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R.Ugo Benson L'Amicizia di Cristo

Ultimo Aggiornamento: 23/03/2017 14:55
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23/03/2017 14:51

PARTE III.

CRISTO NELLA SUA VITA STORICA


XII.

LE SETTE PAROLE.

CRISTO IL NOSTRO AMICO CROCIFISSO


Abbiamo considerato finora l'Amicizia di Gesù Cristo e i vari modi con i quali Egli ce la offre, sia interiormente che esteriormente, negli abissi della nostra coscienza, o nella Sua rappresentanza sulla terra, a ciascuno in vari gradi. Oggi ritorniamo al Vangelo per ricordare quel supremo pegno d'amicizia che ci ha dato una volta per sempre, quella manifestazione del più smisurato fra tutti gli amori che gli fece dar via la Sua vita per i Suoi Amici.
Quando noi gettiamo lo sguardo su di Lui crocifisso, vediamo una favolosa ricchezza di funzioni ch'Egli esercita sulla Croce a nostro vantaggio; come un Imperatore Egli reca sul Suo Petto ferito tutte quelle insegne e decorazioni ch'Egli solo può conferire. Lì è il Sacerdozio, la Regalità, la Missione Profetica, il Sacrificio, il Martirio, tutti i gioielli insomma ch'Egli conferisce a coloro che Lo seguono, ciascuno nelle sue possibilità. Ma, sulla maggior parte di essi, noi non ci fermeremo; Lo considereremo piuttosto da quello stesso punto di vista da cui L'abbiamo considerato finora, cioè come il nostro Amico familiare che si fidò di noi, e che è stato ricompensato da noi con una corona di spine e che pure si contenta di sopportare tutto questo e anche altre mille passioni, purché infine riesca a persuaderci che Egli ci ama. Appeso sul Calvario Egli pronuncia Sette Parole e ciascuna di esse ci parla della Sua Amicizia.
«Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc. XXIII, 34). Il Nostro Amico ha salito il Calvario, è stato denudato dei Suoi vestiti e disteso sulla Croce che ha trasportato fin dal Pretorio. I carnefici preparano e scelgono i chiodi...
Coloro dei quali Egli ricerca l'Amore, stanno intorno e guardando la Sua faccia rivolta in alto. Egli, disteso, li guarda, e guarda dietro di loro tutti quelli che essi rappresentano, tutto l'infinito numero di anime ciascuna delle quali Egli vuoi attrarre a Sé. E quando il martello è sollevato e cade, Egli pronuncia la sua prima Parola: «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno».

PRIMA PAROLA: Padre, perdona loro perchè non sanno ciò che fanno.

I.  Ma è possibile una tale parola?
È possibile anche per la Carità Divina dichiarare che «essi non sanno quello che fanno»? Egli è vissuto tre anni in pubblico, come loro Amico e Servitore ha aiutato tutti quelli che andarono a Lui, sanato gli infermi, cibato gli affamati, consolato i tormentati. Nessuno che è andato a Lui fu rigettato. Persino quelli che il mondo qualifica come abominevoli, i naufraghi dell'umanità, il pubblicano e la meretrice, persino quelli che si alienarono la facile amicizia del mondo, trovarono in Lui un Amico. Tutto ciò era innegabile; tutto ciò era notoriamente pubblico. Era impossibile esigere che il mondo Lo rigettasse quasi che Egli avesse rigettato il mondo, impossibile addurre che il mondo ignorava la Sua carità prodiga, la Sua larghezza di cuore. Per tutti Egli era stato un Amico. Solamente una eccezione fu addotta: Egli non fu amico almeno di Cesare.
Ma ciò che essi non conobbero  e su ciò la Divina Carità si attacca, come all'unico pregio per il quale essi possano sfuggire  fu il loro Dio che fece tutte quelle cose; il Creatore che si mostrò così tenero per le sue creature; il Signore della Vita che ora essi tenevano sotto le loro mani. Pensarono di toglierGli la Sua Vita e non capivano che Egli la deponeva da Sé; pensarono che avrebbero spento per sempre un torrente di grazia da loro non amata; e non s'accorgevano di cooperarvi in una sfera suprema di grazia. Essi non sapevano ciò che si facevano.
Sapevano allora di oltraggiare un amico umano, ma non di massacrare un Amico Divino. Sapevano di tradire un compagno mortale, di peccare contro ogni codice di elementare convenienza, di gratitudine, di giustizia; sapevano come Pilato di uccidere un uomo giusto, di chiamare sopra le proprie teste il sangue d'un innocente. Ma non s'accorsero che crocifiggevano il Signore della Gloria, che attentavano così a ridurre al silenzio l'Eterna Parola.
Si può dunque dire in loro favore: «Essi conoscono l'orrore, ma non tutto l'orrore di ciò che commettono. Perciò, o Padre, perdona loro».

