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San Filippo Neri Dell'amore al proprio disprezzo

Ultimo Aggiornamento: 03/05/2015 00:18
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03/05/2015 00:03




ARTICOLO VI (II parte)

Dichiarazione dei mezzi più atti ad ottener l'amore al proprio disprezzo.

26. Per meglio riuscire nei predetti, e simili atti di virtù, ci servirà di un grande aiuto il fare a Dio benedetto una solenne offerta del nostro onore, da replicarsi frequentemente da noi, massime in occasione di disprezzi. Perciò dinanzi alla divina Maestà ci spoglieremo completamente della propria reputazione, e d'ogni particolar pretensione d'onore, rilasciando questo liberamente e interamente nelle mani di Dio, affinché ne disponga, senza nessuna riserva, come gli aggrada, facendolo per parte nostra assoluto padrone di ridurlo anche al niente, se pur gli piace, purché ci somministri le forze opportune. Molti santi si animavano a spargere per Gesù il sangue, mossi da uno spirito di ben giusta corrispondenza, e restituzione di sangue per sangue: il mio sangue a Gesù per quel sangue che egli ha versato per me. In simil guisa noi ci animeremo al proposto sacrificio: onore per onore; vada pure il mio onore per una ben dovuta corrispondenza all'onore, che Gesù ha sacrificato per me, singolarmente sulla croce. Ma che differenza tra onore ed onore! Gesù ha dato per me il suo onore d'infinito pregio e valore, ed io gli rendo un onore che nulla vale, e non merita nessuna considerazione.
Eppure Gesù si contenta. E non resterò contento ancor io? E che gran fatto sarà, se avendo in faccia di tutto il mondo, Gesù perduto il suo onore infinitamente prezioso per mia cagione, io perda il mio così tenue e di un niun momento per cagion sua? S'insista e si prema pure, che non venga meno il nostro onore per colpe proprie o per mala edificazione che noi dessimo al prossimo, o per occasioni che noi gli somministrassimo male a proposito d'amarezza e disturbo, dal che Dio ci guardi; del rimanente, quando dovessimo condurci a perdere l'onore e la reputazione in virtù d'una risegna e d'un rilascio da noi fatto al nostro Padre celeste, e per rendere ossequio alla sua infinita grandezza e sovranità, in spirito di riparazione, e per imitar e l'esinanito suo Figlio tanto disonorato per noi, non c'è certamente alcun vero male, né il minimo pregiudizio sostanziale; anzi, c'è un tesoro nascosto, e una sorgente di beni che non hanno prezzo. Questo atto di offerta e di sacrificio del nostro onore riuscirà anche più grato a Dio se l'indirizzeremo al vantaggio dei nostri stessi disprezzatori, pronti a patire noi nell'onore, perché si accresca il loro, ed esser noi gettati a terra, perché quelli sul nostro maggiore abbassamento si innalzino.

