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Apparecchio alla Morte di sant'Alfonso Maria de Liguori

Ultimo Aggiornamento: 10/07/2019 00:04
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Sesso: Femminile
09/07/2019 23:16

RITRATTO D'UN UOMO DA POCO TEMPO PASSATO ALL'ALTRA VITA


Pulvis es, et in pulverem reverteris (Gen 3,19)


PUNTO I


Considera che sei terra, ed in terra hai da ritornare. Ha da venire un giorno che hai da morire e da trovarti a marcire in una fossa, dove sarai coverto da' vermi. "Operimentum tuum erunt vermes" (Is 14,11). A tutti ha da toccare la stessa sorte, a nobili ed a plebei, a principi ed a vassalli. Uscita che sarà l'anima dal corpo con quell'ultima aperta di bocca, l'anima anderà alla sua eternità, e 'l corpo ha da ridursi in polvere. "Auferes spiritum eorum, et in pulverem revertentur" (Ps 103,29).


Immaginati di veder una persona, da cui poco fa sia spirata l'anima. Mira in quel cadavere, che ancora sta sul letto, il capo caduto sul petto: i capelli scarmigliati ed ancor bagnati dal sudor della morte: gli occhi incavati, le guance smunte, la faccia in color di cenere, la lingua e le labbra in color di ferro, il corpo freddo e pesante. Chi lo vede s'impallidisce e trema. Quanti alla vista di un parente o amico defunto hanno mutato vita e lasciato il mondo!


Maggior orrore dà poi il cadavere, quando principia a marcire. Non saranno passate ancora 24 ore ch'è morto quel giovine, e la puzza si fa sentire. Bisogna aprir le finestre e bruciar molto incenso, anzi procurare che presto si mandi alla chiesa, e si metta sotto terra, acciocché non ammorbi tutta la casa. E l'essere stato quel corpo d'un nobile, o d'un ricco non servirà che per mandare un fetore più intollerabile. "Gravius foetent divitum corpora", dice un autore.


Ecco dove è arrivato quel superbo, quel disonesto! Prima accolto e desiderato nelle conversazioni, ora diventato l'orrore e l'abbominio di chi lo vede. Ond'è che s'affrettano i parenti a farlo cacciar di casa, e si pagano i facchini, acciocché chiuso in una cassa lo portino a buttarlo in una sepoltura. Prima volava la fama del suo spirito, della sua garbatezza, delle sue belle maniere e delle sue lepidezze; ma tra poco ch'è morto, se ne perde la memoria. "Periit memoria eorum cum sonitu" (Ps 9,7).


Al sentir la nuova della sua morte altri dice: Costui si facea onore; altri: Ha lasciata bene accomodata la casa; altri se ne rammaricano, perché il defunto recava loro qualche utile; altri se ne rallegrano, perché la sua morte loro giova. Del resto, tra poco tempo da niuno più se ne parlerà. E sin dal principio i parenti più stretti non vogliono sentirne più parlare, affinché non si rinnovi loro la passione. Nelle visite di condoglienze si parla d'altro; e se taluno esce a parlar del defunto, dice il parente: Per carità non me lo nominate più.


Pensate che siccome voi avete fatto nella morte de' vostri amici e congiunti, così gli altri faranno di voi. Entrano i vivi a far comparsa nella scena e ad occupare i beni e i posti de' morti; e de' morti niente o poco si fa più stima o menzione. I parenti a principio resteranno afflitti per qualche giorno, ma tra poco si consoleranno con quella porzione di robe, che sarà loro toccata; sicché tra poco più presto si rallegreranno della vostra morte; e in quella medesima stanza, dove voi avrete spirata l'anima, e sarete stato giudicato da Gesù Cristo, si ballerà, si mangerà, si giuocherà e riderà come prima; e l'anima vostra dove allora starà?


PUNTO II


Ma per meglio vedere quel che sei, cristiano mio, dice S. Gio. Grisostomo: "Perge ad sepulcrum, contemplare pulverem, cineres, vermes, et suspira". Mira come quel cadavere prima diventa giallo e poi nero. Dopo si fa vedere su tutto il corpo una lanugine bianca e schifosa. Indi scaturisce un marciume viscoso e puzzolente, che cola per terra. In quella marcia si genera poi una gran turba di vermi, che si nutriscono delle stesse carni. S'aggiungono i topi a far pasto su quel corpo, altri girando da fuori, altri entrando nella bocca e nelle viscere. Cadono a pezzi le guance, le labbra e i capelli; le coste son le prime a spolparsi, poi le braccia e le gambe. I vermi dopo aversi consumato tutte le carni, si consumano da loro stessi; e finalmente di quel corpo non resta che un fetente scheletro, che col tempo si divide, separandosi l'ossa, e cadendo il capo dal busto. "Redacta quasi in favillam aestivae areae, quae rapta sunt vento" (Dan 2,35). Ecco che cosa è l'uomo, è un poco di polvere, che in un'aia è portata dal vento.