II.  «Com'era nel principio, è ora, e sempre sarà».
Il mondo, come Gesù Cristo, è lo stesso, ieri, oggi sempre. C'è una società nel mondo dove Gesù dimora permanentemente; e questa Società, come Gesù Cristo, è, insieme, umana e divina. Questa Società, la Chiesa Cattolica, è incessantemente impegnata in opere umane e divine; e, come Gesù Cristo stesso, (e come ogni attività di bene) s'incontra in una sorprendente ingratitudine. Ancora una volta ai nostri giorni,  come in Inghilterra tre secoli or sono, in Roma sedici secoli fa,  questa Società è sul punto di essere crocifissa da quelli la cui salvezza e liberazione costituisce il suo più acuto desiderio. Questa è una realtà di cose che rimarrà perpetuamente così, fino a che il mondo rimarrà quello che è; per quanto questo o quel periodo possa esibire il fenomeno più spaventosamente.
È impossibile affermare che gli uomini non sappiano, almeno in parte, quello che fanno.
Conoscono che l'incivilimento dell'Europa è dovuto alle fondazioni cattoliche; poiché la Chiesa ha nutrito gli affamati, istruito gl'ignoranti, accolto i diseredati, resa tollerabile la vita agli angustiati, molti secoli innanzi che gli Stati pensassero a farlo; prima infatti, che ci fosse qualcosa che si chiamasse Stato, per far questo. Sanno che Ella è stata la madre degli ideali, delle più nobili arti, della più pura bellezza. Essi usano oggi in ogni paese d'Europa, per secolare e consacrata tradizione, edifici che essa innalzò per onorare il suo Dio. Sanno bene che le leggi morali degli uomini trovano unicamente sanzione nel suo insegnamento  che dove decresce il dogma, cresce il delitto. E anche per lei, l'unico carico che le si fa è di non essere amica di Cesare, non amica, di alcun sistema che tenti organizzare una società separatamente da Dio.
Ma sia ringraziato Dio! La Divina Carità può ancora patrocinare per gli uomini, giacché essi non conoscono l'abisso dell'orrore che commettono, e ancora pensano che mutilare e torturare la Chiesa di Dio, è rendere un servizio a Dio poiché essi non conobbero che Ella è la Sua Diletta, la Sposa del Suo Figlio; l'eterna Città che scende da Dio, dai cieli, che, nelle sue sofferenze completa ed applica la Divina Espiazione per i peccati di coloro che La crocifiggono.
Essi sanno di vilipendere la giustizia umana, che si comportano con una comunità universale in tale maniera che non oserebbero con nessuna nazione; che tentano di tagliare il ramo che li sostiene. Ma essi non sanno che in questo caso la giustizia umana è un Diritto Divino; che in questo caso la Società è un corpo che riunisce non solo le vite degli uomini, ma la Vita Incarnata di Dio; che essi uccidono non un Profeta o un Ministro, ma un Figlio Unigenito.
Questa preghiera, quindi, può stare sulle nostre labbra. Abbiamo ingiuriato abbastanza, tutti: la Repubblica Francese, i rivoluzionari del Portogallo, i liberi pensatori d'Italia, gli anarchici spagnoli, i protestanti irlandesi. Sul punto della nostra agonia dobbiamo imparare a pregare.
Perdona loro perché essi non sanno quello che fanno.