27. Se venendo disprezzi sopra di noi, ci affligge il danno che quindi risulta alla gloria di Dio e ai nostri stessi oltraggiatori, e ci addolora l'offesa fatta al Signore da chi se la prende contro di noi, è necessario ben regolare una tale tristezza, per non restare illusi dall'amor proprio e dalla superbia, che sono ambedue nostri nemici molto sottili, e si fanno molto ben mascherare, e ai meno cauti comparire anche in sembiante di virtù. Primieramente non dobbiamo esser facili a credere colpa in coloro dai quali siamo vilipesi, onde, per quanto si può, conviene scusarli, o per l'ignoranza e per l'inavvertenza, o per un primo moto, o per la buona intenzione, quasi che con ciò abbiano per fine di correggerci, e di umiliare il nostro orgoglio: il che milita singolarmente riguardo ai nostri superiori. In appresso si rifletta se lo stesso senso di dolore noi proveremmo per le sopraddette ragioni nel caso che gli stessi disprezzi cadessero non sopra di noi, ma sopra altre persone. Se no, segno è, allora, che un tal dolore non nasce, almeno principalmente, dalla perdita della gloria di Dio e dell'anima loro, né dalle offese fatte al Signore per tal disprezzo, ma bensì dalla nostra superbia e amor proprio; onde in tal caso bisogna alleggerire la pena con l'umiltà e con l'amore al disprezzo. Se sì: allora conviene ben distinguere nei nostri vilipendi, due cose molto diverse; cioè quel che offende precisamente la nostra persona, e quel che offende Dio, la sua gloria, e l'anima del nostro prossimo; e amare la prima cosa, che tocca noi, come oggetto degno di amore: giacché si deve amare il proprio disprezzo, e dolerci del rimanente, perché il suo oggetto lo merita. Con una tal pratica ci renderemo molto conformi a Gesù confitto in croce, che amava nello stesso tempo l'estremo suo avvilimento, e si doleva degli enormi eccessi che si commettevano dai suoi implacabili disprezzatori, e del loro sterminio.
Di più si deve riflettere, per quel che concerne il danno della divina gloria, che, in tali casi, la gloria che il Signore principalmente vuol ricavare da noi, è la distruzione della nostra superbia per mezzo dei tali e tali affronti ed avvilimenti, che ben accettati da noi servono a meraviglia per renderci perfettamente umili: il che appunto Dio pretende come un'opera di sommo rilievo; al resto, egli stesso ci penserà infinitamente meglio di noi. Per quello poi che riguarda il danno spirituale dei nostri prossimi, se veramente ci angustia, perché non adoperarsi in tali casi con tutto l'ardore e l'impegno a impetrare loro da Dio misericordia, come poc'anzi si è detto?
Con più forte ragione si deve ciò fare, se nei vilipendi ci travaglia il danno temporale dei nostri attenenti e dei nostri interessi, e vi siano altri simili oggetti. In tali casi sempre si tenga forte l'amare il disprezzo in se medesimo, in quanto umilia e punisce la nostra superbia. Al resto, se onestamente si può, si procuri il rimedio: se non si può, pazienza ci vuole, orazione, confidenza in Dio e umile sottomissione ai divini voleri.

28. Succedendo che, alle occasioni del disprezzo, come deboli veniamo a mancare, bisogna guardarsi da due scogli: l'uno di ostinarci nella superbia e nell'orgoglio, che ci hanno fatto deviare; l'altro dalla pusillanimità e abbattimento di spirito e di coraggio, onde potrebbe accadere che, sbigottiti e perduto il vigore e la speranza, tralasciassimo l'impresa di procurare l'amore del disprezzo. Al contrario, non appena ci accorgessimo di avere errato, dobbiamo, più presto che ci sarà possibile, umiliarci profondamente dinanzi a Dio risvegliar subito una interna vivissima detestazione; specialmente se la colpa sarà stata notabile, con far ritorno prontamente agli atti della sincerissima umiltà, cavando dalle stesse nostre cadute nuovi e vigorosi motivi di avvilirci e disprezzarci sempre più come superbi, incostanti, infedeli, di nessun bene capaci, con implorare da Dio, e dagli uomini ancora occorrendo, perdono e compatimento, offrendoci pronti per questo capo ad esser nuovamente umiliati e puniti; e intanto ricever volentieri correzioni, mortificazioni, censure, rimbrotti e castighi: sarebbe ancora utile, sia per cancellare il mal fatto in tali cadute, sia per freno nell'avvenire, usare sull'esempio dei santi, ogni volta che si mancasse, qualche penitenza corporale: con che verremo a trarre medicina dallo stesso veleno. D'altra parte, per non cadere in diffidenze e non perdersi d'animo in modo nocivo allo spirito, riaccenderemo in noi la speranza in Dio, ed il coraggio; e abbandonati nel seno della divina misericordia, ripiglieremo con nuovo spirito l'esercizio dell'amore al disprezzo, solleciti di riparare le perdite con nuovi acquisti.
E qui si avverta, che in somiglianti cadute, per ravvivare l'umiltà, giova moltissimo considerare, come esortava S. Filippo Neri, che se fossimo stati veri umili, non saremmo caduti, e il credere che se Dio in qualche maniera non porgeva la sua mano per sostenerci all'urto della tentazione, avremmo fatto peggio senza comparazione: del che renderemo al Signore grazie ben distinte. Al contrario, se all'urto di qualche disprezzo siamo stati saldi e costanti nell'esercizio della santa umiltà, è sommamente necessario guardarci dal non concepire nessuna stima di noi medesimi e la minima vana compiacenza: e bisogna anzi attribuire tutto il felice successo alla divina misericordia, e rendergliene perciò affettuosissime grazie.