Ecco quel cavaliere, ch'era chiamato lo spasso, l'anima della conversazione, dov'è? Entrate nella sua stanza, non v'è più. Se ricercate il suo letto, si è dato ad altri; se le sue vesti, le sue armi, altri già se l'han prese e divise. Se volete vederlo, affacciatevi a quella fossa, dov'è mutato in succidume ed ossa spolpate. Oh Dio quel corpo nutrito con tante delizie, vestito con tanta pompa, corteggiato da tanti servi, a questo si è ridotto? O santi, voi l'intendeste, che per amore di quel Dio che solo amaste in questa terra, sapeste mortificare i vostri corpi, ed ora le vostre ossa son tenute e pregiate come reliquie sacre tra gli ori, e le vostre belle anime godono Dio, aspettando il giorno finale, in cui verranno anche i vostri corpi per esser compagni della gloria, come sono stati della croce in questa vita. Questo è il vero amore al corpo, caricarlo qui di strazi, acciocché in eterno sia felice; e negargli quei piaceri, che lo renderanno infelice in eterno.


PUNTO III


Fratello mio, in questo ritratto della morte vedi te stesso, e quello che hai da diventare. "Memento, quia pulvis es, et in pulverem reverteris". Pensa che tra pochi anni, e forse tra mesi o giorni diventerai putredine e vermi. Giobbe con questo pensiero si fece santo: "Putredini dixi, pater meus es tu, mater mea et soror mea vermibus" (Iob 17,14).


Tutto ha da finire; e se l'anima tua in morte si perderà, tutto sarà perduto per te. "Considera te iam mortuum", dice S. Lorenzo Giustiniani, "quem scis de necessitate moriturum". Se tu fossi già morto, che non desidereresti di aver fatto per Dio? Ora che sei vivo, pensa che un giorno hai da trovarti morto. Dice S. Bonaventura che il nocchiero per ben governar la nave, si mette alla coda di quella; così l'uomo per menar buona vita, dee immaginarsi sempre come stesse in morte. Di là, dice S. Bernardo: "Vide prima et erubesce", guarda i peccati della gioventù, ed abbine rossore: "Vide media, et ingemisce", guarda i peccati della virilità, e piangi: "Vide novissima, et contremisce", guarda gli ultimi presenti sconcerti della tua vita, e trema, e presto rimedia.


S. Camillo de Lellis, quando si affacciava sulle fosse de' morti, dicea tra sé: Se questi tornassero a vivere, che non farebbero per la vita eterna? ed io che ho tempo, che fo per l'anima? Ma ciò lo dicea questo Santo per umiltà. Ma voi, fratello mio, forse con ragione potete temere d'essere quel fico senza frutto, di cui diceva il Signore: "Ecce anni tres sunt, ex quo venio quaerens fructum in ficulnea hac, et non invenio" (Luc 13,7). Voi più che da tre anni state nel mondo, che frutto avete dato? Vedete, dice S. Bernardo, che il Signore non solo cerca fiori, ma vuole anche frutti, cioè non solo buoni desideri e propositi, ma vuole anche opere sante. Sappiate dunque avvalervi di questo tempo, che Dio vi dà per sua misericordia; non aspettate a desiderare il tempo di far bene, quando non sarà più tempo, e vi sarà detto: "Tempus non erit amplius: Proficiscere", presto, ora è tempo di partire da questo mondo, presto, quel ch'è fatto è fatto.





