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San Filippo Neri Dell'amore al proprio disprezzo

Ultimo Aggiornamento: 03/05/2015 00:18
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02/05/2015 23:59

19. Per compiere l'opera santa ci vuoi qualche passo di più. Se per amor di Dio, quando siamo disonorati, ci asteniamo non solo dalle querele e dai risentimenti, ma ancor dalle proprie difese, si avverta bene di non cadere nel tempo stesso nella debolezza di concepir desideri, e molto meno di procurare, che altri, tacendo noi, piglino a fare le nostre difese, e sventare le ingiurie, mettano in chiaro lume la nostra innocenza. E chi non vede, che con un tal contegno si chiuderebbe per una parte la porta all'amor proprio e all'orgoglio, e dall'altra si spalancherebbe loro una porta più larga, per lasciarli introdurre nei nostri cuori ad impestarli? In questo modo, ognuno intende che ridonderebbe a noi una più completa giustificazione e maggior gloria nell'essere discolpati da altri, singolarmente se fossero persone di autorità e di rispetto; e in conseguenza se ciò bramassimo e procurassimo, potrebbe facilmente esser questo un più gradito sfogo e soddisfazione della propria superbia e del proprio amore, che se ci scusassimo semplicemente da per noi.

Si ribattano dunque alle occasioni così fatti desideri e sollecitudini nel primo loro nascere, col divino aiuto da chiedersi subito con grande istanza al Signore, se non vogliamo restare nell'illusione e dar pascolo all'arroganza e all'amor proprio, anziché promuovere in noi la santa umiltà. Frattanto se accade, che, non cooperandovi noi, taluno si faccia fuori a difenderci, e a palesare la nostra innocenza, badiamo bene in tal caso di reprimere e di annegare ogni movimento di natural compiacenza, che pur troppo sollevasi nell'uomo in simil i congiunture, spogliandocene risolutamente, e mettendoci in uno stato di pienissima indifferenza nelle mani di Dio.

Non si nega con questo che non possa divenire un atto di virtù il rallegrarsi nei detti casi della manifestazione della verità, non in quanto ella ridonda in nostro umano vantaggio, ma in quanto è di gloria di Dio ed è piaciuto al Signore così disporre. Ma poiché ai deboli e agli imperfetti difficoltosa si rende il ben fare praticamente una tal precisione, e vi è gran pericolo che l'uomo cerchi sé e non Dio, miglior consiglio sarà, e più sicuro, nonché esercizio di virtù, rigettare, o almeno non curare il piacere delle nostre discolpe, e applicarci allora per un'altra strada agli atti dell'amore al disprezzo, v. g. con tenerci pronti, che non siano attesi gli altrui fondamenti in suo favore, e perciò restino inefficaci all'intento i buoni uffici prestati; che prevalga una prepotenza contraria; che nonostante la nostra giustificazione, non si abolisca nel popolo il mal concetto e discredito già formato di noi, e con altri simili ripieghi, che suggerisce lo spirito dell'umiltà.
Soprattutto reputiamoci sincerissimamente indegni di trovare chi ci discolpi; e badiamo che non ci sia rapita, per un semplice umano sollievo una bella occasione di farci un merito altissimo con Dio, per mezzo del più perfetto esercizio della pazienza e dell'umiltà.