III.  Gesù prega, infine, ancora per noi: poiché anche noi e ciascuno nella propria misura ha peccato, in una ignoranza frenetica.
Infatti a noi Cattolici furono affidati i tesori della fede e della grazia; e intorno a noi c' è il mondo a cui non li abbiamo comunicati. Confessiamo una piccola pigrizia, un indolente letargo; una piccola deficienza di generosità.
«Sappiamo quello che facciamo» in parte; sappiamo di non corrispondere alle più sublimi ispirazioni, di non aver fatto tutto ciò che potevamo, di essere stati un po' egoisti, un po' maligni, qualche volta sensibilmente collerici. Confessiamo queste cose e ne diamo una facile assoluzione. E tuttavia non sappiamo quello che facciamo. Non conosciamo quanto sia stimolante il bisogno di Dio, quanto tremende siano le responsabilità che Egli ci ha affidate, quanto immenso sia il valore di un'anima, di un atto, di una parola, di un pensiero che può regolare i destini di un'anima. Non conosciamo quanto sia cocente l'attesa con cui il Cielo spia i nostri umori: non conosciamo come in quelle impercettibili opportunità di tutti i giorni si nascondono i germi di nuovi mondi che possono rinascere a Dio, e rimanere embrionali per la nostra trascuratezza. Noi tocchiamo i gioielli ch'Egli ci ha dato, e dimentichiamo che ciascuno vale il riscatto di un Re; scherziamo, come fanciulli, nell'aiole d'un paradiso, calpestando i fiori che Dio può sostituire, ma non richiamare in vita.
È una Causa Divina che noi Cattolici crocifiggiamo ogni giorno; è un Onore Divino che noi insultiamo. Se lo potessimo scorgere, è proprio Gesù in mezzo a noi, con le stigma della agonia, che « attende uno che Lo conforti» e «non lo trova» (Ps. LXVIII, 21).
Egli sta qui, e noi ci perdiamo in pettegolezzi e sciocchezze, e procediamo per la nostra strada onde si compie la tragedia, mentre Egli pende fra cielo e terra, disceso da quello, rigettato da questa, il nostro Dio che stimiamo nostro schiavo, che desidera essere nostro Amico.
Padre, per la preghiera del Tuo Figliuolo crocifisso, perdonaci; non sappiamo quello che facciamo.
Ma sopratutto questa ignoranza è ancora più spaventosa per quanto concerne la nostra vita spirituale. È una costante esperienza dei Cristiani quella d'incontrarsi d'improvviso con Gesù che s'accompagna a loro come un Amico. Non c'è Cristiano per quanto poco istruito, o almeno, nessuno che, nella giovinezza, generalmente, e più di raro nell'età matura, non si risvegli al fatto che Cristo desidera qualcosa di più che una semplice obbedienza, o fede, o adorazione; vuole una Amicizia tale che il suo inizio non sia meno di una morale conversione. È uno spettacolo sorprendente e meraviglioso osservare un'anima che in tal modo diviene consapevole  come una fanciulla che s'avveda d'essere amata  del fatto commovente che il suo Dio è il suo Amante. Egli viene al Suo, e il Suo Lo riceve.
E tuttavia, come nell'amore umano, cosi nell'Amore Divino, il romanzo si cancella poco a poco; e l'anima che pochi anni innanzi si accentrava tutta su Gesù Cristo, un'anima che riformava tutta la sua vita e adattava i suoi dettagli con l'unico obbietto di crescere più e più conforme al Suo Amico, che abbracciava la devozione come la preoccupazione essenziale, che concentrava tutte le sue capacità, i suoi istinti per la bellezza, i suoi interessi, le sue emozioni, il suo intelletto, unicamente intorno a Lui, che prese un nuovo inizio e un nuovo centro per agire; che si spogliava dei suoi peccati quasi senza sforzo, alla luce solare della Sua Presenza  un'anima come questa, allorché è trascorso un po' di tempo, allorché il travaglioso processo della Via Purgativa comincia a scrutarla, o quando l'immaginazione diventa pesante, o la maturità cancella le ingenue emozioni dell'adolescenza, o quando i tristi avvenimenti del mondo cominciano a reiterare le loro pretese di essere gli unici fatti degni di considerazione,  a poco a poco un'anima come questa, invece di serrare vieppiù la stretta intorno al Suo Amico, invece di attaccarsi (sia pure con una fede che salga quasi a una virtù di disperazione) a quello che è stato in realtà la più reale e vitale esperienza della sua vita, invece di sforzarsi a trasferire l'immagine di Gesù dal romantico capriccio, che forse già è passato, allo stato maturo che ora le è proprio, invece di cercare di abbracciarLo con la sua debolezza che ha preso il posto della forza naturale che è andata via,  abbandona la tremenda realtà fra le belle storie della sua giovinezza, e colloca Lui e la Sua Amicizia fra le illusioni che col crescere degli anni devono fatalmente morire per lo sviluppo dell'esperienza. Forse, Ella ancora si contenta di trattarLo come Dio, come l'ideale della razza umana, come il Salvatore degli uomini; ma, non altrimenti come l'Amante che la desidera fra mille, come il Principe che l'ha risvegliata con un bacio, al Quale, d'ora innanzi essa deve completamente appartenere. E tuttavia quanto raramente accade ch'ella s'accorga di ciò che ha fatto! Può darsi che anche se ne dispiaccia; vede ciò che sarebbe stato più perfetto se avesse perseverato; fors'anche invidia coloro che perseverarono. Conosce d'essere stata troppo leggera; ma non lo conosce appieno. Non conosce che si è sbarrata la possibilità della santità, che ha lasciato sfuggirsi mille opportunità che non torneranno più; o non conosce, che se non fosse per la grazia di Dio, perderebbe certamente anche la probabilità della sua salvezza.

