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Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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R.Ugo Benson L'Amicizia di Cristo

Ultimo Aggiornamento: 23/03/2017 14:55
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23/03/2017 14:53

QUARTA PAROLA: Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?

Le tenebre del Calvario, spirituali e fisiche, si fanno profondissime. Cristo ha pregato la Sua Amicizia; Egli che è stato sempre l'Amico dei Peccatori, ne ha aggiunto un altro per coloro che hanno oltraggiato e ripudiato alla schiera; Egli che è stato sempre l'Amico dei Santi, ne ha congiunti due indissolubilmente nello sposalizio del Dolore. Ora Egli si volge dal mondo per cui ha fatto tanto; Egli concentra la Sua consapevolezza nella Sua sacrosanta Umanità; e in una Parola, dinanzi alla quale tremano i cieli e la terra, ci rivela che quella Sacra Umanità, come parte del processo da Lui scelto per «gustare la morte per tutti» (Heb., II, 9) e per imparare «l'obbedienza attraverso le cose da Lui sofferte» (Heb., V, 8), ha da sperimentare il dolore dell'abbandono. Egli che venne ad offrire questa Sacra Umanità come legame d'Amicizia fra Dio e l'uomo, vuole che questa medesima Amicizia con Dio si ottenebri. Egli si è fatto Amico dell'uomo caduto, poiché scelse di identificarsi con l'orrore della Caduta. La visione beatifica, perduta dall'uomo per la Caduta, e che Cristo non può mai perdere, si oscura agli occhi di Lui che venne a dischiuderla con la Redenzione.

I.  Or la vera felicità dell'uomo consiste in un graduale approssimarsi alla Visione Beatifica. Cristo ci offre l'amicizia Sua sulla terra,  quella Amicizia in cui consiste ogni umana felicità  come pegno e mezzo onde raggiungere la unione finale in cielo, che noi designiamo con questo nome. Perciò la gioia di Cristo sulla terra  quella gioia che volta a volta prorompe nelle parole della Sua Vita mortale, o nelle azioni di potenza e di grazia, o nel silenzio luminoso della Trasfigurazione  questa gioia sorge dalla Visione Beatifica in cui Egli perennemente vive. «Sostenne, vedendo Colui che è invisibile». (Heb., XI, 27).
È sul Calvario che ha luogo il supremo oltraggio; tutto ciò che era stato il Suo sostegno per i Suoi trenta anni di vita, il vigore di quella «vivanda» di cui i discepoli non capirono nulla (Joh., IV, 32), è diventato tenebroso ai suoi occhi, quantunque non spento completamente, con ogni altra possibile consolazione umana o divina. Il sole che si oscura sopra di lui non è che un pallido simbolo dell'oscurità della Sua Anima. Il sole s'immerge nell'oscurità, la luna nel sangue, e le stelle cadono dal Cielo, e la terra si scuote, mentre, per sua libera volontà e deliberata scelta, Egli entra non solamente nell'ombra di morte, ma nella Morte delle Morti. È questa Morte ch' Egli ha «gustato»... In quest'ora Egli allontana da sé quella sola ed unica cosa che gli poteva rendere la vita tollerabile. Il Suo Corpo piagato e straziato sulla Croce, non è che una pallida incarnazione dell'agonia della Sua Anima derelitta... «Mio Dio, mio Dio! perché mi hai abbandonato?...» (Mt., XXVII, 46).

