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LE BEATITUDINI (Mt 5,1-12) Don Pedron Lino

Ultimo Aggiornamento: 06/12/2014 20:01
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06/12/2014 20:01

BEATI I PERSEGUITATI


L’ottava e l’ultima beatitudine è ripetuta due volte. Prima nella solita forma di tutte le altre, alla terza persona: Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,10). Successivamente in una forma amplificata, con la seconda persona plurale, quasi ad interpellare direttamente gli ascoltatori: Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi (Mt 5,11-12).


A chi poteva aver nutrito la strana illusione di potersene stare tranquillo dopo essere diventato cristiano, Gesù dice che il segno più qualificante dell’essere cristiano è la persecuzione. Tutto perciò viene messo di nuovo in movimento. E tutto questo non deve ingenerare tristezza, ma gioia ed esultanza.


È l’esperienza che hanno fatto gli apostoli, secondo il racconto degli Atti: Richiamati gli apostoli, li fecero fustigare e ordinarono loro di non continuare a parlare nel nome di Gesù; quindi li rimisero in libertà. Ma essi se ne andarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù (At 5,40-41).


L’apostolo Paolo scrive: Mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte (2Cor 12,10).


Esaminiamo ora più da vicino questa beatitudine. Ci sono tre cose fondamentali che la caratterizzano e la mettono in singolare rapporto con le beatitudini precedenti.


Prima di tutto questo invito alla gioia, espresso con due verbi congiunti tra loro: Rallegratevi ed esultate. Essi vogliono esprimere una gioia molto intensa. Ogni beatitudine è una dichiarazione di felicità e dà vera gioia. Se il povero è dichiarato beato, ciò gli deve procurare gioia. Se invece si rattristasse o sopportasse di mal animo la sua situazione, non sarebbe per nulla beato. E così si dica di tutte le altre beatitudini.


Allora perché solo i perseguitati per causa della giustizia vengono invitati a godere intensamente? Perché nel loro soffrire maturano una grande ricompensa nei cieli: non solo la loro sofferenza non va perduta, ma ripagata abbondantemente nella vita eterna.


Il vero cristiano non ha alcun timore per le persecuzioni che possono raggiungerlo: invece di spaventarsi riprende vigore, invece di intristirsi ne prova grande gioia. Per questo, Gesù, pur preannunciando lotte e persecuzioni ai suoi apostoli, dirà loro di non avere alcun timore: Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella geenna. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia (Mt 10,28-29).


La seconda cosa caratteristica di questa beatitudine è la sua esplicita motivazione cristologica: non basta essere perseguitati, bisogna essere perseguitati a causa di Gesù.


Questo riferimento a Cristo, perché la persecuzione e la sofferenza abbiano la ricompensa per la vita eterna, è costante in tutta la tradizione del NT. L’apostolo Pietro scrive: Carissimi, non siate sorpresi per l’incendio di persecuzione che si è acceso in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. Ma nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria e lo Spirito di Dio riposa su di voi. Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida, o ladro o malfattore o delatore. Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome (1Pt 4,12-16).


Nel vangelo secondo Giovanni leggiamo queste parole di Gesù: Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato (Gv 15,20-21).


Anche san Giacomo ricorda ai cristiani che le prove sofferte per la fede, devono essere motivo di gioia e di esultanza, perché dilatano gli spazi della speranza e dell’amore: Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla (Gc 1,2-4).


E ancora san Pietro commenta meravigliosamente questa ottava beatitudine quando scrive: Perciò siate ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo: voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la meta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime (1Pt 1,6-9).


La terza caratteristica di questa beatitudine è il richiamo dell’esempio dei profeti: Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi (Mt 5,12).


È un’ulteriore motivazione che Gesù aggiunge per far accettare ai suoi discepoli questa ingrata beatitudine. È una garanzia in più che Gesù fornisce ai suoi perché non si smarriscano di fronte alla prova. I cristiani sono i profeti dei tempi nuovi e quindi nessuna meraviglia se saranno trattati come quelli dei tempi antichi. È quanto Gesù dice agli apostoli quando li manda in missione: Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli (Mt 10,32-33).


Il profeta deve gridare ad alta voce il suo annuncio, deve esporsi, fare una scelta esplicita per Cristo: questo gli procurerà impopolarità, dileggio e persecuzione.


Rileggendola in profondità, si vede chiaramente che l’ultima beatitudine non riguarda soltanto alcuni momenti della storia della chiesa, né solo alcuni uomini particolari: al contrario essa riguarda la vita normale del cristiano di ogni tempo e a ogni latitudine.


Annunciare Cristo, testimoniarlo nella propria vita, denunciare corruzione, vizi, tradimenti, lassismo morale, ingiustizie, soprusi, violenze, resistendo, se necessario, fino alla morte: tutto questo vuol dire essere profeti scomodi e perciò esposti alla derisione, alla persecuzione e al terrorismo ideologico. Ma non per questo dobbiamo lasciarci spaventare. Al contrario crediamo al comando e alla promessa di Cristo: Rallegratevi ed esultate perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.

   


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