliardici, in particolare dei Carmina Burana. Ipse dixit. L'ha detto lui. - Frase latina con cui ci si richiama all'autorità indiscussa di qualcuno. Cicerone (De natura deorum I, 5, 10), parlando dei pitagorici dice che nelle loro discussioni erano soliti rispondere ipse dixit, in cui quell'ipse si riferiva a Pitagora. Nel medioevo, i filosofi scolastici intendevano per "maestro" Aristotele. Oggi la locuzione ipse dixit è usata per deridere i presuntuosi che emettono sentenze o coloro che si sottomettono, senza discutere, all'autorità. Ipso facto. Sul fatto stesso. - Locuzione avverbiale latina, usata anche in contesti italiani, e talora nel linguaggio parlato, per esprimere urgenza o immediatezza: dovette ubbidire ipso facto; fu licenziato ipso facto dal lavoro. Ipso iure. Per il diritto stesso. - Locuzione usata in diritto per indicare che determinati effetti giuridici seguomo direttamente a una norma di legge quando se ne siano verificati i presupposti di fatto, senza che sia necessaria nessun'altra attività da parte di alcun soggeto. Ite missa est. Andate, la messa è finita. - Formula latina accolta (in questa forma) nella nuova liturgia, e seguita dalle parole andate in pace. Viene usata talvolta in forma scherzosa per indicare compimento, conclusione, fine: essere all'ite missa est. Iter. Viaggio. - Nel linguaggio parlamentare indica il passaggio di un disegno di legge attraverso l'esame di commissioni prima della sua approvazione. Nel linguaggio burocratico riguarda la serie di passaggi, di procedure, di formalità che una pratica deve seguire prima che venga espletata. Ius primae noctis. Diritto della prima notte. - Presunto diritto, secondo il quale il feudatario pretendeva che le donne del feudo, che andavano spose, trascorressero con lui la prima notte di nozze. Sulla veridicità di tale diritto si hanno notizie confuse, pare tuttavia che venisse esercitato il più delle volte simbolicamente, con un bacio sulla guancia della sposa.
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8/22/2014 10:21 AM | |
Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera L.
Laborare est orare. Lavorare è pregare. - Parole di San Benedetto, fondatore dell'Ordine Monastico che da lui prende il nome (529 d.C.), momento dei più meravigliosi della Storia, in cui al mondo Pagano succedeva quello Cristiano; Montecassino fu culla di quest'Ordine. Lapsus calami. Errore di penna. - Locuzione latina che si usa per indicare quegli errori involontari che consistono nello scrivere una lettera invece di un'altra, un nome invece di un altro. Rientrano neilapsus calami anche gli errori di stampa, alcuni dei quali sono capolavori d'umorismo involontario. Un esempio: cambiando una vocale, "la signora di molti meriti" diventa la "signora di molti mariti". L'espressione latina è spesso usata per giustificare un errore, attribuendolo a distrazione: è stato un lapsus. Lapsus linguae. Errore di lingua. - Errore involontario che si fa parlando. Dice un adagio medievale melius est pede quam labi lingua, meglio scivolare con un piede che con la lingua. Secondo Freud e la psicanalisi, tali errori sarebbero spesso dovuti a motivi inconsci che rivelano un impulso in contrasto con ciò che si sarebbe voluto dire. Anche senza implicazioni psicanalitiche, i lapsussono sempre divertenti. Attori e annunciatori radiotelevisivi li chiamano papere. Laudator temporis acti. (Orazio, Ars poet., 173). Lodatore del tempo passato. - Orazio attribuisce questa qualità ai vecchi , considerandola, insieme con altre, uno dei tanti malanni da cui è afflitta l'età senile; in realtà l'espressione completa è laudator temporis acti se puero, lodatore del tempo passato , quando egli era fanciullo. E' usata spesso con riferimento sia a chi mostra di non voler accettare le novità, sia ai nostalgici di passati regimi, sia più genericamente a quelle persone anziane che parlano del loro tempo nel quale le cose andavano meglio che nel presente. Laus Deo. Sia lode a Dio. - Parole che un tempo si scrivevano alla fine di un libro o si pronunciavano alla fine di qualche lavoro od operazione. Si ripetono anche oggi per esprimere la soddisfazione per un lavoro finalmente compiuto o il realizzarsi di qualche cosa lungamente desiderata, attesa. Lectio brevis. Lettura, lezione breve. - Locuzione latina usata con due significati: nella liturgia delle ore, breve lettura della Sacra Scrittura che si fa nelle ore canoniche; nelle scuole, lezione che, per qualche motivo, duri meno delle lezioni ordinarie. In particolare, l'orario ridotto che si fa nelle scuole, soprattutto nel giorno che precede il lungo periodo delle vacanze natalizie. Libera me Domine. Liberami o Signore. - La frase continua così: de morte aeterna, in die illa tremenda, dum veneris iudicare saeculum per ignem, dalla morte eterna, in quel giorno tremendo, mentre verrai a giudicare il mondo mediante il fuoco. E' l'inizio di un canto (ora soppresso), che durante l'ufficio funebre evocava i terrori del giudizio universale. Per estensione, l'espressione libera me Domine viene usata talora per chiedere al Signore di essere liberati da pericoli, da un male, o sottratti a danni, molestie e simili. Lippis et tonsoribus. (Orazio, Sat., I, 7). Ai cisposi e ai barbieri. - Espressione proverbiale derivata da un verso di Orazio in cui il poeta, per significare che un fatto è noto a tutti, dice: Omnibus et lippis notum et tonsoribus esse, noto a tutti, cisposi e barbieri, categorie queste che presso i Romani avevano fama di propagatori di notizie per eccellenza. La frase, preceduta da noto, conosciuto o dal latino notum, è ripetuta scherzosamente con lo stesso senso. Littera enim occidit, spiritus autem vivificat. (s.Paolo, 2^ lett. ai Corinzi 3, 6). Infatti la lettera uccide, lo spirito invece vivifica. - Parole di san Paolo con le quali egli intendeva affermare la superiorità del messaggio di Cristo (fondato sullo spirito, che è vita) rispetto alla legge giudaica (che è lettera scritta). La frase è talora ripetuta per contrapporre all'interpretazione letterale di un testo, l'interpretazione del pensiero, dell'intenzione di chi scrive e dei fini a cui mira. Longa manus. La lunga mano. - Espressione con cui si indica la persona che opera, in maniera non sempre limpida e lecita, a favore di un'altra più potente, nascosta nell'ombra. Negli affari, longa manus è il prestanome, che finge di contrattare per sé, mentre agisce per conto di un altro. Lugete Veneres Cupidinesque. (Catullo, 3). Piangete Veneri ed Amori. - Così canta l'elegante Catullo in morte del passero della sua amante. Questo verso si adatta benissimo a chi piange o si duole per un nonnulla. Lumen Christi. Luce di Cristo. - Antica acclamazione cristiana con cui si salutava l'accendersi dei lumi nelle famiglie. Si conserva oggi nel rito della solenne Veglia pasquale, quando il cero, dopo essere stato benedetto, viene portato in processione nella chiesa buia dal diacono che canta Lumen Christi, cui i fedeli rispondono Deo gratias (rendiamo grazie a Dio). In genere, la locuzione è usata per indicare una candela benedetta che si conserva per devozione, accendendola in qualche grave occasione. Lupus in fabula. Il lupo nel discorso. - Locuzione latina attestata da Terenzio (Adelphoe IV, I,21). Viene comunemente tradotta "il lupo nella favola" con riferimento alle favole esopiane, nelle quali il lupo appare per lo più all'improvviso. Ma poiché fabula in latino vuol dire originariamente "favella",lupus in fabula dovrebbe essere tradotto "il lupo nella favella, nel discorso". La locuzione latina viene usata con allusione al fatto che, quando appare improvvisamente la persona di cui stiamo parlando, tutti ammutoliscono, come nelle fiabe allorquando arriva il lupo, animale che incute paura a tutti. La frase però ha anche un significato scherzoso e si usa per dire stiamo proprio parlando di te. |
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8/22/2014 10:21 AM | |
Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera M.