II.  Questa Parola è più difficile delle altre, per essere applicata a noi. Poiché fu pronunciata in uno stato che è sufficientemente inconcepibile per noi che troviamo la nostra consolazione in cose che non sono Dio, per noi, ai quali il peccato significa tanto poco! Se ci mancano i conforti fisici, noi ricorriamo a quelli morali; se questi ci mancano, ricorriamo ai nostri amici. O, più comunemente, quando ci si allontanano i piaceri più nobili, troviamo riposo, con piccolo sforzo, in quelli più bassi. Quando la religione non ci consola, noi ci solleviamo con le arti; quando l'amore o l'ambizione ci disgustano, ci immergiamo nei piaceri fisici; quando il corpo rifiuta di obbedire, ci rifugiamo nel nostro indomabile orgoglio; e quando questo a sua volta si sgretola in nulla, consideriamo il suicidio e l'inferno come una soluzione più tollerabile. Non c'è abisso a cui non andremmo, nella nostra appassionata determinazione di renderci tollerabili a noi stessi.
Questa Parola, dunque, non ha senso per noi; allorché la Visione beatifica fu velata dal dolore, per Gesù Cristo non c'era più nulla in cielo o in terra... «Cerco se c'è qualcuno che voglia soffrire con me, ma non trovo nessuno; qualcuno che voglia confortarmi e non lo trovo» (Ps. LXVIII, 21). La tragedia, si compie, qui, fra le tenebre: noi udiamo il gemito; raccogliamo gli sguardi del torturato, la sua Faccia scolorata dietro la Quale pende l'Anima stessa crocifissa... noi brancoliamo, congetturiamo, ci sforziamo di formarci una più bassa immagine dell'augusta realtà; ma ciò è tutto.
Comunque, se ne possono trarre due lezioni, tradotte in termini che noi possiamo in parte comprendere:
l) Anche occasionalmente noi possiamo innalzarci nella vita spirituale al punto in cui l'Amicizia con Cristo costituisce la nostra perfetta letizia, su tutte le altre minori consolazioni che Dio elargisce. Il fatto che noi Lo conosciamo e che possiamo comunicare con Lui è calcolato da noi come abbastanza soave da rendere le sue apparenti rinunzie il più acuto di tutti i nostri dolori. (Bisogna che io dica che ciò non richiede un particolare avanzamento nelle cose spirituali. È impossibile, infatti, essere sinceri e perseveranti nella nostra religione, senza, presto o tardi, farne l'esperienza). Bene: supponiamo che questo punto sia raggiunto da noi; allora, improvvisamente, senza divenire consapevoli di nulla fuorché della abituale nostra mancanza di fede e del nostro letargo, questo piacere spirituale della religione scompare rapidamente e completamente.
E allora, qual è la nostra usuale risposta?
Come abbiamo rilevato proprio ora, un mezzo è quello di trovare subito consolazione altrove. Ci si «distrae», come diciamo; applichiamo la nostra attenzione ad altre cose. Ma un piano più comune consiste nello scoraggiarsi, nell'abbandonare la pratica di quelle cose, e frattanto nel lamentarsi amaramente della via per la quale il nostro Amico ci conduce. Certamente un grido di aiuto non è soltanto giustificabile ma meritorio; poiché anche Nostro Signore gridò così sulla Croce. La colpa non consiste nel gridare, ma nel risentirsi mentre si grida. Ci sembra, nella nostra compiacenza, come se da parte nostra esista un diritto ad insistere sul senso della presenza del nostro Amico. E tuttavia, senza tali abbandoni, è possibile progredire? Come può essere lo stringere il nostro Amico ben saldo, se Egli da un momento all'altro non sembri sfuggire alla nostra presa? Come può una fede reale gettare le sue radici, e abbarbicare le sue propaggini nella Roccia, se il vento desolante del dubbio non sembri a volte sradicarci da tutto? Più una tribolazione è cocente, e una freccia è amara e più onorevole è il soccorso. Stringere le labbra a quella Coppa che il nostro Salvatore ha sorbito,  anche se l'amarezza è stata diluita con la Sua Grazia  è un onore che certamente basta a tenerci uniti alla nostra pace, non fosse altro, per vergogna.

