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San Filippo Neri Dell'amore al proprio disprezzo

Ultimo Aggiornamento: 03/05/2015 00:18
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03/05/2015 00:09




ARTICOLO VII

Riduzione dei predetti mezzi a tre principali, nei quali tutti gli altri si contengono, e si propone l'uso pratico ed utilissimo dei medesimi.

Per facilitare la pratica di tutti i sopra descritti mezzi, importantissimi per il fine preteso di indurci ad amare il proprio disprezzo, si è giudicato bene di farne un compendio e di ridurli a tre soli capi, i quali in qualche maniera li comprendono tutti, e che porteremo sempreimpressi nella mente e nel cuore, e alla mano come nostra armatura, per poter sempre agire e sempre combattere.

1. Orazione ben fervida, umile, devota, indefessa, per implorare un tale amore dei proprio disprezzo da chi solo pub darcelo, cioè da Dio.

2. Persuasione ben forte e ben radicata, e vivissima cognizione, che veramente noi meritiamo il disprezzo, donde deve scaturire tutto l'amore al medesimo.

3. Impegnatissima ed incessante applicazione all'uso dei mezzi particolari sopra espressi, ed alla pratica di un tal amore, giusta le varie occasioni che ci si presentano.

È certo l'acquisto di sì gran dono per chiunque adopera come conviene sì fatti mezzi, e a proporzione e misura che gli adopera; perché ce ne garantiscono le infallibili promesse di Dio.
Ma ci stia ben a cuore, che non passi giorno, e se sia possibile, ora alcuna, in cui non si faccia uso con nuova lena e vigore di questi mezzi: non ti sfugga alcuna parte di un buon desiderio, ci avvisa lo Spirito Santo (Sir 14,14). Troppo ripugna all'umana natura, stranamente sconcertata e infiacchita per il peccato dei nostri primi padri, l'amore al proprio disprezzo, e troppo, al contrario, è inviscerato nell'uomo l'amore alla propria stima, ereditato dall'infelice Adamo. Quindi se ciascun dì, e più volte al giorno, non se ne ribattono i colpi con tutta la veemenza e la forza, non cadrà mai estinta l'umana superbia: e se non si producono di continuo e con nuovo impegno ed ardore atti di amore al proprio disprezzo, non si formerà mai nei nostri cuori un abito vigoroso e costante di sì difficile virtù, che sia atto a sostenere con felice successo gli urti, soprattutto quelli improvvisi, delle ingiurie e dei vilipendi. Dunque si rinnovi perciò di sovente l'orazione, e con istanze vibrate al cielo, con infiammati sospiri e con profonda umiltà e con vivissima confidenza, facciamo forza a Dio, perché alla fine ci consoli, se non altro per l'importunità santa nel pregare, come si legge nel Vangelo.

Rammentiamoci di quel memorabile avviso di Cristo sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi (Lc 18,1). Questo amore al proprio disprezzo è un altissimo dono di Dio, che non si ottiene, per ordinario, senza un intreccio e una catena di mille e mille nuove grazie attuali, e in conseguenza senza un'indefessa perseveranza nella orazione.
Si abbia continuamente dinanzi agli occhi il merito, che in noi si trova di essere disprezzati, e a tale oggetto non ci esca mai dalla mente la viltà dei nostro nulla, e la condizione nera, odiosa e vergognosissima di peccatori, che è nostra propria. Quindi sempre si rifletta, che non solo non meritiamo il bene, di cui siamo privi, e che pur bramiamo, e che altri godono sotto i nostri occhi, i quali ci compariscono talora più imperfetti di noi; ma neanche meritiamo qualunque bene, che Dio misericordiosamente ci assegna, per piccolo che questo sia.