Magna carta. Grande carta. - La magna carta libertatum (grande carta delle libertà), concessa nel 1215 dal re d'Inghilterra Giovanni Senzaterra ai baroni, contiene in una sola pergamena di grande formato il riconoscimento dei rispettivi diritti della corona inglese e dell'aristocrazia. Essa è considerata il prototipo degli atti di garanzia delle libertà individuali. Magna pars. (Virgilio, Aen., II, 5-6). Gran parte. - L'espressione deriva dalle parole di Enea che dà inizio al racconto della caduta di Troia: quaeque ipse miserrima vidi Et quorum pars magna fui, e le quali cose tristissime io stesso vidi e delle quali fui gran parte. La locuzione magna pars si applica a chi è parte importante in un'impresa, in un fatto. Magnificat. (Luca, I, 46-55). Magnifica. - Magnificat anima mea Dominum, l'anima mia magnifica il Signore, è l'inizio del cantico che la Vergine Maria recitò in risposta al saluto della parente Elisabetta. E' il più solenne dei canti dedidati alla Madonna e viene recitato o cantato nei vespri e in molte funzioni in onore della Vergine. Maiora premunt. Urgono cose di maggiore importanza. - La locuzione latina invita a tralasciare le cose di minore importanza per dedicarsi a quelle più importanti ed urgenti. In Lucano (Phars. I, 674-5) troviamo analoga espressione, ma con altro senso: Terruerant satis haec pavidam praesagia plebem; Sed maiora premunt, questi presagi avevano già atterrito la pavida plebe; ma altri ancor più gravi la opprimono. Mala avis. Uccello cattivo. - L'espressione viene talora usata con riferimento a persona cui si attribuiscono, anche solo scherzosamente, influssi malefici. Mala tempora currunt. Corron tempi cattivi. - E' la rituale imprecazione dei nostalgici del passato contro la tristezza del tempo presente o le difficoltà di determinate circostanze. E' quasi una regola che una generazione denigri se stessa per rimpiangere le precedenti, salvo poi essere rimpianta dalle generazioni successive. Male parta male dilabuntur. (Nevio in Cicerone, Philipp. II, 27, 65). Le cose male acquistate han mala fine. - Frase proverbiale latina cui corrisponde il proverbio italiano La farina del diavolo va tutta in crusca. Manu militari. Con mano militare. - La locuzione latina si usa a proposito di azioni compiute con la forza delle armi, con l'intervento dell'esercito: la sommossa fu sedata manu militari. Mare magnum. Mare grande. - Espressione con cui gli antichi designavano il mare che secondo le loro concezioni geografiche circondava tutto intorno la terra abitata, detto anche Oceano e Atlantico. Oggi, l'espressione viene usata per indicare una tumultuosa quantità di cose, di gente, un ambiente o una situazione di caos, di confusione: c'è da perdersi, in questo mare magnum di pratiche burocratiche!. Mare Nostrum. Mare Nostro. - Così gli antichi Romani chiamavano il Mediterraneo, essendone padroni di tutte le sponde. L'espressione Mare nostrum fu ripresa durante la campagna di Libia e dal fascismo, ma con scarsa fortuna. Margaritas ante porcos. (Matteo, VII, 6). Perle dinanzi ai porci. - Frase tratta da un'esortazione di Gesù: nolite dare sanctum canibus, neque mittatis margaritas vestras ante porcos, non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle ai porci. L'esressione è ripresa talvolta come invito a non mescolare il sacro con il profano, le cose nobili con le volgari. Mater dolorosa. Madre addolorata. - Verso iniziale della sequenza Stabat mater dolorosa Iuxta crucem lacrimosa, Dum pendebat filius, stava la madre dolorosa lacrimando presso la croce, mentre pendeva il figlio, attribuita (quasi con certezza) a Jacopone da Todi, e ispirata alla scena della passione di Gesù. La Mater dolorosa, cioè la Madonna Addolorata ai piedi della croce, ha ispirato molti pittori che hanno elevato la Vergine dolente a simbolo universale dell'amore materno. In senso figurato, la locuzione latina è usata per indicare donna dall'aspetto triste e in gramaglia, specialmente se colpita nel suo affetto materno. Mea culpa Per mia colpa. - Frase contenuta nel Confiteor, con la quale il fedele riconosce di aver peccato in pensiero, parole ed opere. La formula intera è mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa, e si pronuncia battendosi tre volte il petto. In senso figurato il mea culpa viene usato per sottolineare rassegnazione di fronte alle conseguenze di un proprio errore: non mi resta che dire il mea culpa. Medice, cura te ipsum. (Luca, IV, 23) Medico, cura te stesso. - Proverbio che Gesù immagina possa essergli ricordato dagli abitanti di Nazaret quasi a esortarlo a compiere, nella sua patria, quei miracoli che si diceva avesse fatto a Cafarnao; ma Gesù replica all'obiezione: nemo propheta acceptus est in patria sua, nessun profeta è gradito nella sua patria. Oggi la frase si adopera con invito a considerare e curare i propri difetti prima che quelli degli altri. Melius est abundare quam deficere. E' meglio abbondare che scarseggiare. - Massima suggerita dalla sapienza popolare, che tuttavia va presa con cautela. Essa va ripetuta frequentemente nel linguaggio corrente (anche nella forma ellittica melius abundare), e applicata a casi concreti in cui si ritiene più conveniente peccare per eccesso che per difetto. Memento audere semper. Ricordati di osare sempre. - Motto creato da Gabriele D'Annunzio per decifrare l' acronimo M.A.S. dei motoscafi armati per la caccia ai sommergibili. Memento mori. Ricordati che devi morire. - Saluto che i frati trappisti si scambiano ogni volta che s'incontrano nelle loro celle. La frase latina si rifà alle parole del Genesi (III, 19) ricordati, uomo, che sei polvere, e in polvere ritornerai. Meminisse iuvabit. (Virgilio, Aen., I, 203). Gioverà ricordarsene. - Parole tratte dal noto verso virgiliano forsan et haec olim meminisse iuvabit, forse anche queste cose un giorno ci piacerà ricordare. Nel linguaggio corrente la frase latina è usata come previsione che un giorno sarà piacevole, oppure utile, opportuno, ricordare gli avvenimenti attuali. Mens sana in corpore sano. (Giovenale, Sat. X, 356). Mente sana in corpo sano. - Nota sentenza, tratta da un verso di Giovenale: Orandum est ut sit mens sana in corpore sano, bisogna chiedere (agli dèi) che la mente sia sana nel corpo sano. Per il mondo classico l'ideale della perfezione era un armonico equilibrio tra le facoltà dell'intelletto e quelle del corpo. Miles gloriosus. Il soldato millantatore. - E' il titolo di una commedia di Plauto. Il protagonista, Pirgopolinice, è convinto che nessuno lo superi nel conquistare città e femmine. Tiene soprattutto all'eleganza, all'apparenza. E' il lontano progenitore degli innumerevoli spacconi che incontriamo nella finzione letteraria e nella realtà della vita. Minus habens. Che ha meno. - Il minus habens è persona che ha meno intelligenza, considerata perciò meno dotata dalla natura. In senso più oggettivo, la locuzione latina viene usata talora per indicare chi abbia, di fatto, meno diritti di quelli riconosciuti alla generalità dei cittadini. Mirabile dictu. Mirabile a dirsi. - Locuzione latina usata per enfasi come inciso anche in contesti italiani, insieme con altre analoghe, come mirabile visu, mirabile auditu (mirabile a vedersi, a udirsi), a proposito di fatti, spettacoli, ecc. che destano grande meraviglia. Mirabilia. Cose meravigliose. - Parola frequente in contesti italiani, soprattutto in frasi di tono ironico o scherzoso: al suo ritorno da Parigi, raccontò mirabilia di ciò che aveva visto; rimedio contro la febbre, di cui il farmacista gli diceva mirabilia (Bacchelli); promettere mirabilia, fare promesse straordinarie. Miserere. Abbi pietà. - Il più noto dei salmi penitenziali (il cantico di David), così detto dalle parole con cui ha inizio nella versione latina Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam, Abbi pietà di me, Signore, per la tua grande misericordia. Con valore verbale, nel senso di "abbi pietà", per lo più come reminiscenza delle espressioni liturgiche, la parola è usata anche in contesti italiani: "Miserere di me" gridai a lui (Dante); Miserere del mio non degno affanno(Petrarca). Nel linguaggio comune, si usa oggi per chiedere scusa o prdono: miserere (omiserere di me, miserere mei), non lo farò più. Missus dominicus. Messo del signore. - Fu Carlo Magno a istituire l'ufficio dei missi dominici, inviati regi che, muniti di apposita istruzione, dovevano sorvegliare le regioni del vasto dominio, ognuna delle quali era affidata a un missus laico (conte) e a un missus ecclesiastico (vescovo). Modus vivendi. Modo di vivere. - Accordo stabilito provvisoriamente fra due parti in contrasto e fatto di reciproche concessioni, per eliminare i motivi di attrito e permettere lo svolgimento di normali rapporti: cercare, trovare, raggiungere un modus vivendi. Nel diritto internazionale, accordo di carattere provvisorio, destinato a regolare una determinata categoria di rapporti fra due stati, in attesa che sia comcluso l'accordo definitivo. More solito. Secondo il solito costume. - La locuzione latina è usata anche in contesti italiani, soprattutto quando si vuol riprovare qualche biasimevole abitudine: è arrivato, more solito, con mezz'ora di ritardo. More uxorio. Secondo il costume matrimoniale. - Nel linguaggio giuridico, la locuzione latina è usata, per lo più, in unione al verbo vivere o convivere, con riferimento a due persone che, pur non essendo coniugate, convivono di fatto come marito e moglie. Mors tua vita mea. La tua morte è la mia vita. - Sentenza applicata a vari casi particolari per significare che il danno di una persona è spesso un vantaggio per un'altra. In senso lato, la frase latina allude alle dure leggi della vita e alla lotta per l'esistenza. Motu proprio o motuproprio. Per moto proprio, di propria iniziativa. - Atto o documento di una concessione emanata direttamente dal sovrano, dal capo dello stato, dal pontefice, senza che sia intervenuta la proposta o la richiesta di persone interessate: un motuproprio del papa, del re. Con significato più generico e nell'uso familiare, l'espressione è anche riferita all'agire di persona qualsiasi: l'ha fatto di motuproprio, spontaneamente, senza che altri l'obbligasse o lo pregasse. Motus in fine velocior. Il moto è più veloce verso la fine. - La frase è riferita probabilmente, nella tarda latinità, a un moto accelerato (inteso, nel contesto della fisica aristotelica, come moto con il quale un corpo elementare torna al suo luogo naturale). Nel linguaggio comune, la frase è usata talvolta per indicare l'intensificarsi di un'azione verso la sua fine. Mutatis mutandis. Mutate le cose che son da mutare. - Si usa quando si fa un confronto tra due fatti, due situazioni, per dire che, cambiati alcuni elementi, le cose restano praticamente immutate: mutatis mutandis, la situazione è la stessa. Mutato nomine. (Orazio, Sat., I, I, vv. 69, 70). Mutato il nome. - Espressione usata per significare che le stesse considerazioni possono applicarsi a cose, persone o situazioni diverse. Deriva dalla frase di Orazio: mutato nomine de te fabula narratur, cambiato il nome, di te parla la favola.
