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R.Ugo Benson L'Amicizia di Cristo

Ultimo Aggiornamento: 23/03/2017 14:55
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23/03/2017 14:42

 


L'AMICIZIA DI CRISTO (INTERIORE)


«Non è bene per l'uomo, che resti solo».


(Gen., II, 18).


 


   A prima vista sembra inconcepibile che una relazione, la quale con qualche realtà possa essere chiamata amicizia, sia possibile fra Cristo e l'anima. Adorazione, dipendenza, obbedienza, servizio, ed anche imitazione, tutto ciò non è difficile immaginarlo; tuttavia se ricordiamo che Gesù Cristo prese un'anima umana proprio come la nostra, un'anima passibile di gioia e di dolore, aperta agli assalti della passione e della tentazione, un'anima che sentiva attualmente cosi l'abbattimento come l'estasi, - così la sofferenza nell'oscurità, come la gioia nella Chiarezza della visione -, come avviene precisamente a noi per fatto dogmatico appreso con fede, e per un fatto vitale provato con l'esperienza, una piena realizzazione della Sua amicizia ci sembra fuor di questione.


   Come nel caso delle persone ordinarie il piano della vera amicizia lega in comunione due anime, così avviene fra Cristo e l'uomo. La sua anima è il punto di contatto fra la sua Divinità e la nostra umanità. Noi riceviamo il Suo Corpo con le nostre labbra; noi prostriamo tutto il nostro essere dinanzi la Sua Divinità; ma noi abbracciamo la Sua Anima con la nostra.


 


   I. - In genere le amicizie umane s'iniziano da esterni ed insignificanti particolari. Ci viene dato notare una frase, udire un'inflessione nella voce, rilevare uno sguardo degli occhi, o un movimento nel camminare, e questa impercettibile esperienza ci sembra come un accenno di un nuovo mondo. Noi prendiamo quel piccolo evento come il simbolo dell'universo che vi è nascosto dietro; pensiamo allora di aver scoperta un'anima plasmata esattamente sulla nostra, un temperamento che o per la sua somiglianza con il nostro, ovvero per un armonioso contrasto si adatta con precisione per essere fatto nostro compagno. Comincia allora il processo dell'amicizia; noi mostriamo le caratteristiche che ci sono proprie ed esaminiamo le sue: pian piano c'imbattiamo in ciò che aspettavamo di trovare, e le nostre congetture si verificano; anch'egli segue lo stesso metodo fino a che si raggiunge quel punto (raggiunto nella maggioranza dei casi, quantunque, grazie a Dio, non in tutti), in cui, sia dopo una crisi, sia dopo un periodo di prova, ci avvediamo che ci si era ingannati fin dal principio, o che noi avevamo illuso l'altro o che il processo aveva terminato il suo svolgimento; l'estate è venuta ed è sparita, non ci san più frutti da raccogliere per nessuna delle due parti.


   La Divina Amicizia - la consapevolezza, cioè, del desiderio che Cristo ha del nostro amore e della nostra intimità, che ricambia con la Sua - generalmente comincia alla stessa maniera. Può essere l'accostarsi a un Sacramento che già si era ricevuto molte volte prima, può essere l'inginocchiarsi dinanzi alla Culla natalizia, o il seguire Nostro Signore per la via della Croce. Noi abbiamo fatto queste cose o praticate queste cerimonie doverosamente e amorosamente più e più volte; ma un giorno improvvisamente s'inizia per noi una nuova esperienza. Per la prima volta, riusciamo a comprendere, ad esempio, che il Santo Bambino stende, dalla paglia, le Sue braccia per stringere non solamente il mondo intero (e sarebbe, per Lui, abbastanza poco!), ma in modo particolare la nostra anima. Noi comprendiamo allorché il nostro sguardo si posa su Gesù, sanguinante e affaticato per la terza caduta, che ci domanda in una maniera del tutto particolare di sostenerlo, curvo sotto il Suo peso. Lo sguardo di quegli occhi divini s'incrocia con il nostro; si comunica da Lui a noi un'emozione o un messaggio che mai avevamo associato ad alcuna delle nostre relazioni con Lui. Il piccolo evento è stato felice! Egli ha picchiato alla nostra porta, e noi Gli abbiamo aperto. D'ora innanzi, pensiamo, Egli è nostro e noi saremo Suoi. Finalmente, diciamo a noi stessi, ecco l'Amico che avevamo vagheggiato così lungamente: ecco l'Anima che perfettamente ci comprende: l'unica Personalità da cui possiamo con sicurezza lasciar dominare la nostra. Gesù Cristo è balzato fuori da due mila anni, e sta vicino a noi; è disceso dal dipinto murale, s'è alzato dalla paglia della mangiatoia. Il mio Diletto è tutto mio ed io sono Suo.


