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LE BEATITUDINI (Mt 5,1-12) Don Pedron Lino

Ultimo Aggiornamento: 06/12/2014 20:01
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06/12/2014 19:56

BEATI I POVERI


Nella Bibbia vengono chiamati poveri non solamente quelli che si trovano in una precaria situazione economica e sociale, ma anche quelli che rivelano uno speciale atteggiamento religioso in rapporto a Dio e al prossimo. Il discorso della povertà, nella Bibbia, è in stretto rapporto con le condizioni economiche e politiche del popolo d’Israele ed è condizionato dalla credenza, o meno, nella ricompensa ultraterrena che non sempre è stata avvertita nell’AT.


All’epoca dei patriarchi, nel periodo monarchico e, dopo l’esilio, in alcuni circoli sapienziali i beni di questo mondo, in quanto creati da Dio, venivano considerati come supremo valore della vita umana.


Ignorando la retribuzione ultraterrena, i giusti dovevano ricevere la ricompensa delle loro virtù su questa terra. La vita felice consisteva nel godimento dei beni della terra, identificati nella numerosa figliolanza, nell’abbondanza dei greggi e dei prodotti agricoli e nella celebrità popolare.


In quest’ordine di idee, la povertà appare come uno scandalo, giacché essa mette in questione la virtù di colui che è privo di beni. Se la ricchezza è la normale ricompensa della pietà e della fedeltà a Dio, la povertà è una giusta punizione dell’infedeltà verso Dio, cioè del peccato.


Esiste la povertà, o meglio, la miseria dovuta all’empietà, all’incuria personale e all’indolenza: La mano pigra fa impoverire, la mano operosa arricchisce (Pr 10,4); L’ubriacone e il ghiottone impoveriranno e il dormiglione si vestirà di stracci (Pr 23,21). Ma vi sono poveri che sono tali senza loro colpa, per il fatto che sono vittime dell’ingiustizia degli uomini e di un iniquo ordinamento sociale.


Quando le tribù d’Israele divennero sedentarie in Palestina e furono coinvolte nella civiltà urbana, soprattutto al tempo della monarchia, si accentuarono tra i membri dello stesso popolo le disuguaglianze sociali; fu instaurato il sistema del latifondo ed apparve il proletariato rurale; i piccoli dovevano sostenere le spese del lusso e del prestigio del re, mentre ministri, funzionari, commercianti e grandi proprietari accumulavano ingenti fortune.


La legislazione d’Israele cercò di provvedere agli inconvenienti della povertà mediante l’anno della remissione in favore dei debitori e a vantaggio degli schiavi ebrei, la proibizione del prestito ad interesse e l’insistenza relativa al pagamento quotidiano degli operai.


Leggiamo nel libro del Deuteronomio: Dài generosamente al tuo fratello bisognoso e, quando gli darai, il tuo cuore non si rattristi; perché proprio per questo il Signore Dio tuo ti benedirà in ogni lavoro e in ogni cosa a cui avrai messo mano. Poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io ti do questo comando e ti dico: Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese (Dt 15,10-11).


I profeti si fecero difensori della giustizia sociale lanciando invettive contro i ricchi del loro tempo e difendendo i miseri e i deboli. Denunciando ogni forma di oppressione: il commercio fraudolento, l’accaparramento delle terre, la giustizia venale, la violenza dei capi. Dio ha orrore dei sacrifici e delle offerte dei ricchi le cui mani grondano sangue sottratto ai poveri (Am 2,6-8; Is 1,15-17; Ger 5,28); la vera religione consiste nel rendere giustizia ai poveri e agli afflitti, perché Dio sta dalla loro parte.


In questo contesto si sviluppa il significato spirituale e religioso della povertà. Il povero, privo di beni di questo mondo e spesso indifeso, è cosciente della propria insufficienza ed è portato a porre la sua fiducia in Dio, attendendo da lui la salvezza. La povertà diventa perciò un atteggiamento religioso di fronte a Dio, caratterizzato da sentimenti di fede, di umiltà e di fiducia. Il ricco invece, che confida nei beni terreni ed è cosciente della sua autosufficienza, è portato all’arroganza e all’orgoglio, e perciò alla dimenticanza di Dio, al peccato, all’oppressione dei miseri e all’empietà.