SECONDA PAROLA: Oggi sarai con me in Paradiso.

Un'ora forse è passata... Le urla e le bestemmie dei due ladri giustiziati muoiono in gemiti, e i gemiti nel silenzio della consunzione e nel silenzio la Grazia di Dio e le abitudini del passato hanno operato insieme.
Uno di loro, a lato, è ancora attanagliato dal suo dolore, e lo riacutizza, e lo contrasta, e si adagia in questo modo e in quest'altro, cercando di lenirlo; l'altro invece comprende che oltre il suo dolore c'è qualche cos'altro nell'universo, che il suo dolore non può essere il principio e la fine di tutte le cose.
Di volta in volta riesce ad afferrare qualche sguardo, torcendo in qua e in là il capo, attraverso il sangue accecante e le lacrime, attraverso la nuvola di polvere sollevata dalla folla, di un Altro che pende nel mezzo. Anche il suo compagno Lo ha veduto, ma ha veduto la Sua pazienza solo come un rimprovero al Suo tormento... «Se tu sei Cristo, salva Te stesso e noi» (Lc., XXIII, 39). Ma lui vede qualche cosa di più che un fallimento e una tragedia: egli forse ha udito la prima Parola che gemette quando i chiodi lo perforarono; e per questo dettaglio, e quello, e l'altro, la sua mente ottenebrata  mente di ragazzo selvatico  cominciò penosamente a lavorare.
Ed anche la Grazia cominciò a lavorare nelle sue misteriose operazioni, su questo cervello piccolo e rachitico, come un raggio di sole in un vicolo cieco... Con tutta la nostra teologia noi non conosciamo quasi nulla dei procedimenti divini; noi conosciamo solo alcune condizioni, una frazione dei suoi effetti; abbiamo balbettato qualche cosa delle sue opere e niente più. Questo, comunque, noi conosciamo: che l'uomo a cui la Grazia venne non era del tutto egoista, che c'era in lui abbastanza ricettività perché la Grazia potesse penetrarvi.