 


   II. -  L'amicizia si è iniziata allora; comincia adesso il suo sviluppo. La perfetta amicizia sta essenzialmente in questo: che l'amico si rivela un altro completamente, abbandonando ogni riserva e mostrando se stesso quale veramente egli è.


 


   Il primo passo perciò della Divina Amicizia consiste nella rivelazione che Gesù fa di Se stesso. In questa fase della nostra vita spirituale, per quanto coscienziosa e retta questa vita possa essere stata, predomina un elemento di irrealtà. E’ verissimo che noi abbiamo obbedito, che abbiamo cercato di evitare il peccato, che ricevemmo la grazia, per poi riperderla e riacquistarla, che ci guadagnammo dei meriti e li perdemmo, che procurammo di fare il nostro dovere, che ci siamo sforzati di aspirare e di amare. Tutto ciò è reale dinanzi a Dio. Ma ciò non è stato realtà per noi stessi. Abbiamo detto preghiere? Certo, ma abbiamo pregato poco. Abbiamo meditato, ci siamo proposti dei punti e su questi abbiamo riflettuto, preso delle determinazioni, concluso; ma l'orologio c'era posto dinanzi per segnare il nostro cammino, per paura che troppo meditassimo a lungo. Ma dopo questa nuova e meravigliosa esperienza tutto è cambiato. Gesù Cristo comincia a mostrarci non solamente le perfezioni del Suo passato, ma le glorie della Sua presenza. Egli comincia a vivere dinanzi ai nostri occhi; strappa lungi da Sé quelle convenzionalità di cui la nostra immaginazione l'aveva ricoperto; Egli vive, si muove, parla, si agita, si volge in questo o in quell'altro modo dinanzi a noi, rivela, segreto dopo segreto, quel ch'è nascosto nella Sua umanità; in tutta la nostra vita, abbiamo studiate le sue azioni; abbiamo ripetuto il Credo del cattolico, assimilato tutto ciò che la teologia ci diceva. Ora dalle conoscenze su Lui c'inoltriamo alla conoscenza di Lui.


   Cominciamo a comprendere che la Vita Eterna principia in questo istante perché questa è «conoscere Te, solo vero Dio, e Gesù Cristo che Tu hai mandato» (Ioh., VI, 3). Il nostro Dio diviene il nostro Amico.


   D'altra parte Egli domanda da noi, ciò che Egli stesso ci offre. Se Egli si denuda dinanzi ai nostri occhi, può ben reclamare che da noi si faccia altrettanto. Come nostro Dio conosce ciascun istante del nostro passato in cui sviammo dalla Sua obbedienza: ma come nostro Amico aspetta che Gliela diciamo.


   È approssimativamente esatto il dire che la differenza della linea di condotta riguardo a chi si conosce e riguardo a un amico, consiste in ciò che nel primo caso si è tentati a celare noi stessi e presentare un gradevole e conveniente profilo del nostro carattere, ad usare un linguaggio falsato, a condurre una conversazione da corteggiatori; mentre nel secondo caso noi lasciamo da parte qualsiasi convenzionalità e artificio e cerchiamo di esprimerci quali realmente siamo e non come vorremmo che i nostri amici pensassero di noi.


