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I Vizi Capitali di Don Giuseppe Tomaselli

Last Update: 6/10/2017 9:44 AM
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I VIZI CAPITALI

Di don Giuseppe Tomaselli

 

INTRODUZIONE

Uno scritto sui « Vizi capitali » è di grande utilità. Ordinariamente quando si scrive, si rivolge la parola a qualche categoria di anime. Il presente lavoro invece riguarda tutti, perché non c'è persona che possa dire: Io sono esente da ogni miseria morale! ... Non sento gli incentivi al male!

Benedica il buon Dio questo umile scritto!

 

PRELUDIO

Nell'anima umana, per effetto della colpa originale, ci sono i germi dell'iniquità.

Tra i vizi che albergano nel cuore, i più importanti sono quelli chiamati capitali. Essi sono sette e cioè: superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia ed accidia. Si dicono capitali perché danno origine a tutti gli altri vizi.

Si rileva il male che producono nell'anima e si suggeriscono i mezzi per combatterli con le virtù opposte.

E' bene notare che le mancanze che si commettono in forza dei vizi capitali, non sempre sono peccati gravi o mortali; ma lo possono essere, purtroppo non raramente.

 

SUPERBIA

Dicesi superbia il desiderio disordinato della propria eccellenza. è un vizio molto radicato in noi, il quale è causa di una grande quantità di peccati.

Iddio odia la superbia e la punisce. Il primo peccato di superbia fu commesso dagli Angeli in Cielo, allorché si ribellarono a Dio con a capo Lucifero. La punizione fu tremenda, poiché subito fu creato l'inferno e vi precipitarono tutti i ribelli, per starvi eternamente. Un altro grave peccato di superbia fecero i nostri progenitori Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre, quando furono tentati dal demonio a mangiare il frutto proibito da Dio. Perché non mangiate di questo frutto? domandò il tentatore. Non possiamo, risposero, perché Iddio ce l'ha proibito! Se lo mangerete, continuò il demonio, diventerete simili a Dio! Adamo ed Eva prestarono fede e, mossi dal desiderio di diventare simili al Creatore, colsero il frutto e lo mangiarono. Il peccato fu grave, non solo per la disubbidienza, ma anche per la superbia. Iddio, fortemente sdegnato, tolse ai due peccatori i doni soprannaturali, già dati gratuitamente, li condannò a morire e li cacciò dal Paradiso Terrestre.

 

Il Redentore.

Dio, giusto punitore della colpa, non tralascia però di compatire l'uomo impastato di debolezza e gli dà un rimedio efficace contro la superbia. Infatti la seconda Persona della Santissima Trinità, il Figlio Eterno di Dio, lascia lo splendore del Cielo e si riveste di umana carne. Lo scopo dell'Incarnazione è di riaprire il Paradiso agli uomini e di dare un meraviglioso esempio di umiltà, in opposizione all'innata superbia.

La vita terrena di Gesù Cristo fu una lotta continua al vizio della superbia. Avrebbe egli potuto nascere in un palazzo reale e farsi ricoprire di gloria dagli uomini; ed invece nacque in una stalla, visse in una bottega facendo il falegname e mori ignudo sulla Croce, tra due ladroni, come un malfattore.

 

Gl'insegnamenti di Gesù.

Il Vangelo è ricco di massime e di parabole, che hanno per scopo di abbattere la superbia e d'insegnare l'umiltà. Gli Apostoli domandarono a Gesù: Maestro, chi è il più grande nel regno dei Cieli?

Egli prese un bambino, lo pose in mezzo a loro e poi disse: Chi si umilierà, facendosi piccolo come questo bambino, costui sarà il più grande nel regno dei Cieli.

E vedendo che gli Apostoli tendevano alla superiorità, disse loro: I principi di questo mondo signoreggiano i loro sudditi; per voi non sia così. Chi di voi vuole essere il primo, sia l'ultimo.

Trovandosi in un convito Gesù ed osservando che gl'invitati brigavano per avere i primi posti, parlò in questo modo: Quando tu sei invitato a pranzo, non andare a metterti al primo posto, poiché potrà darsi che sia stato invitato uno superiore a te ed allora il padrone dovrà dirti: Amico, lascia questo posto e mettiti in fondo! Allora ne avrai vergogna presso tutti i commensali. Quando invece sei invitato a tavola, mettiti nell'ultimo posto, affinché chi ti ha invitato abbia a dirti: Amico, vieni avanti! Così ne avrai onore presso tutti i convitati. Poichè chi s'innalza sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato.

Essendo la superbia come una febbre che spossa ed anche il motivo dell'inquietudine del cuore umano, Gesù Cristo si dà quale modello a tutti, dicendo: Imparate da me che sono mite ed umile di cuore e troverete il riposo per le anime vostre!

Fortunati coloro che vivono in conformità a questi divini insegnamenti!

 

Lo spirito di superbia.

L'amor proprio, o l'alta stima che ciascuno sente di sé, fa sempre capolino e bisogna vigilare per non restarne vittima.

S. Giovanni Bosco confessa lui stesso di aver sentito nell'animo fin dalla fanciullezza una forte inclinazione allo spirito di superbia. Subito però si mise all'opera e riuscì vittorioso. Una volta potè dire in maniera lepida: Ho dovuto propormi di prendere per il collo la mia superbia, metterla sotto i piedi e calpestarla.

Lo spirito di superbia porta ad essere ambiziosi, presuntuosi, vanitosi e rende ribelli all'autorità, per cui non si sopporta di stare soggetti ad altri e, quando lo si è costretti, internamente ci si rode. Veniamo ora alle particolari manifestazioni della superbia.

 

I pensieri.

Il superbo nella sua mente ingrandisce i propri meriti e si gonfia come un pallone. Crede di essere qualche cosa di grande e perciò guarda dall'alto in basso, studiando i mezzi per eccellere sempre.

Se il superbo riceve un'offesa o una mancanza di riguardo, non sa darsi pace. Pensa e ripensa il torto ricevuto e concepisce desideri di vendetta. A me fare questo affronto? ... Trattare in tal modo me, che ho tanti meriti? ... Ah! questo è troppo! In preda a tali sentimenti, perde la pace del cuore.

 

Le parole.

Il superbo non si contenta di pensare altamente di se, ma sente il bisogno di esternare con le parole i suoi sentimenti. Si loda facilmente, mettendo in mostra i titoli di onore, dicendo di appartenere a nobile famiglia, parlando con entusiasmo delle proprie cose e mettendo sempre avanti il proprio « io ». Io faccio così ... Io in quell'occasione mi comportai in tal modo ... Io sono salutato sempre ... Io sono stimato assai ... Io porto abiti di lusso ...

Insomma s'incensa di continuo e non ricorda il proverbio: Chi si loda, s'imbroda!

Chi ha il vizio della superbia, non si limita a lodarsi; è anche portato naturalmente a disprezzare gli altri.

Il parlare del superbo suole essere impastato di critica, di mormorazione e di bugia.

Coloro che assistono a simili conversazioni, esternamente dimostrano di approvare, per non irritare il superbo, ma appena questi si allontana, cominciano a ridere alle sue spalle, dicendo: Che superba persona! . .. Oh, quanto è sciocca! ... Ma cosa crede di essere?...

E così si avvera il detto di Gesù: Chi s'innalza, sarà umiliato!

 

Il volere comparire.

Il superbo è smanioso di comparire e fa di tutto per apparire in società qualche cosa di più degli altri. Se è ricco, spende grosse somme per avere un'abitazione più bella degli altri ricchi, compra gioielli di grande valore ed indossa abiti lussuosi.

Se il superbo non è ricco, fa grande economia pur di comparire davanti agli altri; perciò limita le spese giornaliere, va forse in prestito di denaro e tutto spende in abiti eleganti ed in profumi.

La persona superba e vanitosa ama di stare lungamente davanti allo specchio e studia la conciatura dei capelli e l'abbellimento del volto; studia anche il sorriso ed i movimenti del corpo, per apparire sempre più attraente. Esce di casa, non tanto per sbrigare faccende, quanto per mettersi in mostra. Lungo le vie cammina con affettazione e pare voglia dire a tutti: Guardatemi! ... Chi c'è simile a me? ... Desidera ricevere saluti e gode nel suo cuore ad ogni piccola dimostrazione di stima.

Poveri superbi vanitosi! ... Ma credete che tutti abbiano a pensare a voi?... Ognuno ha i propri fastidi e tira per la sua strada! ... Vale dunque la pena sprecare tanto tempo e denaro per la voglia di comparire? ... Cosa ne resta a voi di utile? Vanità della vanità!...

 

Le opere del superbo.

Le nostre opere devono essere dirette alla gloria di Dio ed al bene del prossimo; soltanto così sono meritorie per l'altra vita. Ma il superbo non bada a ciò, anzi agisce in senso contrario; il fine del suo operare è l'appagamento dell'orgoglio, con la ricerca della stima e dell'approvazione altrui.

è bene qui ricordare gli Scribi ed i Farisei, uomini superbi, i quali furono riprovati da Gesù Cristo. Costoro facevano elemosina, pregavano a lungo, digiunavano ed erano osservanti scrupolosi della legge di Mosè. Tuttavia non erano accetti a Dio, perchè le loro opere erano fatte per riscuotere la lode degli uomini. Gesù perciò disse ai suoi discepoli: Se la vostra giustizia non sarà più abbondante di quella degli Scribi e dei Farisei, non entrerete nel regno dei Cieli.

Il superbo, quando non è visto, si astiene dal far la carità o ne fa assai poca; se invece sa di essere osservato, fa elemosina ed anche abbondantemente, affinché possa sentirsi dire: Oh, com'è caritatevole e di buon cuore!

Quello che si dice per la carità, si dica per tutto il resto.

Quale ricompensa può sperare il superbo da Dio in questa o nell'altra vita? Nessuna!

 

La superbia spirituale.

E' superbia spirituale il credersi buono, anzi più buono degli altri ed il disprezzare il prossimo perchè peccatore. Questo genere di superbia dispiace moltissimo a Dio, il quale conosce la miseria di ciascuno e sa che senza il suo aiuto non può farsi niente di buono.

Il Signore suole abbandonare questi superbi, lasciandoli in balia di se stessi, permette che poco per cadano in nei peccati e specialmente in quelli più vergognosi, affinchè imparino a conoscere la propria miseria spirituale.

Bisogna perciò guardarsi da un vizio così funesto; e per riuscirvi, ci si umili tanto più, quanto maggiore è il progresso che si fa nella via della perfezione.

 

UMILTA

L'umiltà è la virtù opposta alla superbia e consiste nello stimarci per quello che siamo, cioè un impasto di miseria, e nell'attribuire a Dio l'onore di qualche bene che in noi riscontriamo. Non dovremmo faticare molto a praticare l'umiltà, se fossimo davvero convinti di ciò che siamo.

Facciamo delle brevi considerazioni sopra l'umana miseria, per invogliarci sempre più dell'umiltà.

 

Il corpo umano.

Quanti vanno superbi del proprio corpo! C'è chi va orgoglioso per la bellezza del volto, chi per il colore dei capelli, chi per la freschezza della carnagione, chi per la robustezza delle membra, chi per la voce, ecc. Eppure, che cosa è il corpo umano, anche il più bello? E' un pugno di fango.

Basta un po' di febbre per abbattere una forte corporatura; un foruncolo può deturpare in breve il viso più avvenente; da ogni parte del corpo umano emanano odori nauseanti, per cui si ha da ricorrere alle ciprie ed ai profumi.

Appena avvenuta la morte, il corpo diventa freddo cadavere e presto ha principio la putrefazione. Si è costretti a chiuderlo in una cassa, ben saldata, e dopo lo si affida alla terra. Guai a trovarsi vicino al corpo umano quando la dissoluzione è avanzata! La carne purulenta si stacca dallo scheletro e serve di pasto ai rettili più schifosi del sottosuolo.

O uomini, o donne, che tanto vanto menate del vostro corpo e tanta cura ponete nel comparire, pensate a ciò che vi ridurrà presto o tardi la morte!

 

I beni di fortuna.

Cosa sono le ricchezze e la nobiltà del casato? Sono delle semplici vanità. Che merito ne hai tu, o uomo, se sei nato da nobili genitori e ne hai ereditato il nome, il denaro, il palazzo e le altre proprietà? Il merito, al massimo, sarebbe di chi ha faticato per procurarti tali beni. Quale differenza c'è tra te nobile e l'ultimo dei poveri? Tutti e due siete figli di Adamo e soggetti entrambi ad un cumulo di miserie. Come tu non hai avuto merito a nascere ricco, così l'altro non ha avuto colpa a nascere povero. E dunque, perché disprezzare il povero, aver vergogna di stargli vicino e pretendere da lui atti di umiliazione? ...

Si pensi che i beni di fortuna oggi ci sono e domani potrebbero non esserci. Un terremoto, un'inondazione, un furto, un fallimento... e scompaiono le ricchezze! Quanti nobili decaduti ricorda la storia! Vale dunque la pena d'insuperbirsi per i beni di fortuna? ...

 


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Le doti mentali.


Taluni hanno sortito da natura una memoria prodigiosa, oppure una intelligenza superiore, per cui ritengono quanto vedono e sentono e con facilità riescono in diversi rami della scienza. Altri, pur non avendo memoria ed intelligenza straordinaria, hanno tuttavia un'attitudine particolare alla musica, alla poesia, alla pittura o ad altra arte bella.