29. Ad oggetto di meglio premunirci per le occasioni che ci sovrastano del disprezzo, sarà bene fare, in tempo di quiete, un ottimo uso delle passate. A tal fine gioverà assai stabilirsi la regola nel seguente modo: scordarsi del bene che noi abbiamo già fatto al prossimo per l'addietro, oppure attenuarlo in guisa, con attribuirlo per quanto si può ad altri, e tutto riferirlo a Dio, in maniera che mai non se ne pretenda riconoscimento e corrispondenza. Parimente scordarsi del male da noi ricevuto dal prossimo, e se lo crediamo più utile per noi, massime con l'indirizzo di chi ci guida, rammentarcelo, ma sminuendolo moltissimo rispetto a ciò che ci meritiamo, in rapporto al quale doveva esser molto maggiore; e frattanto esercitare con una tal rimembranza interni atti d'accettazione amorosa dello stesso male, riconoscendolo, con umile sommissione, come mandatoci non dal prossimo, ma da Dio.
I quali atti, che sogliono subito esercitare tante anime buone, noi forse né subito, né dopo non abbiamo mai fino a qui esercitato in più occasioni di umiliazioni e disprezzi ricevuti. Tuttavia, potremo supplire a quella mancanza di virtù, che non avemmo, e non praticammo nei passati vilipendi, e ci addestreremo a comportarci meglio nelle future occasioni. Al contrario, non bisogna mai scordarsi del bene che abbiamo ricevuto dal prossimo, né del male che gli abbiamo recato; anzi conviene rammentarci spesso dell'uno e dell'altro, e, se sia possibile, e l'uno e l'altro ingrandire; il primo per umiliarci, riconoscendolo come ricevuto da noi senza merito, e per farcene debitori ed esserne grati; e il secondo per avvilirci sempre più, confessandoci rei, e quindi traendo motivo di risarcire il mal fatto con benefici ed ossequi, a quei medesimi che abbiamo già offesi, e render loro pienissima soddisfazione.
Frattanto, se per il passato sappiamo d'aver fatto dei torti, e cagionati dei disgusti al prossimo, di ciò ci serviremo per un nuovo stimolo a ricevere con amore i disprezzi da loro, in penitenza di tali nostri errori.