2) Una seconda lezione è che lo stato nel quale Dio è il Tutto per l'anima, è uno stato a cui noi siamo tenuti in ogni modo ad aspirare. Non è abbastanza che l'Amicizia di Cristo sia solamente il primo dei nostri vari interessi. Cristo non è soltanto «il Primo»: Egli è l'Alfa e l'Omega, il principio e la fine. Egli non è solo, in senso relativistico, il più importante, Egli è l'Assoluto, il Tutto. La Religione non è una di quelle porzioni che integrano la vita, (questo è Religiosità), ma la Religione è qualche cosa che penetra in ogni zona, la fabbrica per cui ogni invenzione, sia arte che letteratura, sia interessi domestici, o ricreazioni, o affari, o amore umano, dev'essere abbellita. Se non è così la Religione non viene intesa nel senso proprio.
A renderla così, comunque, consiste la suprema difficoltà della vita spirituale, a renderla, cioè, non solo un elemento integrale di tutta la vita, ma l'elemento dominante d'ogni frazione, poiché i suoi diritti sono imperativi sempre e ovunque; e ancora, non nel senso che l'anima è disinteressata in qualsiasi cosa, eccetto nell' attuale forma di culto; o teologia o ascetismo, o morale  poiché questo ancora può essere chiamato religiosità, o tutt'al più un genere di professionismo  ma in quanto la Volontà, o il Potere, o la Bellezza di Dio si percepiscono subcoscientemente in ogni cosa, e in quanto che «nulla è del secolo, eccetto il peccato».
Ora ciò è quello che attualmente va inteso come vita d'ogni anima umana; e man mano che ad essa ci avviciniamo, noi più o meno realizziamo il nostro destino. Poiché questo è proprio di un'anima che abbia raggiunto quello stato in cui Dio può essere Tutto. Egli diviene «Tutto» perché non c' è più nulla che sia alieno da Lui. «Sia che mangiate, sia che beviate, o qualunque altra cosa voi facciate, tutto fate a gloria di Dio» (I Cor., X, 31). Tutta la Vita s'illumina nella Sua Presenza; tutto si vede sussistere in Lui; nulla ha più valore se non in quanto dice relazione a Lui...
Questo, dunque, è lo stato a cui un'anima cristiana è tenuta a tendere ed aspirare. Questo e questo solo costituisce la pienezza dell'Amicizia di Cristo; per un'anima in tali disposizione, e per essa sola, si può dire che Gesù sia Tutto. E questo, è il solo stato in cui un reale «Abbandono» è possibile. Perdere Gesù quando Egli occupa per nove decimi la nostra vita, senza dubbio costituisce una gran pena; ma ancora vi rimane un decimo, dove la perdita non è sentita;  un interesse frazionato a cui possiamo rivolgerci per consolazione. Ma quando Egli occupa tutta la vita, quando non c'è un momento nella giornata, un movimento dei sensi, una percezione o altro della mente di cui Egli non sia lo sfondo  anche solo subcoscientemente percepito e avvertito , allora veramente se Egli si, ritira, il sole si ottenebra, e la luna non può dare la sua luce; allora si perde il gusto della vita, e i colori si cancellano dal cielo, e la forma svanisce dalla beltà, e l'armonia dal suono. Un'anima come questa, e questa sola, può osare senza presunzione di mettere sulle proprie labbra le parole di Cristo stesso, e gridare: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? Perdendo Te, perdo tutto».

QUINTA PAROLA: Ho sete.

L'agonia dell'anima di Cristo è superata, quella del Corpo si riafferma. Fin dalla mattina Egli è appeso in un raggio di luce solare, velato solo per un certo tempo dalle tenebre che hanno tormentata la Sua Anima; e passando i minuti, poco a poco, come un torrente di fuoco, si solleva quell'arsura della Crocifissione, che, dicono alcuni, è la pena più tremenda del più violento genere di morte.

I.  1) Finora il punto culminante della Umiliazione di Cristo è stato il Suo grido al Suo Padre  invocato in aiuto dalla Sacra Umanità che per Sua Volontà fu derelitta  la Sua Confessione al mondo che la Sua Anima era fra le tenebre. Ora, Egli discende ancora in un grado più profondo di Umiliazione, e chiama in aiuto l'uomo.
Cristo invoca l'uomo in soccorso!
Durante tutta la Sua Vita Egli ha offerto aiuto; ha nutrite le anime affamate, e i corpi affamati: ha dischiuso gli occhi ai ciechi, le orecchie ai sordi; ha sollevato le mani che pendevano, e rafforzato le ginocchia dei fiacchi. Stette in mezzo al Tempio e chiamò a raccolta tutti gli assetati perché venissero a bere. Ora, a sua volta, domanda da bere e lo accetta. Così anche Davide nel fervore della battaglia gridò, «che qualcuno mi dia a bere 1'acqua della cisterna di Bethlehem!» (II Reg. XXIII, 15). Davide e il Figlio di David erano forti abbastanza per condiscendere a una debolezza.
2) Nell'annoso Calvario della storia del mondo, Gesù grida all'uomo di aiutarlo; e il Datore di tutto, si umilia a chiedere. Egli fa a chiunque il primo appello. All'anima non ancora evoluta, Egli grida nella Voce del Sinai: «Tu non farai» (p. 140). All'anima che ha fatto un po' di progresso Egli offre incoraggiamenti e promesse. «Benedetto quest'uomo, perché sarà ricompensato». Ma v'hanno ancora anime che sono sorde all'Inferno e al Cielo, per cui il futuro significa poco o niente. Anime troppo deviate per temere l'Inferno, troppo disamorate per desiderare il Cielo. E a costoro Egli fa il suo straziante ultimo appello. «Se tu non vuoi accettare il mio aiuto, offrimi il tuo. Se tu non vuoi bere dalle mie mani, offrimi almeno da bere con le tue. Ho sete».
È incredibile che gli Uomini L'abbiano ridotto in questo stato, ed è impressionante che se non vogliono rispondere per il loro interesse, alcune volte rispondono per il Suo.
«Guardate, grida Gesù, voi avete rinunciato a cercarmi; avete voltate le spalle alla porta e non avete bussato. Non volete incomodarvi a domandare. Ebbene, sono io ora che faccio queste cose; ecco, sono io ora che faccio queste cose; ecco, sono io che vado a cercando lo sperduto; io sto alla porta e picchio; sono io che domando, che sono diventato un mendico... Abbiate misericordia di me, Amici miei, perché il Signore mi ha reso afflitto! Io non offro più acqua; ma la chiedo, perché senza di essa muoio!».