20. Vero è che non ripugna, anzi conviene in certi casi, che gli amatori del disprezzo, espongano a qualche uomo di Dio i propri aggravi ed affronti, per quindi ricevere il dovuto consiglio e rinforzo: ma per non errare in tali circostanze, e non deviare dal più santo cammino - il che è assai facile ad accadere -, conviene attenersi alle seguenti condizioni.
La prima, che ciò lo richieda la gloria di Dio, o la carità del prossimo, o un maggior bene; o la vera necessità. Nessuno però sia facile a supporre tali motivi, per non cadere nella rete dell'amor proprio; ma prima di venire alla difesa, ne consulti Dio con l'orazione, e ricorra anche al parere di qualche persona degna ed intelligente su tali materie, e prenda tempo per ischiarire la verità.
La seconda, rifletta di non avere il merito di trovar chi voglia ascoltarlo, valutare le sue ragioni e interessarsi per la sua causa.
La terza, che ciò si faccia non per sfogo di collera, ma con somma moderazione e mansuetudine, con termini umili e schietti, e più per incolpare noi stessi, che per scoprire ed esagerare i ricevuti torti, e dolerci dei nostri oltraggiatori, dei quali nel tempo stesso ci sta a cuore di salvare l'onore e il rispetto; dovendosi insistere con vigilanza e premura grande che tutto il disprezzo se ne resti a noi, che veramente lo meritiamo, e non si rifonda nei nostri disprezzatori.
La quarta, che sia disposto a non essere creduto e secondato, e che quindi gliene avvenga di peggio; e in luogo della propria giustificazione e difesa, incontri un maggior disprezzo.
Con queste quattro nobili condizioni espose Gesù sulla croce l'estrema sua sete, a cui fu ridotto dal furore dei suoi disprezzatori e nemici. Ciò si indusse a fare per la gloria di Dio, nell'adempimento delle sue parole: per adempiere la Scrittura (Gv 19, 28) col conoscimento di non meritar refrigerio, né scampo, per cagione dei peccati di tutto il mondo, che per infinito amore verso di noi aveva presi sopra di sé. Espose egli il proprio bisogno, che era per altro urgentissimo, e lo fece con una sola semplicissima parola: ho sete, e fu pronto a ricever di peggio, come seguì, perché, invece della bevanda, riportò nuovi scherni. O il bello, o il grande esemplare, che merita tutto il nostro studio per imitarlo!

21. Crescerà a dismisura il nostro profitto e il nostro merito, se corretti e ripresi di mancamenti da noi non commessi, almeno volontariamente e dinanzi a Dio, e per quelli anche umiliati, mortificati e castigati, non solo ci asterremo dal far risaltare la nostra propria innocenza, potendolo fare, ma di più con termini ambigui parleremo in maniera, senza però far torto alla verità, onde sembri in certo modo, che confessiamo di propria bocca i supposti delitti, come appunto è stato praticato da molti santi. E assai ancora ci gioverà se prenderemo i rimbrotti e le penitenze con tal sembiante e atteggiamento di volto, e con tali esteriori dimostrazioni, che facciano eco e corrispondenza alle altrui riprensioni e rimproveri, come se veramente restassimo convinti, e discoperti per rei di tali eccessi, e per il rimorso della propria coscienza non avessimo nulla da allegare in nostra giustificazione; sull'esempio di Gesù Cristo in croce, il quale usò un contegno così dimesso e umile, e si fece vedere così colmo di confusione, quasi che nel tempo medesimo in cui era cruciato al di fuori dall'umana giustizia, fosse lacerato al di dentro dalla propria coscienza, e quasi non potesse, per il rossore, mostrare il viso: come uno davanti al quale ci si copre la faccia (Is 53,3). Il che egli indicò con queste misteriose parole esprimenti uno spirito estremamente depresso ed esinanito: io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo (Sal 22 (21), 7).

O anime, anime invaghite di amar Gesù; possibile che un sì manifesto esempio dei vostro Diletto, che è l'oggetto dei vostri amori, non vi impegni a procurarne la imitazione?

Quanto più, poi dovremo umiliarci, se ci conosciamo rei, di quelle colpe, che ci vengono rinfacciate? Bisognerà allora semplicemente e con la maggior sincerità confessarle, e invece di nasconderle, metterle fuori nel suo vero lume; e meglio ancora faremo, se ci studieremo, in faccia a chi ci rimbrotta e mortifica, di suggerire di propria bocca qualche particolar circostanza aggravante il nostro fallo, e non saputa da lui, per cui gli prenda animo a rinforzar la riprensione, ed avvilirci con maggior asprezza, con che si aumenti di molto la nostra confusione. Tutto questo ci serva almeno per accusarci dei nostri peccati nella confessione sacramentale con profonda umiltà e schiettezza, e con desiderio di comparir peccatori, quali veramente noi siamo, e senza addurre la minima scusa per attenuare le nostre colpe.