COLLA MORTE FINISCE TUTTO

Finis venit, venit finis (Ezech 2,7)

PUNTO I

Da' mondani sono stimati fortunati solamente quei, che godono de' beni di questo mondo, de' piaceri, delle ricchezze e delle pompe; ma la morte metterà fine a tutte queste fortune di terra. "Quae est vita vestra? vapor est, ad modicum parens" (Iac 4,15). I vapori ch'esalano dalla terra, talvolta alzati in aria, e investiti dalla luce del sole fanno una bella comparsa; ma questa comparsa quanto dura? ad un poco di vento sparisce tutto. Ecco quel grande oggi corteggiato, temuto e quasi adorato; domani che sarà morto, sarà disprezzato, maledetto e calpestato. Colla morte tutto si ha da lasciare. Il fratello di quel gran servo di Dio Tommaso de Kempis si pregiava d'aversi fatta una bella casa, ma gli disse un amico che vi era un gran difetto. Quale? egli domandò. Il difetto, quegli rispose, è che vi avete fatta la porta. Come? ripigliò, è difetto la porta? Sì, rispose l'amico, perché un giorno per questa porta dovrete uscirne morto, e così lasciar la casa e tutto.

La morte in somma spoglia l'uomo di tutti i beni di questo mondo. Che spettacolo è vedere cacciar fuori quel principe dal suo palagio per non rientrarvi più, e prendere altri il possesso de' suoi mobili, de' suoi danari e di tutti gli altri suoi beni! I servi lo lasciano nella sepoltura coverto appena con una veste che basta a coprirgli le carni; non v'è più chi lo stima, né chi l'adula; né si fa più conto de' suoi comandi lasciati. Saladino, che acquistò molti regni nell'Asia, morendo lasciò detto che quando portavasi il suo cadavere a seppellirsi, uno gli andasse avanti colla sua camicia appesa ad un'asta, gridando: Questo è tutto quel che si porta Saladino alla sepoltura.

Posto ch'è nella fossa il cadavere di quel principe, se ne cadono le carni, ed ecco che il suo scheletro più non si distingue dagli altri. "Contemplare sepulcra", dice S. Basilio, "vide num poteris discernere, quis servus, quis dominus fuerit". Diogene un giorno facea vedersi da Alessandro Magno tutto affannato in ricercare qualche cosa fra certi teschi di morti. Che cerchi? curioso disse Alessandro. Vado cercando, rispose, il teschio del re Filippo tuo padre, e nol so distinguere; se tu lo puoi trovare, fammelo vedere: "Si tu potes, ostende".

In questa terra gli uomini disugualmente nascono, ma dopo la morte tutti si trovano eguali: "Impares nascimur, pares morimur", dice Seneca. Ed Orazio disse che la morte eguaglia gli scettri alle zappe: "Sceptra ligonibus aequat". In somma quando viene la morte, "finis venit", tutto finisce e tutto si lascia, e di tutte le cose di questo mondo niente si porta alla fossa.

PUNTO II

Filippo II re di Spagna, stando vicino a morte, si chiamò il figlio, e buttando la veste regale che lo copriva, gli fe' vedere il petto roso da' vermi, e poi gli disse: Principe, vedi come si muore, e come finiscono tutte le grandezze di questo mondo! Ben disse Teodoreto: "Nec divitias mors metuit, nec satellites, nec purpuram"; e che così da' vassalli come da' principi, "putredo sequitur, et sanies defluit". Sicché ognuno che muore, ancorché principe, niente conduce seco alla sepoltura; tutta la gloria resta sul letto, dove spira. "Cum interierit, non sumet omnia, neque descendet cum eo gloria eius" (Ps 48,18).

Narra S. Antonino che morto che fu Alessandro Magno, un certo filosofo esclamando disse: "Ecco quegli che ieri conculcava la terra, ora dalla terra è oppresso. Ieri tutta la terra non gli bastava, ora gli bastan sette palmi. Ieri conduceva per la terra eserciti, ed ora è condotto da pochi facchini sotto terra". Ma meglio sentiamo quel che dice Dio: "Quid superbis, terra et cinis?" (Eccli 10,9). Uomo, non vedi che sei polvere e cenere, a che t'insuperbisci? a che spendi i tuoi pensieri e gli anni tuoi per farti grande in questo mondo? Verrà la morte, ed allora finiranno tutte le tue grandezze e tutt'i tuoi disegni: "In illa die peribunt cogitationes eorum" (Ps 55,6).