30. Importa assai per avanzarci nell'amor del disprezzo il fare un ottimo uso dei piccoli vilipendi, che molto di frequente sogliono accadere nel vivere umano, che per lo più si trascurano; e intanto si lasciano scorrere in vano tante piccole sì, ma sommamente utili congiunture, di accrescere il buon abito, e l'assuefazione di amare e di gradire il disprezzo. Eppure, l'attender solo alle parole di Gesù, che chi sarà fedele nel poco lo sarà anche nel molto, dovrebbe esserci di sprono acutissimo per avvalerci dei minuti disprezzi con nostro inesplicabile vantaggio. Oltretutto, ci deve stare grandemente a cuore questo esercizio circa i piccoli disprezzi, perché essendo per molti i grandi disprezzi assai rari o straordinari, e assai frequenti e ordinari i leggeri, se l'uomo trascura questi, come sarà egli capace di avanzarsi nell'amore del proprio vilipendio? Come formarne un buon abito, e la tanto desiderabile soddisfazione? Come poter bene addomesticarsi poco a poco ad un oggetto, cui oltre ogni credere la natura ripugna, cioè a dire, al disprezzo medesimo? Qui perciò bisogna usare tutta l'attenzione e vigilanza di star bene in guardia, per avvalerci con virtù costante di tutti i contrattempi e occasioni, in cui si presenti un disprezzo, affinché neppure uno ce ne sfugga, e noi rimaniamo privi di un profitto e guadagno in questa cosa importantissima. E recandoci per lo più, e forse quasi sempre, tali occasioni di disprezzi tenui e di poco momento, questi afferriamo con risolutezza di spirito: con che altresì scanseremo il pericolo di esser vinti dalla superbia, come purtroppo frequentemente avviene, per frivolissime cagioni e leggerissimi motivi.

31. Staremo bene attenti a far buon uso ancora dei disprezzi, che direttamente cadono sulle persone a noi in qualche maniera legate, e sulle nostre comunità, per considerarli e farli come nostri, non solo perché sono questi pure da noi meritati, ma ancora per il rapporto e l'unione che abbiamo con essi, accettando volentieri d'entrare a parte delle loro reprimende, e di essere umiliati e disprezzati con essi. Perciò sarà anche bene persuadersi, secondo il costume dei veri umili, che tali persone e comunità a noi spettanti, e da noi molto amate, soffrono forse, o senza forse, innocentemente per parte loro e sono travagliate per la sola congiunzione che hanno con noi, e che il merito nostro del disprezzo è così vasto ed ampio, fino a ridondare e straboccare in esse, come cose nostre, per una certa esuberanza ed eccesso, consapevoli che le conseguenze dei nostri peccati ricadono anche sul nostro prossimo.

32. Per conseguire l'amore al disprezzo è di somma efficacia il continuato esercizio della santa compunzione e penitenza, soprattutto interiore, perché questa, ove sia sincera, umilia e abbassa lo spirito in gran maniera e sensibilmente gli getta in faccia il suo gran demerito, originato dai suoi brutti trascorsi. Perciò chi è consapevole a se medesimo di avere offeso la maestà di Dio mortalmente, e perciò meritato l'inferno, porti pure sempre seco la rimembranza funesta dei suoi eccessi, a somiglianza di quel santo re penitente, che si protestava: il mio peccato mi sta sempre dinanzi (Sal 51 (50),5).