   Questo si richiede da noi nella Divina Amicizia. Finora Nostro Signore si è contentato di ben poco; ha accettato una minima offerta della nostra ricchezza, un'ora del nostro tempo, pochi pensieri, poche emozioni offerti a lui in religiosa comunicazione e adorazione. Egli ha accettato queste cose invece di noi stessi. D'ora innanzi chiede che tutte queste convenzionalità abbiano a cessare, che noi interamente ci apriamo con Lui, che ci mostriamo quali realmente siamo, che dimentichiamo, in una parola, queste meschine parvenze e cortesie per essere del tutto reali.


   E si può asserire con verosimiglianza che ogni volta in cui l'anima si crede illusa o disingannata nella Divina Amicizia, ciò non dipende dal fatto che ella attualmente ha tradito ed offeso il suo Signore o trascurato di corrispondere alle sue richieste, ma da ciò che ella non lo ha trattato veramente da Amico; non ha avuto abbastanza coraggio per adempiere la categorica imposizione di ogni vera amicizia che consiste sopra tutto in una completa e sincera schiettezza con Lui. È molto meno ingiurioso per l'amicizia dire francamente: «Io non posso fare ciò che tu richiedi da me perché sono un codardo», che scusarsi con eccellenti ragioni onde non farlo.


 


   III. - Parlando senza ambiguità, allora; questa è la via che deve percorrere la Divina Amicizia. Noi dovremo considerare in seguito particolarmente i vari eventi ed incidenti che la caratterizzano. È un'immensa consolazione rammentare che non c'è difficoltà che non sia stata precedentemente esperimentata da altre anime. La via del Divino Amore è stata percorsa e ripercorsa ormai mille volte. Ed è utile riflettere, prima di procedere innanzi, che dal momento che esiste fra due anime un'amicizia, seguirà in sommo grado le linee regolari di ogni altra amicizia.


   Vi sono in essa dei momenti di così sorprendente beatitudine, nella Comunione o nella preghiera -  momenti in cui essa ci appare (come è realmente) la suprema esperienza della vita -; momenti in cui l'essere si agita e si trasfonde nell'amore, quando il Sacro Cuore non è più solo un oggetto di adorazione ma qualche cosa che vibra e che palpita sul nostro; quando le braccia dello Sposo sono intorno a noi e i suoi baci sulle nostre labbra... Vi sono periodi di tranquillo e perseverante fervore, di un affetto al tempo stesso potente e ragionevole, di una valutazione e ammirazione che sazia l'intelletto e la volontà, nonché le parti sensitive od emozionali della nostra natura. Vi sono periodi poi - mesi od anni - di squallore e di aridità; periodi in cui ci sembra quasi aver bisogno di pazienza con il nostro Divino Amico; circostanze in cui Egli sembra trattarci con freddezza e indifferenza. Saranno questi i momenti in cui bisognerà usare tutta la lealtà che abbiamo per non allontanarLo come volubile e ingannatore. Sorgeranno allora malintesi, tenebre, oscurità.


   Ma, passando il tempo e superando queste crisi poco a poco, noi vedremo consolidarsi questa convinzione, e torneremo per primi ad abbracciare il nostro Amico. Perché questa è l'unica Amicizia in cui una illusione definitiva è impossibile, ed Egli è l'unico Amico che non può tradire. Questa è l'unica Amicizia per la quale noi non ci umilieremo mai abbastanza, non ci apriremo mai troppo, non offriremo mai all'intime confidenze e dedizioni troppo grandi sacrifici. E sono perfettamente giustificate le espressioni di uno de' Suoi più grandi intimi, allorché parlava di quest'Amico e di quest'Amicizia: «Dinanzi a Lui bisogna calcolare ogni acquisto come perdita» e: «tutto deve essere estimato come sterco dacché io debbo guadagnare Cristo» (Phil., III, 8).


 


LA VIA PURGATIVA


 


«Mondami da ogni mia iniquità» (Ps., I, 44).