Oh quanto fu più felice la morte di S. Paolo eremita, il quale visse 60 anni chiuso in una grotta, che la morte di Nerone, che visse imperadore in Roma! Quanto più fortunata la morte di S. Felice laico cappuccino, che la morte di Errico VIII vivuto tra le grandezze regali, ma nemico di Dio! Ma bisogna riflettere che i Santi per ottenere una tal morte hanno lasciato tutto, le patrie, le delizie, le speranze che il mondo loro offeriva, ed hanno abbracciata una vita povera e disprezzata. Si son seppelliti vivi in questa terra, per non esser seppelliti morti nell'inferno. Ma i mondani, come mai vivendo tra' peccati, tra' piaceri terreni, e tra occasioni pericolose possono sperare una felice morte? Dio minaccia a' peccatori che in morte lo cercheranno e non lo troveranno: "Quaeretis me, et non invenietis" (Ier 13). Dice che allora sarà tempo non di misericordia, ma di vendetta. "Ego retribuam in tempore" (Deuter 32,35).

La ragione ci persuade lo stesso, mentre allora un uomo di mondo, in morte si troverà debole di mente, ottenebrato e indurito di cuore per li mali abiti fatti: le tentazioni saranno più forti: chi in vita ha soluto quasi sempre cedere e farsi vincere, come resisterà in morte? Vi bisognerebbe allora una grazia divina più potente, che gli mutasse il cuore; ma questa grazia forse Iddio è obbligato a darcela? Forse colui se l'ha meritata colla vita sconcertata che ha fatta? E pure si tratta allora della sua fortuna o della sua ruina eterna. Com'è possibile che pensando a ciò, chi crede alle verità della fede, non lasci tutto per darsi tutto a Dio, il quale secondo le nostre opere ci giudicherà?

PUNTO III

Chiamò Davide la felicità della vita presente un sogno di chi si sveglia: "Velut somnium surgentium" (Ps 72,20). Commenta un autore: "Somnium, quia sopitis sensibus res magnae apparent, et non sunt, et cito avolant". I beni di questo mondo compariscono grandi, ma poi son niente e poco durano, come poco dura il sogno, e poi tutto svanisce. Questo pensiero che colla morte finisce tutto, fe' risolvere S. Francesco Borgia di darsi tutto a Dio. Toccò al Santo accompagnare in Granata il cadavere dell'imperadrice Isabella: quando si aprì la cassa, all'orrore, alla puzza tutti fuggirono; ma S. Francesco scorto dalla luce divina si fermò a contemplare in quel cadavere la vanità del mondo, e rimirandolo disse: "Voi dunque siete la mia imperadrice? Voi quella, a cui tanti grandi s'inginocchiavano per riverenza? O Donna Isabella dov'è andata la vostra maestà, la vostra bellezza? "Così dunque (tra sé concluse) finiscono le grandezze e le corone di questa terra! Voglio dunque servire da oggi avanti (disse) ad un Padrone, che non mi possa più morire. E così da allora si dedicò tutto all'amore del Crocefisso: ed allora anche fe' voto di farsi religioso, se moriva la moglie; come in fatti poi l'eseguì, entrando nella Compagnia di Gesù.

Ben dunque scrisse un uomo disingannato su d'un cranio di un morto queste parole: "Cogitanti vilescunt omnia". Chi pensa alla morte, non può amare la terra. E perché mai vi sono tanti infelici amanti di questo mondo? perché non pensano alla morte. "Filii hominum, usquequo gravi corde? ut quid diligitis vanitatem, et quaeritis mendacium?" (Ps 4,3). Miseri figli di Adamo, ci avverte lo Spirito Santo, perché non discacciate dal cuore tanti affetti alla terra, che vi fanno amare la vanità e la bugia? Ciò ch'è succeduto a' vostri antenati, ha da succedere anche a voi; essi in questo vostro palagio anche hanno abitato, in questo medesimo letto han dormito, ed ora non vi sono più: lo stesso ha da esser per voi.

Dunque, fratello mio, presto datti a Dio, prima che venga la morte. "Quodcunque potest facere manus tua, instanter operare" (Eccl 9,10). Quel che puoi far oggi, non aspettare a farlo domani, perché quest'oggi passa e non torna più, e domani può venirti la morte, la quale non ti permetterà di fare più niente. Presto distaccati da ciò che ti allontana, o può allontanarti da Dio. Lasciamo presto coll'affetto questi beni di terra, prima che la morte ce ne spogli a forza: "Beati mortui qui in Domino moriuntur" (Apoc 14,13). Beati quelli, che morendo si trovano già morti agli affetti di questo mondo! La morte da costoro non si teme, ma si desidera e si abbraccia con allegrezza: giacch'ella allora, in vece di separarli da' beni che amano, l'unisce col sommo bene, che solamente è da essi amato, e che li renderà eternamente beati.