Costoro hanno diritto d'insuperbirsi? Niente affatto! Le doti intellettuali sono doni di natura e si possono perdere o in parte o completamente. Basta visitare un manicomio, per convincersi di ciò. Quanti professori valenti, medici di grido, avvocati celebri, ecc.... hanno perduto l'uso della ragione e sono ricoverati tra gli scemi!


 


Il bene spirituale.


Oltre alla memoria ed all'intelligenza, noi abbiamo la volontà, che é la facoltà più nobile dell'anima nostra. La volontà è fatta per il bene e tende ad esso.


Molti vanno in cerca di beni falsi e passeggeri e trascurano i veri beni, che si acquistano con l'esercizio delle virtù cristiane.


Ci sono invece anime ricche di beni spirituali, che moltiplicano gli sforzi quotidiani e che hanno già raggiunto un buon grado di perfezione. Possono queste insuperbirsi della propria virtù? No! L'anima può fare il bene, perchè è sorretta dalla grazia di Dio; se manca quest'aiuto, la volontà non può fare niente. La volontà umana è tanto debole: oggi vuole il bene e domani si appiglia al male; oggi ama e domani odia.


Come possono insuperbirsi i virtuosi, pensando alla debolezza della loro volontà? Basta pensare al principe degli Apostoli, S. Pietro, che disse a Gesù Cristo: Io sono pronto a morire con Te! Non ti abbandonerò! La stessa notte invece Lo rinnegò tre volte.


Quanti, che prima erano virtuosi e modello agli altri di vita cristiana, si pervertirono e divennero di scandalo! Dunque, si stia sempre umili e diffidenti di sè.


 


La parabola dei talenti.


Un tempo noi non esìstevamo; quindi eravamo nulla. Il Signore per sua infinita bontà ci ha creati, dotandoci di beni nell'anima e nel corpo. Nel fare ciò, ha avuto dei fini particolari. Ascoltiamo la parabola dei talenti, che Gesù narrò per il nostro ammaestramento:


« Un uomo, dovendo andare lontano, chiamò i suoi servi e diede loro i suoi beni. Ad uno consegnò cinque talenti, ad un altro due e ad un altro uno solo, a ciascuno secondo la propria capacità; e subito dopo partì.


Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò a trafficarli e ne guadagnò altri cinque. Similmente colui che ne aveva ricevuto due. Il servo però che ne aveva ricevuto uno, andò a scavare in terra e nascose il denaro del suo padrone.


Dopo molto tempo venne il padrone di quei servi e fece i conti con essi. E fattosi avanti chi aveva ricevuto cinque talenti, ne consegnò altri cinque dicendo: Padrone, mi hai dato cinque talenti; ecco ne ho guadagnati altri cinque. Gli rispose il padrone: Ben ti sta, servo buono e fedele; poichè sei stato fedele nel poco, ti costituirò a capo di molto; entra nel gaudio del tuo padrone!


Si fece avanti poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: Padrone, mi hai dato due talenti; ecco ne ho guadagnati altri due. Gli disse il padrone: Ben ti sta, servo buono e fedele, poiché sei stato fedele nel poco, ti costituirò a capo di molto; entra nel gaudio del tuo padrone.


Dopo venne avanti anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: Padrone, so che sei uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; avendo io timore, sono andato a nascondere sotto terra il tuo talento. Eccoti ciò che è tuo! Gli rispose il padrone: Servo cattivo e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e che raccolgo dove non ho sparso; bisognava dunque che tu affidassi il mio denaro alle banche e così ritornando io avrei percepito il mio denaro con il frutto. Perciò, sia tolto a lui il talento e sia dato a chi ne ha dieci; imperocché a chi ha, sarà dato ed abbonderà; a colui che non ha, sarà tolto anche quello che crede di avere. E questo servo inutile sia gettato nelle tenebre esteriori; ivi sarà pianto a stridor di denti».


Questa parabola c'insegna che Iddio dà a ciascuno dei beni, ma a chi dà più ed a chi meno. Ad uno dà molta ricchezza, ad un altro il puro necessario; a chi offre un corpo vigoroso e bello, a chi dà un corpo debole e difettoso; ad uno largisce un'intelligenza vasta e profonda, ad un altro una mente mediocre oppure incapace.


Alla fine della vita, quando si ha da comparire davanti a Cristo Giudice, ciascuno dovrà dar conto dei doni ricevuti e sarà domandato più a colui al quale più è stato dato.


Quando perciò si hanno doni particolari, materiali o spirituali, invece di montare in superbia, si pensi ad essere grati a Dio ed a corrispondere alle sue mire divine.


Per conservare l'umiltà, giova il considerare il seguente paragone.


Un ricco signore vuol cambiare dimora e stabilisce di trasportare tutto alla nuova abitazione servendosi di alcuni asini.


Sul primo asino mette la cassaforte, con il denaro ed i gioielli; sul secondo colloca dei quadri, capolavori di arte; sul terzo mette i drappi preziosi, sul quarto gli intensili di poco valore; sul quinto infine depone gli stracci ed altri oggetti di basso uso.


Supponiamo che questi asini possano parlare e lungo il tragitto tengano una conversazione:


State lontani da me, dice il primo asino ai compagni; io sono il più nobile, perché ho tanta ricchezza; mi vergogno di stare accanto a voi! Gli altri potrebbero rispondere: Sciocco e superbo! Sono forse tuoi i tesori che porti? Non sono del padrone? Non avrebbe potuto metterli sulla nostra groppa? Del resto, appena arrivati alla nuova dimora, tutto ti sarà tolto e resterai un povero asino come noi! Pensa dunque che asino sei ed asino rimarrai!


Quanto insegnamento dà questo paragone! ... Dovrebbero tenerlo presente i superbi!


L'umiltà è verità; come tale, se ci fa riconoscere la nostra miseria, non c'impedisce di riconoscere quanto in noi ci sia di buono, purchè tutto si riferisca a Dio.


Perciò non manca d'umiltà chi riconosce di essere ricco o intelligente o di bell'aspetto o arricchito di doni spirituali. Quando però si riceve qualche lode per le buone qualità, si dica in cuore: Non a me, o Signore, ma sia gloria a te, datore d'ogni bene!


è tanto facile però rubare a Dio la gloria! Questo si fa quando volontariamente noi godiamo delle nostre belle doti, quasi fosse merito nostro l'averle.


 


L'insegnamento della Madonna.


Maria Santissima, scelta a diventare Madre del Figlio di Dio, si umiliò davanti all'Arcangelo Gabriele, che la salutava « Piena di grazia ». Quanta umiltà in queste parole: « Ecco la serva del Signore! Si faccia di me secondo la tua parola! »


Iddio la sceglieva per Madre e lei si dichiarava serva! Quantunque umilissima, la Vergine sciolse un inno d'amore e di gratitudine al Signore riconoscendo la propria dignità.


Allorché S. Elisabetta le disse: E donde a me quest'onore, che la Madre del mio Signore viene a me! le rispose: L'anima mia magnifica il Signore ed esulta il mio spirito in Dio, mia salvezza! Poiche Egli guardò l'umiltà della sua serva; da questo momento tutte le generazioni mi chiameranno beata! Imperocche ha fatto a me cose grandi Colui che è potente ed il cui nome è Santo!


La Madonna c'insegna che anche nell'umiltà possiamo riconoscere in noi i doni di Dio e gioire di ciò, purché di tutto si dia gloria al Signore.


 


Umiltà davanti a Dio.


Non dobbiamo mai confidare in noi stessi, come se fossimo qualche cosa davanti a Dio, stimandoci giusti. Ecco la parabola che fa al caso nostro.


Due uomini, dice Gesù Cristo, andarono al Tempio per pregare; uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così: Ti ringrazio, o Dio, che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri; e neanche sono come quel pubblicano. Io digiuno due volte nel sabato; do decime di tutto ciò che possiedo.


Il pubblicano invece stando in fondo al Tempio, non osava neanche alzare gli occhi al cielo; ma batteva il petto dicendo: O Dio, siate propizio a me peccatore!


Io vi dico, conclude Gesù, che questo pubblicano ritornò a casa giustificato, a differenza dell'altro; perché chiunque si esalta sarà umiliato e chiunque si umilia sarà esaltato.


La parabola é molto eloquente. Se vogliamo che Iddio ci perdoni i peccati, umiliamoci sinceramente davanti a Lui, riconoscendo la nostra miseria.


Se fossimo realmente buoni, se cioè osservassimo bene la legge di Dio, non potremmo allora pensare altamente di noi? Neppure questo è lecito. Infatti Gesù ci dice: Quando voi avrete fatto tutto ciò che vi è stato comandato, dite: Siamo servi inutili! Abbiamo fatto ciò che dovevamo fare!


Ora, se chi adempie bene i comandamenti di Dio, deve dirsi servo inutile, che cosa pensare di chi ha fatto, oppure fa qualche peccato? ... E chi è sulla terra che non pecca? ...


 


I patimenti.


Il Signore non lascia mancare la croce ne' ai cattivi ne' ai buoni. Ai primi il soffrire serve a castigo dei peccati ed a mezzo di richiamo sulla buona via; ai secondi è fonte di merito per il Paradiso.


Il vero umile quando riceve una croce, sia una malattia, sia una disgrazia o una contrarietà, non si ribella a Dio, ma tutto facilmente abbraccia, dicendo: Signore, ho peccato! ... Merito questa croce, a motivo dei miei peccati! Abbiate pietà di me e datemi la forza di soffrire! Chi può dire quali tesori per il Cielo guadagna, facendo così l'anima umile?...


Il superbo invece, se si trova nella sofferenza, si arrabbia e dice: Ma che cosa ho fatto a Dio, perché abbia a trattarmi così? Ho fatto bene nella mia vita! Povero superbo, come si sbaglia davanti a Dio! ...


 


Umiltà col prossimo.


L'umiltà con gli altri si pratica pensando bene di tutti e scusando quelli che sbagliano; non mormorando dei difetti altrui, anzi sopportandoli con pazienza; trattando con rispetto e cortesia tutti, anche i poveri, i rozzi e gl'ignoranti; non usando parole sprezzanti coi dipendenti e persone di servizio; non disprezzando la compagnia di chi è di bassa condizione; finalmente, aiutando i bisognosi.


Facendo così, si diventa amici di tutti e naturalmente si è stimati e lodati con disinteresse.


 


Umiltà con se stessi.


Si pratica l'umiltà con se stessi, non soltanto riconoscendo la propria miseria, ma anche accettando con calma le umiliazioni. Un insulto, una mancanza di riguardo, un merito non riconosciuto, un favore ricambiato in male ... son cose che feriscono la superbia umana. L'umiltà ci fa scoprire tutto ciò con coraggio cristiano, pensando che per i nostri peccati siamo meritevoli di ogni umiliazione.


L'umiltà c'insegna anche a pregare per chi ci ha umiliati.


Ma come avere la forza di praticare l'umiltà in tal guisa? Tenendo presente l'esempio di Gesù Cristo!


Nelle umiliazioni pensiamo a Gesù quando era insultato, ingiuriato, sputacchiato e preso a schiaffi dai perfidi Giudei. Se Gesù, Figlio di Dio, innocentissimo, sopportò tante e sì gravi umiliazioni, noi Cristiani, essendo suoi seguaci, sforziamoci d'imitarlo come facevano i Santi e così troveremo il riposo per le anime nostre.


[Edited by Caterina63 6/10/2017 9:37 AM]
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6/10/2017 9:38 AM
 
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AVARIZIA


Il secondo vizio capitale è l'avarizia, cioè l'amore disordinato dei beni terreni, chiamati comunemente « beni di fortuna ».


L'avarizia è peccato più o meno grave, secondo che offende più o meno gravemente la carità o la giustizia.


Se il cuore umano è dominato da questo vizio, ad altro non pensa e non mira che alla ricchezza; diventa schiavo del denaro, sino ad adorare come Dio la moneta.


Gli avari, propriamente detti, non sono molti; costoro si privano del necessario pur di accumulare denaro. Però gli attaccati alle ricchezze più del giusto, sono in gran numero. Per convincersi di ciò, basta vedere con quale avidità si compera e si vende, quante liti si sostengono ed a quanti sacrifici si va incontro per accrescere il proprio guadagno.


Non è da confondersi con l'avarizia il giusto desiderio di guadagnare del denaro, per sovvenire ai propri bisogni ed a quelli della famiglia; neppure è avarizia quel senso di economia, per cui si limitano le spese non necessarie, allo scopo di mettere da parte qualche cosa per gl'imprevisti della vita.


 


Conseguenze.


Il desiderio di arricchire suole spingere all'usura.


Il bisognoso si rivolge al benestante per avere in prestito denaro. Bisognerebbe immedesimarsi della necessità del prossimo e dare in prestito generosamente, senza domandare interesse, oppure chiedere il minimo. Chi però è attaccato alla ricchezza, o non dà in prestito o, se dà, richiede molto interesse. Quanti usurai fanno piangere intiere famiglie, spillando denaro a più non posso! Giustamente questi miserabili sono chiamati strozzini, perché strozzano il prossimo, prendendolo per la gola.


L'amore sregolato al denaro fa frodare anche la giusta mercede all'operaio. Il lavoro dev'essere retribuito come si conviene, cioè la paga dev'essere in rapporto alla fatica ed all'abilità.


L'avaro invece esige molto lavoro e retribuisce poco, dando così motivo di bestemmiare e d'imprecare.


L'amore al denaro mette a tacere anche la voce del sangue. Perché tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle, tra zii e nipoti, non si mantiene la dovuta cordialità? ... Perché spesso costoro non si visitano, non si salutano, anzi si calunniano, augurandosi ogni male? è la conseguenza dell'attacco al denaro.