22. Ed ecco un nuovo segreto per far grandi progressi nell'amore del disprezzo. Quando ci troveremo ingiustamente oppressi e avviliti, lungi dal desiderio che Dio punisca i nostri avversari (dal che il Signore ci guardi) se veramente aspiriamo all'ottimo, neppure brameremo che Dio, durante la nostra vita mortale e nel presente secolo, prenda al fare le nostre difese, manifestando la nostra innocenza e traendoci fuori dall'abiezione; anzi piuttosto ameremo che segua il contrario, purché il Signore ci somministri le forze; e che è quanto dire, che ci lasci in preda alle umiliazioni e ai vilipendi, come se ci fossero per giustizia dovuti; saremo anche pronti a soffrire di buon cuore, che Dio usi tali tratti di provvidenza e di condotta riguardo alle nostre persone, che abbandonati noi, quanto al sensibile ed all'umano, esso pazienti i nostri disprezzatori, i quali però si rendano più animosi ad abbatterci e atterrarci affatto: dal che ne segua un tal prospetto ed apparenza di cose, che faccia credere di esser noi assai più abbattuti e castigati da Dio per i nostri eccessi che mortificati dagli uomini; e che propriamente Dio si serva di loro, come di suoi ministri, per eseguire una strepitosa vendetta sopra di noi.

Gran virtù in tali casi si esercita da quegli amanti del disprezzo, che si rilasciano liberamente a questa divina condotta, l'accettano volentieri, vi si affezionano e se ne compiacciono, non cessando mai di esaltare la divina giustizia con l'espressione del salmo:tu sei giusto, Signore, e retto nei tuoi giudizi (Sal 119 (118), 137): contenti che ella faccia il suo corso, e sopra di essi si scarichi liberamente nella presente vita, bastando loro, che la divina misericordia gli si riservi per l'altra, e perla beatissima eternità, che confidano di ottenere per i meriti di Gesù. 

Frattanto non può dirsi abbastanza quale spirito infonda a chi è ben disposto per praticar virtù sì massiccia, sull'esempio di Gesù, il quale giusta laa previsione del profeta Isaia, fu esposto agli occhi di tutto il mondo sul Calvario e come un lebbroso e come un insigne malfattore convinto delle più orribili fellonie, e come un uomo per i suoi eccessi percosso e abbattuto dalla mano di Dio: noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato (Is53,4); e nel tempo medesimo, in cui i suoi spietati persecutori cantavano il trionfo; per esser loro alla fine riuscito (dopo di aver superato altissime difficoltà, e usati i più forti raggiri) di conficcarlo in croce, egli si vide come abbandonato dal divino suo Padre, e senza alcuna difesa lasciato in preda al livore dei suoi arrabbiati nemici, come se veramente fossero sue quelle colpe, delle quali comparve vergognosamente ricoperto, e che la sola impercettibile sua carità gli pose in dosso.

Quindi si udì esclamare da quell'infame patibolo:Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Tu sei lontano dalla mia salvezza (Sal 21 (22), 2). Beati noi, se fisseremo gli sguardi su questo divino esemplare! Sia noto intanto, potersi da noi desiderare e chiedere con la dovuta dipendenza dai divini voleri, che Dio anche in terra ci liberi dalle oppressioni; ma il rigettar tali desideri, e bramare il rovescio per fare compagnia a Gesù nei suoi obbrobri e derelizioni, per amor della divina giustizia, e per meglio praticar l'odio santo contro di noi, e per servire al Signore soltanto con l'appoggio di una fede nuda, ma veramente robusta, di una speranza invitta, di una carità spogliata e disinteressatissima, è virtù assai maggiore e più meritoria, che piace infinitamente a Dio; però non si giunge senza una grande orazione, e fedelissima nostra cooperazione.