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8/22/2014 10:22 AM | |
Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera N.
Naturam expelles furca. (Orazio, Epist., I, 10, 24). Potrai scacciare la natura con la forca. - Inizio di un verso di Orazio che continua tamen usque recurret, tuttavia sempre ritorna. Frase divenuta proverbiale per significare che non si possono, o è difficile, sopprimere gli impulsi naturali. I malvagi ad esempio, nonostante ogni falsa apparenza, alla fine si svelano per quelli che sono. Natura non facit saltus.(Linneo, Philos.botan., 27; Leibniz, Nuovi saggi, 4, 16). La natura non fa salti. - Principio secondo cui ogni cosa in natura procede e si evolve per gradi e lente trasformazioni. Questo principio accreditò le teorie evoluzioniste. Navigare necesse est. Navigare è necessario. - La frase va completata con vivere non necesse, vivere non è necessario. Parole pronunciate da Pompeo davanti ai marinai che, spaventati da una tempesta, esitavano ad affrontare il mare per trasportare a Roma un carico di grano africano. Di fronte alla necessita che Roma aveva di grano, passava in second'ordine la stessa necessità di salvaguardare la propria vita. Navigare necesse est divenne il motto della Lega Anseatica, e più recentemente di altre organizzazioni marinare; Gabriele D'Annunzio ne ha fatto il simbolo dell'arditismo guerriero e nazionalistico. Ne bis in idem. Non due volte nel medesimo fatto. - Massima che enuncia un principio giuridico tendente ad evitare la duplicazione degli atti che mirano a un medesimo scopo o riguardano il medesimo caso. In senso generico, invito a non ripetersi, a non esprimere due volte un giudizio sullo stesso argomento, oppure a non cadere due volte nello stesso errore. Nemo ad impossibilia tenetur. Nessuno può essere costretto a cose impossibili. - Aforisma del diritto comune, che costituisce una delle principali regole del moderno diritto delle obbligazioni, per il quale fra i requisiti del cotratto vi deve essere quello della possibilità del suo oggetto. La frase viene spesso ripetuta con significato generico. Nemo potest duobus dominis servire. (Matteo, VI, 24). Nessuno può servire due padroni. - Dice ancora san Matteo: "perché odierà l'uno e amerà l'altro, o si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro". Il goldoniano Arlecchino, servo di due padroni, non è dello stesso parere, e con lui quegli italiani opportunisti che fanno il doppio gioco, schierandosi contemporaneamente con persone tra loro concorrenti o nemiche, che militano in due campi ideali opposti. Nemo propheta in patria. Nessuno è profeta nella sua patria. - Parole tratte dalla frase nemo propheta acceptus est in patria sua, nessun profeta è gradito nella sua patria, riferita dai Vangeli (Luca 4, 24; Matteo 13, 57; Marco 6, 4; Giovanni 4, 44) come pronunciata da Gesù in Nazareth per stigmatizzare la fredda accoglienza dei suoi conterranei. La frase è solitamente usata per significare che difficilmente si possono vedere riconosciuti i propri meriti nella terra in cui è nato e cresciuto e dove si sa ogni cosa di lui e della sua famiglia. Ne sutor ultra crepidam. Il calzolaio non vada oltre la scarpa. - Frase latina che riproduce la raccomandazione rivolta da Apelle a quel ciabattino che, avendo giustamente criticato un difetto nella raffigurazione dei sandali in un quadro dello stesso Apelle, voleva poi criticare anche il resto. La frase è divenuta comune per sottolineare, o rimproverare, l'inopportunità di parlare e giudicare di cose di cui non si ha alcuna competenza. Nihil de principe parum de Deo. Niente del principe poco di Dio. - Sentenza (nata forse in tempi di assolutismo) che raccomanda di evitare, nelle conversazioni, argomenti politici e religiosi che potrebbero dispiacere alle autorità costituite. Nihil difficile volenti. Nulla è difficile a chi vuole. - Motto latino con cui si vuole affermare che con la volontà si superano facilmente le difficoltà e si vincono gli ostacoli. Nihil obstat quominus imprimatur. Nulla osta a che si stampi. - Formula che viene impressa in principio o alla fine di libri, fogli, immagini editi con la prescritta licenza dell'autorità ecclesiastica. Nell'uso comune si usa semplicemente nihil obstat per significare che non esistono difficoltà al compimento di un'azione, allo svolgimento di un'attività, all'accoglimento di una richiesta. Nihil sub sole novum. (Ecclesiaste I, 10). Nulla di nuovo sotto il sole. - Frase biblica con cui si suole affermare l'eterno ripetersi degli eventi nella storia del mondo. Nisi caste saltem caute. Se non castamente, almeno cautamente. - Massima latina che consiglia una prudente segretezza nel compiere atti che violino il voto o il dovere della castità, quando non sia umanamente possibile evitarli. Noli me tangere. (Giovanni, XX, 17). Non mi toccare. - La frase evangelica prosegue: nondum enim ascendi ad Patrem meum, infatti non sono ancora salito al Padre mio, ed è rivolta da Gesù risorto a Maria Maddalena. Nel linguaggio comune, la frase si usa a proposito di persona suscettibile, ombrosa, che non ammette confidenze, oppure di donna che ostenta riservatezza, ritrosia. Nolite iudicare ut non iudicemini. (Matteo, VII, 2). Non giudicate, per non essere giudicati. - Parole di Gesù nel discorso della montagna. La frase è divenuta sentenza che raccomanda a non giudicare troppo severamente gli altri, per non essere, a nostra volta, giudicati con uguale severità. Nomen omen. Il nome è auspicio. - Gli antichi vedevano una stretta correlazione tra la cosa e la parola che la designava. Perciò imponevano ai figli nomi beneauguranti. La frase latina si ripete scherzosamente per persone la cui sorte sembra conforme al significato del nome. Non expedit. Non conviene. - Formula di dissuasione usata dalla Chiesa romana, circa la partecipazione dei cattolici italiani alle elezioni del 1874 e in genere alla vita politica dello stato postrisorgimentale. Non in solo pane vivit homo. (Matteo, IV, 4). Non di solo pane vive l'uomo. - E' questa la risposta che Gesù, affamato dopo quaranta giorni di digiuno, dà a Satana che lo tenta invitandolo a trasformare i sassi in pane. Il testo di Matteo prosegue: sed in omni verbo quod procedit de ore Dei, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. La frase si usa spesso, in senso più generico, per significare che l'uomo ha bisogno d'altre soddisfazioni che non siano quelle puramente materiali. Non licet. Non è lecito. - Espressione latina adoperata in contesti italiani per attenuare il tono di un divieto o, al contrario, per conferirgli maggiore solennità o perentorietà. Non multa sed Multum. (Plinio il Giovane, Epist., VII, 9). Non molte cose ma molto. - Massima latina tratta da una frase di Plinio il Giovane, che si usa come consiglio per un utile apprendimento: non bisogna mirare ad avere molte nozioni, bensì approfondire le conoscenze e la cultura. Non olet. (Svetonio, De vita Caesarum, VIII, 23). Non ha odore. - Parole che, secondo Svetonio, l'imperatore Vespasiano avrebbe detto al figlio Tito, che lo rimproverava per una tassa da lui imposta sugli orinatoi, mentre gli mostrava il denaro ricavatone. Sono divenute proverbiali per significare che non bisogna sottilizzare troppo circa la provenienza del denaro. Non omnia possumus omnes. (Virgilio, Bucoliche, VIII, 63). Non tutti possiamo tutto. - Sentenza virgiliana citata per significare che le facoltà umane sono limitate, e che ciò che riesce a uno può non riuscire ad un altro. Non plus ultra. Non più oltre. - La leggenda narra che Ercole, avendo tagliato l'istmo che univa l' Europa all'Africa e formato lo stretto di Gibilterra, scrisse non plus ultra sui monti Calpe ed Abila, stabilendo, con quelle che furono poi chiamate le Colonne d' Ercole, il confine del mondo che nessun navigatore doveva oltrepassare. Nel linguaggio comune l'espressione è usata per indicare il limite estremo che si può raggiungere. Non possumus. (Atti degli Apostoli,IV, 20). Non possiamo. - Espressione con cui gli apostoli Pietro e Giovanni risposero al sinedrio che avava ordinato loro di tacere sui miracoli di Gesù. Il testo completo è: non enim possumus quae vidimus et audivimus non loqui, non possiamo infatti non parlare di ciò che abbiamo visto e udito. La frase è passata poi nel linguaggio pontificio per indicare un rifiuto basato sull'osservanza di leggi divine o canoniche, e come tale fu usata da Pio IX nell'opporsi a ogni tentativo del governo italiano di entrare in Roma col consenso della Chiesa. E' tradizione che eguale risposta abbia dato Clemente VII a Enrico VIII d'Inghilterra, che chiedeva il divorzio da Caterina d'Aragona, per sposare Anna Bolena. Non praevalebunt. (Matteo, XVI, 18). Non prevarranno. - Parole di Gesù all'apostolo Pietro: tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam, tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell'inferno non prevarrano contro di essa. L'espressione latina non praevalebunt è divenuta proverbiale nel linguaggio ecclesiastico per affermare che le forze del male non riusciranno a sopraffare la divina istituzione della Chiesa, e nel linguaggio comune per significare che i propri avversari non riusciranno a prevalere. Non scholae sed vitae discimus. (Seneca, Epist., 106, 11). Non impariamo per la scuola ma per la vita. - Sentenza tratta da un passo di Seneca che lamenta il modo di insegnare dei suoi tempi. La frase si cita per affermare che nell'insegnamento si deve mirare alla formazione degli scolari più che al fine immediato delle necessità della scuola. Nosce te ipsum. Conosci te stesso. - Motto che scritto a lettere d'oro sul frontone del tempio di Apollo in Delfi, esortava gli uomini a riconoscere la propria condizione e limitatezza umana. Socrate ne fece la sua massima preferita, considerandola come un invito a considerare i limiti della conoscenza umana. Nulla dies sine linea. (Plinio, Nat. hist., XXXV, 36) Nessun giorno senza una linea. - Frase attribuita da Plinio al pittore greco Apelle, del quale si dice che non lasciava passare giorno senza che tracciasse almeno una linea, perché sosteneva che solo con l'esercizio costante si procede sulla via dell'arte. La frase si ripete per indicare la necessità dell'esercizio giornaliero. Nunc est bibendum. (Orazio, Odi, I, 37). Ora si deve bere. - Parole iniziali di una nota ode di Orazio, con le quali il poeta esprimeva l'esultanza per la morte di Cleopatra, nemica di Roma. Quando cadeva un nemico, gli antichi salutavano l'evento con impietosa e rumorosa letizia. La frase si ripete, con tono gioioso e scherzoso, come invito a festeggiare un lieto evento e a brindare con un buon bicchiere. Nuntio vobis gaudium magnum. Vi annuncio una grande gioia. - Frase tratta dalla formula con la quale si annuncia al popolo l'elezione del nuovo pontefice (vedere Habemus Papam). Si ripete talvolta nell'uso comune, scherzosamente, per indicare l'annuncio di una buona notizia. |
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8/22/2014 10:23 AM | |
Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera O.