E quanti delitti non si commettono per appropriarsi della roba altrui! Ed a quanti parenti si desidera la morte prematura, nella speranza di aver presto l'eredità o qualche lascito!


Giuda tradì Gesù Cristo per trenta denari; e chiunque si lascia vincere dall'amore ai beni di questo mondo, non c'è male che non possa commettere, davanti alla possibilità di arricchire ancora.


 


IL NECESSARIO


L'esempio di Gesù.


I beni di questo mondo ci sono stati dati da Dio come mezzo di sostenimento; non bisogna dunque attaccarvi troppo il cuore e cambiare così il mezzo col fine. Gesù diede al mondo l'esempio del più completo distacco dai beni terreni, per far comprendere che le vere ricchezze sono quelle celesti. Egli perciò volle una Madre povera ed un Padre Putativo povero; nacque nella massima povertà; lavorò e visse da povero, sino a dire ad un tale che voleva seguirlo: Gli uccelli dell'aria hanno i loro nidi e le volpi le loro tane, ma il Figlio dell'uomo non ha neppure dove posare il capo.


 


L'insegnamento divino.


Gesù amava i poveri, sino a chiamarli beati, e proclamò questo solennemente quando disse alla moltitudine dall'alto di una montagna: Beati i poveri di spirito,. cioè i distaccati dalle ricchezze, perché di essi è il regno dei Cieli!


Ma mentre il Divin Maestro ai poveri dice questo, ai ricchi rivolge parole terribili: Guai ai ricchi! E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, anziché un ricco entrare in Paradiso! Ciò significa che chi è ricco ed è molto legato ai beni, difficilmente potrà salvare l'anima sua.


 


I bisogni della vita.


Finché si sta sulla terra, si ha bisogno di cibo, di vestiti e di altre cose accessorie. Dunque si ha da brigare affinché niente venga a mancarci.


Dice S. Paolo: Avendo di che nutrirci e di che coprirci, di ciò dobbiamo essere contenti.


Perciò non è male cercare quello che è necessario. Il Signore però vuole che non si abbia troppa preoccupazione del cibo e del vestito; desidera invece che si viva con maggiore fiducia nella sua provvidenza.


 


Gli uccelli ed i fiori.


« Guardate, dice Gesù Cristo, gli uccelli dell'aria; non seminano, non mietono e non raccolgono nei granai; eppure il vostro Padre Celeste li nutrisce. Non valete voi più di molti uccelli? E chi di voi, pensando, può aggiungere alla sua statura un solo cubito? E del vestimento perché vi preoccupate? Considerate come crescono i gigli del campo; non lavorano e non tessono. Ed io vi dico che neppure Salomone nella sua gloria fu coperto come uno di essi. Se adunque l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel fuoco, Iddio veste in tale modo, quanto più vestirà voi, uomini di poca fede? Non vogliate perciò essere troppo solleciti, dicendo: Che cosa mangeremo o che cosa berremo o come ci copriremo? Tutte queste cose infatti cercano i pagani. Sa il vostro Padre Celeste che voi abbisognate di tutte queste cose ».


Queste parole sono uscite dalla bocca di Dio e quindi sono verissime. Ma come si spiega che tanti mancano del necessario?


La ragione la dà lo stesso Gesù, concludendo il discorso precedente: Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date per giunta. Non vogliate dunque essere preoccupati soverchiamente del domani.


Se si osserva la legge di Dio, come si deve, il Signore non ci farà mancare il necessario.


Il più datelo ai poveri! Gesù c'insegna a pensare anche al prossimo bisognoso e dice: Quello che avete di più, datelo ai poveri!


Oh! se si mettesse in pratica questo divino precetto, come si solleverebbe l'umanità! Non avremmo i ricconi e neppure i miserabili.


 


I veri tesori.


La virtù opposta all'avarizia è la liberalità e consiste nell'avere il cuore staccato dalla ricchezza e nel beneficare gli altri, nel limite della propria possibilità.


« Non vogliate, dice il Signore; affaticarvi per guadagnare tesori sulla terra, tesori che la ruggine e la tignola distruggono e che i ladri dissotterrano e rubano. Procuratevi invece tesori per il Cielo ... Fatevi degli amici col Mammona d'iniquità, (cioè col denaro,) affinché quando verrete meno, possiate essere ricevuti negli eterni tabernacoli ».


Il Signore in tal modo ci esorta a tesoreggiare per il Paradiso e ci dice di servirci del denaro per assicurarci la felicità eterna. Chi infatti fa buon uso del denaro, esercitando la cristiana carità, sconta i peccati e si arricchisce di tesori, che troverà in Cielo quando verrà meno con la morte.


Ma mentre è promesso il Paradiso a chi fa buon uso delle ricchezze, è minacciato il fuoco dell'inferno a chi non fa carità, avendone la possibilità.


 


Il ricco epulone.


Leggiamo nel Vangelo: C'era un uomo ricco, che vestiva porpora e tutti i giorni dava grandi banchetti. C'era anche un mendicante, di nome Lazzaro, il quale pieno di piaghe giaceva alla porta di lui, bramoso dl sfamarsi con le briciole che cadevano dalla tavola del ricco, ma nessuno gliene dava; soltanto i cani andavano a leccargli le piaghe. Il mendicante mori' e fu portato dagli Angeli in seno ad Abramo; mori' anche il ricco e fu sepolto nell'inferno. Alzando costui gli occhi, mentre era nei tormenti, vide da lungi Abramo e Lazzaro nel suo seno. Allora ad alta voce esclamò: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro ad intingere nell'acqua la punta del dito per rinfrescare la mia lingua, perché io spasimo in questa fiamma! Ma Abramo gli rispose: Ricordati che tu avesti la tua parte di beni durante la vita, mentre Lazzaro ebbe nel medesimo tempo la sua parte di mali; perciò ora egli è consolato e tu sei tormentato. Oltre a questo, una grande voragine è posta tra noi e voi.


Quegli replicò: Io ti prego adunque che tu lo mandi a casa di mio padre, perchè ho cinque fratelli, per avvertirli di queste cose, affinché non abbiano anch'essi a venire in questo luogo di tormento. Abramo rispose. Hanno Mosè ed i Profeti; ascoltino quelli. E l'altro replicò: No, Padre Abramo, se un morto andrà a loro, faranno penitenza. Ma Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non crederanno neppure ad un uomo risuscitato.


Il ricco epulone fu condannato al fuoco eterno per il solo fatto che aveva tanti beni e non si dava pensiero di farne partecipe il povero mendicante.


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LUSSURIA


Uno dei vizi che fa più strage morale in mezzo all'umanità, è la lussuria, cioè il piacere sensuale. Questo vizio si suole anche chiamare disonestà, immoralità o impurità.


Iddio ci ha dato un corpo fornito di sensi ed un'anima intelligente e volitiva. Il corpo ha delle funzioni particolari, stabilite dal Creatore, funzioni che se si compiono contrariamente all'ordine voluto da Dio, sono un male molto grande.


Per la qual cosa il Signore ha messo nel Decalogo due comandamenti espliciti, uno che riguarda le azioni: « Non commettere atti impuri » e l'altro che riguarda i pensieri: « Non desiderare la persona degli altri ». Chiunque manca volontariamente contro questi comandamenti, commette sempre peccato mortale, non ammettendo la lussuria parvità di materia.


 


Funeste conseguenze.


La lussuria è un vizio così potente, che guai a lasciarsene dominare! La schiavitù delle impure passioni è infatti la più vergognosa ed umiliante.


Davanti a questo vizio si sacrifica la propria dignità e si diventa simili alle bestie senza ragione; si sacrifica la salute, per cui si va a finire al manicomio, oppure si va alla tomba prima del tempo. Si sacrifica il denaro, la pace della famiglia, la pace del cuore; e più che tutto si sacrifica l'anima rendendola un tizzone d'inferno.


Al tempo di Noè il Signore punì questo brutto vizio con il diluvio universale; ed al tempo di Abramo punì le città delle Pentapoli mandando il fuoco dal cielo, che incenerì tutti gli abitanti. Se riflettiamo bene, possiamo convincerci che buona parte dei mali che oggi affliggono l'umanità, sono dovuti, al dilagare della disonestà.


 


PUREZZA


Alla disonestà si oppone la purezza, che è chiamata « la bella virtù » per eccellenza; essa è detta anche virtù angelica, virtù sublime, compendio di ogni virtù.


Il simbolo di questa virtù è il giglio, fiore candido e profumato; infatti l'anima che possiede la purezza, è come un giglio che attira sopra di se gli occhi di Dio.


 


Gesù Cristo.


Nella Sacra Scrittura Gesù è chiamato l'Agnello che si pasce tra i gigli. Prendendo Egli forma umana, volle un corpo purissimo e lo prese da Maria Vergine, la più pura delle creature. Volle un custode o Padre Putativo e lo scelse nella persona di Giuseppe, il fabbro di Nazaret, uomo oltremodo puro, degno di stare a fianco di Maria Santissima.


Volle un Precursore, cioè uno che gli preparasse la via in mezzo al popolo ebreo, e lo trovò in Giovanni Battista, uomo austero, di costumi illibati, e che mori' poi martire della purezza.


Gesù si circondò degli Apostoli, uomini ben costumati, ed amò stare tra i piccoli perchè innocenti e puri, dicendo con enfasi: Lasciate che i pargoli vengano a me!


Davanti alla moltitudine che lo ascoltava estasiata, esclamò: Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio!


Il Signore permise che i suoi nemici invidiosi lo chiamassero impostore, bestemmiatore, indemoniato ... ma non permise che lo tacciassero riguardo alla purezza, tanto che potè sfidare pubblicamente i suoi avversari, dicendo: Chi di voi può accusarmi di peccato? e tutti tacquero.


 


Purezza matrimoniale.


Tutti abbiamo il dovere di essere puri, ciascuno secondo il proprio stato. C'è la purezza matrimoniale e quella verginale. Coloro che sono uniti col vincolo matrimoniale, hanno degli obblighi gravi, ai quali non devono mancare. Si ricordino che anche per essi c'è il sesto e il nono Comandamento. Per gli sposati il mancare contro la virtù della purezza importa una gravità maggiore che non per i celibi. Purtroppo la santità matrimoniale è profanata con tanta facilità. Iddio vede tutto e darà a suo tempo a ciascuno il dovuto castigo.


Nella vita di S. Caterina da Siena si legge che il Signore in una rivelazione le disse essere molto offeso per i peccati che si commettono dai coniugati.


è bene perciò che gli sposati esaminino la propria coscienza, per vedere se c'è da correggere qualche cosa.


 


Purezza verginale.


Chiamasi purezza verginale quella che devono osservare tutti coloro che sono liberi dal vincolo matrimoniale.


Per praticare bene questa virtù ci vuole buona volontà; il premio però è grandissimo.


Un'anima vergine dà a Dio molta gloria e si arricchisce continuamente di meriti per il Cielo.


Non mancano nel mondo queste anime generose, che sacrificano ogni umano diletto per amore del regno dei Cieli. Costoro godono in terra le gioie pure dello spirito ed avranno nell'altra vita un premio particolare.


San Giovanni Evangelista in una visione vide il Paradiso ed i Beati vicino al trono di Dio. Scorse una schiera di anime che seguivano festanti l'Agnello Immacolato, Gesù Cristo, dovunque Egli andasse, e cantavano un inno, che solamente a loro era permesso di cantare. San Giovanni chiese: Chi sono costoro? Gli fu risposto: Sono le anime vergini, che hanno lavato la loro stola nel Sangue dell'Agnello.


Attratti dalla sublimità di questa virtù, tante anime fanno il voto di purezza, o temporanea o perpetua. Prima però di emettere un tal voto, si domandi il parere al proprio Confessore, poiché è facile in un momento di fervore offrirsi al Signore, ma non è sempre facile essere puri come si deve. Si sappia che chiunque fa il voto di purezza, guadagna doppio merito delle opere buone che compie riguardo a questa virtù. Però se manca volontariamente contro la purità, o nei pensieri o nelle parole o nelle opere, commette allora doppio peccato grave, uno contro il Comandamento di Dio e l'altro contro il voto emesso. In Confessione si deve dire: Padre, ho peccato contro la purità; però ho anche il voto.


Dal voto di purezza temporanea, cioè per mesi o per anni, si può ottenere la dispensa dal Vescovo o da altro Sacerdote che ne abbia facoltà. Dal voto di purezza perpetua, cioè di tutta la vita, si può ottenere la dispensa solamente dalla Santa Sede. Però, se il voto perpetuo è stato fatto prima dei diciotto anni, non occorre rivolgersi alla Santa Sede per la dispensa.


 


Il corpo.


Se vogliamo essere puri, dobbiamo custodire il corpo, il quale è il più grande nemico della purezza.


Pur dando al corpo quanto gli spetta, non gli si conceda troppa libertà. Chi non riesce a dominare con facilità i propri sensi, presto o tardi perderà la bella virtù.


Iddio ci ha dato gli occhi affinché potessimo servircene in bene. Essi però sono chiamati le finestre dell'impurità; difatti guardare, pensare e peccare, sono spesso indivisibili.


Non è lecito guardare ciò che non è lecito desiderare. Si custodiscano dunque gli occhi e non si posino maliziosamente nè sopra oggetti nè sopra persone. Uno sguardo cattivo può dare la morte all'anima. Eppure, con quanta facilità si profanano gli occhi! ...