 


    La tappa iniziale dell'Amicizia con Gesù Cristo, ordinariamente è d'una sorprendente felicità; perché l'anima ha trovato per la prima volta un compagno la cui simpatia è perfetta, la cui presenza è perenne. E ciò non per il fatto che l'anima, necessariamente, in ogni istante si preoccupi di questo nuovo intimo, quanto perché mai lo può dimenticare completamente. Quantunque essa accudisca alle ordinarie faccende con quella stessa diligenza di prima, tuttavia la dolce realtà che Egli è presente nel mezzo di lei, non può mai essere totalmente obliata. Egli è come la luce del sole o la brezza che illumina, rinvigorisce e ispira tutto ciò ch'essa va esperimentando.


   A volte a Lui si rivolge con due o tre parole; a volte Egli stesso le parla soavemente. Essa valuta tutto ciò che vede dal punto di vista di Lui, o piuttosto dalla sua posizione in Lui; tutte le cose amabili si rendono ancora più amabili a cagione dell'amabilità di Lui; le cose spiacevoli sono meno tormentose perché Egli le addolcisce: nulla è indifferente, perché Egli è presente. Quand'ella dorme, il suo cuore vigila accanto a Lui.


   Questa è soltanto la fase iniziale dello sviluppo ed è tuttavia dolcissima perché è nuova. L'anima però ha già constatato un fatto sorprendente, quantunque sia ancora all'inizio. Dinanzi a lei si apre una via che ha per termine la visione beatifica. Ma prima che la méta possa essere toccata vi sono innumerabili tappe da superare. Infatti l'amicizia appena cominciata non può essere una fine in sé stessa. Perciò il desiderio di Cristo è di superare al più presto questa prima fase; ma per superarlo non basta soltanto il Suo desiderio. L'anima deve essere educata, purificata, mondata così perfettamente da poter congiungersi con Lui senza che vi sia ostacolo per la Sua grazia. Ella prima deve essere purgata, poi illuminata, prima spogliata di sé stessa poi adornata dei Suoi favori; solo così sarà resa capace dell'unione finale.


   Queste due fasi sono chiamate rispettivamente dagli scrittori spirituali la Via della Purgazione e la Via della Illuminazione; ora noi ci occupiamo della Via della Purgazione.


 


   I. - Innanzi tutto, come si è detto, l'anima trova una gioia straordinaria in quelle cose esterne che sono santificate con la presenza di Cristo e sopra tutto in quelle cose che si connettono con la Sua grazia. Per esempio, un'anima iniziata a questa Amicizia, un'anima che forse di recente è entrata nella Chiesa Cattolica, convertendosi, o che per la prima volta volutamente e pensatamente si sia risvegliata alla gloria del Cattolicismo, oppure a una forma imperfetta di Cristianesimo, qualunque insomma sia il sistema con il quale Cristo le si è avvicinato, prova un'incontenibile gioia anche nel più superficiale elemento di questo sistema. L'organamento umano della Chiesa, i suoi metodi, la sua forma di culto, la sua musica, la sua arte, tutte queste cose costituiscono per l'anima un insieme celestiale e divino.


   E spessissimo il primo indice rivelatore che la Via della Purgazione è intrapresa, riposa nella consapevolezza che si è all'inizio di quell'esperienza che il mondo chiama Disinganno. Esso può giungere per una dozzina di vie differenti.


   Ad esempio, l'anima può trovarsi faccia a faccia con qualche catastrofe del mondo esteriore, può imbattersi in qualche sacerdote indegno, in una comunità scissa, in qualche scandalo della vita cristiana, magari proprio nella sfera dove Cristo a lei sembrava sommo. Pensava che la Chiesa doveva essere perfetta, perché era Chiesa di Cristo, o il sacerdozio immacolato perché era secondo l'Ordine di Melchisedech; ed invece s'accorge, con suo spavento, che c'è un lato umano in queste cose associate sulla terra con la Divinità. Forse il disinganno può giungere sotto forma di culto. La novità comincia a scomparire, e la dolcezza dell'intimità non ha neppure tempo a formarsi; e allora l'anima trova che tutte queste cose le quali sembravano direttamente connesse con il suo Amico sono cose esteriori, temporanee e transitorie.