BREVITÀ DELLA VITA

Quae est vita vestra? vapor est ad modicum parens (Iac 4,15)

PUNTO I

Che cosa è la nostra vita? è simile ad un vapore, che ad un poco di vento sparisce, e non v'è più. Tutti sanno che han da morire; ma l'inganno di molti si è che si figurano la morte così lontana, come non avesse mai da venire. Ma no, ci avvisa Giobbe, che la vita dell'uomo è breve: "Homo brevi vivens tempore, quasi flos egreditur, et conteritur" (Iob 14). Questo stesso comandò il Signore ad Isaia di predicare: "Clama (gli disse), omnis caro foenum... vere foenum est populus, exsiccatum est foenum, et cecidit flos" (Is 40). La vita dell'uomo è come la vita d'una pianta di fieno: viene la morte, seccasi il fieno, ed ecco che finisce la vita, e cade il fiore d'ogni grandezza e d'ogni bene mondano.

"Dies mei velociores cursore" (Iob 9). La morte ci corre all'incontro più presto d'un cursore, e noi in ogni momento corriamo alla morte. In ogni passo, in ogni respiro alla morte ci accostiamo. "Quod scribo (dice S. Girolamo) de mea vita tollitur". Per questo tempo in cui scrivo, più m'accosto alla morte. "Omnes morimur, et quasi aquae dilabimur in terram, quae non revertuntur" (Reg 14,14). Vedi là, come corre quel ruscello al mare, e quelle acque che scorrono, non ritornano più indietro; così, fratello mio, passano i tuoi giorni, e ti avvicini alla morte; passano i piaceri, passano gli spassi, passano le pompe, le lodi, le acclamazioni, e che resta? "Et solum mihi superest sepulcrum" (Iob 17,1). Sarem buttati in una fossa, ed ivi avremo da restare a marcire spogliati di tutto. In punto di morte la rimembranza di tutti i diletti goduti in vita, di tutti gli onori acquistati non ci serviranno che per accrescerci la pena e la sconfidenza di ottenere la salute eterna. Dunque (dirà allora il misero mondano) la mia casa, i miei giardini, quei mobili di buon gusto, quelle pitture, quelle vesti tra poco non saranno più miei? "Et solum mihi superest sepulcrum".

Ah che allora niun bene di questa terra si guarda se non con pena da chi l'ha amato con attacco; e questa pena non gli servirà ad altro che a mettere in maggior pericolo la salute dell'anima; vedendosi colla sperienza che tali persone attaccate al mondo in morte non vogliono sentir parlare d'altro che della loro infermità, di medici che posson chiamarsi e di rimedi che posson giovare: e quando si discorre loro dell'anima, subito si tediano, e vi dicono che li lasciate riposare, perché loro duole il capo, e non possono sentir parlare. E se talvolta rispondono, si confondono, né sanno che dirsi. E spesso da' confessori si dà loro l'assoluzione, non perché si conoscono disposte, ma perché non vi è tempo d'aspettare. Così muoiono quei che poco pensano alla morte.

PUNTO II

Piangeva il re Ezechia: "Praecisa est velut a texente vita mea, dum adhuc ordirer, succidit me" (Is 38). Oh a quanti al meglio che stan tessendo la tela, cioè ordinando ed eseguendo i loro disegni mondani, presi con tante misure, viene la morte e taglia tutto. Alla luce di quell'ultima candela svanisce ogni cosa di questo mondo, applausi, divertimenti, pompe e grandezze. Gran segreto della morte! ella ci fa vedere quel che non vedono gli amanti del mondo. Le fortune più invidiate, i posti più grandi, i trionfi più superbi perdono tutto lo splendore, quando si ravvisano dal letto della morte. L'idee di certe false felicità, che noi ci abbiam formate, si cambiano allora in isdegno contro la propria pazzia. L'ombra nera e funesta della morte covre ed oscura tutte le dignità, anche regali.

Ora le passioni fanno apparire i beni di questa terra altro di quel che sono; la morte gli scopre e fa vederli quali in verità sono, fumo, fango, vanità e miseria. Oh Dio! a che servono le ricchezze, i feudi, i regni in morte, quando altro non tocca che una cassa di legno, ed una semplice veste, che basta a coprir le carni? A che servono gli onori, quando altro non tocca che un funebre accompagnamento ed una pomposa esequie, che niente gioverà all'anima, se l'anima è perduta? A che serve la bellezza del corpo, se altro non resta allora che vermi, puzza ed orrore, anche prima di morire, e poi un poco di polvere puzzolente.