Dovremmo essere tanto grati a Dio per il dono della lingua; invece la maggior parte delle persone se ne serve in male. Quante parolacce triviali e libere si pronunziano nella rabbia, oppure nello scherzo! Quante frasi equivoche si mettono fuori per fare dello spirito!


Tuttavia ciò che costituisce un grande male, è il discorso disonesto o vergognoso. Il parlare scandalosamente è la rovina della propria purezza e dell'altrui e costituisce per lo più un grande male.


Bisognerebbe fare una lotta spietata al parlare immorale, rimproverando senza tanto riserbo chi ha la sfacciataggine d'intavolare certi discorsi ... che fanno vergogna.


è necessario mortificare la curiosità di sapere e di sentire ciò che non è conveniente.


Siccome le orecchie non si possono chiudere, come si fa per gli occhi, la miglior cosa è allontanarsi da chi tiene cattivi discorsi. Nè si pensi che l'ascoltare chi parla scandalosamente sia cosa insignificante, poiché si comporta male chi fa il discorso disonesto e chi l'ascolta volentieri.


Il corpo è tempio dello Spirito Santo; si rispetti perciò come una cosa sacra. Il senso del tatto sia delicatamente custodito e si porti grande rispetto alla propria ed all'altrui persona, evitando ogni libertà illecita con se e con gli altri. Il cuore è fatto per amare; perciò non tutti gli amori sono leciti.


Quando ci si accorge che il cuore tende ad un amore non buono, bisogna subito troncare gli affetti, diversamente le fiamme amorose aumenteranno sempre più e si svilupperà un incendio inestinguibile. Il cuore umano non tenuto a freno, porta nell'abisso della impurità e poi nell'abisso infernale.


Pensino a custodire bene il cuore specialmente le donne, le quali sono tanto facili ad amare!


 


I pensieri.


Ad una certa età, quando cioè si esce dalla fanciullezza, i pensieri cattivi cominciano a disturbar la mente. Non è il caso di preoccuparsi per tali pensieri, perchè non sono mai peccato quando la volontà è contraria.


Chi ha nella mente cattivi pensieri ed impure immaginazioni, ma senza badare al male che fa, unicamente per distrazione ed inavvertitamente, non commette peccato alcuno.


Chi si ferma nei brutti pensieri con poca avvertenza, oppure senza la piena volontà, commette un semplice peccato leggero.


Chi invece si pasce di pensieri e desideri illeciti e fa ciò con piena conoscenza e con piena volontà, è colpevole di grave peccato contro la purezza.


Coloro che si accorgono del cattivo pensiero e subito lo scacciano, o fanno ad esso l'atto contrario, non peccano, ma guadagnano merito davanti a Dio. Si confortino perciò le anime tentate, pensando che neppure i più grandi Santi sono stati esenti da simili assalti.


 


La cattiva abitudine.


Tutte le abitudini cattive sono funeste; ma l'abitudine del peccato impuro è la più disastrosa. Infelice chi cade e ricade con frequenza in questo peccato! O l'anima si rimette sulla buona via o andrà inesorabilmente perduta.


Ci sono dei mezzi efficaci per troncare l'abitudine dell'impurità. Il primo è la buona volontà. Il demonio suggerisce che è impossibile rompere la catena della cattiva abitudine; ma ciò non è vero. Chi vuole può. Quanti infatti, già schiavi del brutto vizio, si sono corretti ed hanno fatto penitenza! Maddalena, la Samaritana, Sant'Agostino, Santa Taide, Santa Maria Egiziaca, ecc.... furono anime grandemente peccatrici e scandalose, ruppero però la catena della rea abitudine ed ora sono degne di pubblica venerazione sugli Altari.


Il secondo mezzo è la preghiera. Pregando, si rafforza la volontà ed aumenta l'energia spirituale. E' bene anche far celebrare qualche Santa Messa.


Un mezzo potente assai è la Confessione frequente e ben fatta, unita alla Santa Comunione. Se è il caso, ci si confessi ogni giorno. Commesso un peccato impuro, non si aspetti che se ne faccia un altro prima di andare a confessarsi. Se si ritarda a mettersi in grazia di Dio, il demonio farà moltiplicare i peccati e sarà poi più difficile il rialzarsi. La Confessione sia fatta bene, cioè sincera e col dovuto dolore. Purtroppo, chi cade nell'impurità, non di raro per vergogna tace in Confessione ciò che è tenuto a manifestare al Ministro di Dio e così commette il sacrilegio. Altri invece, pur confessando tutto, non hanno il vero dolore per detestare il peccato impuro e così non ricavano utilità dalla Confessione. Riporto una visione di San Giovanni Bosco.


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6/10/2017 9:40 AM
 
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La corda limacciosa.

Dice il Santo: Mi trovai in una grande sala illuminata, ed ecco comparire una schiera di bellissimi giovanetti come Angeli, che tenevano nelle mani dei gigli e li distribuivano qua e là, e coloro che li ricevevano si sollevavano da terra. Domandai alla mia guida che cosa significassero quei giovani che portavàno il giglio e mi fu risposto: Sono quelli che seppero conservare la virtù della purità.

Scomparve la bellissima luce ed io rimasi al buio. Di poi vedevo facce rosse, quasi infuocate. Vidi alcuni giovani che si affaticavano attorno ad una corda limacciosa, pendente dall'alto, e si sforzavano di arrampicarsi ed andare in alto; ma la corda cedeva sempre e veniva giù un poco, di modo che quei poverini erano sempre a terra con le mani e la persona infangate. Meravigliato di ciò, domandai cosa volesse significare quello che vedevo. Mi fu risposto: La corda è la Confessione; chi sa bene attaccarvisi, arriverà al Cielo, e questi sono quei giovani che vanno sovente a confessarsi e si attaccano a questa corda per potersi innalzare; ma vanno a confessarsi senza le dovute disposizioni, con poco dolore e poco proponimento.

Vidi in seguito un altro spettacolo più desolante. Certi giovani di aspetto tetro avevano attorcigliato al collo un gran serpentaccio, che con la coda andava al cuore e sporgeva innanzi la testa e la posava vicino alla bocca del meschino, come per mordergli la lingua, se mai aprisse le labbra. La faccia di quei giovani era così brutta che mi faceva paura; gli occhi erano stravolti; la loro bocca era torta ed essi erano in una posizione da mettere spavento. Domandai il significato di ciò e mi fu detto: Il serpente stringe la gola a quegl'infelici e, per non lasciarli parlare in Confessione, sta attento se aprono la bocca per morderli. Poveretti! Se parlassero, farebbero una buona Confessione ed il demonio non potrebbe più niente contro di loro. Ma per rispetto umano non parlano, tengono i loro peccati nella coscienza, tornano più e più volte a confessarsi, senza mai osare di mettere fuori il veleno che racchiudono nel cuore. Va' a dire ai tuoi giovani che stiano attenti e racconta loro quello che hai visto.

 

La penitenza.

Tra i rimedi per vincere la cattiva abitudine del peccato impuro, è da mettere la mortificazione o penitenza. Il corpo è come un cavallo furioso e bizzarro, che ha bisogno della frusta e degli speroni per essere tenuto a bada.

Chi vuol correggersi, si privi di tanto in tanto di piaceri anche leciti, faccia qualche penitenza speciale, come sarebbe un digiuno, il battere il corpo con qualche strumento, il portare un piccolo cilizio ... Se facevano questo i Santi, i quali non ne avevano tanto bisogno, perchè non hanno da farlo coloro che facilmente cadono nell'impurità? ... Si è provato che la penitenza del corpo mette in fuga la disonestà.

In conclusione, chi vuol correggersi davvero, ogni qual volta ha la disgrazia di cadere nel brutto peccato, s'imponga una qualche penitenza corporale. Ad ogni nuova caduta, una nuova penitenza. E' impossibile non correggersi con tale rimedio.

 

Consigli per custodire la purezza.

Per custodire il giglio della purezza si procuri di tenere occupata la mente in buoni pensieri. Si stia sempre occupati, perchè l'ozio è il padre dei vizi. Si pensi che vicino a noi c'è l'Angelo Custode, notte e giorno, e perciò non deve farsi mai cosa alcuna che sia indegna della sua presenza.

Si pensi spesso che Iddio vede tutto, anche i pensieri più nascosti, e non si abbia la spudoratezza di fare alla presenza del Signore, quel male che non si farebbe alla presenza dei genitori o di persona riguardevole. Quando la tentazione assale e minaccia di aumentare l'energia, è bene interrompere l'occupazione che si ha per mano, mettersi a passeggiare, lasciare la solitudine cercando un poco di onesta compagnia, cantare lodi sacre, ecc....

Se con tutto ciò la tentazione ingigantisce, il che è molto raro, non rimane altro che gettarsi in ginocchio, baciare il Crocifisso o la medaglia, fare la Croce possibilmente con l'acqua benedetta e dire con fede: Prima la morte, o Signore, anzichè peccare!

 

Fuga delle occasioni.

E' occasione di peccato tutto ciò che esternamente sollecita la volontà a peccare, sia persona, sia oggetto, sia luogo. L'occasione può essere remota e prossima. Si dice remota, quando non è tale da spingere fortemente la volontà alla colpa grave; è prossima, quando ordinariamente trascina al peccato mortale.

Chi si mette in una data occasione, ad esempio, dieci volte, e sempre o la maggior parte delle volte cade nella colpa grave, allora si trova nella vera occasione prossima di peccato. Si tenga bene in mente questo: Chiunque si mette nell'occasione prossima di grave peccato volontariamente e senza una forte ragione, commette peccato mortale volta per volta, anche se casualmente non acconsentisse alla tentazione!

 

Attenzione a certe persone.

Occasione di peccato contro la purezza sogliono essere le persone di sesso differente. Si eviti dunque la compagnia di coloro che sono poco timorati di Dio e che non hanno stima della purezza.

Le donne si guardino anche dai parenti e specialmente dai cognati e dai cugini.

Un'occasione grave, ma necessaria, è il fidanzamento; si abbia perciò la massima vigilanza per non deturpare il giglio della purezza. I fidanzati non stiano mai soli, abbiano un grande rispetto vicendevole e siano disposti a dispiacere alla creatura anziché offendere il Creatore. I fidanzati tengano lontano il pensiero della fuga vergognosa, perché è peccato mortale contro la purezza. Commettono anche grave peccato coloro che hanno il dovere e la possibilità d'impedire questa fuga e non lo fanno, coloro che in qualche modo l'aiutano e quelli che la consigliano oppure l'approvano.

 

Scuola e laboratorio.

La compagnia dei buoni aiuta a diventare migliori; quella dei cattivi trascina al male.

Non manca la cattiva compagnia nelle pubbliche scuole e nei laboratori. La gioventù bramosa di conservarsi pura, stia più lontano che sia possibile dagli appestati morali e, pur frequentando la scuola o il laboratorio, usi tutti i mezzi necessari per non lasciarsi contaminare. Per riuscire, conosciuti gli esseri pericolosi, si fugga la loro compagnia, si facciano conoscere a chi fa da superiore e, se sarà necessario, si cambi laboratorio.

Chi ha la responsabilità di un laboratorio, specialmente di giovani, vigili e mandi via chi può seminare l'immoralità e non lasci mai soli i giovani lavoranti, perchè quando manca il capo, ordinariamente il demonio impuro semina il male.

 

I divertimenti mondani.

Il divertirsi onestamente è lecito. Ma i divertimenti che oggi il mondo appresta, sono un'insidia continua alla virtù della purezza. Bisogna sapersi guardare. Si dovrebbero meditare bene queste tremende parole di Gesù Cristo: Guai al mondo per gli scandali!

Quando il cinema ed i teatri sono buoni, non si fa male ad andarvi; quando sono cattivi, non si vada assolutamente; quando si è in dubbio sulla moralità di qualche rappresentazione, è prudenza cristiana non andarvi.

Allorché si ci trova davanti a certe scene poco castigate, non sempre basta abbassare gli occhi, ma è necessario alzarsi ed andare via. Questo dovere è chiesto dalla dignità personale, dalla responsabilità verso coloro che forse ivi si sono condotti e dal buon esempio che deve darsi al prossimo. Ma facendo così, si perde il denaro del biglietto! è meglio perdere un po' di denaro, anzichè il candore della purezza.

Quanti, dopo aver pascolato la mente tra scene immorali, escono dal cinema morti alla grazia di Dio, col rimorso e con le durature conseguenze delle brutte impressioni!

Facciano un buon esame di coscienza i genitori, che fossero facili ad accontentare i figli con questi divertimenti e si esaminino pure tutti coloro che accorrono con frequenza a tali spettacoli.

 

Il ballo.

Di per se stesso il ballo non sarebbe un male, però la malvagità umana l'ha ridotto ad una scuola d'immoralità. I vari balli moderni, eseguiti specialmente tra persone di diverso sesso, costituiscono un vero pericolo per la purezza.

Si faccia di tutto per impedire simili balli e non si permettano nelle famiglie che si dicono cristiane; anzi, non vi si assista neppure, per non approvare colla propria presenza il male che altri commette.

I genitori, desiderosi di custodire la purezza delle figliuole, siano molto vigilanti su questo spasso mondano, che giustamente è chiamato il divertimento del diavolo.

 

La spiaggia.

Anche la vita di spiaggia è considerata oggi come rovina della purezza. Il costume molto ridotto, l'ozio, la presenza di giovani dissoluti, tutto ciò concorre alla rovina delle anime.

è necessario quindi prendere le dovute cautele, diversamente, mentre si va al mare per pulire il corpo e rafforzarlo, si macchia l'anima e la si potrebbe perdere eternamente.