II.  È bene che noi guardiamo alla vita spirituale da un altro punto di vista. Sopravvengono dei momenti ed anche periodi nella nostra vita in cui la religione diviene un peso intollerabile; ed è quando la ricerca diviene estenuante ed infruttuosa tanto da esserne ammalati; quando non c'è uscio che si apra per quanto bussiamo violentemente; quando domandiamo e non c'è Voce che risponde. Alle volte ci viene meno anche il coraggio. Ci sembra che i nostri desideri non siano degni di soddisfazione, che la religione, come ogni istinto della nostra natura, tocchi un termine oltre il quale non si può andare; che il desiderio, difatti, ci fallisce, e che noi non siamo neanche ambiziosi di raggiungere il cielo! La verità è che noi siamo esseri limitati; e che il «divino scontento», il desiderio dell'infinito, la passione senza limiti per Dio, è una grazia di Dio, è un potere che ci elargisce per raggiungerLo e guadagnarLo. Non soltanto Dio è nostra ricompensa, e nostro Signore; ma Egli attualmente deve essere la Via per la quale noi andiamo a Lui: noi non possiamo neppure formulare un desiderio per Lui senza il Suo aiuto.
Quando noi siamo stanchi del desiderio, quando lo stesso desiderio viene meno, allora Gesù pronuncia la Sua Quinta parola dalla Croce.
Abbiamo parlato della Divina Amicizia come se si trattasse d'una mutua relazione, come se noi da una parte e Cristo dall'altra, fossimo uniti da un comune legame. Ma, in realtà, tutto s'attiene da una parte sola. Non possiamo neanche desiderare Cristo esternamente, senza l'aiuto interiore di Cristo. Il Cristo deve gridare interiormente «Ho sete», (Joh., XIX, 28), prima che Cristo esteriormente possa darci l'acqua della vita.
Questo appello di Gesù, dev'essere il nostro ultimo e finale motivo, allorché tutti gli altri impulsi vengono meno. Egli è così maltrattato e rigettato ch'è dovuto giungere a ciò. Egli deve implorare grazia per Sé, prima che possa averla per noi. Se noi non troviamo in Lui il nostro Paradiso, lasciamo ch'Egli cerchi il suo Paradiso in noi. Se noi non possiamo affermare, «La mia anima è assetata del Dio vivente», ascoltiamo almeno quando il Dio vivente grida, «La mia Anima è assetata di Te». Se non vogliamo ch'Egli ci serva, almeno per vergogna siamo contenti di servire a Lui!

III.  Questo è il grido che s'innalza incessantemente da Cristo nella Sua Chiesa. Si vive in giorni pieni di terrore e di minaccia. Un tempo la Chiesa governava in Europa; era salutata come «Colei che viene nel nome del Signore». Essa venne facendo del bene, offrendo l'Acqua di Vita, e donando e distribuendo il pane della Vita. Dinanzi ai nostri occhi, ora Essa cammina per la Sua via di Dolori; Essa sale sul Colle; Essa pende dalla Croce... Il mondo ha vinto ancora una volta; ha vinto esattamente come vinse sul Calvario. Gli uomini non permettono che essa serva loro; di più non vogliono neanche che essa serva se stessa; l'hanno inchiodata agli emblemi di un governo terreno; le tolgono la sua gloria; e la beffeggiano, poiché non può essere la Salvatrice degli altri, non potendo salvare se stessa.
Che c'è più da sperare? Come possono benedire le mani che sono solidamente inchiodate? Come possono le labbra, arse e bruciate dalla desolazione, predicare gli ammonimenti della divina libertà?
Tuttavia ella grida ancora, nel dolore, dolore per sé stessa. Ella può emettere grida su grida, in Francia per rivendicare il diritto di spegnere quella sete che sarà la sua morte, se non soddisfatta; in Italia e nel Portogallo per il diritto di esistere in mezzo ad una società che Essa sviluppò e avvicinò alla maturità...
E, per nostro conforto, ricordiamo che Gesù grida così; e che quando una volta per tutte Egli emise la sua prima petizione, vicino al pozzo di Giacobbe e sulla Croce del Calvario, anche una donna Samaritana, lontana dalla ricchezza di Dio, anche i soldati di un impero ch'era in lotta col reame di Dio, ebbero misericordia di Lui, e Gli offrirono da bere.