23. Sarà a noi di sommo vantaggio nel tempo del disprezzo impiegarci con tutto l'impegno del nostro cuore in benedire Dio, e in rendergli vivissime e sincerissime, grazie perché per sua carità ci destina e ci manda un'ombra di disprezzo nella presente vita, per risparmiarci il vero, eterno e unicamente terribile disprezzo dell'altra; e con ciò ci dispone nel tempo stesso alla vera umiltà, e conseguentemente alla vera santità, e ci somministra ottimi mezzi per fare acquisto d'immensi tesori per il Paradiso. E persuasi che noi soli non siamo valevoli a rendere a Dio un tale uffizio di gratitudine per un così grande bene dalla sua bontà riservatoci, invitiamo altri ad unirsi con noi per ringraziare più debitamente il Signore a tale effetto; ed imitiamo S. Elisabetta, regina di Ungheria, la quale balzata empiamente dal trono, e cacciata fuori dal palazzo e dalla corte, priva di tutti i beni, e divenuta in faccia di tutto il mondo oggetto di derisione e di scherno, in così estrema derelizione, pervenuta ad un monastero di religiosi, li impegnò ad intonare il Te Deum, in ringraziamento all'Altissimo dei suoi gravissimi vilipendi. Or chi ci impedisce di occuparci pur noi in così santo esercizio?
La gran Madre di Dio, i nove cori degli angeli, tutti i santi e sante dei Paradiso lo faranno volentieri e saranno tutti pronti a rendere a Dio questo ossequioso tributo di ringraziamento per noi, se noi lo vorremo e, con ferventi suppliche, ad essi lo chiederemo.


24. Inoltre ci sforzeremo di far del bene, per quanto possiamo, al prossimo che ci disprezza, ascrivendo a nostra buona sorte, se ci si presenta qualche congiuntura di beneficarlo e gratificarlo; e questa mancandoci, la si cerchi ansiosamente e con prontezza, per averci dato coi suoi disprezzi la bella fortuna di umiliarci, avendoci così insegnato Gesù Cristo colle parole e coi fatti, ed essendo dovere il pagare i chirurghi ed i medici, che ci tirano fuori dalle viscere i maligni umori atti a darci la morte, sebbene ciò non succeda, che con nostra pena, e a colpi di pungente lancetta. Per tal cagione guarderemo di buon occhio per l'avvenire i nostri disprezzatori, e ci costituiremo loro amici favorevoli e fino ad assumere nelle loro occorrenze l'ufficio di avvocati e protettoti, con un impegno assai maggiore per ogni loro vantaggio di quello che si facesse, se per un tal ministero ci fosse assegnato un esuberante stipendio e provvisione. E non ci ha dato di tutto questo un segnalatissimo esempio Gesù sulla croce, che arringò dinanzi al Padre per la causa disperata dei suoi crocifissori e nemici, per implorar loro perdono e salute? Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno (Lc 23,34). E alla premurosa difesa che egli prese per essi, congiunse lo spargimento di tutto il suo sangue, perché andasse bene la loro causa.

25. In special maniera però bisogna insistere, allorché siamo vilipesi, nella fervente orazione a Dio per i nostri medesimi disprezzatori, ricordevoli dei grande avviso dei Redentore: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori (Mt 5,44); il che si può praticare da tutti senza eccezione e a pro di tutti e in ogni tempo e in ogni luogo e con altissimo nostro profitto. Quindi è che ricevuta appena una qualche ingiuria e disprezzo, dopo esserci rivolti a Dio per implorare il suo aiuto, e per fargli un'offerta amorosa dei nostri travagli, sarà ottimo esercizio il distendersi subito molto nel porgere al buon Signore le più fervide e sincere suppliche a pro dei nostri persecutori e malevoli: e con un tal mezzo non ci verrà fatto di dar neppure un leggero sfogo al trasporto, che abbiamo inviscerato in noi, di risentirci e di vendicarci.

Anzi è da avvertire, che riuscendo a molti assai difficile, e forse talora quasi impossibile, la meditazione dei divini misteri e verità, quando si trovano punti e amareggiati da certi affronti ed umiliazioni che gli toccano sul vivo, faranno benissimo ancor qui a costituirsi in vista di Gesù supplicante in croce per i suoi crocifissori, e impiegare la loro orazione in pregare, con tutto l'ardore possibile, per chiunque è cagione della loro tribolazione, e porgendo nuove e replicate istanze al Signore, perché usi loro la sua più grande misericordia. Ad oggetto poi di rendere più efficace a vantaggio dei nostri avversari la nostra preghiera, sarà bene rinforzarla con allegare all'eterno Padre, a pro dei medesimi gli infiniti meriti, il valore del sangue di Gesù, e quanto egli ha fatto e patito per la salute dell'uomo, scorrendo anche per i misteri della sua santissima vita, passione e morte; ripigliando così, tratto tratto, nuovo spirito e nuova forza, con la mediazione ancora della Vergine Maria, per sempre più giovare a chi ci schernisce o seguita attualmente a schernirci.