I.  Così, a poco a poco, la verità (non osiamo dire tutta la verità esplicita) cominciò a filtrarvi. Quella ottenebrata intelligenza cominciò a ricevere barlumi, che venivano, andavano e ritornavano, del supremo Fatto che i colti Farisei trascurarono... cominciò a comprendere che il Criminale non era solo un Criminale, che la corona di spine non era solo un dileggio, che l'iscrizione della Croce nascondeva qualche cosa oltre l'irrisione... Il Dolore è mago strano quando la Grazia vi sta di dietro, un iniziatore ai segreti, un Sommo Sacerdote che regala e dispensa misteri sconosciuti a chi non ha sofferto...
Almeno conosciamo che il ladro parlò (un miracolo più grande che l'asina di Balaam), che un assassino riconobbe il Signore della Vita, che un mentitore disse la verità, che un fuorilegge si sottomise al Re. «Signore, ricordati di me quando sarai nel tuo regno».
Egli domanda, la minima cosa che si poteva domandare, cioè che un Re il quale tra qualche giorno entrerà nel regno non si dimentichi d'una creatura come Dismas, che una volta soffrì al Suo lato.
Né vi soggiunge dubbioso «Se tu sei il Cristo» ma esplicitamente Lo chiama «Signore». Né domandando sottolinea «Salva Te stesso e noi», ma solo un futuro ricordo: Un giorno, quando sarà, ricòrdati di me...
E, dopo la parola, avviene il miracolo che accade sempre quando l'anima comincia con umiltà a prendere il posto più basso.
Appena avremo imparato ad essere servi, riceveremo il posto e il nome di Amici. «Amico, ascendi più alto...» (Lc., XIV, 10). «Io non vi chiamerò più servi... poiché vi ho chiamato amici» (Joh., XV, 15). Egli, difatti, è l'unico cui servire regnare est, il cui servizio è perfetta libertà. «Oggi stesso tu sarai con me in Paradiso» (Lc., XXIII, 43).

II.  Siamo dinanzi ad una delle più profonde leggi della vita spirituale, una delle più ardue ad intendersi, poiché, come ogni legge fondamentale della grazia, e anche della natura, si presenta come un paradosso «Se desideri di essere grande, bisogna che ti fai piccolo...». «Chi si umilia, sarà esaltato» (Lc., XIV, lI).

1) Ora, fino a che l'Io regna nell'anima, il nostro istinto è naturalmente orientato in qualche modo verso il proprio farsi valere, quantunque ciò possa essere travestito nei termini dell'Amor di Dio. Certamente un'anima si può accaparrare il paradiso col continuo desiderarlo effettivamente; ma è egualmente certo che un'anima non potrà occupare nei cieli il più alto posto, e tanto meno la posizione di chi fu un intimo amico di Cristo sulla terra, per un motivo come questo. Cioè, fino a che l'Io regna, fino a che l'Io non sia stato rinnegato e crocifisso, l'anima non può divenire, nel più alto senso, discepolo di Cristo. Generalmente si comincia nella vita spirituale coll'aver di mira di fare profitto, di procedere, di effettuare qualche cosa per Dio, di renderci, in qualche modo, indispensabili alla causa Divina. Noi apportiamo, vale a dire, nell'ambito spirituale le stesse ambizioni ed emulazioni che servono a rendere un uomo eminente negli affari di mondo. Proviamo, in certo senso, a forzare la nostra amicizia su Cristo, ed insistere su quella relazione che ci sta tanto a cuore. Cerchiamo di legare la Divina volontà alle nostre, di effettuare un'unione con Dio col proposito di cambiare piuttosto Lui che noi.
E noi manchiamo, di certo, vergognosamente e deplorevolmente, ogni volta. poiché nelle cose spirituali ci deve essere un rivoluzionamento dei metodi usuali. Certamente «beati quelli che hanno fame», beati quelli che sono «ambiziosi»; ma 1'ambizione può coltivarsi non con l'autoaffermazione, bensì con l'autoumiliazione; poiché «beati sono i mansueti»; «beati sono i poveri in ispirito »; «beati sono quelli che piangono».
Così, ancora una volta, attraverso una mancanza di senso cristiano, anche se noi teniamo a una vita cristiana, diventiamo scorati e scoraggiati. Non facciamo nessun progresso, e, anche se noi non arriviamo a buttar via la ricerca, cominciamo di già a tentennare in essa.

