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Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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Apparecchio alla Morte di sant'Alfonso Maria de Liguori

Ultimo Aggiornamento: 10/07/2019 00:04
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09/07/2019 23:18


CERTEZZA DELLA MORTE

Statutum est hominibus semel mori (Hebr 9,27)

PUNTO I

È scritta la sentenza della morte per tutti gli uomini: sei uomo, hai da morire. Dice S. Agostino: "Cetera nostra bona et mala incerta sunt, sola mors certa est". È incerto se quel bambino che nasce, dovrà esser povero o ricco, se ha d'avere buona o cattiva sanità, se avrà da morire giovine o vecchio: tutto è incerto, ma è certo che ha da morire. Ogni nobile, ogni regnante ha da essere reciso dalla morte. E quando giunge la morte, non v'è forza che possa resistere: si resiste al fuoco, all'acqua, al ferro: si resiste alla potenza de' principi, ma non può resistersi alla morte. "Resistitur ignibus, undis, ferro: resistitur regibus; venit mors, quis ei resistit?" (S. Agostino). Narra il Belluacense che un certo re di Francia, giunto in fine della vita disse: "Ecco che io con tutta la mia potenza non posso già ottenere che la morte mi aspetti un'ora di più". Quando è venuto il termine della vita, neppure per un momento si differisce. "Constituisti terminos eius, qui praeteriri non poterunt" (Iob 14,5).

Abbiate dunque a vivere, lettor mio, tutti gli anni che sperate, ha da venire un giorno, e di quel giorno un'ora, che sarà l'ultima per voi. Per me che ora scrivo, per voi che leggete questo libretto, sta già decretato il giorno e 'l punto, nel quale né io più scriverò, né voi più leggerete: "Quis est homo, qui vivit et non videbit mortem?" (Psal 88,49). È fatta la condanna: non v'è stato mai uomo sì pazzo, che siasi lusingato di non avere a morire. Ciò ch'è succeduto a' vostri antenati, ha da succedere anche a voi. Di quanti nel principio del secolo passato viveano nella vostra patria, ecco che niuno n'è vivo. Anche i principi, i monarchi della terra han mutato paese; di loro non vi è altro qui rimasto che un mausoleo di marmo con una bella iscrizione, la quale oggi serve a noi d'insegnamento, che de' grandi del mondo altro non resta che un poco di polvere chiusa tra le pietre. Dimanda S. Bernardo: "Dic mihi, ubi sunt amatores mundi?" e risponde: "Nihil ex eis remansit, nisi cineres et vermes".

Pertanto bisogna che ci procuriamo non quella fortuna che finisce, ma quella che sarà eterna, giacché eterne sono l'anime nostre. A che servirebbe l'esser felice (se mai può darsi vera felicità in un'anima che sta senza Dio), se poi dovreste esser infelice per tutta l'eternità? Vi avete fatta già quella casa con tanta vostra soddisfazione, ma pensate che presto dovrete lasciarla e andare a marcire in una fossa. Avete ottenuta quella dignità, che vi rende superiore agli altri; ma verrà la morte, che vi renderà simile a' villani più vili della terra.

PUNTO II

"Statutum est". È certo dunque che tutti siamo condannati a morte. Tutti nasciamo, dice S. Cipriano, col capestro alla gola; e quanti passi diamo, tanto ci avviciniamo alla morte. Fratello mio, siccome voi siete stato scritto un giorno nel libro del battesimo, così avrete un giorno da essere scritto nel libro de' morti. Siccome voi nominate ora i vostri antenati, la buona memoria di mio padre, di mio zio, di mio fratello; così i posteri avran da dire anche di voi. Siccome avete più volte udito sonare a morto degli altri, così gli altri avran da sentire sonare di voi.

Ma che direste voi, se vedeste un condannato a morte che andasse al patibolo burlando, ridendo, girando gli occhi e pensando a commedie, festini e spassi? e voi ora camminate già alla morte, ed a che pensate? Guardate là in quella fossa quei vostri amici e parenti, per cui già si è eseguita la giustizia. Che spavento dà a' condannati il vedere sulla forca i compagni già appesi e morti! Guardate dunque quei cadaveri, ognun de' quali vi dice: "Mihi heri, et tibi hodie" (Eccli 38,23). Lo stesso vi dicono ancora i ritratti de' vostri parenti defunti, i loro libri di memoria, le case, i letti, le vesti da loro lasciate.