"Posuit me quasi in proverbium vulgi, et exemplum suum coram eis" (Iob 17). Muore quel ricco, quel ministro, quel capitano, ed allora se ne parlerà da per tutto; ma se mai egli ha vivuto male, diventerà la favola del popolo, "Proverbium vulgi, et exemplum"; e come esempio della vanità del mondo ed anche della divina giustizia servirà per correzione degli altri. Nella sepoltura poi starà egli confuso tra gli altri cadaveri de' poveri. "Parvus et magnus ibi sunt" (Iob 3). A che gli è valuta la bella disposizione del corpo, se ora non è che un mucchio di vermi? A che l'autorità avuta, se ora il suo corpo è buttato a marcire in una fossa, e l'anima è stata gittata ad ardere nell'inferno? Oh che miseria il servire di soggetto agli altri per fare queste riflessioni, e non averle fatte in proprio profitto! Persuadiamoci dunque che per rimediare a' disordini della coscienza, non è tempo proprio il tempo della morte, ma della vita. Affrettiamoci di far ora quel che non potremo allora fare: "Tempus breve est". Tutto presto passa e finisce; perciò facciamo che tutto ci serva per acquistarci la vita eterna.

PUNTO III

Che pazzia dunque, per li miseri e brevi diletti di questa così breve vita, mettersi a rischio di fare una mala morte? e con quella cominciare un'eternità infelice? Oh quanto pesa quell'ultimo momento, quell'ultima aperta di bocca, quell'ultima chiusa di scena! Pesa un'eternità o di tutti i contenti o di tutti i tormenti. Pesa una vita o sempre felice o sempre infelice. Pensiamo che Gesù Cristo volle morire con una morte sì amara e ignominiosa, per ottenere a noi una buona morte. A questo fine ci dà tante chiamate, ci dona tanti lumi, ci ammonisce con tante minacce, affinché accertiamo di finire quell'ultimo momento in grazia di Dio.

Anche un gentile (Antistene) dimandato qual fosse in questo mondo la miglior fortuna? rispose: "Una buona morte". E che dirà un cristiano, il quale sa per fede che da quel momento principia l'eternità: sicché in quel momento si afferra una delle due ruote, che seco tira o un eterno godere o un eterno patire. Se in una borsa vi fossero due cartelle, in una delle quali vi stesse scritto l'inferno e nell'altra il paradiso, che avesse a toccarti; qual diligenza non faresti per indovinare a prendere quella del paradiso? Quei miseri che son condannati a giocarsi la vita, oh Dio, come tremano in istender la mano a buttare i dadi, dalla cui sorte dipende la lor vita o morte!

Quale spavento sarà, quando ti troverai vicino a quell'ultimo momento, quando dirai: Da questo punto, a cui sto vicino, dipende la mia vita o la mia morte eterna! Ora sta, se dovrò essere o beato per sempre o disperato per sempre. Narra S. Bernardino da Siena di un certo principe, che morendo tutto atterrito diceva: Ecco ch'io ho tante terre e tanti palagi in questo mondo; ma se muoio in questa notte, non so quale stanza mi avrà da toccare!

Fratello, se credi che si ha da morire e che vi è eternità, e che una volta sola si ha da morire, sicché se allora la sgarri, l'avrai sgarrata per sempre, senza speranza di rimedio, come non ti risolvi di cominciare da questo punto che leggi, a far quanto puoi per assicurarti a fare una buona morte? Tremava un S. Andrea d'Avellino, dicendo: Chi sa qual sorte mi toccherà nell'altra vita? se mi salverò o dannerò? Tremava ancora un S. Luigi Beltrando talmente che la notte non potea prendere sonno al pensiero che gli dicea: E chi sa se ti danni? E tu che ti trovi con tanti peccati fatti, non tremi? Presto, rimedia a tempo, risolvi di darti da vero a Dio; e comincia almeno da questo tempo una vita, che non ti affligga, ma ti consoli in morte. Datti all'orazione, frequenta i sagramenti, lascia le occasioni pericolose; e se bisogna, lascia ancor il mondo, assicura la tua salute eterna; e intendi che per assicurare la salute eterna, non vi è sicurtà che basti.





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