SESTA PAROLA: Tutto è compiuto.

La luce vespertina comincia ad illuminare, in cima al Calvario, le tre Croci e il piccolo gruppo che attende la fine; e quando si posa sulla faccia di Cristo, lo sguardo dell'agonia è passato. Egli ha gridato a Dio ed agli uomini di aver pietà della Sua Anima torturata e del Corpo riarso, e ciascuno ha risposto. Ora in quella Faccia, sbiancata dalle tenebre dell'Anima, e negli Occhi affossati dal dolore, un nuovo sguardo incomincia, mentre tutta la Faccia ancora una volta si mostra radiante. I respiri si fanno più affannosi, il Corpo inchiodato per le estremità si solleva sempre più in alto fino a che riacquista forza sufficiente non solo per parlare, ma prorompere in un grido così sonoro e trionfante da meravigliare gli ufficiali che avevano visto molti uomini morire, ma mai come quest'Uomo muore. Il grido squilla come il grido di gioia di un re al momento della vittoria; e in un istante, abbattimento, stanchezza, amarezza, sono lontani da Lui per sempre: Consummatum est. È finito... (Joh., XIX, 30).

I.  Cristo venne al mondo per compire la più grande opera: più grande che l'atto assoluto della Divina Volontà per cui tutte le cose dal nulla vennero all'essere, più grande che la manifestazione della Divina Energia per cui tutte le cose sono tenute in essere, le stelle nel loro corso, gli atomi nella coesione, e i mondi di carne e di spirito nelle mutue relazioni. Perché è atto più grande restaurare che creare: ridurre la ribelle volontà all'obbedienza, che a voler nell'esistenza: a riconciliare i nemici che a creare dei seguaci, a redimere che ad operare. Che Dio faccia l'uomo è un atto di potenza; ma che lo redima è un atto di Amore...
Tutta la storia sino al Calvario, è uno sforzo incessante di preparazione per la Redenzione. Non un agnello versò il sangue invano, non un profeta parlò, non un re ha regnato, fuorché come un anello in quella catena di cui l'Agnello di Dio, il Servo del Signore e il Re dei Re, è la fine e la sommità che giustifica tutto. Abramo vide il suo giorno ed esultò; David cantò del giorno della Sua nascita, dei suoi piedi e delle sue mani ferite: Isaia parla del Suo sepolcro con i cattivi e del luogo di riposo nel giardino di un ricco signore. Dio ha portato tutto a questo punto che li corona e li comprende tutti. Ed ora, Consummatum est.
Se riguardiamo indietro al Calvario, attraverso due mila anni, vediamo che tutto quello che Dio ha fatto scaturisce da lì; che ogni impulso di grazia, ogni sacrificio e preghiera offerta, ogni momento di Spirito di Dio, ogni risposta di uomini spirituali, ogni peccato dimenticato, ogni nuova vita ricominciata, ogni morte di Giusto, ogni rinascita d'anime alla innocenza,  tutto ciò ha acquistato la sua piena vigoria, e la propria esistenza dal torrente d'amore che s'origina ai piedi del Calvario.
Ed è perciò che a questo momento, appena l'ultima goccia del Sangue prezioso fluisce dal Suo Cuore spezzato, con una forza superiore a quella d'un morituro, Gesù grida in trionfo. «È finito».
L'amicizia fra Dio e l'uomo è resa possibile ora, nel Corpo di Cristo. L'antica irreconciliabile inimicizia fra il peccato della creatura e la Giustizia del Creatore, tra la corruzione dello spirito e la Santità del Padre degli Spiriti, è tolta di mezzo. Noi possiamo essere «accettati nell'Amato».
Per prima cosa, allora: la salvezza è dischiusa al peccatore. D'ora innanzi nessun peccato è imperdonabile. La Carità, fu detto, è il perdono dell'imperdonabile, è l'amore dell'inamabile: e in questo Sangue prezioso, come cantò il Profeta, «ci sarà una fontana aperta per la purificazione del peccatore e dell'immondo» (Zach. XIII, I) e come scrisse l'Apostolo, è questo Sangue prezioso che «ci purifica da ogni macchia». (I Joh., I, 7). L'Amicizia di Dio, perciò, è un fiume aperto ad ogni anima che lo desidera.
Ma c'è ancora di più. Non è solo una mèra amicizia resa possibile per la morte di Cristo, ma un grado d'amicizia a cui neanche gli Angeli possono aspirare. Non è solo che l'Anima, per il Sangue prezioso, possa passare dalla morte alla vita, ma attraverso gli stadii, le altezze e gli strati della vita, ella può elevarsi alla perfezione della santità stessa. David può aver sete di Dio; David può guardare in alto a ciò che «si risveglia nella somiglianza di Dio» che è la suprema soddisfazione dell'anima; ma fino a che Cristo non è morto, un'anima non può raggiungere l'oggetto finale del Divino desiderio e del suo, che ora invece è dischiuso ad ogni anima preparata a fare i necessari sacrifici per guadagnarlo. Non solamente, per il Potere del Sangue prezioso e per la Grazia dei Sacramenti sprigionata dal Suo versamento, l'anima può sottomettere ogni azione, parola, pensiero, all'obbedienza di Cristo, ma può, con la stessa grazia, raggiungere un punto d'unione con Lui così vitale e così completa, da poter veramente gridare «con Cristo io sono inchiodata alla Croce, non sono io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal., II, 20).