   Il suo amore per Cristo era così immenso che aveva impreziositi questi elementi materiali comuni a lei e a Lui; adesso, però, la doratura comincia a brunirsi, e ci si accorge che quelle cose dopo tutto erano anch'esse di terra. Ad un più bruciante e immaginoso Amore risponde ora una più acuta disìl1usione.


   Questa è ordinariamente la prima tappa della Purgazione; l'anima comincia a disingannarsi circa gli obietti terreni, e trova che comunque i Cristiani possano essere, non sono, dopo tutto, Cristo.


   Si presenta allora il primo pericolo; non c'è infatti procedimento di purificazione che non racchiuda una certa potenza dissolvitrice; e allora se l'anima è superficiale, amerà l'Amicizia di Cristo (come è stata) unitamente a quei piccoli doni ed attrattive con i quali Egli la sedusse e le piacque. Vi sono nel mondo delle anime randagie che sono cadute a questa prova; anime che hanno scambiato un romanzo umano per amore spirituale, che hanno voltato le spalle a Cristo appena Questi nascose i suoi ornamenti. Ma se un' anima ha maggior consistenza, avrà imparato la sua prima lezione: che la Divinità non si ritrova nelle cose terrene, che l'amore di Cristo è qualche cosa di più profondo dei ninnoli che Egli regala al Suo nuovo Amico.


 


   II. -  La seconda tappa della Purgazione consiste in quello che in un certo senso può essere chiamato il disinganno delle cose divine. L'aspetto terreno è mancato all'anima o piuttosto è caduto di fronte alla realtà; ora sembra che cominci a mancarle anche l'aspetto divino. Una frase brillante del Faber descrive bene un elemento di questo disinganno, la «monotonia della pietà».


   Presto o tardi accade che comincia a diventar noioso non solo il badare agli elementi esterni della Religione, -  musica, arte, liturgia - o agli elementi esterni della vita terrena - compagnia di amici, affari, relazioni - cose che all'inizio della Divina Amicizia sembravano attraenti per l'amore di Cristo, ma si comincia a trascurare anche la loro parte centrale, la loro vera essenza. Per esempio, gli attuali esercizi di preghiera diventano noiosi; il brivido della meditazione, così squisito dapprima, quando la meditazione consisteva in uno sguardo fisso negli occhi di Gesù, sminuisce le sue vibrazioni. I sacramenti i quali agiscono, (come l'è stato insegnato) ex opere operato (vale a dire conferiscono la grazia indipendentemente dall'azione dell'anima), diventano pesanti e monotoni e, per quanto essa può scorgere, non adempiono le loro promesse. Quelle stesse cose che erano intese come aiuto sembrano mutarsi in carichi addizionali.


   Oppure Essa pone il suo cuore, per così dire, in qualche grazia o favore, in qualche positiva perfezione che le deve essere conferita, ed essa lo sa bene, dalla volontà del suo Amico; prega, agonizza, si sforza, si difende e non c'è una voce, non c'è alcuno che risponda. Le tentazioni diventano quello che non erano mai state; la sua natura umana, essa se ne accorge, non è cambiata. Ha pensato che la sua nuova amicizia con Cristo avesse alterato una volta per sempre l'antica sé stessa, insieme alle sue relazioni con Lui; ed ecco!, ella è la stessa di prima. Cristo l'ha castigata, così almeno sembra, con le promesse che Egli non può o non vuole adempiere. Anche in quelle stesse cose per cui l'anima fidava completamente in Lui, in quelle stesse sfere in cui Egli deve essere ovviamente supremo, Egli non si mostra più per lei quello che era prima che lo conoscesse così intimamente.


   Pertanto questo periodo è di gran lunga più pericoloso del precedente; perché mentre è relativamente facile distinguere fra Cristo, e, sia lecito dire, la musica ecclesiastica, non è altrettanto agevole stabilire una distanza fra Cristo e la grazia, o meglio fra Cristo e ciò che la grazia dovrebbe essere e fare secondo la nostra fantastica concezione.