2) Ma, d'un subito, l'anima arriva a un'abbagliante scoperta; per la prima volta, forse, Ella scorge l'Umiltà a faccia svelata; e nei suoi occhi percepisce la propria immagine. Allora, in continua successione, passa di scoperta in scoperta. Comprende, per esempio, che il proprio Io in cui ha riposto il suo cuore non è cosa degna di considerazione, comprende che per il passato, non c'è stata buona azione che sia stata completamente buona, dacché è stata fatta per pura naturale generosità, originata dall'amore di se stessa; capisce che il suo «progresso» in massima parte, è stato condotto su falsa direzione, che ha accumulato meriti che hanno ben poco di meritorio, che in fondo ha servito a se stessa con quelle azioni con cui si diceva di piacere a Dio; in breve comprende, che il suo sviluppo consisteva in un accrescimento di egoismo, che il controllo su se stessa appreso con i suoi sforzi altro non era dopo tutto se non «una vittoria viziata» (come la chiama S. Agostino); Ella ha messa tutto in azione per conquistare Dio invece di abbandonarsi a Lui.
Allora, infatti, un grido prorompe da lei spontaneamente: «Signore, ricòrdati di me quando Tu sarai nel Tuo regno... Signore, ricòrdati di me... non dimenticarmi tale quale io sono, in quel lontano giorno che nel mio orgoglio consideravo già passato, quel giorno quando Tu assumerai il Tuo potere e il Tuo regno anche in questo cuore che così a lungo è stato a Te ribelle. Ricòrdati di me, quando la suprema conquista dell'Amore è stata fatta, e l'Umana natura conformata alla Divina... Caro Gesù, in quel giorno non essermi Giudice ma Salvatore!».
Ed allora, per un paradosso ancor più sorprendente, tutto è fatto; e l'anima in quell'istante ha ciò che desidera. Essa pregò perché imparasse a servire, e con il pronunziare questa preghiera trova che le fu insegnato a regnare. poiché apprese da Colui che si fece in forma di servo che Egli governa i Re; Colui che era mite ed umile di cuore, ed essa ha trovato riposo accanto a se stessa.
Le Sue braccia in questo istante sono intorno a Lei, il Suo bacio sulle sue labbra, la Sua parola nel suo orecchio: «Oggi tu sarai con me in Paradiso!». «O anima che io ho plasmato ed amato, che hai imparato finalmente ad essere mia ancella, ascendi più in alto, dai miei piedi sul mio cuore, o amica mia! Ora finalmente che tu ti getti in mia balìa, in questo istante io mi abbandono a te. Prendi la mia mano e cammina con me, ora che tu vuoi seguirmi; poi, guarda, camminiamo insieme in Paradiso!».
Oh! questa Amicizia di Gesù per il Penitente! Giusto ora vi erano tre intimi di Cristo intorno alla Sua croce: l'Immacolata Maria e il Discepolo senza macchia che Gesù amava, da un lato, la Maddalena purificata che piange, dall'altro. La quaterna de' Suoi amanti ora è al completo, poiché il Ladro convertito si è unito a loro, egli che desiderava servire e perciò meritò di regnare... Ed anche lui, già pende in Paradiso.

III.  Due delle persone che stavano allato della Croce, sono per tutti i Cristiani, per tutti i tempi, i supremi tipi dell'Amore umano e divino. Vi è Maria, amata nell'essere immacolato dall'Eterno Padre, Madre essa stessa dell'Immacolato Amore, e Giovanni il discepolo eletto che ebbe il privilegio di posare la sua testa sul petto dell'Immacolato Amore. Certo, questi due, Maria e Giovanni, sono già così interamente «una cosa sola», come l'Amore li può fare. Questi che amano Iddio tanto perfettamente, non sanno amarsi l'un l'altro meno perfettamente... Or Gesù, tra le sue sette parole sulla Croce, ne consacra una per renderli ancora più uniti.

TERZA PAROLA: Ecco la tua madre. Ecco il tuo figlio.