II.  L'opera di Cristo dunque, è «finita» sulla Croce  finita, non però chiusa e conclusa, ma liberata dal processo agonizzante che l'ha posta in essere  finito come il pane è finito dalla macina e dal fuoco, pronto per essere mangiato; come il vino è finito dalla violenza e dal pressare del frantoio  finito come un corpo d'uomo è finito nell'utero materno e dato alla luce con travaglio. È finito, cioè per un nuovo e glorioso principio, poiché la corrente scaturita dalle Sue ferite può cominciar a scorrere attraverso le anime degli uomini, e la Carne che è stata spezzata può cominciare a nutrirli. Poiché ora la Passione di Cristo comincia ad agire nel Suo Mistico Corpo, ed essa «completa quelle cose che mancano alle sofferenze di Cristo» (Col., I, 24). Ora l'enorme Processo che Lo ha torturato e lacerato nella Sua assunta Natura comincia effettivamente a provocare quello stesso lavoro di Redenzione nella Natura Umana della Sua Chiesa, che, misticamente, è il Corpo nel quale Egli dimora sempre. Un sole che cade dice ordine a un altro sole, che poi è l'identico, e può cominciare a percorrere il suo cammino: «La sera e il mattino sono un giorno».
E tuttavia, noi suoi amici  noi che in virtù della Sua Amicizia siamo capaci di vivere, morire, e risorgere uniti con Lui  viviamo per la maggior parte come se Egli non fosse mai morto. Paragonate la vita d'un colto e annoiato pagano, con la vita di un colto e annoiato cristiano. Tirateli fuori dalle rispettive classi e collocateli l'uno accanto l'altro. Vi sembra che ci sia cosi grande differenza? Ci sono poche divergenze fra i loro emblemi religiosi. Quello ha un Apollo, questo un Crocifisso. L'uno ha la deità egiziana con il figlio nelle sue braccia; l'altro ha l'Immacolata Madre di Gesù con il Santo Fanciullo. Il loro parlare è diverso, i loro vestiti, le case, insomma tutti quegli elementi esterni che sono indifferenti per la vita dell'anima. Ma sono cosi differenti le loro virtù, la prospettiva nell'eternità, il loro dolore su tombe dissigillate, le loro speranze su culle recenti?... Anche prima che Cristo morisse i figli amavano i loro genitori e i genitori i loro figli. Deve dunque il cristiano innalzarsi molto più alto, più vicino a quel meraviglioso grado di amore dove l'uomo «odia suo padre e sua madre» per essere discepolo del suo Signore? Anche prima che Cristo morisse la castità era una virtù. Siamo noi cosi avanti nella purità di cuore, senza la quale nessuno può veder Dio? Anche un Imperatore Romano una volta raccomandò il dominio di sé e lo mise in pratica. Sono le nostre case migliori modelli di pace tra fratelli che coabitano in unità? Ha compiuto Cristo la Sua opera col solo fine che la società non cadesse più basso?.. Che Dio ci aiuti! Se noi gettiamo uno sguardo su ciò che si chiama «la società cristiana moderna» sembra come se Cristo ancora non fosse venuto.
Ma c'è un vasto torrente di grazia che discende dal Calvario, quel torrente che doveva far felice la città di Dio. Li è l'immensa riserva di grazia, che gorgoglia in ogni sacramento, bagna la terra sotto i nostri piedi, rinfresca l'aria che respiriamo. E noi nella nostra odiosa e falsa umiltà parliamo come se la Perfezione fosse una fantasticheria, come se la Santità fosse il privilegio di coloro che vedono Dio nella gloria.
In nome di Cristo, cominciamo noi! Perché Cristo ha «finito».