53. Consideri questo tale non di passaggio, né alla sfuggita, ma di proposito, ma profondamente, che chi ha perduto, peccando, il rispetto a Dio (il che senza dubbio è successo a tutti in rapporto alla colpa d'origine) ha in conseguenza perduto sostanzialmente e per sempre il diritto al proprio onore, ed ha meritato un sempiterno obbrobrio ed ignominia, avendo Dio medesimo pronunziato: chi mi disprezzerà sarà oggetto di disprezzo(1 Sam 2,30). E nonostante l'uomo speri d'aver delle sue colpe, dalla divina misericordia, ottenuto il perdono, mediante la sincera sua penitenza, deve però sempre tenere davanti agli occhi, finché vive in terra, l'abominevole suo demerito; e perché se egli è certo di esser rimasto, peccando, disonorato ed infame, non è ugualmente certo, senza una speciale divina rivelazione, che gli siano state cancellate le colpe, e abolita la sua ignominia; e perché i peccati ed il merito del disprezzo risultante da essi, è veramente nostro e tutto nostro, ma il perdono, ma la giustificazione, ma il recupero della divina figliolanza ed amicizia di Dio, è procedente da un dono gratuito e liberale della sua infinita misericordia, e da noi non meritato. Dal che ne segue che i santi, benché talvolta sicuri della remissione dei loro peccati, si sono sempre stimati immeritevoli degli onori e degni solo di obbrobri. Diceva s. Paolo: io infatti sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono (1 Cor 15, 9-10). Or ciascuno deve giudicare di sè per quel che ha di proprio, non per l'altrui. Pianga dunque, e sempre pianga, e si umili fino al profondo e ami il disprezzo a se sì giustamente dovuto, chiunque è consapevole a sé medesimo di aver gravemente peccato; e si ricreda e si riprenda severamente, se gravi gli sono sembrati fin qui i leggerissimi e momentanei vilipendi della vita presente, datigli dalla divina bontà in contraccambio delle ignominiose pene eterne infernali. Chi poi non conosce di aver giammai offeso Dio gravemente, pianga e si umili per le innumerabili sue colpe veniali, e ingratitudini verso Dio, per le quali quanto a sé ha meritato la sottrazione della grazia preservante dalle colpe mortali, che producono la dannazione sempiterna. E se Dio non ha permesso questo per sua infinita misericordia, piuttosto che lagnarsi dei vilipendi presenti a lui pur dovuti, si lamenti sovente della sua mostruosa ingratitudine e irriconoscenza al suo divino liberatore, e non cessi di benedirlo quando ancor lo batte e l'umilia.

34. Di sommo profitto sarà questo studio e negozio, abituarsi a far bene le parti in tutti gli atti, occasioni e successi, e dare a ciascuno il suo giusto e restituire al suo principio quel che è da lui derivato. Quindi essendo ogni bene sgorgato da Dio, come da vera ed unica sorgente, tutto l'onore, la compiacenza e la gloria a lui si appartiene: al Re dei secoli incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli (1 Tim 1,17)
A lui dunque si renda, se qualche sorta di bene si trova in noi e nelle nostre azioni: e per noi ci resti la confusione e il disprezzo, in corrispondenza di un cumulo, che non può intendersi, di difetti, mancanze, imperfezioni e miserie, che Dio ravvisa nel nostro essere ed operare, procedenti dalla nostra impotenza, fiacchezza, vanità, inclinazione ad ogni male e dal nostro nulla; Il che ridotto di continuo in pratica, ne seguirà che a poco a poco, ci troveremo vuoti e spogliati dei proprio onore, e ci addomesticheremo con la confusione e disprezzo, riconosciuto per cosa propria nostra e nostro capitale e retaggio: e per qualunque parte ci venga, l'abbracceremo volentieri, col divino aiuto, e l'inviscereremo con noi, servendocene come di cibo molto buono, e confacente al nostro merito e condizione.

35. Grazie ad un tale distacco e alienazione dal proprio onore, ci si renderà molto facile il non cercare, né curar altro, che il solo onore di Dio, e in tutte le cose andare soltanto in traccia di Dio. Se ciò accade; come è da sperarsi dalla divina Bontà, godremo di un nuovo poderosissimo aiuto per amare il disprezzo; perché a misura che l'uomo si accosta a Dio, più si allontana da sé, e quanto più si unisce con il sommo Bene, più l'amor proprio si stanca e vien meno, ed in suo luogo subentra la disistima, la non curanza, la negligenza e l'odio santo di se medesimo, che ci impegna all'amore del disprezzo.