E ugualmente non solo meritiamo il male che attualmente ci affligge e si teme, ma infiniti altri mali di più, e senza paragone peggiori, per la misericordia di Dio, non soffriamo. E perché la riflessione si renda più vigorosa e più forte, si applichi il sopraddetto nostro merito a mille e mille beni e mali in particolare, tra i quali si aggira la nostra vita mortale, e potremo prender da ciò motivo di stare utilmente occupati per giorni, mesi ed anni interi in questo santo esercizio, con replicare in faccia a qualunque bene o posseduto, o bramato, o a noi concesso, o negato da Dio: io non lo merito: mi anca il merito di conseguirlo e goderne: e in faccia a qualunque male, o che ci tormenta di fatto o che si teme, o che ci potrebbe avvenire, si dica: io ho tutto il merito di soggiacere a un tal male, e a peggio ancora senza comparazione. A misura che un tal conoscimento sarà vivo e attuato in noi, ci,sarà facile l'amore al disprezzo; e molto più se vi si aggiunge la vista dell'innocentissimo nostro Gesù carico di vituperi e di obbrobri, e la vista e la presenza dell'altissimo Dio, della sua infinita grandezza e santità, dinanzi a cui scompare del tutto la creatura, ed ogni benché tenuissima macchia di colpa si rende infinitamente odiosa.
Siano frequentissimi gli atti dell'amore al disprezzo. Se accade che ci troviamo nell'attual vilipendio e umiliazione, l'oggetto almeno principale di simili atti sia il disprezzo presente e vicino che ci travaglia, di qualunque sorta sia, o piccolo, o mediocre, o molto pesante; e questo si ami, si accetti, si gradisca, si invisceri totalmente nel più intimo dei nostro spirito; e però anche se ne lodi e benedica in molte guise e spesso il Signore, dalle cui mani si parte ed è vibrato sovra di noi: e un tale ardentissimo nostro amore si dilati e si distenda sui nostri disprezzatori, non tralasciando d'impegnarci in loro favore in tutte le maniere possibili, in tutte le occasioni che avvenissero: e non avvenendone, si cerchino e si procurino; né si lasci mai di presentarli dinanzi a Dio con ferventi suppliche nell'orazione.

Se non siamo disprezzati, riflettiamo, che se ci manca il vilipendio, non ce ne manca però il merito (come tante volte in questi fogli si è mostrato evidentemente) che è cosa assai peggiore del disprezzo medesimo, e ciò a noi serva di confusione, di umiliazione profonda, e di totale interno annichilamento, a fronte massimamente di Gesù e di Maria sì ingiustamente e in sommo grado disprezzati dagli uomini; e in vista ancora di tanti servi di Dio, di santa vita e d'illibata coscienza, che nel mondo d'intorno, e non pochi che vivono anche ai gironi nostri, sono e saranno il bersaglio continuo delle irrisioni, degli scherni e dei vituperi; e pensiamo, che forse noi non siamo posti da Dio nell'avventurato numero di coloro che hanno disprezzi (e che perciò si trovano in mano un ricco tesoro con cui trafficarsi per l'anima meriti copiosissimi per il paradiso) perché ci vede sforniti di virtù per soffrirli, e che se non ci ingegneremo di soddisfare alla divina giustizia con le volontarie umiliazioni esterne, e con altri mezzi possibili, saremo trovati mancanti sulle rigorose bilance divine, e i nostri conti certamente non torneranno sui libri di Dio. Frattanto non desistiamo di umiliarci da per noi in cento maniere di fronte a Dio e di fronte agli uomini, e abbiamo sempre fisso e vivo nella nostra mente questo pensiero: di reputare gli altri da più di noi, e meno rei dinanzi a Dio di noi, attese e ben ponderate tutte le circostanze, non cessando mai su questo gran punto, di gettarci nell'ultimo luogo, almeno quanto allo spirito ed all'affetto.