Qual pazzia maggior è dunque sapere che si ha da morire, e che dopo la morte ci ha da toccare o un'eternità di gaudi o un'eternità di pene; pensare che da quel punto dipende l'essere o eternamente felice o eternamente infelice, e poi non pensare ad aggiustare i conti e prendere tutti i mezzi per fare una buona morte? Noi compatiamo coloro che muoiono di subito, e non si trovano apparecchiati alla morte: e noi perché poi non procuriamo di stare apparecchiati, potendo anche a noi accadere lo stesso? Ma o presto o tardi, o con avviso o improvvisamente, o ci pensiamo o non ci pensiamo, abbiamo da morire; ed in ogni ora, in ogni momento ci accostiamo alla nostra forca, che sarà appunto quell'ultima infermità, che ci ha da cacciare dal mondo.

In ogni secolo le case, le piazze e le città si riempiono di gente nuova, ed i primi son portati a chiudersi ne' sepolcri. Siccome per coloro son finiti i giorni della vita, così verrà il tempo, in cui né io, né voi, né alcuno di quanti al presente viviamo, viveremo più su questa terra. "Dies formabuntur, et nemo in eis" (Salm 138,16). Saremo allora tutti nell'eternità, la quale sarà per noi un eterno giorno di delizie o un'eterna notte di tormenti. Non ci è via di mezzo; è certo, è di fede che l'una o l'altra sorte ci ha da toccare.

PUNTO III

La morte è certa. Ma oh Dio che ciò lo sanno già i cristiani, lo credono, lo vedono; e come poi tanti vivono talmente scordati della morte, come non avessero mai a morire! Se non vi fosse dopo questa vita né inferno né paradiso, potrebbero pensarci meno di quel che ora ci pensano? E perciò fanno la mala vita che fanno.

Fratello mio, se volete viver bene, procurate di vivere in questi giorni che vi restano, a vista della morte. "O mors, bonum est iudicium tuum" (Eccli 41,3). Oh come bene giudica le cose e dirige le sue azioni, chi le giudica e dirige a vista della morte! La memoria della morte fa perdere l'affetto a tutte le cose di questa terra. "Consideretur vitae terminus, et non erit in hoc mundo quid ametur", dice S. Lorenzo Giustiniani. "Omne quod in mundo est, concupiscentia carnis est, concupiscentia oculorum, et superbia vitae" (1 Io 2,16). Tutti i beni del mondo si riducono a' piaceri di senso, a robe e ad onori; ma ben disprezza tutto, chi pensa che tra poco ha da ridursi in cenere e ad esser posto sotto terra per pascolo di vermi.

Ed in fatti a vista della morte i Santi han disprezzati tutti i beni di questa terra. Perciò S. Carlo Borromeo si tenea nel tavolino un teschio di morto, per mirarlo continuamente. Il cardinal Baronio sull'anello teneasi scritto: "Memento mori". Il Ven. P. Giovenale Ancina vescovo di Saluzzo tenea scritto sopra un altro teschio di morto il motto: "Come tu sei, fui pur io: e com'io sono, sarai pur tu". Un altro santo Eremita dimandato in morte, perché stesse con tanta allegrezza, rispose: Io ho tenuto spesso avanti gli occhi la morte, e perciò ora ch'è giunta, non vedo cosa nuova.

Che pazzia sarebbe d'un viandante, se viaggiando pensasse a farsi grande in quel paese per dove passa, e non si curasse di ridursi poi a vivere miseramente in quello dove ha da stare in tutta la sua vita? E non è pazzo chi pensa a farsi felice in questo mondo, dove ha da stare pochi giorni, e si mette a rischio di farsi infelice nell'altro, dove avrà da vivere in eterno? Chi tiene una cosa aliena in prestito, poco ci pone affetto pensando che tra poco l'ha da restituire: i beni di questa terra tutti ci sono dati in prestito; è sciocchezza metterci affetto, dovendoli tra poco lasciare. La morte ci ha da spogliare di tutto. Tutti gli acquisti, e fortune di questo mondo vanno a terminare ad un'aperta di bocca, ad un funerale e ad una scesa in una fossa. La casa da voi fabbricata tra poco dovrete cederla ad altri; il sepolcro sarà l'abitazione del vostro corpo sin al giorno del giudizio, e di là dovrà poi passare al paradiso o all'inferno, dove già prima sarà andata l'anima.