Non può dirsi abbastanza quanto sia grata ed accetta al nostro pietosissimo Dio una tale orazione fatta di buon cuore tra gli urti e le ripugnanze più fiere della misera umanità, e quanto il Signore la ricompensi. Grazie a una tale orazione fatta dal santo Giobbe per coloro che lo avevano in varie guise disprezzato, Dio, fuori d'ogni aspettativa, lo liberò dalle sue gravissime ed estreme tribolazioni (Dio ristabilì Giobbe nello stato di prima, avendo egli pregato per i suoi amiciGb 42,10). E grazie ad analoga orazione rivestì subito di sì ammirabile fortezza e giocondità di spirito san Serafino cappuccino, che da lì innanzi, i disprezzi più non gli cagionarono pena alcuna, né gli sollevarono ripugnanze, le quali sopra modo aveva sofferto per molti anni fino a quel tempo.

Non v'è però dubbio, che noi altresì daremo gloria e gusto molto grande al Signore, se ci occuperemo in somigliante orazione, e trarremo sopra di noi mille e mille benedizioni. E se accadesse che Dio vinto dalle nostre replicate istanze salvasse taluno dei nostri disprezzatori il quale altrimenti si sarebbe dannato, o con soccorsi maggiori della sua grazia, dopo averlo innalzato qui sulla terra a maggior perfezione cristiana, lo sollevasse di poi nel regno sempiterno dei paradiso a più Alto grado di gloria (il che ben volentieri è disposta a fare la divina bontà, ed ha fatto più volte con altri) che gran bene sarebbe questo, e per essi, e per noi, e a Dio di quanta gloria!

Dunque applichiamoci con tutto lo spirito a così santo esercizio, e non cessiamo di orare dinanzi al Crocifisso per i nostri disprezzatori; e tanto più oriamo, quanto più sentiamo la pena dei disprezzo; e applichiamo di più per essi, messe, comunioni, atti di vera carità, e, in generale, il frutto, per quanto è possibile, di tutte le opere buone, che siamo per fare in più giornate e settimane ancora, a proporzione del bisogno; e quanto più vi provassimo ripugnanza, studiamoci in tali tempi e congiunture di accrescere anzi le nostre opere buone per meglio loro giovare: e le stesse pene che noi soffriamo, anche per cagione degli strapazzi da loro ricevuti, offriamole volentieri a Dio per essi, procurando per un tal riguardo, che sia maggiore la nostra pazienza e virtù. Grandi acquisti ancora di meriti ci faremo presso il Signore, se a tutto questo unissimo per alcun tempo qualche penitenza corporale, sì per impetrare ai nostri offensori il perdono di colpe da loro commesse in oltraggiarci, sì per soddisfare per essi alla divina Giustizia anticipatamente per le pene meritate dai medesimi, con i loro insulti ed affronti a noi fatti, su esempio del santo re Davide: ciò appunto egli praticava amorosamente per i suoi persecutori, come osservano i sacri interpreti, ove egli disse:quand'erano malati, vestivo di sacco, mi affliggevo col digiuno (Sal 55 (54),13).

Similmente, qualora per altri loro trascorsi i nostri avversari fossero rei dinanzi a Dio, con sante industrie o da per noi medesimi, se possiamo, o per mezzo d'altri, adoperiamoci, affinché escano da un sì infelice stato. Che se taluno dei nostri disprezzatori fosse già morto, operiamo le sopraddette cose per alleggerire ed abbreviar loro il purgatorio. Cose tutte, che fanno anche al presente i grandi amici di Dio, quelli che amano perfettamente per amor suo il loro prossimo.
Queste sono le vere vendette cristiane, e sono validissimi mezzi per inserire nei nostri cuori il sincero amore al proprio disprezzo. E questo è un bell'imitare Gesù, che, come si è detto, disprezzato infinitamente in croce, pregava, e moriva volentierissimo per salvare i suoi medesimi disprezzatori e crocifissori. Gesù ci infonda uno spirito sì santo e sì divino.


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