I.  Nostro Signore desidera non solamente formare l'amicizia fra Lui stesso ed ogni anima umana, ma unire gli amici, l'uno all'altro, nella Divina Carità. Del legame di carità fra gli uomini Egli fa la prova definitiva della carità verso Se stesso. «Chi non ama il suo fratello che vede, come può amare Dio che non vede?». (I Joh., IV, 20). «Quello che non avrete fatto al più piccolo, non l'avrete fatto neanche a me» (Mt., XXV, 45). Il secondo comandamento è «simile al primo». «Ama il tuo prossimo come te stesso» (Lev., XIX, 18). Se metà delle energie della Sua vita terrena furono impiegate a trarre gli uomini a Sé, l'altra metà fu impiegata ad avvicinare gli uomini l'uno all'altro. «In questo conosceranno gli uomini che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri» (Joh., XIII, 35). Egli pronuncia le Sue benedizioni non solo su quelli che «sono affamati e assetati di Giustizia», della Divina Fonte di Giustizia, ma anche su i pacifici e i mansueti; coloro che non si perdonano a vicenda le offese (coloro che non stringono il divino legame più fortemente delle divisioni umane che tentano separarli) non avranno a loro volta perdonate le attese, non potranno, cioè, fare assegnamento sul Divino legame che essi stessi hanno rifiutato.

II.  L'unione degli uomini fra loro, in un certo senso, è il fine d'ogni società umana. Si è gradualmente verificato, anche nelle più alte sfere mondane, quel fatto già sempre propugnato dalla Cristianità, che l'unione è la forza, che la cooperazione è più efficace della competizione, che «perdere se stesso» in una società di qualsiasi genere è l'unico mezzo per salvare se stesso; che l'individualità può essere sostenuta solo col sacrificio dell'individualismo. Infatti, praticamente per tutte le società che sono esistite il legame dell'unione è stato considerato mezzo di prosperità. «Se possiamo gioire insieme, vincere insieme, trionfare insieme, noi potremo amarci a vicenda».
Gesù, ora, fa qualche cosa che prima non era mai stato fatto. La sofferenza per Lui è il supremo legame dell'Amore. «Amatevi gli uni e gli altri» Egli grida dalla Croce «perché sarete forti abbastanza per soffrire insieme». «Madre», grida il morente Amico di noi tutti, «ecco il tuo figlio. Figlio, ecco la Madre tua!».
Questa parola accenna ad un immenso principio spirituale. Maria e Giovanni si sono amati perfettamente  così perfettamente, cioè, quanto l'ha reso possibile una gioia comune . Insieme Essi hanno atteso il Suo trionfo; Maria, L'ha veduto, Fanciullo della Gioia, al suo petto; Giovanni sul Suo petto L'ha visto letiziato in ispirito. Ma da oggi in poi, il loro comune amore si elevò a più grandi altezze: essi ora si amano reciprocamente, non solo nel Sacro Cuore, ma nel Sacro Cuore piagato e traforato. Fin qui erano stati perfetti amici; d’ora innanzi le relazioni si fondano sul Sangue  sangue più connaturale a loro del loro medesimo  un Sangue versato per la remissione dei peccati. Non dice «Amico, ecco il tuo Amico»; ma, «Madre, ecco il tuo figlio. Figlio, ecco la tua Madre!».

III.  1) Ed ecco allora il primo legame che ci unisce a Maria; non sarà perché Ella ha cantato il Magnificat, ma perché ebbe il cuore trafitto dalla spada. Il dolore, sofferto ingiustamente, è una forza più potente di tutte le ordinarie affezioni umane; il dolore originato dal risentimento e dall'amarezza, isola l'anima non solo da Dio ma anche dai suoi compagni. Il cervo ferito fugge per morire in solitudine. Ma d'altra parte se il dolore è bene accolto e ben ricevuto, se diviene, con lo stesso sforzo con cui lo si riceve, un legame di unione con quelli che soffrono, forgia un anello che tutte forze dell'inferno non spezzeranno. Se Maria ci fosse stata data come madre in Betlehem, se essa si fosse avvolta nell'unica sua gioia, se per noi non fosse stata altro che un'immagine di felicità incarnata; allora, quando l'orrore dell'oscurità ci incombe, anche noi ci saremmo allontanati da Lei per soffrire in solitudine.
Una religione che ci presentasse Maria col suo Fanciullo palpitante fra le sue braccia, e non Maria con il Suo Figlio morto adagiato sulle Sue ginocchia, non sarebbe una religione a cui saremmo ricorsi con fiducia allorché tutto il resto ci inganna. Di più, essa non sarebbe stata nostra Madre fuorché in senso improprio se il suo aspetto non avesse assunto rispetto a noi un'espressione di dolore. Ma Ella che generò il Suo Figlio immacolato senza dolore, generò il resto della sua Umana famiglia caduta nell'agonia e nel dolore. Essa, infatti, è la Madre dei redenti, perché Essa era la Madre di Redenzione: Essa stette in piedi sotto la Croce di Gesù, come s'inginocchiò presso la Sua culla.
Ed essa è nostra Madre per quello stesso sangue onde noi e lei fummo egualmente redenti. La «Madre dei dolori» è più vicina al genere umano che la «Causa della nostra Gioia».