 

La moda.

Le donne son portate naturalmente a seguire la moda. Se la moda è modesta, la purezza ne avvantaggia; se è troppo libera, i buoni costumi ne risentono assai.

Al presente l'abito femminile lascia molto a desiderare, tanto che si può chiamare la provocazione delle umane passioni. Ordinariamente le donne non pensano al male che fanno col vestire immodesto; esse cercano di appagare la vanità; il demonio invece si serve di ciò per tendere insidie agl'incauti e farli cadere nel male.

Coloro che confezionano abiti femminili, siano prudenti e delicati nell'esercizio della loro professione per non cooperare alla rovina delle anime. Preferiscano perdere certi clieti, anzichè macchiare la propria coscienza.

I genitori cristiani s'impongano energicamente sulle figliuole e non permettano di vestire immodestamente. Si ricordi che il migliore ornamento di una giovane è la serietà del vestire e la modestia del portamento.

 

Altri pericoli.

Libri cattivi ce n'è molti e si trovano anche presso famiglie cristiane. Si leggono con la scusa d'istruirsi o con la falsa idea di non ricavarne del male. Quando un libro è cattivo, non solo si fa male a leggerlo, ma si fa male pure a prestarlo, a consigliarlo ed a tenerlo conservato. Non resta dunque che distruggere subito i libri cattivi o pericolosi.

Quello che si dice per i libri, valga anche per i giornali, le riviste ed i periodici cattivi.

Il televisore costituisce un pericolo per la moralità; si trasmettono opere, films e dialoghi che lasciano assai a desiderare in fatto di purezza.

In ultimo, si considerino come veri pericoli i quadri e le statuette indecenti, esposte senza riserbo nelle villette, lungo le scale e sulle pareti delle camere. Quanto male non fanno certi lavori, chiamati artistici, ma che in realtà si dovrebbero chiamare scandalosi!

Si distruggano anche certe cartoline indecenti, che persone senza timore di Dio mettono in circolazione.

 

Custodire i piccoli.

Ad una certa età, conosciuto il valore della purezza, ciascuno è in grado di vigilare sopra di se e sopra degli altri. I piccoli però non possono fare questo, in quanto non conoscono il male.

I genitori ed i superiori hanno il dovere grave di vigilare affinché i piccoli non vengano scandalizzati.

I ragazzini e le ragazzine sogliono essere facilmente vittime delle umane passioni. Ma guai a chi compie quest'opera diabolica! Dice Gesù: Guai a chi dà scandalo ad uno di questi piccoli che credono in me!

In pratica, si sia prudenti a non fare riposare, ad una certa età, nello stesso letto parecchi figliuoli. Non si lascino senza sorveglianza i piccoli quando attendono al giuoco, specialmente se cercano di nascondersi per non essere visti. Non ci si fidi troppo delle persone di servizio, in modo particolare se sono poco timorate di Dio.




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6/10/2017 9:41 AM
 
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IRA

Il quarto vizio capitale è l'ira o collera, che può definirsi, in senso stretto, come il desiderio disordinato della vendetta. Considerata in senso largo, la collera è una viva commozione dell'animo, che ci fa respingere con forza e sdegno ciò che ci dispiace.

Qualche volta la collera non è peccato; questo avviene quando è conforme alla retta ragione. Un esempio l'abbiamo nel Vangelo. Gesù trovò nel Tempio i profanatori; allora prese il cingolo, ne fece come un flagello e con esso battè i profanatori, mandandoli fuori dalla Casa di Dio.

Anche quando la collera è conforme alla retta ragione, potrebbe divenire peccato, più o meno grave, per quello che si fa durante l'ira o per il modo con cui si fa. Nella collera infatti si può peccare o perché si punisce chi non merita, o perché si punisce più gravemente che non comporti la colpa, o perché si ha di mira più la vendetta anzichè la correzione del colpevole, o perchè si esagera nella maniera di adirarsi.

Da ciò ne segue che è meglio non arrabbiarsi mai, piuttosto che arrabbiarsi giustamente, poichè è difficile mantenersi nei giusti limiti.

 

Simile alla pazzia.

Chi è pazzo, parla ed opera senza riflettere; può recare del male a se ed agli altri. Non è però responsabile del suo agire. Chi si lascia dominare dalla collera, finché è in preda alla passione, è come un pazzo: non sa ciò che dice o fa. Quante stranezze si commettono nella rabbia! Si battono i piedi, si tirano i capelli, si mordono le mani, si bestemmia, s'impreca, si getta addosso al primo che capita ciò che si ha fra le mani, sì ferisce il prossimo e si può anche dargli la morte. Cessata la rabbia, il collerico suole restare umiliato e dice a se stesso: Ma cosa ho fatto?... Guarda un po' a che estremi sono arrivato!... Ah! questi nervi! Invece di pentirsi dopo, è meglio pensarci prima e non montare in collera.

Il collerico è di tormento agli altri ed a se. Guai a contrastarlo! Ne sanno qualche cosa le spose ed i figli, quando hanno da fare con il capo di famiglia assai nervoso. Sono ingiurie, minacce e botte! La presenza del collerico in casa tronca il sorriso dei familiari.

Chi facilmente monta sulle furie, vive nell'inquietudine, credendo che tutte le cose avverse capitino proprio a lui; pensa e ripensa i torti ricevuti, torti che a volte sono immaginari; suole avere la mente eccitata, per cui si rende inquieto lo stesso sonno.

Questi caratteri sono simili alle pentole in ebollizione; basta un poco più di calore ed ecco saltare il coperchio e riversarsi l'acqua; è necessario togliere legna dal fuoco, oppure aggiungere nella pentola un poco d'acqua fresca.

Al collerico si devono togliere le occasioni che possano eccitarlo; gli si fa così un vero atto di carità.

Quando si mantiene il dominio di se, si vede meglio la situazione delle cose e si possono prendere delle decisioni prudenti.

Invece il nervoso, alterandosi, non può vedere chiaramente, non è in grado di valutare le circostanze e facilmente può sbagliare negli affari d'importanza.

La nervosità è madre della precipitazione. Si sa per esperienza che la precipitazione è causa di tanti e tanti sbagli.

Il danno maggiore che arreca questo vizio, è quello spirituale, perché durante la collera si sogliono commettere diversi peccati, con i pensieri, con le parole e con le azioni.

 

PAZIENZA

La virtù della pazienza è molto magnificata dal Signore. Infatti Gesù dice: Beati i mansueti, poichè essi possederanno la terra!

Queste parole significano che chi è paziente può divenire padrone del cuore degli uomini, è stimato dagli altri e benedetto da Dio.

Inoltre Gesù vuole mettersi a modello della pazienza e proclama a tutti gli uomini: Imparate da me, che sono mite!

 

Pazienza con se stessi.

La pazienza è necessaria a tutti e sempre. Non mancano le occasioni in cui essa viene messa alla prova. Si deve esercitare questa virtù prima di tutto con noi stessi. Essere pazienti significa frenare la commozione dell'animo o mantenere in calma le potenze spirituali e sensitive. Non è sempre facile conservare il dominio di se stessi e mostrarsi sereni quando avviene qualche contrarietà. La padronanza di se si acquista con un continuo esercizio e con l'aiuto della preghiera.

San Francesco di Sales aveva un'indole rabbiosa; sin da fanciullo si propose di correggersi e riuscì ad avere un grande dominio di se.

La pazienza deve farci sopportare i nostri stessi difetti. Tutti abbiamo delle deficienze e per conseguenza cadiamo in molti mancamenti. Anche quando commettiamo uno sbaglio, non dobbiamo arrabbiarci. Del resto, cosa giova adirarci quando lo sbaglio è avvenuto? Invece, dopo un mancamento, dobbiamo con calma dirci: Questa volta ho sbagliato; starò più attento in seguito.

E' bene comportarsi così anche quando si commettono gravi colpe morali, poiché taluni, facendo il proposito di non cadere più in un dato vizio, si ritengono sicuri di sé, e, se per casa mancano, s'indispettiscono, perdono il coraggio e forse depongono il pensiero di migliorarsi.

 

Pazienza. col prossimo.

Il pretendere che nessuno manchi verso di noi, è assurdo. Coloro con i quali abbiamo da trattare, sono come noi ripieni di difetti e conseguentemente ci dispiacciono in molte cose. Ognuno ha i propri gusti e le proprie vedute, ed è difficile trovare due che se la intendano perfettamente. A questo si aggiunge anche l'antipatia, che suole ingrandire i difetti del prossimo.

Dato questo, è necessario avere una buona dose di pazienza, per vivere in discreta armonia in famiglia ed in società. Per riuscire, è bene partire da questo principio di carità cristiana: Come voglio essere io sopportato e compatito nei miei difetti, così devo sopportare e compatire il prossimo.

 

I pensieri.

Giova fare qualche riflessione d'indole pratica.

Tu, ad esempio, provi risentimento e rabbia interna verso una persona per il suo fare scortese e nervoso. Per compatirla, tieni conto dell'indole sua forse irascibile, dei dispiaceri, che forse avrà avuto in famiglia per cui è esasperata; tieni conto pure della sua età, perchè ad un certo periodo della vita l'organismo è logoro ed il sistema nervoso ne risente gli effetti; tieni ancora conto dell'educazione che avrà avuto nell'infanzia. Insomma hai da tenere presenti tante cose, per non arrabbiarti nella tua mente contro il prossimo.

 

Le parole.

Quando si perde la pazienza, è la lingua a prendere il sopravvento. E' necessario perciò frenarla, tenendo, se fa bisogno, la bocca chiusa quando si è trattati male e si sente già la fiamma della collera. Di certo questo è ottimo rimedio! Si cominci a parlare quando, passata la prima eccitazione interna, si riconosce di poter conservare la calma nelle parole e nelle opere.

L'Imperatore Augusto era d'indole collerica; avendo da trattare con ogni categoria di persone, era sovente nell'occasione di perdere la pazienza. Conosceva la necessità di dominare i nervi, ma non sempre vi riusciva. Domandò consiglio al filosofo Atenodoro. Questi gli rispose: Imperatore, se tu senti la rabbia e vuoi subito parlare, comincia a recitare le lettere dell'alfabeto greco; quando avrai finito, comincerai a parlare; ti troverai bene.

Il rimedio era molto buono, poiché recitando lentamente le lettere dell'alfabeto, la mente si distraeva un poco, il sangue circolava con più regolarità, i nervi si calmavano e così dopo era facile dominare la lingua e parlare con serenità e prudenza.

A tutti sarebbe utile questo rimedio. Però i Cristiani, invece di recitare le lettere dell'alfabeto, farebbero bene a dire lentamente il « Padre Nostro » o « 1'Ave Maria »; in questo modo, oltre a calmarsi prima di parlare, si può pregare per chi ha mancato.

 

Un Parroco.

Celebrandosi qualche Matrimonio, era solito un Parroco rivolgere la parola ai novelli sposi, raccomandando l'accordo ed il compatimento vicendevole. In particolare diceva: Ogni volta che tra voi due sta per avvenire qualche contesa o diverbio dovete subito dire: « Rimandiamo la contesa a domani! Per ora non ne parliamo affatto! ». La mattina seguente, o sposi, voi non penserete più alla contesa, oppure se vi penserete, farete tutto con calma.

Non solo gli sposi, ma tutti dovrebbero seguire questa norma. Quanti dispiaceri e quanti peccati si potrebbero evitare!

 

La risposta dolce.

La risposta dolce rompe l'ira. Parlando aspramente a chi è in collera, non si ottiene niente, anzi lo si irrita di più. Se gli si parla dolcemente e con garbo, naturalmente il collerico resta disarmato. Viene a proposito il proverbio: Si prendono più mosche con una goccia di miele, anziché con un barile di aceto.

Il Santo Curato d'Ars aveva convertito alla fede cattolica una donna ebrea. Il marito di essa, pure ebreo, montò sulle furie e si presentò al Santo con un coltello in mano, minacciando:

Siete voi, gli disse, colui che ha pervertito mia moglie? Sono stato io a convertirla! ... Cosa volete adesso? Son venuto per strapparvi un occhio con questo coltello! Quale volete strapparmi, il destro o il sinistro? Vi strappo l'occhio destro. Allora mi resterà il sinistro per guardarvi ed amarvi! Vi strapperò anche il sinistro! Mi resterà il cuore per amarvi e vi aiuterò in ciò che potrò!

A queste parole, improntate a calma e dolcezza, l'ebreo da leone diventò agnello e sentì il bisogno d'inginocchiarsi davanti al Santo Sacerdote per chiedergli perdono.

La pazienza cristiana non solo modera la lingua, ma tiene a freno tutti i sensi del corpo. Cosa vale non aprire bocca quando si è arrabbiati, se poi si alzano le mani, oppure si scaraventano a terra sedie, bottiglie od altro?

Bisogna sforzarsi di non apparire arrabbiati, anche quando l'animo è turbato assai. Il fare certi gesti sgarbati e sprezzanti, il guardare con occhio bieco, il sorridere sarcasticamente ... sono cose contrarie alla virtù della pazienza.

 

Norme pratiche.

Credo di fare cosa utile ai lettori, presentando norme pratiche da seguire in famiglia e fuori. Metterò sott'occhio alcune categorie di persone. Voglio sperare di contribuire in tal modo alla pace domestica di certe famiglie ed al loro bene spirituale.

 

Gli sposi.