Felice è quel cristiano, che da tutto ciò che se gli presenta sa trarre motivi per umiliarsi, e momenti onde accendere sempre più in sé l'amore al proprio disprezzo. E qui giova grandemente avvertire che, per rendere più grato a Dio, e più meritorio e vantaggioso per noi, e, al tempo stesso, più soave e meno pesante e conseguentemente più stabile questo esercizio dell'amore al disprezzo, o sia uso quotidiano dei mezzi conducenti a tal fine, nella maniera che abbiamo esposto, sarà bene di operare il tutto, animati ed accesi con modo particolare dal motivo della divina carità, per puro amore, verso Dio, e per dar gloria a lui sommo e infinito Bene: sì perché Dio Signor nostro gusta molto, che sempre siamo rivolti ad umiliarci e, con assidua vista del nostro demerito, amiamo per amor suo il disprezzo (ne gusta tanto, come riflette S. Giovanni Crisostomo, che se noi fossimo apprezzati da tutti gli uomini, per quell'onore che a noi ne risulterebbe, saremmo sempre debitori a Dio; ma per quel contento che a lui diamo con soffrire da essi ogni disprezzo. Dio medesimo diviene debitore nostro (Si propter Deum diligamur, honoris impensi debitores illi sumus, sin vero eius causa odio habemur, debitor ipse fit nobis) si ancora perché divelta completamente con ciò ogni radice della nostra superbia e del nostro amor proprio, ci abilitiamo a conseguire ciò che tanto da noi desidera, e cui siamo noi strettamente obbligati, di esser tutti di Dio.





ARTICOLO VIII

Esortazione a tutti i cristiani ad applicarsi all'acquisto dell'amore al disprezzo

Rimane adesso, per conseguimento del fine di questa operetta, che ciascuno ponga vigorosamente la mano all' impresa di far acquisto del santo amore al proprio disprezzo. Consideri pertanto ogni cristiano, e singolarmente chi ha ricevuto qualche maggior lume da Dio, e impulso per attendere alla propria santificazione e salite; e rifletta con ogni serietà, che trascurato un tale amore, si fa una perdita e un getto irreparabile di quegli altissimi beni e vantaggi, brevemente accennati nel quinto articolo, e di molti altri a quegli annessi. Di più resterà l'uomo sempre soggetto alla superbia e all'amor proprio, sempre involto in moltissime mancanze, che pur troppo derivano e spuntano fuori dall'orgoglio e dall'amor proprio non atterrato e lasciato vivere: nelle occasioni di grandi disprezzi si troverà talvolta assalito da gagliarde tentazioni di grave rancore verso i suoi disprezzatori, con rischio di perdere la grazia di Dio, ed eternamente dannarsi; o per lo meno nutrirà contro di essi qualche sdegno, non grave, ma sempre però peccaminoso, per cui si meriterà di stare lungamente a penare nel fuoco tormentosissimo del purgatorio.

Ma senza questo, conservando in se in qualche modo lo spirito della superbia e dell'amor proprio , nulla punto applicandosi all'amore del disprezzo, non sarà mai un vero discepolo di Gesù Cristo, perché lontano dalla dottrina e dall'imitazione di sì grande maestro, nella virtù, da lui tanto insegnata e praticata, della mansuetudine e della umiltà, e non farà mai progresso alcuno nella cristiana perfezione, ma si tratterà terra terra, senza pace del cuore , senza libertà di spirito, senza vera consolazione, senza il lume più bello del Signore, e senza la protezione e favore speciale di Dio, privo d'innumerabili tesori di grazie e di meriti nella presente vita, e di gloria maggiore nella futura.