36. Per il medesimo fine di fare acquisto dell'amore al disprezzo, servirà di fortissimo aiuto il frequente esercizio della divina presenza, e lo starsene più che si può in vista dell'infinita grandezza e della gloriosa Maestà di Dio. Non si intende mai meglio la natura e la qualità di due estremi e contrari, che con porre l'uno in faccia all'altro. Quindi tenendosi, stabilmente una misera creatura, quale è l'uomo, in vista e in faccia al divino Creatore, infinitamente grande e possente, si discopre all'uomo al riflesso di quell'infinita Maestà, la sua incomprensibile piccolezza, la sua miseria, il suo nulla; dal che anche scaturisce l'amore al disprezzo. Per tal mezzo appunto giunse la SS. Vergine Maria, conforme la dottrina di S. Bernardino da Siena, ad internarsi più di qualunque altra pura creatura nel conoscimento del proprio nulla, che fu, la base della sua ineffabile umiltà e dell'amore al proprio disprezzo: Affuit ei aspectus sue propriae nihilitatis, eo quod continuo habebat actualem relationem ad Divinam Maiestatem (Le fu presente la visione della sua propria nullità, per il fatto che si relazionava continuamente alla Maestà divina; Tom. 2, Serm. 51, art. 5. Cap. 2). Or qual dubbio c'è, che un cristiano che ricopiasse fedelmente in se stesso sì bella pratica della regina Maria, non fosse molto per partecipare il frutto, che ella ne riportò, del conoscimento e del disprezzo di se medesima, come di un vero niente? Nello stesso modo si tenga il cristiano con una vivissima fede dinanzi a Dio infinito, e incomprensibile nella purità, nella bontà, nella santità, in ogni perfezione, e si ravviserà a lume sì penetrante, ricoperto tutto di brutte macchie e deformità prodotte in lui dalle innumerabili sue debolezze, mancanze e peccati; e quindi non potrà fare a meno di non arrossire, di non vilipendersi e di non concepire amore al proprio disprezzo.

37. Similmente, sarà di aiuto il ricordarsi sovente, che tra breve tempo saremo chiamati ad un rigorosissimo rendimento di conti di tutta a nostra vita. E chi sarà il nostro giudice, da cui dipenderà l'esito della nostra sorte, o eternamente felice in cielo, o eternamente misera nell'inferno? Dio medesimo che, assunta l'umana carne, fu in terra l'uomo più disprezzato del mondo, e propriamente il bersaglio ed il centro, ove andarono a colare tutte le ignominie e i disprezzi. Or con qual fronte potremo noi comparire dinanzi a questo gran giudice, se saremo vissuti delicati in materia di proprio onore, puntigliosi, permalosi, risentiti e, anziché amanti, giurati nemici del proprio disprezzo? Ad un giudice, il quale senza alcun proprio merito e colpa, anzi con un'infinita santità, amò e si espose a tutti i disprezzi, unicamente per nostro amore e per nostra istruzione, che potremo risponder noi, che degnissimi d'ogni vilipendio per i nostri peccati, ricusammo di soffrire il disprezzo per suo amore ed imitazione? Oh Dio, qual confusione allora, qual crepacuore! Dall'altra parte, qual fiducia e qual consolazione sarà per chi dovrà comparire dinnanzi a Cristo giudice, dopo avere in sua vita mortale amato il disprezzo! Si presenterà egli a Gesù in qualità di simile con simile: simile già al suo Signore disprezzato, per dover essere eternamente simile a Gesù glorificato. Risuoneranno, si può ben credere, alle sue orecchie quelle dolci parole proferite dal Redentore: voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato per me (Lc 22, 28-29). Beato chi si internerà in questi e simili pensieri, e saprà servirsene.