2) È molto facile, quando si comincia a progredire nella religione spirituale, dimenticarsi degli elementari doveri coi quali quella religione comincia. Oppure, in altri termini, vi è sempre molto facile, allorché noi abbiamo cominciato ad esperimentare un'intima e personale relazione con Gesù Cristo, dimenticare, o ridurre al minimo le relazioni che ci legano agli altri. Nostro Signore, perciò, con quella Parola orienta la nostra attenzione al fatto elementare che «colui che non ama il suo fratello che vede, non può amare Dio che non vede», per quanto fervide ed estatiche possano sembrare le sue emozioni. Noi quindi dobbiamo testimoniare la realtà della nostra devozione verso di Lui con la pratica devozione dell'uno verso 1'altro.
Se c'è tempo più propizio per rivolgerci gli uni verso gli altri, e verificare la nostra carità, è quando ci troviamo sotto la Croce; poiché è la suprema gloria della Croce quella di fare della sofferenza il più profondo vincolo delle relazioni umane. Maometto e Budda vissero per unire gli uomini. Budda perfino, è stato detto, ritornò alla vita terrena per compiere ciò. Ma solo Gesù Cristo morì per unirli. Ogni regno terreno è turbato da sedizioni e fazioni appena comincia a vacillare: solo il Regno di Dio rafforza i suoi legami quanto più si approssima alla estinzione del Calvario.
E allorché l'anime nostre sono più esaltate nel veder morire il Salvatore, è il momento di rivolgerci da questa vista alle più ordinarie e semplici relazioni della vita d'ogni giorno, e di domandare a noi stessi se abbiamo dato la finale prova della nostra fedeltà alla disciplina di Gesù, amandoci gli uni gli altri. È un fatto spaventevole che coloro i quali continuamente si vantano di essere uniti con la più intima amicizia a Dio, si distinguono per l’egoismo e per la mancanza di carità verso il prossimo e sono coloro che vivono al disopra di tutti gli altri e che si fanno chiamare «esseri incompresi», che attualmente avanzano la loro «Regola di Vita» o i richiami della loro devozione come argomenti contro quelli che trovano tempo od energia di essere gentili con i loro servi o le loro conoscenze. «Essa attende ora alle sue preghiere, perciò non deve essere disturbata. Egli si prepara a ricevere i Sacramenti; quindi è naturale che sia un po' bisbetico e preoccupato»...
Andate a casa, e smettete una volta per tutte quella stupida divergenza; andate a casa, e scusatevi semplicemente e sinceramente per la parte vostra in quell'impiccio, in cui forse un altro è forse più degno di biasimo che non voi. È una cosa intollerabile che gli amici del Crocifisso  ed anche quelli che aspirano ad essere amici del Crocifisso  pensino di poter conciliare l'essere in pace con Dio, e non esserlo con la moglie, o il marito, o i parenti.
«Ecco vostra Madre... vostro figlio!». Quell'anima con cui voi siete volubile ha un legame con voi più grande di quello della comune creazione. Il fatto che l'Eterna Parola morì per voi sulla Croce, costituisce un anello di congiunzione infinitamente più forte del fatto che l'Eterna Parola vi ha chiamato all'essere. E mentre la Caduta ha spezzato l'armonia della Creazione, la Redenzione l'ha rinnovellata; e questo rinnovellamento è una maraviglia molto più grande della Creazione stessa.
Nessuno può essere un amico di Gesù Cristo, se non è amico del suo prossimo.


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