Obtorto collo. Con il collo storto. - Espressione presente in alcuni autori latini, e usata anche in contesti italiani con il significato di malvolentieri, contro voglia: ho dovuto obtorto collo accettare la decisione della commissione medica. Odi profanum vulgus et arceo. (Orazio, Odi, III, 1). Odio il volgo profano e lo respingo. - Celebre verso di Orazio per esprimere atteggiamento di sprezzante orgoglio intellettuale, comune a molti poeti, di fronte alle opinioni e alle manifestazioni del volgo, indegno di accedere al tempio dell'arte. Omne trinum est perfectum. Ogni complesso di tre è cosa perfetta. - Gli antichi vedevano nel numero tre il simbolo della perfezione. Tre sono le Parche, le Furie, le Grazie; il Cristianesimo adora la Trinità, nelle persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; Dante sul numero tre e suoi multipli costruì la Divina Commedia. Il Digesto prescrive tres faciunt collegium: occorre un minimo di tre persone per formare una società giuridicamente costituita. Omnia mea mecum porto. Porto con me tutte le mie cose. - Frase attribuita a diversi filosofi (soprattutto cinici e scettici) o scrittori greci, tra cui Biante di Priene, uno dei sette sapienti. In senso figurato, è usata anche oggi per affermare la superiorità delle doti dello spirito sul possesso dei beni materiali. Omnia munda mundis. (s. Paolo, Lettera a Tito, I, 15). Tutte le cose sono pure per i puri. - E' una frase di san Paolo nella Lettera a Tito, un pagano da lui convertito, per affermare che tutto è puro per chi opera con retta coscienza. La frase paolina è citata da Padre Cristoforo al sacrestano fra Fazio (Promessi Sposi, cap. VIII), quando questi si scandalizza perché di notte si accoglievano nel convento due donne (Agnese e Lucia), sia pure per proteggerle da Don Rodrigo. Omnia vincit amor. (Virgilio, Bucoliche, X, 69). L'amore vince tutto. - Il verso virgiliano prosegue: et nos cedamus amori, e noi cediamo all'amore. E' divenuto proverbiale già in epoca antica ed esalta l'ineluttabile potenza dell'amore, che non si arrende davanti a nessun ostacolo. Oportet ut scandala eveniant. (Matteo, XVIII, 7). E' necessario che avvengano gli scandali. - Sono le parole di san Matteo, il quale subito aggiunge: "Ma guai all'uomo per colpa del quale lo scandalo avviene". Ora et labora. Prega e lavora. - Motto con cui la tradizione benedettina sintetizza lo spirito delle prescrizioni del lavoro e della preghiera rivolte da san Benedetto da Norcia ai suoi monaci. Il motto benedettino è passato poi a caratterizzare tutto il monachesimo occidentale, in contrapposizione al monachesimo orientale, essenzialmente contemplativo. O sancta semplicitas!. O santa semplicità!. - Espressione che, secondo una leggenda, il riformatore religioso boemo Jan Hus (1369 - 1415) pronunciò, mentre saliva sul rogo, vedendo una vecchierella che, con candido zelo, vi aggiungeva fascine. La frase si ripete oggi a proposito di persona ingenua o di chi, per troppa semplicità d'animo, fa il male senza accorgersene. O tempora o mores!. O tempi, o costumi!. - Seneca il Retore (Suasoriae VI, 3) commentando la corruzione dei costumi chiama in aiuto Cicerone con queste parole: "Tuis verbis, Cicero, utendum est: o tempora! o more!, dobbiamo usare le tue parole, o Cicerone: o tempi! o costumi!. Cicerone, infatti, deplora spesso la corruzione che si è diffusa anche tra i politici e rimpiange il passato proprio con questa esclamazione: o tempora, o mores! che si ripete in varie orazioni. Oggi l'esclamazione ciceroniana è spesso usata in tono scherzoso o bonariamente polemico. Oves et boves. Pecore e buoi. - Locuzione latina che indica, in tono tra scherzoso e polemico, un raggruppamento eterogeneo di persone, per lo più prive di meriti e di qualità. In stato di necessità, è giocoforza mescolare oves et boves, cui corrisponde la più popolare espressione cani e porci. |
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8/22/2014 10:24 AM | |
Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera P.
Panem et circenses. (Giovenale, Satire X, 81). Pane e giochi del circo. - Sono parole di Giovenale che si lamenta come questo fosse, ai suoi tempi, l'unico desiderio del popolino. Tredici secoli più tardi Lorenzo il Magnifico sosteneva: Pane e feste tengon il popol quieto. Nel regno delle Due Sicilie, per raggiungere lo stesso scopo, la politica dei Borboni aveva come fondamento le tre F: feste, farina, forca. Parcere subiectis et debellare superbos. (Virgilio, Aen. VI, 853). Risparmiare i vinti e debellare i superbi. - Celebre verso di Virgilio in cui il poeta ha voluto esprimere il criterio ispiratore della politica imperiale dei Romani. Parce sepulto. (Virgilio, Aen. III, 41). Perdona a chi è sepolto. - E' la voce che lo spirito di Polidoro, il più giovane dei figli di Priamo, rivolge ad Enea. Oggi con parce sepulto intendiamo che è ingeneroso avere risentimento per i torti subiti da chi non è più, e talora, in senso estensivo, usiamo l'espressione con riferimento a chi è stato già punito dalla sorte o non ha più capacità di nuocere. Parva sed apta mihi. Piccola, ma adatta a me. - Verso che Ludovico Ariosto fece scrivere sopra l'ingresso della casa fattasi costruire a Ferrara, e che continua: sed nulli obnoxia, sed non Sordida, parta meo sed tamen aere domus, ma non soggetta ad alcuno, ma non squallida, ma acquistata col mio denaro. Il verso iniziale viene talora usato, con lo stesso significato, in riferimento alla propria abitazione, o con significati analoghi. Pater familias. Padre di famiglia. - Nella famiglia romana indicava colui che, non avendo più ascendenti vivi in linea maschile, era il capo della famiglia, acquistando un complesso di poteri sulla moglie, sui figli e sui servi, che si riassumevano nel termine giuridico di manus o potestas (potestà), intendendosi con potestà un concetto assai vicino a proprietà. Col passar del tempo, queste tiranniche prerogative del pater familias vennero temperate dal costume e dalla giurisprudenza. Pax et bonum. Pace e bene. - Formula di saluto caratteristica della predicazione di san Francesco e dei suoi seguaci. Si vede scritta spesso sulle porte o sulle pareti dei conventi francescani. Viene usata (tradotta o no) come saluto e augurio tra religiosi o fedeli. Pax tibi. Pace a te. - Nello stemma di Venezia il leone di san Marco pone una zampa sopra un libro dove sta scritto Pax tibi Marce evangelista meus, pace a te, Marco, mio evangelista. Parole queste che, secondo una leggenda, un angelo apparso in sogno a san Marco, approdato in un'isola della laguna veneta, avrebbe pronunciato quasi ad annunciargli che lì, in quelle terre, il suo corpo dopo la morte avrebbe trovato riposo. Per angusta ad augusta. Per vie anguste ad auguste cose. - Motto gentilizio di Ernesto di Brandeburgo, menzionato da Victor Hugo nel IV atto dell'Ernani come parola d'ordine dei congiurati contro Carlo V. L'espressione è usata nell'uso comune (anche nella forma ad augusta per angusta) per significare che i grandi risultati si ottengono solo superando difficoltà d'ogni genere. Per aspera ad astra. Alle stelle attraverso le asperità. - Frase con cui si suole significare che senza sacrifici non si raggiungono traguardi