SETTIMA PAROLA: Padre, nelle tue mani affido il mio Spirito.

Nostro Signore ha gridato forte la sua sesta parola con la quale proclamava che si sono compiuti finalmente «gli interessi del Padre» di cui antecedentemente aveva parlato nel tempio. Ora Egli inchina a poco a poco la Sua testa sul petto, e con le parole che imparò sulle ginocchia di Maria  parole con cui ogni fanciullo giudeo affidava la cura della sua anima alla cura di Dio, allorché sopraggiungeva la notte  Egli affidava il Suo Spirito nelle mani del Padre. La sera è giunta, e vicino è il sabato in cui, Dio, ancora una volta, dopo aver mirato tutte le cose che fece, pronuncia il Suo «Benissimo» e si riposa dal lavoro.

I.  Il pensiero di questa pace della morte ove il nostro Amico ora sta entrando, è una delle più commoventi considerazione della Passione. Egli è stato intorno alla Sua opera per trent'anni; e neppure per un istante, dacché emise il primo respiro mortale nella gelata stalla di Bethlehem, Egli si riposò. Anche quando Egli dormiva, il Suo Cuore vegliava.
Questo suo lavoro aveva di mira, fra le altre cose, di gettare le basi della riforma del mondo. Ogni civiltà, che voglia sopravvivere, come il ferreo progresso dell'Impero Romano, lo sviluppo degli istinti delle nazioni barbare, tutto deve rinnovellarsi sulle basi ch'Egli ha gettato, oppure cessar di esistere. Ancora di più; Egli ha gettato le basi della costituzione del più vasto Impero che il mondo abbia mai visto; quella Suprema soprannazionale Società dalla quale i Re derivano le loro sanzioni, e le Repubbliche il diritto di governare; poiché il Successore del Suo Vicario è «Padre dei Principi e Re, Signore del mondo». Perciò i suoi innumerevoli atti di grazia devono essere compiuti; non un'anima sofferente deve allontanarsi delusa; non un corpo malato dev'essere abbandonato senza cura; non una transitoria necessità, insoddisfatta. Ed Egli è l'Uomo che ha fatto tutto ciò. E, certo, solo Dio poteva far tutto ciò. Nessun riformatore, nessun filosofo, nessun monarca si è mai sognato di fondare un Regno come questo. Ma tutto ciò è stato compiuto attraverso la Natura Umana; sono state le labbra di un Uomo mortale che hanno detto tutto ciò; mani mortali quelle che hanno gettato queste fondamenta; un cervello mortale che ha portato a compimento e tradotto in linguaggio umano il sogno di un Dio per realizzarlo. Dio certamente non può divenire stanco; ma un Dio fatto Uomo può stancarsi mille volte.
Quanto giustamente Egli si è meritato il Suo Riposo! E infine Egli lo trova. L'anima, dopo aver superato la violenta agonia, s'immerge in quella refrigerante oasi di pace, dove le anime che hanno servito Dio, secondo le grazie ricevute, attendono il primo avvento del loro Redentore. Il corpo che ha sostenuto un peso così grande e il caldo del giorno, che era stato affaticato dalla fatica e curvato dal dolore  e, in ultimo, flagellato, traforato, spezzato dalle mani di coloro per cui quelle fatiche erano sostenute  questo Suo Corpo dev'esser riposto nel freddo sepolcro di roccia, con sindoni di soffice lino, profumato con spica e mirra, nell'attesa che il soffio della Divina Energia torni a scorrere attraverso le vene e i nervi e i muscoli, trasformando tutto di nuovo nella Divina Immagine sgualcita, dinanzi la quale, non più soggetta ad alcuna legge di limitazione o di fatica o di perdita, l'Anima che non può più dolorare, gioirà eternamente.
Il nostro Amico, finalmente, dorme.