Dopo l’esilio si sviluppa nel popolo ebraico la corrente religiosa degli anawim, cioè dei poveri del Signore, la cui caratteristica è l’umiltà e la fiducia in Dio. Il libro dei salmi è tutto impregnato della pietà dei poveri del Signore.


La vita e l’insegnamento di Gesù si collocano sulla scia della mistica della povertà materiale e spirituale dell’AT e la portano alla perfezione.


La povertà di Gesù non significa mancanza del necessario: egli esercita un mestiere remunerato, il suo gruppo è sostenuto dai sussidi di amici, principalmente dalle donne facoltose della Galilea (Lc 8,3).


Gesù possedeva un abbigliamento più che decoroso (Gv 19,23). Tuttavia egli visse in modo modesto e durante la sua missione apostolica non aveva un luogo stabile dove posare il capo (Mt 8,20). Gesù si circondò di gente umile, di pescatori e di gabellieri; si prese cura dei poveri, dei malati, dei peccatori, dei mendicanti e delle vedove; predicò il vangelo ai poveri, praticò l’elemosina (Gv 13,29), raccomandandola ai suoi discepoli (Lc 11,41). Insegnò a vedere nei poveri l’immagine della sua presenza. L’ultimo giudizio sull’uomo avrà come criterio fondamentale il comportamento avuto nel riguardo dei miseri e dei bisognosi (Mt 25,31-46).


Entrando in Gerusalemme seduto sopra un asino, Gesù mostrò di essere il messia povero e umile, quello annunciato nell’AT; recitando il salmo 22 sulla croce Gesù fece sue le angosce e le speranze del salmista povero, che si abbandona completamente nelle mani del Padre.


La povertà di Gesù equivale a libertà (Mt 8,20), mitezza e umiltà di cuore (Mt 11,29), disponibilità alla volontà del Padre fino all’accettazione cosciente della sofferenza e della morte in croce.


Gesù risveglia nei suoi discepoli lo sforzo di eliminare la sofferenza e l’indigenza attraverso la pratica della giustizia sociale, la distribuzione della ricchezza e l’aiuto tangibile ai meno abbienti.


Gesù insegnò che la ricchezza e gli agi costituiscono un grave pericolo per l’uomo che vuol rispondere alla chiamata di Dio; la ricchezza infatti rischia di ingombrare o bloccare l’uomo nel cammino verso il regno di Dio. Gesù non condanna la ricchezza in se stessa; egli ha avuto degli amici anche tra le persone agiate, come le donne che lo assistevano con i loro beni (Lc 8,2-4), Zaccheo, Levi e tutti coloro che lo invitavano a pranzo. Gesù ha goduto dei beni della terra (Mt 9,10-13; Gv 2,1-11), tanto che il suo comportamento fu contrapposto a quello ascetico di Giovanni Battista (Mt 11,18-19).


Gesù condanna la ricchezza quando essa impedisce l’apertura dell’animo umano verso Dio. La povertà rende l’uomo distaccato dai legami della terra e disponibile a Dio.


In questo ordine di idee si comprende la beatitudine della povertà annunciata da Cristo. Essa occupa il primo posto tra le beatitudini: Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3). I poveri in spirito sono coloro che, interiormente distaccati dai beni della terra, sono convinti della propria insufficienza e del bisogno di Dio e di conseguenza si aprono fiduciosi a lui. Ad essi Gesù promette la ricchezza più preziosa: il regno di Dio.


Gesù propone una grandissima valorizzazione della povertà materiale e spirituale nel contesto del regno di Dio.


Le prime comunità cristiane si sono sforzate di vivere l’ideale della povertà mediante il distacco dai beni di questo mondo, l’accentuazione dello spirito comunitario e l’organizzazione dell’aiuto ai poveri.


La povertà evangelica trova il suo più alto valore nel dono di se stesso che il cristiano fa a Dio e ai fratelli attraverso l’elargizione dei suoi beni e il dono della sua persona. La povertà cristiana è perciò un lievito di fraternità nel mondo: in una parola, essa è una condizione per amare Dio e i fratelli.


 


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