ambiziosi. Il motto riecheggia frasi della tradizione letteraria (cfr. Virgilio,Aen., IX, 641: Sic itur ad astra, così si giunge all'immortalità; Seneca, Herc. furens., 441: Non est ad astra mollis e terra via, la via per giungere dalla terra agli astri non è facile). Perinde ac cadaver. Alla stregua di un cadavere. - Con questa locuzione, prima san Francesco e poi i gesuiti sintetizzarono la sottomissione assoluta alla regola e alla volontà dei superiori, con rinuncia alla propria personalità. Pluralis maiestatis. Plurale di maestà. - Negli atti ufficiali re e pontefici usano la prima persona plurale del pronome (noi) e delle forme verbali e nominali che con essa concordano. Per estensione, la prima persona plurale del pronome viene usata anche da personaggi d'alto rango o investiti di cariche particolarmente importanti. Pollice verso. Col pollice all'ingiù. - Era il segnale di morte, decretata dall'imperatore e dal pubblico quando nel circo un gladiatore ferito finiva a terra, e l'avversario domandava agli spettatori se doveva risparmiarlo o dargli il colpo di grazia. L'espressione, accompagnata o no dal gesto, è usata in contesti italiani per significare condanna, disapprovazione, rifiuto e simili. Post factum lauda. Loda dopo il fatto. - Motto latino usato per significare che, prima di lodare, bisogna aspettare che un fatto, un lavoro sia compiuto e se ne vedano gli effetti. Post factum nullum consilium. Dopo il fatto nessun consiglio. - Motto latino usato per significare che, quando un fatto è avvenuto, non v'è più rimedio e non serve discuterne. Post fata resurgam. Risorgerò dopo la morte. - Motto dell'araba fenice, mitico uccello sacro agli antichi Egiziani. Secondo una leggenda, ogni cinquecento anni essa volava dall'Arabia, sua terra natale, a Eliopoli; secondo altri , giunta alla vecchiaia, si dava fuoco su una pira di legni aromatici, per poi risorgere dalle ceneri. Il motto si usa per esprimere fiducia nella propria capacità di risollevarsi dalle disavventure e di vincere le avversità del destino. Post hoc ergo propter hoc. Dopo questo, quindi a causa di questo. - Argomentazione fallace degli scolastici secondo cui c'è un rapporto di causalità tra due avvenimenti per il solo fatto che l'uno è posteriore all'altro; ma non bisogna confondere il rapporto di precedenza, di tempo, col rapporto di causalità. Post mortem. dopo la morte. - Locuzione latina usata soprattutto con riferimento al riconoscimento di meriti, a commemorazioni, busti, targhe stradali, che non hanno avuto luogo durante la vita della persona interessata: onorificenza post mortem. Primum vivere deinde philosophari. Prima vivere, poi fare della filosofia. - Frase usata come richiamo a una maggiore concretezza e a una maggiore aderenza agli aspetti pratici della vita. Viene tradizionalmente attribuita al filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679), ma probabilmente è molto più antica.Primus inter pares. Primo tra uguali. - Locuzione usata con riferimento a chi, tra persone di pari grado o dignità o posizione gerarchica, è considerato il capo per la funzione che esercita o per altri motivi di preminenza. Pro aris et focis. (Cicerone, De natura deorum III, 40 e altrove). In difesa degli altari e dei focolari. - Antico grido con cui si animavano i cittadini alla difesa. Cicerone riporta questo motto nel senso che ogni cittadino deve operare per la patria e per la famiglia. Pro bono pacis. Per il bene della pace. - Locuzione latina che equivale all'italiana per amor di pace. Si usa spesso con rferimento a concessioni fatte per evitare contrasti, per non turbare il buon accordo o la tranquillità. Procul negotiis. (Orazio, Epodi II, 1). Lontano dagli affari. - Beatus ille qui procul negotiis/Ut prisca gens mortalium, Beato colui che è lontano dagli affari, come i primi padri degli uomini. Sono le parole di Orazio che vengono talvolta citate (nella forma abbreviata procul negotiis), per alludere a un periodo di tempo, o a una vita intera, trascorsi in riposante tranquillità, lontano dalle preoccupazioni quotidiane del lavoro. Pro domo sua. Per la propria casa. - Titolo di un'orazione di Cicerone che viene ripetuta spesso (per lo più nella forma Cicero pro domo sua) con riferimento a chi parla o agisce in proprio favore, per il proprio tornaconto. Pro forma. Per la forma. - Locuzione latina, frequente anche nel linguaggio comune, per significare una cosa fatta per pura formalità, per salvare le apparenze, per obbedire a una ritualità che non ha alcun riscontro nella sostanza: gli hanno fatto un' ispezione pro forma. Pro indiviso. Per non diviso. - Locuzione latina del linguaggio giuridico, usata nell'espressione communio pro indiviso, per indicare la comunione di beni (riferita specialmente all'asse ereditario) tra più comproprietari, ciascuno dei quali possiede idealmente una quota. Promoveatur ut amoveatur. Sia promosso affinché sia rimosso. - Motto latino con cui si allude a promozione o avanzamento di grado concessi con lo scopo di rimuovere una persona da una carica o da un luogo dove essa eserciti un'azione o un'influenza, specialmente politica, che ai suoi superiori non sia gradita, o per allontanare un impiegato, un funzionario da un posto al quale si sia dimostrato inetto, nei casi in cui non si voglia o non si possa agire diversamente. Pro quota. Per la quota. - L'espressione completa è pro quota parte che significa genericamente per la parte a ciascuno spettante, ed è usata per indicare, nel linguaggio economico e finanziario, un sistema di ripartizione di capitali, redditi, diritti e obbligazioni, in parti proporzionali alle quote concorrenti alla loro formazione. In diritto ereditario, l'espressione sta a significare la divisione di beni tra i congiunti aventi diritto per legge, nella misura spettante a ciascuno in base al grado di parentela. Pro tempore. Per un certo tempo. - L'espressione è usata per indicare che un incarico, una concessione, una funzione sono dati soltanto per un determinato periodo, temporaneamente: affidare, esercitare pro tempore una funzione, una carica; anche con uso aggetivale: presidente pro tempore della commissione edilizia. Pulsate et aperietur vobis. (Matteo VII, 7; Luca XI, 9) Bussate e vi sarà aperto. - Frase di un più ampio contesto: petite et dabitur vobis; quaerite et invenietis; pulsate et aperietur vobis, chiedete, e vi sarà dato; cercate, e troverete; bussate, e vi sarà aperto. Con queste tre espressioni diverse, Gesù nel Discorso della montagna vuole affermare il concetto che ogni preghiera è sempre esaudita dalla infinita bontà di Dio. La terza espressione è talvolta ripetuta in senso estensivo, come esortazione a insistere nel chiedere ciò di cui si ha bisogno. Pulvis es et in pulverem reverteris. (Genesi, III, 19). Polvere sei e in polvere ritornerai. - Recitando questo versetto del Genesi, nel giorno delle Ceneri, il sacerdote segna, con un pizzico di cenere, la fronte dei fedeli. Anche il pagano Orazio nelle Odi (IV, 7) è della stessa opinione e dice: pulvis et umbra sumus, siamo polvere e ombra (vedi Memento mori). |
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8/22/2014 10:24 AM | |
Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera Q.