La convivenza dell'uomo con la donna nei primi mesi dopo la celebrazione del Matrimonio, non è difficile; il loro affetto in quel primo tempo suole essere grande e quindi facilmente si compatiscono. Coll'andare del tempo, gli sposi manifestano apertamente il loro carattere e per conseguenza cominciano le dolenti note; l'uomo vuole comandare e la donna pure; l'uno vuol sempre ragione e l'altra non vuole mai torto; lo sposo alza la voce e la sposa grida; lui minaccia e lei si avventa.

Se non c'è pazienza, la vita degli sposi diviene un purgatorio e qualche volta un vero inferno. I fiori dei novelli sposi diventano spine e forse anche chiodi. Questa è la ragione per cui si domanda da taluni la separazione legale.

Perchè ci sia la pace, è necessario che gli sposi conoscano il vicendevole carattere; conosciutolo, facciano di tutto per non toccare i lati deboli.

Tu, o donna, sai che il marito non vuole essere contrariato? Cedi subito, anche con tuo sacrificio! Sai che egli ha un dato gusto e gli piace quel modo di pensare e di agire? Fa' di tutto per accontentarlo, prevenendo anche i suoi desideri! Se tu agisci così, lo sposo ti apprezzerà di più ed anch'eglì si sforzerà di fare altrettanto con te.

Tu, o sposo, ti accorgi che la consorte qualche giorno ha la luna a traverso? Sai che quando si altera non vede più dagli occhi? Compatiscila in quel giorno, non irritarla di più, togli ogni occasione di contrasto! Tu forse dici: Ma io sono il capo di casa! Io devo comandare ... e la donna mi deve stare soggetta! Hai ragione; però non dimenticare che la sposa è compagna e non serva e tanto meno schiava. Ama la tua donna come te stesso e perciò compatiscila!

Ci vuole lo spirito di sacrificio e l'aiuto del Signore. è bene quindi che gli sposi, dicendo le preghiere del mattino o della sera, recitino anche un Padre Nostro con questa intenzione: « Per la pace in famiglia ». Chi persevera in tale preghiera, presto ne vedrà i buoni frutti.

 

Correzione fruttuosa.

Un operaio aveva il vizio di bere troppo, specialmente il sabato sera. La moglie era stanca di convivere con lui. A vederlo ritornare barcollante in casa, a sentirlo bestemmiare e vomitare ingiurie e parolacce ... provava i brividi. Questo non era tutto. Sovente il marito nell'ubriachezza rompeva qualche cosa e rovesciava le sedie; alla fine si sdraiava e si addormentava a terra.

La sposa sopportava sino ad un certo punto; ma dopo montava sulle furie e lo rimproverava aspramente. Finita la tempesta, quando cioè il marito si era addormentato a terra, con grande fatica lo prendeva di peso e lo metteva a letto; dopo rassettava la camera e finalmente si coricava. L'indomani riprendeva i rimproveri contro il marito per quello che aveva fatto la sera precedente. L'uomo, non ricordando niente perchè la sera era in balia del vino, non faceva caso dei rimproveri, anzi rispondeva con una risatina. La cosa non poteva più durare.

Un giorno la donna ebbe la felice idea di chiedere consiglio ad un Sacerdote; ebbe un buon suggerimento e si affrettò ad attuarlo.

La prima sera che il marito era rincasato ubriaco, non gli rivolse la parola, anzi lo lasciò libero di fare. Nel bollore del vino, il misero uomo afferrò il lume e lo buttò a terra; rovesciò il piccolo tavolo su cui era la cena e tutto andò a male, minestra, piatti e bicchieri; in ultimo, come al solito, si addormentò sul pavimento. Questa volta la moglie si contentò di guardare; subito dopo andò a letto, senza rassettare la camera e lasciando il marito a terra. L'indomani mattina si svegliò l'uomo ed a vedersi in quello stato, chiamò la donna; questa con calma gli disse: Dunque cosa desideri? Come mai mi trovo qui a terra?... Ho le ossa rotte! ... E questo tavolo perché è rovesciato? E questi, piatti ed i bicchieri?... Guarda quanta minestra per terra!... La moglie rispose: Sono i miracoli che fai tu quando ritorni a casa ubriaco! Sono stato io a fare questo? Proprio tu! ... Se vuoi continuare ad ubriacarti, continua pure; ma ti lascerò tutta la notte a terra.

Quando il marito constatò con i propri occhi il male che proveniva dall'ubriachezza. propose fermamente di correggersi e poco per volta ci riuscì.

Questo episodio insegna che tra gli sposi è necessaria la mutua correzione; questa però si deve fare con calma e prudenza; soltanto allora è fruttuosa.

 

I genitori.

Hanno i genitori la missione di educare i figlioli. Il compito dell'educazione è delicato e non tutti i genitori sono all'altezza di soddisfarlo. Tuttavia, chi desidera avere dei figli docili e virtuosi, faccia di tutto per bene educarli.

Taluni credono di educare bene i figliuoli rimproverandoli per ogni piccola cosa, alzando spesso la voce in atto di minaccia ed adoperando con frequenza la verga. Con i figliuoli, specialmente di tenera età, ci vogliono piccoli richiami; quando ciò non basta, si dà loro un piccolo castigo, consistente nel privarli di un atto di benevolenza o nel negare loro un piccolo piacere.

Quando ciò non fosse sufficiente, si ricorra a qualche piccola minaccia; in casi estremi si ricorra alla verga. Ma anche in questo caso procurino i genitori di essere giusti, cioe' proporzionino il castigo al grado di colpevolezza dei figli.

Molte mancanze dai bambini si commettono per irriflessione o per leggerezza. Dice San Paolo: Voi, o genitori, non provocate all'ira i vostri figliuoli! Quando un figliuolo si vede punito piu' del giusto, si arrabbia contro i genitori, dice loro parole ingiuriose e qualche volta si avventa.

Dunque i genitori siano pazienti, frenino la lingua non pronunziando ingiurie ed imprecazioni e moderino l'uso della verga o delle mani.

Non dimentichino che anche loro un tempo furono fanciulli e che forse mancanze ne fecero piu' dei loro figliuoli.

 

I figli

Iddio ha dato un comandamento> "Onora il padre e la madre". I figli hanno percio' il dovere di amare, ubbidire e amare i genitori.

Quando i figli sono piccoli, danno piccoli dispiaceri; divenuti grandi, danno grandi dispiaceri. Facciano di tutto per alleggerire al padre ed alla madre il peso della famiglia; usino con loro modi delicati e parole dolci.

Fanno tanto male quei figli che rispondono con insolenza ai genitori, o li trattano da uguali e peggio ancora.

La pazienza maggiore si deve avere con i genitori avanzati in età. Quando comincia la vecchiaia, sogliono essi divenire ciarlieri ed irrequieti; quando la vecchiaia è inoltrata, diventano alle volte come i bambini, per il modo di fare e di pensare; vogliono essere subito accontentati nei loro piccoli desideri e fanno anche dei capricci. In queste circostanze si riconoscono i buoni figliuoli, se cioè trattano con pazienza ed amore le due creature che rappresentano Iddio nella famiglia.

Pazienza molto grande devono avere i figli, allorchè il padre e la madre si ammalano. I genitori sogliono assistere i figli ammalati con un amore particolare, sino all'eroismo; i figli invece perdono la pazienza, se hanno da assistere i genitori infermi e possono arrivare al punto di desiderare ad essi la morte.

 

I fratelli.

Amor di fratelli, dice un proverbio, amor di coltelli. Questo può avvenire quando si tratta di dividere i beni dei genitori. Tra fratelli e sorelle d'ordinario c'è la benevolenza, ma difficilmente c'è la pazienza. Si paragonano infatti i fratelli e le sorelle ai cani ed ai gatti, che si bisticciano di frequente.

Si dovrebbe fare di tutto perchè tra loro regni la pace, tenendo lontane le parole ingiuriose ed impedendo che alzino le mani.

 

Parenti e vicini.

La pazienza si suole perdere con le persone con cui si ha più da fare. Le relazioni tra parenti e vicini sogliono essere frequenti e per conseguenza si presentano spesso le occasioni di dissensi. Per conservare l'armonia, si stia attenti a non far conoscere le faccende intime della propria famiglia e nello stesso tempo non si metta il naso negli affari intimi altrui.

Quando sorge un contrasto, si faccia morire subito, non parlandone più. Ricevuto uno sgarbo oppure un'offesa, si ricambi il male con un favore, per fare comprendere che si perdona generosamente, vincendo il male con il bene. Questo sistema è fonte di merito e di pace.

 

Padroni e servi.

Grande carità e pazienza dovrebbe regnare tra padroni e persone di servizio. I padroni, pur esigendo il giusto servizio, trattino con garbo i dipendenti. è già un'umiliazione grande il dovere servire gli altri; non si aggravi quest'umiliazione con le maniere superbe e con le parole irritanti. Pensino i padroni: Se per un rovescio di fortuna dovessi andare io a servizio, come vorrei essere trattato? Dunque, è giusto che io tratti bene il personale dipendente! Quanti padroni purtroppo maltrattano i servi, strapazzandoli come se fossero delle bestie o degli stracci!

I servi siano sottomessi ai padroni per amore di Dio e si mantengano umili in tale stato, anche per scontare i peccati. Sopportino i difetti dei padroni specialmente se nervosi o vecchi, e siano loro di esempio nell'esercizio della pazienza. Una persona di servizio paziente è un rimprovero continuo ai padroni collerici e superbi; essa per la sua virtù vale molto di più dei suoi padroni, ai quali è inferiore solamente per il portafoglio.

 

Gl'insegnanti

Una particolare pazienza si richiede negli insegnanti. Se chi insegna è paziente, non si guasta il sangue, è più stimato dagli alunni e riesce con più frutto nell'istruzione. Se al contrario non sa dominare i nervi, è di cattivo esempio per le parole offensive che dice e fa progredire poco nello studio o nell'arte.

Per lo più gl'insegnanti sono nervosi, per effetto di stanchezza mentale; è perciò necessario che si facciano molta violenza per non perdere la pazienza. Per istruire i piccoli si richiede una pazienza superiore; con essi si adoperi il sistema della madre, che è sistema di amore, di comprensione e di grande compatimento.

 

Pazienza in tutti gli eventi.

Quando capita una disgrazia, una malattia, una perdita, ecc.... è inutile arrabbiarsi. Anche quando si desse libero sfogo alla collera, con bestemmie, parolacce ed imprecazioni, non si aggiusterebbe niente. Come comportarsi in simili eventi? Fare di necessità virtù! Dire subito con calma: La disgrazia è avvenuta; la croce l'ho addosso. Se mi arrabbio, la croce rimane lo stesso, anzi si fa più pesante; è meglio prendere tutto in pazienza ed a penitenza dei peccati. Signore, sia fatta la vostra volontà!

Si smarrisce un oggetto. Perché montare in collera? Forse facendo cosi', si troverà più presto? E' ridicolo il pensarlo. Cosa fare allora? Senza inquietarsi, fare di tutto per rinvenirlo e rivolgersi a Dio per aiuto. Un Padre Nostro recitato con devozione e con fede a Sant'Antonio spesso toglie dall'imbarazzo.

S'inciampa e si cade; ci pestano un piede; ci urtano per inavvertenza ... è il caso di arrabbiarsi? Cosa se ne guadagna? è meglio sopportare con merito quel poco di molestia.

Il sole dardeggia; un giorno piove a dirotto; il vento soffia con furia; le mosche od altri insetti ci danno noia ... Conviene perdere la pazienza? Forse imprecando contro il vento o le mosche, si riesce ad accomodare la partita? Oh, no certamente!



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6/10/2017 9:42 AM
 
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GOLA



Il vizio della gola consiste nell'abuso del mangiare e del bere.


Il corpo ha bisogno di riparare di continuo le perdite che necessariamente deve subire; il nutrirlo quindi è un dovere. Se è un bene dare l'alimento al corpo, è però un male l'esagèrare nella quantità ed anche nella qualità. Questa esagerazione è causata dal piacere che sente la gola. Il Creatore ha disposto che si provasse gusto nel palato e nella gola, affinchè facilmente il corpo potesse assumere i cibi e le bevande; ma quando la gola prende il sopravvento, si va contro la disposizione di Dio, perchè allora si mangia e si beve più del bisogno unicamente per saziare l'avidità della gola.


Di per sè il peccato di gola è leggero; diventa peccato grave quando l'abuso del mangiare e del bere pregiudica gravemente la salute del corpo e quando si beve sino ad ubriacarsi, perdendo del tutto la ragione.


Il troppo mangiare ed il troppo bere arreca al corpo tanto male. Non potendo l'organismo assimilare la quantità superiore dei cibi, si sforza di riuscirvi; questo sforzo se è continuo porta all'esaurimento. Inoltre, il cibo che non può assimilarsi, si converte in veleno per l'organismo; da ciò hanno origine certe malattie, che presto o tardi portano al sepolcro. Le vittime della gola sono molte, tanto che c'è la frase proverbiale: Ne uccide più la gola che la spada.


L'esagerazione nel bere il vino od altre sostanze alcooliche, porta alle malattie del cervello.


L'intemperanza della gola è sorgente di molti gravi peccati.


Innanzi tutto, quando lo stomaco è troppo pieno, la volontà resta snervata e non sente la forza di operare il bene, anzi prova noia e disgusto delle cose spirituali.


Quando il corpo è bene nutrito, facilmente insorgono le passioni e specialmente la passione dell'impurità. Chi non sa frenare la gola, difficilmente è in grado di frenare gli altri sensi, per cui si può affermare che spesso chi cede alla gola, diventa debole in fatto di purezza.