   Ecco il primo pericolo di perdere gradatamente la fermezza nella religione durante un lungo periodo di scoraggiamento; di rivolgerci con amari rimproveri all'Amico silenzioso che non risponderà: «Io ho avuto fiducia in Te; io ho creduto in Te; mi illudevo di aver trovato finalmente il mio amante. Ed ora anche Tu, come tutti gli altri, mi hai abbandonato». Un'anima come questa passa sovente in uno scoppio di risentimento e di sfiducia o a qualche altra religione (a qualche moderna sciocchezza che promette un facile e possibile ritorno alle cose spirituali) o ricade in quello stato in cui era prima che conoscesse Cristo. (Bisogna tener presente che l'anima, una volta che abbia conosciuto Cristo, non avrà più la calma di chi non l'ha conosciuto mai).


   Resta ancora uno stato più oltraggioso e innaturale di qualsiasi altro: lo stato di un cristiano cinico e «disilluso».


   «Sì, anch'io» egli dice a qualche anima ardente, «anch'io ero una volta come tu sei. Anche io, nel mio giovanile entusiasmo, mi pensavo di aver trovato alfine il segreto. Ma col tempo anche tu diventerai pratico. Anche tu comprenderai che non si deve confondere: un romanzo non è la fede. Diverrai ordinario e positivo come me... Sì, tutto è profondamente misterioso. Forse e dopo tutto, l'esperienza è l'unica verità che valga».


   Sì, se tutto va bene: ma se l'anima è ancora abbastanza forte da attaccarsi a ciò che ormai è solo una memoria, se confida che una iniziazione a così meravigliose bellezze com'erano le sue quando contrasse per la prima volta l'Amicizia con Cristo, non può, nel risultato finale, condurre all'aridità, al cinismo, alla desolazione; se può gettare il grido che è meglio stare inginocchiata per l'eternità sulla tomba di Gesù sepolto che tornare indietro e mischiarsi nelle vie del mondo, allora essa quando finalmente Gesù risorgerà di nuovo (come Egli fa sempre) imparerà una nuova lezione; vale à dire che essa non Lo potrà incontrare sulle vecchie vie perché Egli «non è ancora asceso al Padre» e che, in una parola, l'oggetto della religione consiste in ciò che l'anima serva il suo Dio, e non che Iddio serva l'anima.


 


   III. -  Prima che la Via della Purgazione sia completamente terminata, si deve superare ancora un terzo periodo. L'anima ha appreso che le cose esterne non sono Cristo; che le cose intime non sono Cristo; si è «disillusa» dapprima con la cornice del quadro, poi con il quadro stesso, senza che peraltro potesse toccare l'originale. Ora deve imparare l'ultima lezione, cioè divenire disillusa di sé stessa.


   Fin qui aveva ritenuto che per quanto si sentisse debole ed umile, vi era in lei tuttavia qualche cosa che attirò lo sguardo di Cristo. In seguito fu tentata a pensare che Cristo si fosse dimenticato di lei; invece adesso impara che fu lei, in grazia a quel suo infantile amore, a trascurare Cristo: essa si è liberata di tutto ciò che la ricopriva, dei suoi ornamenti e dei suoi abiti; le rimane ancora di spogliarsi di sé medesima affinché possa essere quella specie di discepolo che Egli la desidera.


   In questo terzo periodo, dunque, ella comincia a conoscere la sua ignoranza e il suo peccato ed insieme a conoscere tutto ciò che deve essere incompatibile con la sua ignoranza e col suo peccato: l'allettante egocentrismo e la compiacenza di se stessa. Finora ella ha pensato a possedere Cristo, a trattarLo come Amante e come Amico, ad afferrarLo, a FarLo tutto Suo.