Quaerite et invenietis. (Matteo VII, 7; Luca XI, 9). Cercate e troverete. - Frase centrale di un noto versetto evangelico che, presa dal suo contesto generale, è spesso ripetuta come esortazione a impegnarsi con tenacia e fiducia nella ricerca della verità, sia sul piano religioso sia su quello scientifico e del sapere in genere. Qualis artifex pereo!. Quale artista muore con me!. - Celebre frase che secondo Svetonio (Vita di Nerone, 69), l'imperatore Nerone avrebbe pronunciato morendo. Qualis pater talis filius. Quale il padre, tale il figlio. - Antica sentenza popolare (tramandata anche nella versione talis pater, talis filius) con la quale si suole affermare che pregi e difetti si trasmettono per via ereditaria, ma anche per l'influenza che ha sui figli l'esempio paterno. Quandoque bonus dormitat Homerus. (Orazio, Ars poet., 358-59). Talora sonnecchia il buon Omero. - Espressione con cui Orazio rileva come sia sciocco mostrarsi insofferenti dei difetti dell'opera di grandi artisti. La frase oraziana è spesso citata per significare che anche i sommi artisti hanno qualche caduta di tono, di stile, e non sempre riescono ad essere all'altezza della propria fama. Quantum mutatus ab illo...!. (Vitgilio, Aen. II, 274). Quanto mutato da quello...!. - Parole di Enea nel descrivere la visione di Ettore che gli appare in sogno lordo e sanguinante; il passo infatti continua: Hectore qui redit exuvias indutus Achilli, da quell'Ettore che torna indossando l'armatura di Achille. La frase si riporta talvolta per indicare mutamenti profondi, anche di natura morale. Quieta non movere. Non muovere le cose quiete. - Motto latino che si cita con vario senso e tono. Noi abbiamo i proverbi: non agitare le acque; non stuzzicare il can che dorme, e simili. Qui non est mecum, contra me est. (Matteo XII, 30; Luca XI, 23). Chi non è con me, è contro di me. - Frase evangelica pronunciata da Gesù per invitare a prendere una decisione precisa. Viene spesso ripetuta, nella forma latina o in quella italiana, sia con senso generico e in tono scherzoso, sia nella forma del plurale chi non è con noi è contro di noi. Qui pro quo (o quiproquo). Il che per il come. - Locuzione usata per significare equivoco o malinteso relativo a parole, cose, persone: è stato un banale qui pro quo; per un qui pro quo ho sbagliato il luogo e il giorno dell'appuntamento. L'espressione deriva forse dal latino quid pro quo, titolo di alcune compilazioni farmaceutiche del medioevo comprendenti i medicamenti che si potevano somministrare in luogo di altri. Quis custodiet custodes?. Chi custodirà i custodi?.- Frase divenuta proverbiale e derivata dal passo delle Satire (VI, 48-49) di Giovenale sed quis custodiet ipsos custodes?, ma chi custodirà i custodi stessi? Ma già molto prima, Platone nella Repubblica (III, 13) dice che i custodi dello Stato devono guardarsi dal vizio dell'ubriachezza, perché "sarebbe certo ridicolo se il custode avesse bisogno d'un custode". Oggi l'espressione latina è ripetura, seriamente o scherzosamente, per esprimere sfiducia sulla capacità o sull'onestà di chi ha compiti di custodia o sorveglianza. Quod avertat Deus!. Il che non permetta Dio!. - Formula latina di scongiuro ripetuta in contesti italiani, della lingua scritta o parlata, come inciso e con valore affine all'italiano Dio ce ne scampi e liberi. Quod licet Iovi non licet bovi. Ciò che è lecito a Giove non è lecito al bove. - Motto latino che si usa citare per significare che ciò che è concesso a chi ha particolari gradi, requisiti o capacità può non essere concesso a chi non ha tali requisiti. Quod non fecerunt Barbari fecerunt Barbarini. Ciò che non fecero i barbari, fecero i Barberini. - Frase scritta sulla statua romana di Pasquino contro il papa Urbano VIII (Maffeo Barberini), che durante il suo pontificato (1623-1644) spogliò il Pantheon dei suoi bronzi per farne cannoni e costruire il baldacchino di San Pietro. La frase viene spesso citata con riferimento ad atti vandalici. Quod scripsi scripsi. (Giovanni XIX, 22). Ciò che ho scritto ho scritto. - Risposta di Pilato ai sacerdoti che gli chiedevano di togliere dalla croce di Gesù l'iscrizione offensiva alla Giudea. E l'iscrizione rimase. La frase è divenuta proverbiale per esprimere la propria decisa intenzione di non recedere da quanto si è scritto o anche detto; ma in quest'ultimo caso, la frase va corretta in quod dixi, dixi, ciò che ho detto ho detto. Quot capita tot sententiae. Quante le teste tanti i pareri. - Antico proverbio latino che si trova in Terenzio e in Cicerone e si cita per affermare che, tra gli uomini, le opinioni e i gusti sono diversi, ed è difficile che in una comunità tutti la pensino allo stesso modo. Quousque tandem. (Cicerone I^ Catilinaria). Fino a quando. - A queste due parole iniziali si può aggiungere Catilina abutere patientia nostra?, fino a quando, o Catilina, abuserai della nostra pazienza? E' la famosa invettiva di Cicerone contro il nobile decaduto che si era schierato dalla parte popolare per tentare, con una congiura, la conquista dello Stato. Le prime due parole (o la frase intera) si citano talora, nel linguaggio odierno, per avvertire che è stato superato ogni limite di pazienza e di sopportazione.
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8/22/2014 10:25 AM | |
Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera R.
Rara avis. (Giovenale, Satire VI, 165). Uccello raro. - E' l'inizio del verso di Giovenale che chiama una donna bella e pudica: Rara avis in terris, nigroque simillima cycno, uccello raro sulla terra, simile a un cigno nero. Sinonimo di questa locuzione è mosca bianca che significa appunto persona o cosa rarissima. La locuzione latina viene spesso adoperata per indicare cosa o persona molto rara o che ha qualità particolari:in questa società un uomo onesto è veramente una rara avis. Rari nantes in gurgite vasto. (Virgilio, Aen. I, 118). Rari nuotatori nel vasto gorgo. - Sono i compagni di Enea, travolti dalla tempesta scatenata da Giunone. Le prime due parole, e anche l'intera locuzione sono usate talvolta per indicare poche cose o persone disperse in ambiente vastissimo o tra moltissime altre. La prima parte della frase è stata adottata come nome di società di nuoto (Rari Nantes Florentia, ecc.). Rebus sic stantibus. Stando così le cose. - Nell'uso comune, la locuzione è adoperata per introdurre un'affermazione fondata sul fatto che le cose stanno così, che la situazione è quella che è e non si presume che possa cambiare: Rebus sic stantibus (o anche sic stantibus rebus), è meglio trovare un accordo. Redde rationem. Rendi il conto. - Locuzione con cui s'invita altri a rendere conto, a dare spiegazione del proprio operato, o della propria amministrazione e gestione. Si usa spesso nel significato di resa dei conti, giudizio finale, in frasi di tono solenne o sarcastico o scherzoso: l'addetto alla riscossione delle imposte comunali è stato chiamato al redde rationem; tutti un giorno saremo chiamati al redde rationem. Refugium peccatorum. Rifugio dei peccatori. - Espressione con cui è invocata nelle litanie lauretane la Madonna, come madre di misericordia. Con sfumatura d'ironia, ricorre nell'uso ad indicare persona o istituto di grande, e anche eccessiva, bontà e indulgenza: quell'istituto privato è il rifugium peccatorum degli studenti fannulloni. Relata refero. Riferisco cose riferite (da altri). - E' una locuzione latina di origine medievale, che viene usata spesso quando si riferiscono notizie apprese da altri, delle quali non s'intende assumere la responsabilità. La frase ricorda in qualche modo un passo dello storico greco Erodoto (VII, 152), che così parla dei suoi doveri di storico: "ho l'obbligo di dire ciò che vien detto, ma non ho l'obbligo di crederci. Repetita iuvant. Le cose ripetute giovano . - Sentenza latina d'incerta origine, che si pronuncia spesso, nell'uso corrente, per affermare l'utilità di ripetere una raccomandazione, un precetto, un ammonimento. Requiescant in pace. Riposino in pace. - Frase con cui termina la preghiera dei defunti: requiem aeternam dona eis, Domine..., l'eterno riposo dona loro, o Signore... .Nel linguaggio comune, si ripete spesso, per lo più al singolare, requiescat in pace, parlando di un morto, e anche, con tono ironico, di persona che, allontanandosi da una compagnia, non lascia rimpianto. Risus abundat in ore stultorum. Il riso abbonda sulla bocca degli stolti. - Proverbio latino non classico, spesso citato per biasimare chi ride troppo e a sproposito. Ruit hora. Precipita l'ora. - Frase latina, con cui si allude al tempo che fugge e soprattutto all'imminenza della morte. E' anche in titolo di un' ode barbara del Carducci il quale, dalla fugacità della vita, trae motivo per godere più intensamente l'amore.
Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera S.