Dall'ubriachezza hanno origine le bestemmie, le parole indecenti, le percosse, i ferimenti e gli omicidi.





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TEMPERANZA

Chiamasi temperanza la virtù che modera e frena i sensi del corpo, specialmente la gola.

La temperanza è di grande utilità all'anima ed al corpo. I medici la raccomandano. Noi però dobbiamo praticare questa virtù in vista della nostra salvezza eterna.

Parte integrale della temperanza è la mortificazione cristiana, tanto inculcata da Gesù Cristo e dalla Santa Chiesa.

 

L'esempio di Gesù.

Gesù Cristo è perfetto Dio e perfetto uomo. Come tale, aveva un corpo simile al nostro, soggetto cioè al bisogno della nutrizione. Egli però era molto frugale. Durante le peregrinazioni della sua vita pubblica, veniva alimentato dalla carità di pie persone; qualche volta si contentava di nutrirsi con alcune spighe di grano raccolto nei campi.

Gesù volle dare inoltre un grande esempio di penitenza corporale, restando digiuno per quaranta giorni e quaranta notti. In tutto questo tempo non prese ne cibo ne bevanda; alla fine ebbe fame, tanto che il demonio colse l'occasione per tentarlo. Se sei Figlio di Dio, gli disse, fa' che queste pietre diventino pane.

Gli rispose Gesù: Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio.

L'esempio dei Santi.

Persuasi i Santi della necessità di seguire le orme di Gesù, erano molto limitati nel cibo e per lo più si contentavano dello stretto necessario.

Sappiamo di alcuni Santi che s'industriavano di rendere disgustosi i cibi e le bevande, mettendovi sostanze amare o nauseanti.

Gli eremiti vivevano nel deserto e si nutrivano di erbe, di qualche frutto e di un po' di acqua; con tutto ciò, sappiamo che buon numero di essi raggiunse un'età avanzata, anzi parecchi oltrepassarono i cento anni, come Sant'Antonio Abate e San Paolo, primo eremita.

Si sa di altri Santi che arrivarono a tale grado di mortificazione della gola, da superare la naturale ripugnanza assumendo cibi disgustosi. Un esempio lo troviamo nella vita di San Giovanni Bosco.

Questo Santo lavorava molto e mangiava poco, tanto da recare meraviglia ai commensali.

Una sera, dopo una giornata faticosissima, rincasò ad ora tarda; nell'Oratorio tutti erano a riposo. Per non molestare alcuno, entrò in cucina, sperando trovare qualche boccone, fosse anche freddo. Scorse in un cantuccio un pentolino, con qualche cosa dentro. Si cibò di quella sostanza. L'indomani mattina la madre sua cercava la colla e non poteva darsi pace avendo trovato il pentolino vuoto. Non datevi pensiero, disse tranquillamente Don Bosco; mi servì di cena ieri sera. Ma come potesti mangiare quella roba? Eh, madre mia, l'appetito condisce ogni cosa! E poi non ci si vedeva bene in cucina; del resto il fatto è fatto.

L'esempio dei Santi è un forte rimprovero a quelli che trattano troppo delicatamente la gola.

Quanto tempo s'impiega nella preparazione di cibi prelibati! Quanto denaro si spreca in dolciumi ed in bibite non necessarie, e forse anche dannose!

Quanti lamenti, se un cibo non incontra il proprio gusto! ...

Coloro che assecondano il vizio della gola, invertono l'ordine voluto da Dio, cioè non mangiano per vivere, ma vivono per mangiare. Il loro Dio è lo stomaco; ad esso rivolgono le cure principali della giornata; imitano in qualche modo le bestie, le quali non hanno altra preoccupazione.

 

La pratica della Chiesa.

Data l'importanza della mortificazione della gola, la Santa Chiesa prescrive delle penitenze.

è bene conoscere le norme per l'adempimento del precetto ecclesiastico. La Santa Chiesa prescrive che al venerdì non si mangi la carne, per un senso di gratitudine e di rispetto verso Gesù Cristo, che in detto giorno morì in Croce. Il venerdì non si mangia la carne (o il sanguinaccio o le interiora degli animali a sangue caldo). Però si può supplire in questo giorno con qualche altra opera buona.

In Quaresima non si mangia la carne in tutti i venerdì e nel giorno delle Ceneri, cioè, l'indomani di carnevale, che è primo giorno di Quaresima.

Sino ai quattordici anni compiuti non si è tenuti ad osservare questa legge ecclesiastica. Dopo i quattordici anni questo Precetto non ha limite di età.

Sono esenti gli ammalati e quelli che hanno qualche grave motivo. Ma in questo caso si può soltanto consigliare di fare qualche altra opera buona.

Il digiuno è prescritto due volte l'anno: il giorno delle Ceneri ed il Venerdì Santo.

è tenuto al digiuno chi ha compiuti i ventuno anni di età, sino ai cinquantanove anni compiuti. Ne sono dispensati gli ammalati, chi è troppo debole e chi fa lavori molto faticosi. A costoro si può soltanto consigliare di fare qualche altra opera buona.

Può digiunarsi così: a colazione è permesso, a chi ne sentisse il bisogno, un leggerissimo cibo. Il caffè non rompe il digiuno. A pranzo, che può iniziare alle ore undici, è permesso tutto, in quantità ed in qualità, tranne la carne. La cena sia molto moderata. Si può invertire il pranzo con la cena.

 

La mortificazione della gola.

La mortificazione della gola non solo fa evitare l'eccesso del mangiare e del bere, ma anche priva la gola di qualche piacere lecito. Ecco un piccolo elenco di mortificazioni, che potrà essere utile alle anime di buona volontà.

1) Sentendo la sete, non bere subito, ma aspettare alquanto; oppure bere in quantità minore di quanto si vorrebbe, cioè senza saziarsi.

2) Fuori dei pasti ordinari, non prendere alcun cibo o bevanda, tranne il caso di vera necessità o di convenienza sociale.

3) Avendo desiderio di mangiare un frutto, una caramella oppure qualche dolce, rimandare ad altro orario; meglio ancora se ci si priva del tutto e se ne fa dono a un bambino o ad un poverello.

4) Tenere in bocca qualche sostanza amara o disgustosa, unicamente per contrariare il gusto.

5) Privarsi dello zucchero nel prendere il caffè oppure il latte.

6) Stando à tavola, mangiare e bere senza avidità, anzi scegliere le porzioni meno appetitose.

7) Non lamentarsi se i cibi sono in poca quantità o se sono mal preparati.

8) Non parlare dei cibi che piacciono di più e non brigare per averli.

9) Dare ai poverelli il denaro che si vorrebbe destinare ai gelati, alle bibite o ai dolciumi.

10) Prendere le medicine senza lamentarsi e senza lasciare trasparire la naturale ripugnanza.

Chi si esercita nelle piccole mortificazioni di gola, arreca grande bene all'anima sua.

Ecco l'utilità di queste mortificazioni: Si acquista il dominio di se stessi, per cui con facilità si possono tenere a freno gli altri sensi del corpo; si scontano i peccati commessi col corpo; si acquista un grado di gloria maggiore per il Paradiso; nell'anima scende di continuo la rugiada della grazia divina, per cui si è sempre più disposti ad operare il bene; più che tutto si dà piacere a Dio, perchè gli si offrono dei sacrifici.

 

Venerdì e sabato.

Alle persone pie sono tanto cari i venerdì ed i sabati, perchè tali giorni sono dedicati al Sacro Cuore di Gesù ed a Maria Santissima.

Ovunque si va diffondendo la pratica dei fioretti spirituali al venerdì ed al sabato, fioretti che consistono nel fare qualche opera buona particolare o nell'imporsi qualche sacrificio volontario.

Vorrei suggerire, a proposito di gola, qualche mortificazione da farsi in detti giorni. Un fioretto potrebbe essere: Non mangiare nel venerdì e nel sabato frutta fresca oppure dolci; ovvero non bere fuori dell'orario dei pasti.

Ho trovato tanto bello il fioretto di un'anima di mia conoscenza, la quale il venerdì prepara il pranzo ed invita un povero a consumare il pasto bene apparecchiato; essa non solo serve il povero, ma per mortificazione di gola si limita a mangiare soltanto pane con scarso companatico.

Non tutti sono nella possibilità di fare ciò; ma chi potesse e volesse farlo, quanta gloria darebbe a Dio e quanto merito acquisterebbe!



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6/10/2017 9:43 AM
 
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INVIDIA


L'invidia è il rincrescimento o tristezza del bene altrui, in quanto lo si riguarda come dannoso al bene nostro.


Sembrerebbe l'invidia un piccolo vizio, eppure tra i vizi capitali occupa un posto eminente, in quanto è comune e dà origine a molti peccati.


Giustamente si dice che se l'invidia facesse divenire gobbi, nel mondo difficilmente si vedrebbe un uomo od una donna senza gobba.


L'invidia è un vizio tutto interno, nascosto nell'intima del cuore umano; è un vizio vile, perciò tenta di nascondersi; ma per quanto faccia l'invidioso a celare la sua malignità, non sempre vi riesce.


Dobbiamo amare il prossimo come noi stessi; è questo il comando datoci da Dio; dobbiamo cioè rallegrarci del bene altrui come del bene nostro e dobbiamo rattristarci del male altrui come del nostro male.


L'invidioso fa al contrario; gode del male della persona che invidia e soffre del bene suo. Come tale, l'invidia è un vero peccato, opponendosi al comando di Dio.


Un pittore dipinse un quadro raffigurante l'invidia. Vi era rappresentata una vecchia, stecchita e corrucciata, che guardava attraverso una lente d'ingrandimento; era circondata da serpenti, che le mordevano il cuore. Questo ritratto riproduce a meraviglia l'invidioso.


Il ladro, rubando, si procura del denaro e con esso può godere la vita; il goloso prova il diletto del gusto ed il sensuale gode nei sensi; ma l'invidioso non riceve alcuna utilità dal suo vizio.


è indovinato il detto: Chi d'invidia campa, disperato muore!


 


Peggiore dei demoni.


I demoni tentano al peccato gli uomini per l'invidia che provano verso di loro, sapendo che potranno andare in Paradiso.


Tuttavia, pur sfogando l'ira e l'invidia sugli uomini, si risparmiano tra loro stessi.


L'invidioso è peggiore dei demoni, perchè non risparmia il suo simile.


Non ha rispetto a vincolo di sangue o di amicizia; cosicchè troviamo il fratello che per invidia lotta il fratello; la sorella che perseguita la sorella, l'amico che fa guerra all'amico.


 


La madre dei peccati.


La superbia è la vera madre dei peccati; l'invidia ne è figlia; però l'invidia diventa subito madre di tanti peccati, che l'enumerarli non sarebbe facile: desideri del male altrui, giudizi temerari, sentimenti di avversione e di odio, parole mordaci, discorsi di mormorazione e di calunnia, insidie, crudeltà e delitti inauditi ... Abele offriva a Dio le primizie della campagna e del gregge; attirò così sopra di sè lo sguardo amoroso del Creatore. Il fratello Caino ne senti' invidia e gli tolse la vita, fracassandogli la testa. Ne ebbe però il meritato castigo, facendo una fine molto misera.


Giuseppe, figlio del Patriarca Giacobbe, fu oggetto d'invidia da parte dei fratelli, perchè il padre lo prediligeva. In conseguenza di ciò, prima fu calato in una cisterna secca, per trovarvi la morte, e dopo fu venduto ad un mercante, in qualità di schiavo. Iddio, che veglia sugli innocenti, fece sl che Giuseppe diventasse il Vice Re d'Egitto e che i suoi stessi fratelli in tempo di carestia andassero a domandargli frumento. Quanta vergogna allorchè Giuseppe si manifestò! Io sono il vostro fratello ... colui che per invidia volevate uccidere e poi vendeste! ...


Il Re Saul sentì invidia di David, suo suddito, e lo perseguitò spietatamente. Più volte gli gettò la lancia addosso, per conficcarlo al muro; non riuscì nel malvagio intento, perchè la mano del Signore era sopra David.


E Gesù non fu condannato a morte per invidia? Gli Scribi, i Farisei ed i capi del popolo, si rodevano di rabbia a vedere Gesù, che credevano il Figlio del fabbro di Nazaret, circondato di gloria e di stima.


Adunque, chi può enumerare gli esecrandi delitti. che ovunque e sempre l'invidia ha compiuto?


 


COMPIACENZA


La virtù opposta all'invidia è la compiacenza del bene altrui.


Come si è detto innanzi, la carità, o amore del prossimo, esige che amiamo il nostro simile come noi stessi. Noi ci auguriamo sempre il bene e godiamo di quanto di buono ci possa accadere. Per il comando di Dio, dovendo amare il prossimo, dobbiamo augurargli il bene.


L'egoismo individuale trascina al lato opposto; ma è dovere di ognuno reprimere le cattive tendenze e sforzarsi di nobilitare i propri sentimenti nei riguardi del prossimo.


 


Come reprimersi.


Appena ci accorgiamo che una persona eccita la nostra invidia, dobbiamo stare sull'attenti per non assecondare la passione e per reprimere subito i primi assalti.


La preghiera è utile a tutto; preghiamo perciò per colui contro il quale siamo tentati d'invidia, domandando a Dio ogni benedizione per lui.


Parliamo sempre in bene della persona che siamo tentati ad invidiare; non opponiamoci quando sentiamo dirne bene dagli atri, anzi cerchiamo le, occasioni per lodarla.


Se possiamo fare un bene a chi muove la nostra invidia, prestiamoci volentieri. Agendo in tal modo, noi mettiamo dell'acqua fredda sul fuoco dell'invidia e il nostro cuore godrà la pace dei figli di Dio.