   I suoi primi errori si originarono appunto da questo; adesso impara che non solo deve spogliarsi di tutto ciò che non sia Cristo, ma deve abbandonare Cristo medesimo, - lasciare cioè, un così energico possesso di Lui, e contentarsi invece di essere completamente avvinta e sostenuta da Lui. Appena possiede un brano di sé, essa tenterà di riallacciare mutue amicizie, di donare una frazione almeno di ciò che riceve. Deve perciò affrontare la realtà che Cristo deve dare tutto ed essa senza di Lui nulla, poiché non ha nessun potere se non quello che riceve da Lui. Ciò che finora le aveva recato danno, (comincia ora ad accorgersene), non era tanto che faceva o non faceva questo o quello, che si attaccava a questo o a quello... quanto che pensava più a conquistare che ad essere conquistata, ad essere sopratutto se stessa e questo essere se stessa è stata la causa principale per cui non si è perduta totalmente in Cristo. Ha cercato di superare i sintomi del male, ma non ha toccato il male con il dito. Quindi impara per la prima volta che in lei non vi è alcun bene che non provenga da Cristo, ch'Egli deve essere tutto, ed ella niente.


   Se un'anima è arrivata a tal punto è ben difficile che l'orgoglio possa essere causa della sua rovina. Quella conoscenza di sé che ha acquisito è un vero rimedio per ogni ulteriore reale compiacenza; essa semplicemente si è accorta di quanto sia dispregevole. Tuttavia ci sono altri pericoli che la ostacolano, e uno di questi può essere l'orgoglio che si presenta sotto l'insidiosa veste d'un'umiltà stravagante. «Poiché io non valgo nulla» essa è tentata a dire «non potrò mai compiere quei voli cosi sublimi e quelle aspirazioni che esige l'amicizia del mio Dio. È meglio che abbandoni, una volta per tutte, i miei sogni di perfezione e le mie speranze d'un'unione attuale col mio Signore. Devo abbassarmi al livello comune, contentarmi di essere appena tollerabile al suo cospetto. Devo tornare a prendere il mio posto nelle vie ordinarie, e non cercare un'intimità con Cristo della quale sono evidentemente indegna».


   Questa autoconoscenza può prendere anche forma di disperazione ed è un peso che ha fiaccato persino le stesse facoltà mentali: «Io ho perduto il mio diritto all'amicizia di Cristo» grida quest'anima che non ha più la scusa dell'orgoglio ma che sostanzialmente è ancora attaccata. «È impossibile che io dopo aver gustato le grazie celesti possa rinnovarmi nel pentimento. Egli mi ha scelto ed io L'ho ingannato. Egli mi ha amato, ed io ho amato me stessa. È meglio che mi allontani dalla sua presenza... Allontanati da me, perché sono uomo peccatore, o Dio» (Lc., V, 8).


   È questo il momento, a cui, se l'anima lo conobbe, condussero tutte le fasi precedenti. È lo stesso momento in cui l’anima amata, avendo appresa l'ultima lezione della Via Purgativa, è capace «di gettarsi nel mare» (Ioh., XXI, 7) per andare a Gesù.


   Ed essa lo farà, qualora abbia imparato bene la sua lezione, e sapendo che ciò è ben fatto perché essa è nulla in se stessa, e perché conosce che Cristo può essere tutto per lei.


   L'orgoglio, ferito o intatto, non potrà più trattenerla lontana da Lui, perché il suo orgoglio finalmente non è ferito, ma morto...


   La via del cammino spirituale è seminata di naufragi di anime che potevano essere le amiche di Cristo. L'una esitò perché Cristo gettò via i suoi ornamenti, l'altra perché Cristo non le permise di pensare che le sue attrattive fossero Lui stesso, la terza perché il suo orgoglio ferito ancora era vivo, e si preoccupava più di salvaguardare la sua vergogna che la gloria di Lui. Tutte queste fasi e procedimenti sono conosciuti; ogni scrittore di cose spirituali ne ha trattato da questo o quel punto di vista. La conclusione e la lezione però è sempre la medesima: che Cristo purifica i suoi amici da tutto ciò che non è Lui; che Egli non lascia sopravvivere nulla di loro affinché Egli possa essere tutto loro; giacché un'anima non potrà mai conoscere la sua potenza e l'amore di Dio finché non avrà gettato ogni suo peso in Lui.


 



[Modificato da Caterina63 23/03/2017 14:45]
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