Sancta sanctorum. Le cose sante tra le sante. - Nell'Antico Testamento, la parte più segreta del tempio di Gerusalemme, dove soltanto il sommo sacerdote poteva entrare. Nelle chiese cristiane s'intende il presbiterio e il tabernacolo, che custodisce il Santissimo Sacramento. In senso figurato, e spesso scherzoso, il luogo riservato ed esclusivo della politica, dell'economia, della finanza dove hanno accesso soltanto pochi privilegiati: mi hanno permesso di accedere al sancta sanctorum della redazione. Semel abbas semper abbas. Una volta abate sempre abate. - Proverbio, probabilmente di origine medievale, con cui s'intende affermare che il carattere sacerdotale è indelebile, non si perde neppure cambiando d'abito o facendo abiura. In senso estensivo, si usa con riferimento a qualsiasi attività o mestiere che lascia traccia nel carattere. Semel in anno licet insanire. Una volta all'anno è lecito fare follie. - Nota sentenza, divenuta proverbiale nel medioevo, che si cita (spesso in forma abbreviata, semel in anno) per giustificare follie passeggere, generalmente innocue, e soprattutto le mascherate e le baldorie del carnevale. Questo proverbio si rifà ad un passo di Seneca conservatoci da sant'Agostino nel De civitate Dei (VI, 10):"tolerabile est semel anno insanire". Semel in hebdomada. (Celso, De medicina) Una volta la settimana. - Sentenza latina attribuita allo scrittore romano Cornelio Celso (I sec. d.C.), che avrebbe consigliato di limitare l'attività sessuale ad un solo rapporto settimanale. Lutero ne concede due la settimana e Tommaso Campanella, nella Città del Sole, uno ogni tre sere. Senatores boni viri senatus autem mala bestia. I senatori sono uomini perbene, ma il senato è una cattiva bestia. - Il detto latino riguarda ogni collettività in cui i singoli componenti sono brave persone, mentre non sono più tali quando agiscono in assemblea, essendo esposti a suggestioni collettive, ad emozioni e passioni di parte. Senectus ipsa est morbus. (Terenzio, Phorm. IV, I, 9). La vecchiaia è per se stessa una malattia. - Nota sentenza dello scrittore latino P. Terenzio Afro, che si trova espressa nel quarto atto, scena prima, della commedia Formione. Di parere opposto è Cicerone, che nel De senectute (Della vecchiaia) esalta i vantaggi della terza età. Servus servorum Dei. Servo dei servi di Dio. - Formula costantemente adoperata nella intitolazione dei documenti emanati dal papa. Fino al secolo 12° fu usata anche dagli arcivescovi di Ravenna. Sic et simpliciter. Così e semplicemente. - Espressione usata col significato generico di "semplicemente così, senza alcuna aggiunta". Si adatta di volta in volta a contesti e situazioni diverse: glielo dirò io, sic et simpliciter; accettare sic et simpliciter non mi conviene. Sic transit gloria mundi. Così passa la gloria del mondo. - Frase che, secondo il rito tradizionale, il cerimoniere ripete tre volte davanti al pontefice neoeletto, mentre fa bruciare un batuffolo di stoppa in cima a una canna d'argento. Oggi questo rito è abolito. La frase (anche nella forma abbreviata sic transit) resta nel linguaggio comune e viene pronunciata, in occasioni meno solenni, e talvolta in tono scherzoso, con riferimento alla caducità delle cose umane. Sine cura. Senza cura (di anime). - Beneficio ecclesiastico senza obbligo di uffizi e di cura spirituale di fedeli. Oggi diciamo sine cura (unificato in sinecura), un ufficio o un'occupazione di poca responsabilità e pochissimo impegno: mi è stato assegnato un incarico sine cura. Sine die. Senza giorno (stabilito). - Locuzione usata anche in contesti italiani e nella lingua parlata, in espressioni come rimandare, rinviare sine die, indefinitivamente, a tempo indeterminato. Talvolta sine die sottintende alle calende greche (vedi Ad calendas graecas). Sine ira et studio. (Tacito, Ann. I, 1). Senza ira o parzialità. - Espressione usata da Tacito con riferimento al principio morale cui promette di attenersi nel suo programma storiografico. Queste parole vengono talvolta citate per sottolineare l'obiettività di un proprio giudizio o atteggiamento. Si parva licet componere magnis. (Virgilio, Georg. IV, 176). Se è lecito confrontare le cose piccole con le grandi. - Frase latina usata da Virgilio a proposito del paragone che egli istituisce tra il lavoro delle api e le fatiche dei Ciclopi. L'espressione virgiliana viene ripetuta talvolta, in tono scherzoso, per scusarsi di accostare o paragonare cose, fatti , argomenti molto diversi tra loro per valore o importanza. Sit venia verbo. Sia scusa alla parola. - Frase latina che si pone talvolta come inciso nel discorso per chiedere scusa di un'espressione che si sia stati costretti ad adoperare. Equivale talvolta all'italiano "mi si passi l'espressione". Si vis pacem para bellum. Se vuoi la pace, prepara la guerra. - Sentenza presente, in modo poco diverso, in vari autori. Si cita soprattutto per affermare che uno dei mezzi più efficaci per assicurare la pace è quello di essere armati e in grado di difendersi, in modo da scoraggiare eventuali propositi aggressivi da parte degli avversari. Spes ultima dea. La speranza è l'ultima dea. - Frase latina spesso usata per significare che la speranza è l'ultima dea che siede al capezzale del morente, con riferimento al mito greco della dea Speranza che resta tra gli uomini a consolarli, anche quando tutti gli altri dèi abbandonano la terra per l'Olimpo. Un detto popolare dice che la speranza è l'ultima a morire, e Foscolo nei Sepolcri: ". . . . . . . Anche la speme,ultima dea, fugge i sepolcri". Stabat Mater. Stava la Madre. - Sono le parole iniziali di una sequenza liturgica, attribuita a Iacopone da Todi, in cui il fedele contempla lo strazio della Vergine ai piedi della ceroce. Lo Stabat Mater ispirò molti musicisti, dal Palestrina a Pergolesi, da Rossini a Verdi, da Liszt a Dvorák . Statu quo. Nello stato in cui. - Espressione abbreviata del latino in statu quo ante (o prius) o nunc, nelle condizioni di prima o di ora, usata soprattutto nella terminologia diplomatica per indicare la condizione di fatto sussistente al momento di un accordo fra potenze, con riferimento alla situazione territoriale creatasi in seguito ad eventi bellici: trattare la pace sulla base dello statu quo; riconoscimento dello statu quo. Nel diritto privato, l'espressione viene usata in genere per indicare il ristabilimento di una situazione giuridica, cui per conseguenza il fatto si deve adeguare. Sua sponte. Di sua volontà. - Locuzione latina, usata talora anche in contesti italiani con significato equivalente a "di sua volontà, spontaneamente". Nel linguaggio colloquiale, se ne è tratta la locuzione maccheronica: sponte aut spinte, spontaneamente o per forza. Sub iudice. Sotto il giudice. - Locuzione usata con riferimento a questioni molto discusse, a controversie non ancora risolte: durante i restauri sono stati scoperti interessanti affreschi, ma l' attribuzione è ancora sub iudice. Sub specie aeternitatis. Sotto l'aspetto dell'eternità. - Espressione in uso nella filosofia scolastica e nella dottrina cattolica, con cui viene indicato il modo di valutare le cose del mondo sotto un profilo universale, prescindendo da ogni considerazione di tempo e di luogo. Sui generis. Di genere proprio. - Locuzione usata nel linguaggio della scolastica, per designare una realtà, un'idea non riconducibile a un concetto più esteso. E' poi passata a indicare in generale tutto ciò che, per l'originalità e singolarità delal sua natura fa parte per se stesso: ha un carattere sui generis, e bisogna lasciarlo stare!. Summum ius summa iniuria. (Cicerone, De off. I, 10). Il sommo diritto è somma ingiustizia. - Aforisma giuridico con cui si suole affermare che l'uso rigoroso e indiscriminato di un diritto può diventare un'ingiustizia. Cicerone scrive: "Si commettono spesso ingiustizie a causa di una cavillosa, troppo sottile e in realtà maliziosa interpretazione delle leggi". Super partes. Sopra le parti. - Locuzione usata per indicare la posizione di chi deve giudicare, o di chi ricopre una carica o adempie una funzione che esigono da parte sua assoluta imparzialità fra partiti opposti, fra parti in contesa: il Presidente delal Repubblica deve essere, in ogni occasione, super partes. Surge et ambula. (Matteo, IX, 5). Alzati e cammina. - Sono le parole rivolte da Gesù al paralitico. Nel linguaggio comune vengono usate per incoraggiare chi si accascia per avversa fortuna. Sursum corda. In alto i cuori. - Esortazione dell'officiante durante la messa, prima del Sanctus, con riferimento alle Lamentazioni della Bibbia (III, 41): "Alziamo al cielo, insieme con le mani, i nostri cuori al Signore". Nel linguaggio comune, si ripete come esortazione a farsi coraggio, a tener alto il morale. |
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8/22/2014 10:26 AM | |
Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera T.
Tabula rasa. Tavola raschiata. - Espressione con cui era designata in origine la tavoletta cerata usata dai Romani per la scrittura. Nel linguaggio filosofico, con tabula rasa si intende la condizione dell'intelletto umano, prima che cominci il processo della conoscenza. I filosofi sensisti, ad esempio il Locke, sostengono che la mente umana privata della conoscenza empirica non è altro che una tabula rasa. Nel linguaggio figurato può significare essere del tutto privo di cognizioni, di preparazione in un dato campo, o anche avere la testa vuota. Con riferimento alla tavola da pranzo apparecchiata, far tabula rasa significa sparecchiare, portare via tutto. Taedium vitae. Tedio della vita. - Espressione latina equivalente all'italiano "noia della vita", con cui si esprime sconforto morale e crollo psicologico che portano a rifiutare il peso dell'esistenza. Tanto nomini nullum par elogium. A così gran nome nessuna lode è pari. - E' l'epitaffio a Niccolò Machiavelli, sul monumento in Santa Croce, a Firenze, spesso citato per tributare a qualcuno una lode enfatica o anche ironica. Te Deum. Te Dio. - Così inizia l'inno liturgico: Te Deum laudamus, te Dominum confitemur, te Dio lodiamo, te Signore riconosciamo, cantato in ringraziamento d'un evento favorevole, per celebrare una vittoria, festeggiare la fine d'un flagello, uno scampato pericolo. Temporibus illis. In quei tempi. - Espressione adoperata in tono scherzoso o enfatico, per riferirsi a tempi lontani, con allusione a cose definitivamente passate (vedi In illo tempore). Tertium non datur. Il terzo non è concesso. - Espressione che risale alla logica aristotelico-scolastica (con riferimento al "principio del terzo escluso"), con cui si vuol significare che, in un'alternativa di due giudizi contraddittori, o di due ipotesi contrapposte, è esclusa ogni altra possibilità o soluzione: al termine del processo, l'imputato o viene assolto o viene condannato: tertium non datur. Timeo Danaos et dona ferentes. (Virgilio, Aen. II, 49). Temo i Danai (Greci), anche se portano doni. - Sono le parole di Laocoonte , quando vuol dissuadere i Troiani dall'accogliere nella città il cavallo di legno lasciato dai Greci. Si ripete, talvolta in tono scherzoso, per esprimere diffidenza verso chi non si reputa amico e fa offerte e proteste di amicizia. Transeat a me calix iste. (Matteo, XXVI, 39). Passi da me questo calice. - Parole con cui Gesù, nell'orto degli Ulivi, si rivolge al Padre perché allontani da lui le sofferenze della passione. Nell'uso comune, si ripetono talvolta per invocare di essere liberati da un dolore, da una pena. Tu quoque Brute fili mi?. Anche tu, Bruto, figlio mio?. - Sono le parole che, secondo la tradizione, Cesare avrebbe rivolto a Marco Bruto riconoscendolo tra i suoi uccisori. Si usa talvolta la locuzione abbreviata tu quoque per esprimere addolorata sorpresa nei confronti di chi, da noi beneficiato, ci ripaga con l'ingratitudine. Turris eburnea. Torre d'avorio. - Collum tuum sicut turris eburnea, il tuo collo è come torre d'avorio, dice alla bella Sulamita il Cantico dei cantici (VII, 4). L'espressione biblica turris eburnea viene poi riferita alla Vergine nelle litanie lauretane. Nel linguaggio figurato, essere una torre d'avorioequivale ad essere di costumi irreprensibili, d'indubbia onestà; mentre chiudersi in una torre d'avorio sta a significare appartarsi in aristocratica solitudine, quasi ignorando i problemi sociali e politici che ci circondano.