Laddove procurando l'uomo
 di fare acquisto dell'amore al proprio disprezzo, inenarrabili saranno i beni che conseguirà in terra, e singolarmente una vivissima speranza ed un pegno di una sovrabbondante beatitudine e corona nell'eternità; essendo ben giusto, che entri molto a parte dei godimenti e del gaudio e del trionfo di Gesù in cielo, chi più ha partecipato in terra dei suoi vilipendi; e che sia esaltato nei secoli eterni, chi fu umiliato e abbassato nel mondo, con amare i suoi stessi disprezzi, onde si avverino le tante volte replicate promesse del Vangelo, che chi si umilia sarà esaltato. E qualora ciò non succeda in terra, senza dubbio succederà nel cielo con infinito vantaggio, perché la divina parola è immutabile e infallibilmente seguita e corrisposta dall'effetto preannunziato. Il che se è vero generalmente, rapporto a tutte le umiliazioni ricevute e sofferte con amore, molto più, in speciale eccellente maniera, si avvera, quando volentieri e di buon cuore si incontrano e si tollerano i disprezzi per la causa di Dio, e per la virtù; esclamando Cristo: beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,10) e stimolando a far festa e tripudio tutti i suoi servi nel giorno in cui s'imbattono in somiglianti vilipendi, per la sovrabbondante ricompensa che loro è riservata in cielo, dice ad essi: rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli (Mt 5,12).

Si degni pur la divina bontà d'infonderci vivo lume per ben capire, e forza per ridurre alla pratica, verità e dottrine sì interessanti. E perciò per conclusione dell'opera a lei rivolgiamoci con tutto l'ardore dei nostri cuori; e più con le lacrime e coi sospiri, che con le parole ed espressioni della voce, preghiamo, supplichiamo, e piangendo oriamo, e non cessiamo dal piangere e dall'orare, finché non sia in vantaggio nostro spedita la grazia, e noi diventiamo veri amanti del proprio disprezzo.
Si esorta parimente ciascuno con gran premura ad intraprendere questo santo esercizio di amare il proprio disprezzo, per motivo del divino amore, cioè a dire per onorare e dar gloria più grande al nostro amabilissimo Dio, che è Dio di verità; per compiacerlo e secondare il suo genio, che è tutto in favore dell'umiltà e degli umili, e si diletta soprattutto dei piccoli; per immolare al Signore il proprio onore, che ci suole esser sì caro; per conformarci con Gesù Cristo sì esinanito, e disprezzato per noi, massimamente sulla croce.

Questi, e simili atti di carità, sarà bene di rinnovare frequentemente, e rinforzarli spesso con lena e vigore; e con ciò verremo a riportarne quattro singolarissimi vantaggi.

Il primo, di piacer molto più e meglio unirci a Dio, che è carità per essenza; e chi vive nella carità, vive in Dio, e Dio in lui: Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui (1 Gv 4,16).

Il secondo, di aumentare assai il nostro merito per il paradiso, perché la gloria immensa dei beati in Cielo corrisponde alla carità che ebbero in terra.

Il terzo, che la pratica frequente del proprio disprezzo, per stessa motto laboriosa e difficile e alla natura contraria, si addolcisce di molto, e diviene più soave e leggiera; proprio essendo del divino amore, per sè medesimo giocondissimo, di spandere sì grata impressione in quel elle si opera per suo movimento ed impulso, come insegnano i santi Agostino e Tommaso.

Il quarto, in conseguenza del terzo, che per tal mezzo più si assicura la costanza, la stabilitá e la perseveranza di così santo esercizio: il che è di sommo rilievo, giacché per una parte si appiana la difficoltà ed il travaglio, e per l'altra l'amore somministra sempre nuova forza e coraggio per durar sino al fine.