II.  La Pace di Dio che sorpassa ogni intendimento, è senza dubbio il suo dono più grande, più che la salute e la ricchezza, più, in un certo senso, che tutte le virtù, poiché è la loro corona e ricompensa. Questa Pace di Cristo, è l'unica cosa veramente necessaria, com'Egli stesso ci dice; è la «buona porzione» migliore di tutte le energie e attività, che «non ci sarà tolta».
Ed è per lei che noi guardiamo alla morte poiché è l'unica speranza che rassicura e ci riconcilia a quella violenta cessazione di attività, che per un'anima energetica e vitale costituisce il più fantastico orrore della morte. Che anzi alcune volte (così grande è la sua attrattiva)  possiamo quasi dire che deve essere  per un'anima che realmente partecipa alla lotta della vita, essa costituisce l'attrattiva maggiore della morte poiché la vita si riduce spesso a uno sforzo insopportabile non solo per la stanchezza del corpo derivante dalla sua incapacità di rispondere alle esigenze dell'anima, ma per una stanchezza dell'anima proveniente dai suoi sforzi di rispondere sempre a ciò che deve, agli impulsi ed eccitazioni della grazia. Oh! se fosse possibile, noi gridiamo, cessare dalla lotta, riposare completamente in Dio senza alcun sforzo di volontà, abbandonarsi ed immergersi in Lui che solo è la nostra Quiete. E tuttavia non dobbiamo; questo è quietismo  strano e seducente sistema che significa rilassatezza e letargo  sistema che induce un pigro sonno in un'anima creata ad agire, in una volontà che deve attivamente aderire, affinché possa meritare o demeritare. È solo nella «divina necessità» del Purgatorio che questo stato è possibile; e allora, solamente, perché necessario.
Tuttavia anche qui, mentre viviamo, c'è la pace di Dio, ed è per questo bisogno di pace che tante anime si agitano e si dibattono entro le sbarre dei loro limiti... E questa pace deve provenire da una cosa e da una cosa sola dal perfetto equilibrio nell'ambiente che ci circonda  non come un uccello che riposa sulle acque, ma come un uccello che sta nell'aria  da una perfetta risposta, cioè, della nostra amante ed amabile Natura, a quell'unica adorabile Natura che solo può sorreggerci e comprenderci: in una parola, che la pace può solo trovarsi in ciò di cui noi abbiamo fatto esperienza: in un'intima, intelligente, affezionata e volontaria Amicizia con Cristo, che ci ha fatti per Lui, e stabilì la Sua Incarnazione perché l'unione potesse essere completa.
Le attività, quindi, sono buone e necessarie al loro proprio posto. L'opera di Dio non può compiersi senza di esse. Ma è del tutto vitale che, se queste attività realizzano i loro oggetti, l'anima che vi è impegnata, deve possedere la pace interiore. Noi andiamo avanti e indietro; riusciamo oppure manchiamo; e non è poi cosa di grande importanza, dacché non abbiamo una norma decisiva in questo mondo per cui stimare questo o quello. Ma la pace interiore è necessaria; poiché la nostra vera «vita è nascosta con Cristo in Dio» (Col., III, 3), questa pace che, com'Egli stesso ci dice, il mondo non può togliere o dare, una pace cioè, che, a differenza delle altre emozioni, è del tutto indipendente dalle cose esterne. È una pace dove Cristo stesso è penetrato, anima e corpo, allorché affidò il Suo Spirito nelle mani del Padre  quella Pace Sabbatica ch'Egli per primo inaugurò e che «restò... per il popolo di Dio» (Hebr., IV, 9).
La morte non è più spaventosa, e la vita non è più insopportabile. Dietro la fredda calma della morte e la pazzesca frenesia della vita, Cristo e l'anima dimorano insieme nel segreto ricettacolo del cuore, ricettacolo scavato in ciò che è più duro d'una roccia. E non è questa la pietra che si fende quando le tombe si dischiudono, e i terrorizzati fuggono disordinatamente, e tutta Gerusalemme è in panico. Ma finalmente quando abbiamo imparato a morire a tutto eccetto che a Cristo, quando Egli è il nostro Tutto, Egli è ancora la nostra Pace.
Solleviamo lo sguardo per l'ultima volta a quel Sacro Corpo pendente dalla Croce. Il Sangue è tutto sparso, l'Anima si è separata, e il nostro Amico riposa. Allora anche noi possiamo essere seppelliti con Lui. E possano le nostre anime, e le anime di tutti i fedeli, vivi e defunti, riposare in Lui.


 

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