 


La madre.


La madre è tutta per il bene dei figli; quando però viene a conoscere che i figli di altre donne, specialmente se parenti o amiche, hanno ottenuto un posto in società, hanno superato un esame ed eccellono per buone qualità, allora naturalmente, accecata dall'amore dei propri figli, comincia a soffrirne internamente a motivo dell'invidia. Il marciume interno presto va alla bocca e così questa donna semina lamenti e calunnie.


Già, i figli di quella signora riescono sempre! è naturale! Hanno denaro e col denaro possono fare qualunque imbroglio! ... I miei figli invece sono onesti e restano indietro! ... Non c'è più giustizia in questo mondo!


O donna, cosa ne guadagni dicendo così? Piuttosto educa meglio i tuoi figliuoli, inculca loro il timore di Dio, esigi che si applichino allo studio o all'arte e poi prega il Signore affinchè prepari ad essi un buon avvenire!


 


L'eterna lotta!


La suocera e la nuora!... L'eterna lotta familiare! La suocera spesso ha invidia della nuora, perchè pensa: Mio figlio l'ama assai! Io sono la madre, ho fatto tanto per il figlio ed ora ecco mia nuora a goderselo! Spesso avviene il contrario: Mio marito, dice la nuora, appartiene a me, dovrebbe essere tutto mio ed intanto pensa a sua madre! Va a trovarla spesso, le porta dei regali... ; io invece sono l'ultima ad essere pensata!


Chi non vede la forte gelosia in tutto ciò? La madre dovrebbe essere contenta che il figlio ami la sposa, perchè da questo amore nasce l'armonia nella famiglia.


La sposa dovrebbe essere anche lieta che il marito ami la propria madre pensando che un giorno essa pure avrà da divenire suocera e vorrà certamente essere amata e rispettata dai figli sposati.


 


Tra sorelle ed amiche.


Non è difficile trovare sì brutto vizio anche tra sorelle.


Una giovane è stata chiesta per fidanzata. Dovrebbero in famiglia goderne tutti, quando il partito si presenta bene; qualche sorella invece sente gelosia.


Hanno scelto mia sorella!... Io sono stata posposta! Eppure sono più grande, più giudiziosa; ho il viso più grazioso! Questi e simili sentimenti sorgono dal cuore invidioso e superbo, e presto cominciano in famiglia i malumori e le rabbie.


Non è raro il caso in cui la sorella metta in cattiva luce la sorella presso il fidanzato e solo allora è contenta quando ha tirato dalla sua parte il giovane, oppure questi si è allontanato definitivamente dalla famiglia. Lo stesso e peggio ancora suole avvenire tra amiche.


Quando la gelosia ha preso piede nel cuore di una giovane, perché l'amica ha trovato un buon fidanzato, subito cominciano le parole mordaci, le critiche e le mormorazioni.


Si mettono alla luce i difetti occulti dell'amica, le magagne segrete della sua famiglia e, quando ciò non basta, si ricorre alle lettere anonime calunniose.


Non sempre, ma spesso l'invidiosa amica raggiunge lo scopo di far perdere all'amica il fidanzato.


Quante lacrime ha fatto versare l'invidia a schiere di signorine!


Quante giovani si sono ammalate o suicidate in seguito a simili calunnie!


E quante altre sono state rinchiuse nel manicomio in conseguenza di un amore fallito!


Grande responsabilità davanti a Dio hanno le sorelle e le amiche invidiose! In questa categoria di persone, cioè tra sorelle e tra amiche, non solo trovasi l'invidia per il fidanzato, ma per tante altre cose: per la casa, per la mobilia, per le vesti, per la bellezza, ecc.


In questo campo la gelosia fa conimettere un gran numero di piccinerie, di ridicolaggini, le quali dovrebbero far vergogna a persona che abbia un po' di dignità!


 


La simpatia.


Quando due si amano troppo e si sviluppa il sentimento della così detta simpatia, facilmente sorge la gelosia.


Guai se una terza persona si avvicina a chi si ama o se costoro parlano in confidenza e peggio ancora se si fanno regali o dimostrano in altro modo l'affetto!


Chi prova questa forma di gelosia, soffre molto nel cuore e dà in smanie. Da ciò cominciano i sospetti, le rotture, gli odi e forse le risse.


Chi ha questa debolezza morale, si faccia violenza e non assecondi la gelosia! Pensi piuttosto a legare il proprio cuore a Gesù e non lo dia facilmente alle creature!


 


La clientela.


Tutti hanno diritto a vivere; di conseguenza si è ingiusti allorché per gelosia si fa di tutto per togliere la clientela al prossimo.


Tu fai scuola; hai un discreto numero di allievi. Perchè tenti di allontanare da quell'altro insegnante i suoi alunni? Anche lui ha diritto a vivere!


Tu hai una rivendita e guadagni discretamente. Perchè sei geloso degli altri rivenditori e ti sforzi di far loro la concorrenza?





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6/10/2017 9:44 AM
 
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ACCIDIA


L'ultimo dei vizi capitali è l'accidia. Consiste in una certa noia nel fare il bene e nel fuggire il male. In conseguenza di ciò, si trascurano i doveri della vita cristiana, oppure si compiono malamente.


Esempi d'accidia sono: il tralasciare la preghiera per pigrizia, il pregare sbadatamente, senza sforzo di stare raccolti; il rimandare da un giorno all'altro un buon proponimento, senza poi attuarlo; il mettere da parte l'esercizio della virtù per non imporsi dei sacrifici; il darsi poco pensiero dell'anima propria, ecc....


L'assecondare l'accidia è peccato. Se per accidia si tralascia, ad esempio, la Messa in giorno festivo, si pecca gravemente; se invece si trascura qualche preghiera, unicamente per noia, si manca leggermente.


 


Pericolo di dannarsi.


La persona accidiosa dice: Io non voglio darmi fastidio di combattere le mie perverse tendenze! ... Mi piace vivere nella tranquillità! La vita è così breve e tanto cosparsa di spine! Perchè amareggiarsela di più?! ... Purchè in non ammazzi alcuno ... non, rubi ... e non bestemmi ... ciò mi basta! Tutte le altre attenzioni per custodire l'anima mia, mi seccano e non ci voglio pensare! ... Perché tante Comunioni? Basta quella di Pasqua! ... Perché andare spesso in Chiesa? ... Posso pensare a Dio anche stando in casa! Perché andare ad ascoltare le prediche? Ne so fin troppe cose di Religione! Perché tante preghiere lungo il giorno? Mi è sufficiente il segno della Croce prima di coricarmi! ... A me non piacciono gli scrupoli! Questo ballo non si può fare ... quella pellicola non si deve vedere ... quel romanzo non si può leggere ... quell'amicizia non è ammessa! ... Queste cose le osservino i Frati e le Monache, ma non io, che devo saper stare in società ... Nell'altra vita spero di passarmela bene lo stesso; del resto, come fanno gli altri, faccio io!


Facilmente si può comprendere come una tale anima accidiosa si metta in pericolo di perdersi eternamente. Ha più sollecitudine degli affari temporali e del benessere del corpo, che non della salvezza eterna. Se quest'anima non si risolverà una buona volta a cominciare una vita veramente cristiana, finirà con l'essere travolta dal torrente delle cattive inclinazioni.


Quante di queste anime neghittose ci sono nel mondo! Esse appartengono alla categoria di coloro di cui parla Gesù: La via che conduce all'eterna per dizione è larga e sono molti quelli che s'incamminano per essa!


 


Effetti dell'accidia.


Questo vizio capitale snerva poco per volta l'anima, come l'ozio snerva il corpo. Per l'accidia la volontà diviene debole; si decide e non si decide, vuole e non vuole.


Le opere buone sogliono produrre un certo gusto spirituale, il quale appaga il cuore, come il cibo appaga il palato. L'accidia fa perdere il gusto spirituale, sicché le opere buone diventano pesanti e noiose e per questo motivo si mettono da parte o si fanno di mala voglia.


Lo Spirito Santo paragona l'anima dell'accidioso ad una vigna affidata ad un contadino poltrone. Una tale vigna, poco curata, si ricopre di erbe cattive e di spine e non produce frutto; così l'anima accidiosa resta priva di virtù e di meriti e si riempe di passioni. Può piacere a Dio un'anima che sia dominata dall'accidia?


 


DILIGENZA


La virtù che si oppone all'accidia è la diligenza spirituale, cioé il vero interessamento della salvezza dell'anima propria.


Gesù c'inculca questa virtù quando dice: Una sola cosa è necessaria: salvarsi l'anima! Che cosa giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perderà l'anima sua? Che cosa potrà dare in cambio di essa?


I Santi ci sono maestri a questo riguardo; si misero di buona volontà, si diedero all'esercizio delle cristiane virtù, attinsero dalla preghiera e dalla frequenza ai Sacramenti la forza necessaria; così riuscirono ad avere la pace della coscienza in vita e conseguirono anche il Paradiso.


Nè si pensi che i Santi siano nati Santi! Anch'essi erano come noi, fatti di carne e di ossa; avevano tutte le cattive tendenze che ha ogni figlio di Adamo; per riuscire a santificarsi, dovettero imporsi dei veri sacrifici, sino a perdere taluni anche la vita. Quanti milioni di Martiri perdettero prima le ricchezze e poi la vita tra tormenti! Quanti abbandonarono i piaceri della vita e si ritirarono nel _deserto a fare penitenza! Quanti, rinunziando a cariche onorifiche, si chiusero nei conventi per pensare unicamente all'anima! E quanti, pur restando nel mondo, intrapresero una vita di mortificazione rigorosa!


Non solo i Santi propriamente detti, ma anche innumerevoli schiere di uomini e di donne attualmente ci sono maestri in proposito: i Missionari che vanno fra i selvaggi; le Suore di Carità che spendono l'esistenza negli ospedali; le anime vergini dell'uno e dell'altro sesso, le quali pur restando in famiglia, conducono una vita di continua mortificazione per conservare immacolato il corpo ed il cuore. Costoro lottano contro l'accidia e superano generosamente le difficoltà della pratica del bene.


 


Pia riflessione.


Chi vive nella pigrizia spirituale, risorga dal suo stato compassionevole, servendosi di una pia riflessione.


La vita è breve, molto breve; da un momento all'altro possiamo morire e trovarci davanti a Dio per dargli conto dell'anima nostra. Quale scusa potrà portare al tribunale di Dio l'accidioso, trovandosi con l'anima sprovvista di opere buone e carica di colpe? ...


 


L'etisia spirituale.


L'anima che è schiava dell'accidia, è come il corpo colpito dalla etisia. Il tisico cammina, ride, mangia e sembra che stia bene; invece si avvia alla tomba a grandi passi; ha bisogno di cura urgente e forte per resistere al microbo micidiale; se tralascia la cura, è segno che vuole perdere presto la vita.


Tu, o anima accidiosa, hai urgente bisogno di cura spirituale. Voglio suggerirti dei buoni rimedi per guarirti. Come l'ammalato ha bisogno di aria pura e di sana nutrizione, così a te occorre il tenere la mente occupata in buoni pensieri ed il pregare con frequenza e devozione. Leggi dunque qualche buon libro, recita mattina e sera le tue preghiere, non lasciare mai la recita del Santo Rosario e lungo il giorno alza spesso la mente a Dio con fervorose giaculatorie.


 


La Confessione.


Mezzo infallibile di risveglio spirituale è la frequenza ai Sacramenti della Confessione e della Comunione.


. Comincia col fare una buona Confessione, la quale ti lasci la coscienza tranquilla.


Discopri perciò al Ministro di Dio le pìaghe dell'anima tua, senza nascondere volontariamente nessuna colpa grave e senza diminuirne la malizia.


Prendi dopo una magnanima risoluzione di vita più cristiana. Ritorna in seguito con fede a questo Sacramento della Divina Misericordia, ogni qual volta ne sentissi il bisogno.


La Confessione mensile, e meglio ancora settimanale, ti fornirà un valido aiuto per sollevarti spiritualmente.


Non è vero, o anima, che quando nella vita passata ricorrevi a questo Sacramento con le dovute disposizioni, ti sentivi lieta e più disposta a fare il bene? Pensaci con serietà! ...


 


La Comunione.


La Santissima Eucaristia è il Pane dei forti. L'anima accidiosa è molto debole; ricorra a questo Cibo Celeste e subito sentirà aumentare la forza spirituale.


Tu, o anima cristiana, desiderosa ormai di lasciare la vita accidiosa, va' a ricevere la Santa Comunione con più frequenza che ti sarà possibile! Proverai tanta pace nel cuore, quanta da tempo non ne hai trovata nelle creature! Ogni giorno festivo sia per te una vera festa spirituale ricevendo Gesù Sacramentato.


L'esame di coscienza. Come lo specchio serve a vedere i difetti del volto, così l'esame di coscienza fa scoprire i difetti dell'anima. Chi desidera aver cura dell'anima sua, non lasci passare giorno senza aver fatto alcuni minuti di questo esame.


Ogni sera, o anima cristiana, rientra in te stessa e pensa alle mancanze che avrai potuto commettere nella giornata; chiedi poi perdono a Dio con tutto il cuore, promettendo di essere più vigilante il giorno appresso.


Meditazione e lettura spirituale. Giova moltissimo al progresso spirituale la pratica della meditazione e della lettura spirituale. Non è necessario impiegarvi molto tempo; bastano alcuni minuti al giorno. Volendo, il tempo si può trovare.


Ave Maria!

   


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