38. Chi veramente ama fare gran profitto nell'amore del disprezzo, non sfugge mai il disprezzo medesimo e le occasioni di soffrirlo, senza motivi ragionevolissimi; e si guarda singolarmente di non tralasciare le opere di Dio, e le sante azioni della sua vocazione e professione, per timore e prevedimento di vilipendio. Il Signore ci guardi dall'imitare il profeta Giona a cui Dio comandò di predicare nella città di Ninive: ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta (Gion 3,4); ed egli per paura di non comparire un profeta, o predicatore bugiardo, ben sapendo che l'Altissimo per la sua infinita bontà, è pronto a revocare la sentenza, qualora il peccatore si pente; e, conseguentemente, temendo di perdere la reputazione, non volle obbedirgli, onde per castigo fu precipitato nel mare, e inghiottito dalla balena. Ahimè, cristiani, e non sarebbe questo un preferire il proprio onore all'onore d i Dio? Più amare se stessi dell'infinito bene? Ricordiamoci che chi mette innanzi e sopra di Dio qualunque bene creato, non è degno di Dio, è perduto, e riprovato, sa non ripari al disordine, e non giunga anche a disprezzar se medesimo con tutti i suoi vani puntigli, quando il Signore lo richiede. Noi però non aspetteremo un rigoroso divino comandamento per vilipendere il nostro onore. Sarebbe questo un amor troppo scarso per un'infinita bontà. Anche un cenno, un impulso, un consiglio, un'ispirazione del buon Gesù ha da avere tal forza in noi da impegnarci a passar sopra a tutti i punti della nostra reputazione, e a qualunque discapito, o vero, o apparente che sia, della nostra stima, quando si tratta di dar piacere e gloria al Signore.

A terra dunque tutti i maledetti rispetti umani, per cui si tralasciano tante belle azioni di virtù, con sì grave torto al nostro Dio; e dica pure il mondo ciò che gli piace, ci motteggi, ci derida, ci reputi forsennati ed illusi: operiamo con vigore quel che il Padre celeste da noi gradisce, vadane ciò che si vuole. Che se ci arriva il temuto disprezzo per aver noi santamente operato, e ce lo sentiamo piombare sul capo, non ci attristiamo per questo, non ci lagniamo, non montiamo in collera, e non imitiamo ancor qui il predetto profeta Giona. Vedendo egli, dopo aver predicato ai Niniviti il loro totale sterminio in capo a quaranta giorni, che Dio, intenerito dalla fervorosa lor penitenza, s'era placato; e perciò sovrastandogli forse la taccia di falso, e visionario profeta, si rattristò a tal eccesso, che giunse per lo soverchio cordoglio a bramarsi la morte, per non aver cuore di soffrire quell'obbrobrio.

Ah! Non sia così quanto a noi, ma se incontriamo, per causa di Dio qualche vilipendio, accettiamolo ben volentieri, e rivestendoci anzi di un forte coraggio, esponiamoci alle virtuose imprese con più lena e vigore, a somiglianza di Gesù Cristo, il quale appressandosi a Gerusalemme, che tra pochi giorni doveva essere il gran teatro dei suoi maggiori disonori e obbrobri, accelerava il passo, e, pieno di alacrità, si portava verso la meta, restandogli alquanto indietro i suoi discepoli.

Chi dunque non scansa i vilipendi, ma anzi si tiene sempre pronto, e si offre a riceverli; e chi concupisce e fomenta in se stesso una spiritual fame e sete dei disprezzi, fino a desiderarli con ardove, fino ad incontrarli con avidità, fino ad andarne sollecito in traccia, e fino a sforzarsi di esultare e gioire quando gli si scaricano addosso, come si legge degli Apostoli: se ne andarono dal sinedrio, lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù (At 5,41): questi è un degno imitatore di Gesù, e cammina a gran passi verso la perfezione dell'amore al proprio vilipendio e della santa umiltà.

Ma chi si trova mancante di questo spirito, lo chieda al Signore lo sospiri, e faccia quanto può per procurarne con tutto lo studio possibile l'acquisto: tenendo per certo che piacerà molto al Signore, con la pratica di questo mezzo, andare in cerca dei disprezzi: il che deve farsi, salve sempre le regole della cristiana prudenza, allorché sia sempre senza commettervi la ben che minima nostra colpa, e senza apparenza della medesima, e senza scandalo dei deboli ed imperfetti, e senza dare, da parte nostra, occasione a nessuno di offendere Dio. La qual cosa deve sempre aversi in mira, qualora trattasi di disprezzo.


