BEATI GLI OPERATORI DI PACE
Le beatitudini si indirizzano a persone che fanno qualcosa. Gli operatori di pace non sono semplicemente individui sensibili alla miseria altrui, ma individui che fanno opere di misericordia, che soccorrono fattivamente il prossimo. Gli operatori di pace sono coloro che riportano l’unione e la concordia tra le persone disunite.
Per essere operatori di pace bisogna prima di tutto essere pacifici, ossia pacificati con se stessi, perché nessuno può dare ciò che non ha. Tuttavia questa beatitudine pone l’accento sulla forza d’animo e sulla volontà di produrre la pace dove regnano la tensione, la conflittualità, la rivalità, il sospetto e soprattutto la guerra effettiva. Proprio perché pacifico, il discepolo di Cristo è un operatore di pace, un seminatore dell’amore e della pace che ha nel cuore.
La pace perciò è da intendere come frutto dell’amore e della concordia e non come imposizione di ordine da parte di chi ha la forza o anche solo l’autorità.
È Cristo il più grande operatore di pace. Leggiamo nella lettera agli Efesini: Egli (Cristo) è la nostra pace, colui che ha fatto dei due (dei giudei e dei pagani) un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito (Ef 2,14-18). E nella lettera ai Colossesi: Piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli (Col 1,19-20).
È Cristo dunque il più grande operatore di pace. Egli ha pagato questo compito cosmico con una morte violenta.
Il segno più plastico e più efficace della rappacificazione universale è perciò la croce che fino a quel momento era stata solo il segno della violenza e della sopraffazione. Su questa linea pacificatrice si muovono alcune indicazioni del seguito del discorso della montagna, che ad alcuni sono sembrate paradossali, se non addirittura assurde, ma non lo sono se vengono confrontate con quanto Gesù ha effettivamente compiuto. Leggiamo nel vangelo secondo Matteo: Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle (Mt 5,38-42).
Apparentemente ci sembra di trovarci davanti a una capitolazione che potrebbe rendere anche più arrogante l’avversario: in realtà è l’unico modo per dimostrare che la violenza è un non senso e che l’amore, che solo genera la pace, è più produttivo perché realizza addirittura il doppio di quanto il violento potrebbe desiderare: la violenza pretende la tunica, l’amore dà spontaneamente la tunica e aggiunge anche il mantello. La violenza genera altra violenza; l’amore invece arresta la violenza e la demolisce, facendone vedere l’assurdità e la sterile follia.
Perché gli operatori di pace saranno chiamati figli di Dio?
Perché solo la pace vera, quella lasciataci da Cristo (Gv 14,27), quella che nasce dal cuore, è capace di creare l’autentica famiglia di Dio, dove tutti si sentono compresi e amati come figli di Dio e fratelli tra loro.