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8/22/2014 10:27 AM | |
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Motti latini che iniziano con la lettera U.
Ubi consistam. Dove io mi appoggi. - Frase attribuita ad Archimede, il quale sosteneva che, se avesse trovato un punto d'appoggio, avrebbe potuto mediante una leva sollevare il mondo. La locuzione ubi consistam è comunemente adoperata con il significato di uno stabile punto d'appoggio o di partenza per intraprendere un'azione coerente e organica: non ho ancora trovato l'ubi consistam. Ubi maior minor cessat. Dove c'è il maggiore, il minore cessa. - Frase d'ignota origine , spesso citata per significare l'esigenza di rispettare la gerarchia. Ubi Petrus ibi Ecclesia. (s. Ambrogio, Expositio in Ps., XL, § 30). Dove è Pietro, ivi è la Chiesa. - Sentenza di sant'Ambrogio, con la quale si afferma, con riferimento al primato di Pietro e dei suoi successori, che la vera Chiesa è quella che riconosce a suo capo il vescovo di Roma. Ubi tu Gaius ego Gaia. Dove tu Gaio io Gaia. - Giuramento matrimoniale con cui la donna prometteva fedeltà e dedizione allo sposo. Dopodiché i due spezzavano insieme il panis farreus, una focaccia di farro consacrata a Giove Capitolino. Da quel momento, l'unione, sancita dalla testimonianza della divinità , era sacra e indissolubile. Ultima ratio. Ultima ragione. - La locuzione latina è riferita alle armi, alla guerra, quando con le altre ragioni non si approda a nulla. La frase è attribuita al cardinale Francisco Ximenés ministro di Spagna e grande inquisitore (1436-1517); e Luigi XIV, il re Sole, l'assunse come divisa, facendola incidere sui suoi cannoni, con un'aggiunta: "Ultima ratio regum", ultima ragione dei re. Federico II di Prussia usò il singolare Ultima ratio regis, ultima ragione del re. Poi confidò ad un amico: "Io penso a fare la guerra. Ci penseranno i filosofi a dimostrare ch'era giusta". Ultimatum. Ultima proposta. - In diritto internazionale, atto giuridico unilaterale, con il quale uno stato fa conoscere a un altro stato le sue ultime perentorie proposte su una determinata questione, chiedendo precisa risposta. In senso estensivo significa intimazione perentoria o proposta definitiva; spesso in tono scherzoso: mi ha dato l' ultimatum: o lo sposo o mi lascia. Una tantum. Per una volta soltanto. - Locuzione parzialmente latina, usata per lo più nel linguaggio giuridico e amministrativo per indicare un pagamento a carattere straordinario fatto 'per una volta soltanto, senza obbligo di rinnovo o di continuità'. Unguibus et rostris. Con le unghie e coi rostri. - Locuzione latina non classica, usata come l'equivalente italiana con le unghie e coi denti, per indicare tenacia, ostinazione, accanimento: difendersi unguibus e rostris. Nella forma unguibus et rostro ("con le unghie e col becco") è il motto dello stemma della città di Avignone. Unicuique suum. A ciascuno il suo. - Aforisma del diritto romano che si ispira a un passo delle Institutiones di Giustiniano: "Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuens", la giustizia è la costante e perpetua volontà di riconoscere a ciascuno il suo diritto. E prosegue: "I precetti del diritto sono i seguenti: vivere onestamente, non danneggiare il prossimo, dare a ciascuno il suo".Urbi et orbi. A Roma e al mondo. - Frase della solenne benedizione che il papa impartisce alla folla, in piazza san Pietro. Per estensione scherzosa, viene usata per significare "a tutti, dappertutto": è noto urbi et orbi.
Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera V.
Vacatio legis. Assenza della legge. - Nel linguaggio giuridico è il periodo di tempo che intercorre tra la pubblicazione di una legge sulla Gazzetta Ufficiale e la sua effettiva entrata in vigore. Vade retro Satana!. (Matteo IV, 10). Va indietro, Satana!. - Variante delle parole con cui Gesù, tentato nel deserto, respinge il tentatore. La frase si ripete spesso, in tono per lo più scherzoso, per esprimere repulsione, o per far desistere chi tenta con inviti e offerte allettanti, ma che non si possono o non si vogliono accettare Vae victis. (Livio, Hist., 5, 48). Guai ai vinti. - Celebre esclamazione attribuita a Brenno, capo dei Galli Sènoni, invasori di Roma nel 4° secolo a.C.. Si ripete per affermare o per lamentare il primato della forza sul diritto. Vanitas vanitatum. (Ecclesiaste I, 2). Vanità delle vanità. - Celebri parole con cui si apre il libro biblico dell' Ecclesiaste che aggiungeet omnia vanitas, e tutte le cose vanità. Queste parole vengono spesso citate per affermare la vanità dei beni terreni e l'insipienza di coloro che s'affannano a conseguirli. Vare, legiones redde. (Svetonio, Vita di Augusto, 23). Varo, rendimi le legioni. - Queste parole andava gridando Augusto per la sua casa, quando seppe della sconfitta di Quintilio Varo, per opera di Arminio. Veni, vidi, vici. (Plutarco, Caes., 50, 6) Venni, vidi, vinsi. - Parole con le quali Giulio Cesare avrebbe annunziato ad Arminzio, suo amico, la fulminea vittoria riportata su Farnace, re del Ponto, il 2 agosto del 47 a.C. . Nel linguaggio comune, la frase si cita soprattutto per indicare o annunziare rapida e felice riuscita di qualche impresa. Verba movent, exempla trahunt. Le parole incitano, gli esempi trascinano. - Antico proverbio che afferma la forza dell' esempio. Verba volant, scripta manent. Le parole volano, gli scritti rimangono. - Antico proverbio (enunciato anche nella forma inversa: scripta manent, verba volant) con cui si afferma l'importanza delle testimonianze e dei documenti scritti, sia, al contrario, l'opportunità di non mettere su carta ciò che un giorno potrebbe esserci di danno. Equivale al proverbio popolare carta canta e villan dorme. Vexata quaestio. Questione discussa. - Espressione latina con cui ci si riferisce a questione lungamente dibattuta senza che si sia giunti a una conclusione, a un accordo. Via Crucis. Via della Croce. - La strada che Gesù percorse, con la croce sulle spalle, dal tribunale di Pilato al luogo della crocifissione, sulla cima del Calvario. Per estensione, con via crucis indichiamo una lunga sequenza di fatiche e di sofferenze, senza il conforto del lieto fine: dopo una via crucis da un ufficio all'altro, il pensionato si è sentito rispondere che mancano i soldi. Videant consules. Provvedano i consoli. - Inizio della frase videant consules, ne quid res publica detrimenti capiat, provvedano i consoli affinché la repubblica non riceva alcun danno: formula con la quale il senato conferiva ai consoli pieni poteri in casi di estrema emergenza, per salvare la patria in pericolo. Nel linguaggio comune, le prime parole si ripetono talora in tono scherzoso per rimandare a chi ne ha competenza la soluzione di ardui problemi. Video meliora proboque, deteriora sequor. (Ovidio, Met. VII, 20-21). Vedo il meglio e l'approvo, ma seguo il peggio. - Sono parole di Medea che per l'amore di Giasone viene meno ai propri doveri verso il padre e verso la patria. La frase latina si ripete talvolta per denunciare un profondo dissidio tra i consigli della ragione e il concreto agire. Analoghe espressioni troviamo tra i poeti italiani: E veggio 'l meglio, et al peggior m'appiglio(Petrarca, Canz. CCLXIV, 136); Conosco il meglio ed al peggior mi appiglio (Foscolo, Son.II, 13). Vox clamantis in deserto. (Isaia XL, 3). Voce di chi grida nel deserto. - Frase biblica che si ripete talvolta alludendo ad avvertimento non ascoltato, a opera di persuasione che risulta vana, a chi rivendica diritti senza ottenere risposta. Vox populi vox Dei. Voce di popolo, voce di Dio. - Sentenza d'antica tradizione medievale, che si ripete talvolta per significare che opinioni e giudizi popolari devono o possono ritenersi veri e giusti. Si cita anche la sola prima metà della frase, per alludere a notizie o opinioni molto diffuse: che lei sia un'ottima insegnante è vox populi. Vulgus vult decipi, ergo decipiatur. Il volgo vuol essere ingannato, dunque sia ingannato. - Motto attribuito al cardinale Carlo Caraffa, legato pontificio presso Enrico II, re di Francia. Frase scettica, messa in pratica dai demagoghi e dai ciarlatani di piazza. Per gli onesti, invece, il volgo va istruito e educato, perché cessi di essere gregge, e diventi popolo. |
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