39. A tenore di ciò è molto da procurare, quando alcuno si porta in qualche luogo, o intraprende affari, e operazioni, o tratta con altri, e generalmente in qualunque stia occorrenza, di portarvisi sempre e comparirvi con l'amore attuale, e preparazione al disprezzo, dovendosi di continuo rammentare che il merito del disprezzo è inviscerato, e come intrinsecato con lui, e dovunque si incammina, viene sempre con esso, senza mai lasciarlo. Appunto come succede ad un rognoso, che ovunque si porta, seco strascina la propria rogna. Quindi conviene sempre, in qualunque evento, aspettarselo come propria nostra appartenenza, e tenersi sempre bene in ordine per fargli la dovuta accoglienza.

40. Non mancano le occasioni di godere del bene del disprezza a chi si sa prevalere in suo gran pro di tutto quello che accade contro il proprio parere e volontà, poiché sono frequentissime le circostanze, in cui altri non vanno a seconda del nostro giudizio, volere e desiderio, anzi lo frastornano e lo gettano a terra. Quasi poi di continuo succede, secondo l'ordine della divina provvidenza, che qualche cosa piuttosto è molto lungi dal conformarsi al nostro genio ed inclinazione, e la nostra natura vi ripugna anche direttamente. Or il ridurre tutto ciò a materia di disprezzo, su cui praticamente distendere, ed impiegarvi il nostro amore, è un ottimo esercizio, nel quale potremo incessantemente occuparci; stentandosi a trovare un uomo, cui tutto avvenga conforme pensa e desidera.

Dunque in tali casi rientrando subito in noi stessi, quando sentiamo la pena di qualche contraddizione al proprio umore, diciamo risolutamente: È per verità manifesta, che io sono disprezzabile! Io merito pur l'abiezione e il vilipendio per mille e mille titoli! Che conto dunque ha da farsi del mio parere, della mia volontà, del mio gusto, in quanto è mio? Nessuno certamente, nessuno; e se qualche conto se ne deve fare, questo ha da essere per ribatterlo, per contrariarlo, per conculcarlo e distruggerlo, come del tutto indegno di comparire alla luce, o come un rampollo d'avvelenata sorgente, e frutto di pessima radice che in sé racchiude l'infezione del suo principio. Con tale spirito ci sforzeremo di accettare, di abbracciare, di gradire, di apprezzare grandemente tutto quello che si oppone al nostro proprio sentimento e volere, col vantaggio di aver ritrovato il segreto di esercitare spesso in pratica l'amore al disprezzo, oltre il bene di dar morte alla propria volontà e giudizio, il qual bene è valutato assai nella vita spirituale.

41. Se avvenisse, il che per altro è caso molto raro, che mancassero occasioni di godere del bene del disprezzo, bisogna allora entrare in una certa confusione, e in un santo timore (che però non inquieti, e non metta in turbolenza lo spirito) perché conoscendo uno di avere il merito per ogni disprezzo, è maggior male per lui il non incontrarne nella presente vita, che l'averne nell'altra, restando debitore di quel più alla divina Giustizia. Conviene pertanto in tali congiunture supplire alla mancanza degli esterni disprezzi con sincerissimi atti d'interno avvilimento dinanzi a Dio, umiliandoci senza fine per il fatto stesso di non aver vilipendi, a fronte di tutto il merito di conseguirgli e reputandoci indegni di pagare con poca spesa nel presente tempo i nostri grossissimi debiti. Una confusione molto più si deve eccitare in noi, allorché non solo non ci troviamo tra i disprezzi, ma siamo nelle prosperità, onori e grandezze, e nelle consolazioni. Oh! Quanto in tali casi per evitare qualche caduta, e se non altro un grave raffreddamento di spirito, è necessario supplire con una profondissima umiliazione e annichilamento interiore, ed eseguire fedelmente l'avviso dello Spirito Santo: quanto più sei grande, tanto più umiliati (Sir 3.20).



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