Si avverta altresì, che, alla dottrina stabilita e insegnata nella presente operetta, non si oppone quella massima e quell'avviso inculcatoci dallo Spirito Santo, che conviene aver cura del proprio buon nome:abbi cura del nome (Sir 41,12) perché sul punto di cui parlasi ne provengono grandi beni e per l'anima e per il corpo e per noi e per altri, onde subito di seguito si legge: perché esso ti resterà più di mille grandi tesori d'oro, e dalla mancanza di questi, gravi disordini ne derivano. Conviene dunque riflettere che per due strade può l'uomo scapitar nell'onore e restarne anche spogliati: o senza il concorso della sua opera per una disposizione di Dio, che ad altri permetta di oltraggiarlo e deprimerlo, oppure mediante gli atti suoi liberi e volontari. Se si tratta dei primo caso, chi non vede non aver qui luogo il detto dello Spirito Santo e la massima della vera prudenza? Anche della vita si deve tener conto, e Dio lo comanda; ma se accade per divina permissione, che taluno ce la tolga, la virtù allora richiede che si soffra, e che ne facciamo un'amorosa offerta a Gesù, che per noi diede la sua: e così appunto hanno fatto innumerabili santi martiri. Ora, si dica lo stesso dell'onore; e accadendo, che per questa via lo perdiamo, certo è che, se saremo a Dio fedeli e ameremo il disprezzo, tanto è lungi che siamo per soffrirne danno nell'anima, adesso e per l'eternità; anzi, ne riporteremo immensi vantaggi, come nell'articolo V s'è riflettuto.

Che se venendoci meno la stima e la buona fama, ne risentiamo de' pregiudizi nel corpo e nei temporali interessi, bisogna allora esercitar la pazienza, l'umiltà, la confidenza in Dio, la rassegnazione e l'abbandono nel divino beneplacito, come si è notato all'articolo VI: e il simile è necessario di fare, se per dipendenza da noi, ne restano offesi altri, come ivi pure si osserva.
Quanto al secondo caso, se il cristiano mette a repentaglio il suo onore con atti suoi volontari da Dio suggeriti e ispirati, come tra molti, accadde a S. Filippo Neri, quadra ancor qui tutto ciò, che fin ora si è messo in veduta, perché, finalmente, Dio è l'autore anche in tal caso della nostra degradazione.

È poi verissimo, che non si deve esporre e gettare la propria reputazione; non solo con atti propri colpevoli, come pur fanno molti, che sono poi i primi a lagnarsi della perdita dell'onore e dell'abiezione, ma neppure con alti imprudenti e leggeri; il che mai non è stato raccomandato dai santi, né si insegna in questo libretto. E qui si raggira il citato avviso dello Spirito Santo, e la massima prudenziale: onde apparisce che la fitta obiezione non milita contro di noi, né impugna, né abbatte la nostra dottrina. Anzi, con a piena osservanza dell'insegnamento di Dio, e con la conservazione del proprio buon nome, giusta le regole della cristiana prudenza, può star benissimo che si ami il disprezzo, supplendo alla mancanza di esso (qualora ne siamo privi) con le interne disposizioni del cuore, con ravvissarcene meritevoli, con amarlo, con tenerci ben pronti a riceverlo, secondo gli ordini della provvidenza, e dentro tali termini ancora desiderarlo; e quando Dio ce lo presenta, con abbracciarlo amorosamente, stringercelo al seno, ed esercitare intorno al medesimo una quantità di atti di gran virtù, suggeriti nel corso della presente operetta.

Così hanno usato i grandi amici di Gesù Crocifisso e quelli altresì che, per ragione del loro posto ed impiego assegnato loro da Dio, erano più tenuti degli altri alla cura dei buon nome per la gloria di Dio e per la salute delle anime, come gli apostoli, innumerabili santissimi prelati della chiesa, molti principi e principesse, i quali tutti furon guidati nel loro operare dallo Spirito dei Signore. E non potrem noi imitar questi illustri campioni, che nel luminoso stato in cui li pose la Providenza, furono amantissimi della propria abiezione? E non dovremo molto più conformarci all'unigenito Figliuolo di Dio, generato nell'eternità nel seno dei divin Padre tra gli splendori dei santi, colmo d'infinita gloria ed onore, sovrano nostro Pontefice e Re de' regi e Signore de' signori, che si fece tanto picciolo e disprezzevole per noi, fino a morire per mano di carnefice sul tronco infame della croce? E qui cessi ogni replica ed opposizione, perché Gesù Crocifisso scioglie ed atterra tutte le difficoltà.



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