INCERTEZZA DELL'ORA DELLA MORTE

Estote parati, quia qua hora non putatis, Filius hominis veniet (Luc 12,40)

PUNTO I

È certo che tutti abbiamo da morire, ma è incerto il quando. "Nihil certius morte (dice l'Idiota), hora autem mortis nihil incertius". Fratello mio, già sta determinato l'anno, il mese, il giorno, l'ora e 'l momento, nel quale io e voi abbiam da lasciar questa terra ed entrare nell'eternità; ma questo tempo a noi è ignoto. Il Signore, acciocché noi ci troviamo sempre apparecchiati, ora ci dice che la morte verrà come un ladro di notte e di nascosto: "Sicut fur in nocte, ita veniet" (1 Thess 5,2): ora ci dice che stiamo vigilanti, perché quando meno ce l'immaginiamo, verrà Egli a giudicarci: "Qua hora non putatis, Filius hominis veniet". Dice S. Gregorio che Dio per nostro bene ci nasconde l'ora della morte, acciocché ci troviamo sempre apparecchiati: "De morte incerti sumus, ut ad mortem semper parati inveniamur". Giacché dunque la morte in ogni tempo, ed in ogni luogo può toglierci la vita, se vogliamo morir bene e salvarci, bisogna (dice S. Bernardo) che in ogni tempo ed in ogni luogo la stiamo aspettando: "Mors ubique te exspectat; tu ubique eam exspectabis".

Ognuno sa che ha da morire, ma il male è che molti ravvisano la morte in tanta lontananza che la perdono di vista. Anche i vecchi più decrepiti e le persone più infermicce pure si lusingano di avere a vivere per tre o quattro altri anni di più. Ma all'incontro, io dico, quanti ne sappiamo noi anche a' giorni nostri morti di subito! chi sedendo, chi camminando, chi dormendo nel suo letto! È certo che niun di costoro credea di avere a morir così improvvisamente ed in quel giorno ch'è morto. Dico in oltre di quanti in quest'anno son passati all'altra vita, morendo nel loro letto, niuno s'immaginava di dovere in quest'anno finire i suoi giorni. Poche sono le morti, che non riescono improvvise.

Dunque, cristiano mio, quando il demonio vi tenta a peccare con dirvi che domani poi vi confesserete, rispondetegli: E che so io, se oggi è l'ultimo giorno di mia vita? se quest'ora, questo momento, in cui voltassi le spalle a Dio, fosse l'ultimo per me, sicché per me poi non vi fosse più tempo di rimediare, che ne sarebbe di me in eterno? A quanti poveri peccatori è succeduto che nello stesso punto che cibavansi di qualch'esca avvelenata, sono stati colti dalla morte e mandati all'inferno? "Sicut pisces capiuntur hamo, sic capiuntur homines in tempore malo" (Eccli 9,12). Il tempo malo è propriamente quello, in cui attualmente il peccatore offende Dio. Dice il demonio che questa disgrazia non vi succederà; ma voi dovete dire: E se mi succede, che ne sarà di me per tutta l'eternità?

PUNTO II

Il Signore non ci vuol vedere perduti, e perciò non lascia d'avvertirci a mutar vita colla minaccia del castigo. "Nisi conversi fueritis, gladium suum vibrabit " (Ps 7,13). Mirate (dice in altro luogo) quanti, perché non l'han voluta finire, quando meno se l'immaginavano, e vivean in pace sicuri di aver a vivere per molti anni, repentinamente è giunta loro la morte: "Cum dixerint pax, et securitas, tunc repentinus eis superveniet interitus" (Prov 29,1). In un altro luogo dice: "Nisi poenitentiam egeritis, omnes similiter peribitis". Perché tanti avvisi del castigo, prima di mandarcelo? se non perché Egli vuole che noi ci emendiamo, e così evitiamo la mala morte. Chi dice, guardati, non ha voglia di ucciderti, dice S. Agostino: "Non vult ferire, qui clamat tibi: Observa".

È necessario dunque apparecchiare i conti, prima che arrivi il giorno de' conti. Cristiano mio, se prima di notte in questo giorno doveste morire, e avesse da decidersi la causa della vostra vita eterna, che dite, vi trovereste i conti apparecchiati? o pure quanto paghereste per ottener da Dio un altro anno, un mese, almeno un altro giorno di tempo? E perché ora che Dio già vi dà questo tempo, non aggiustate la coscienza? Forse non può essere che questo giorno sia l'ultimo per voi? "Non tardes converti ad Dominum, et non differas de die in diem; subito enim veniet ira illius, et in tempore vindictae disperdet te" (Eccli 5,9). Per salvarti, fratello mio, bisogna lasciare il peccato; se dunque hai da lasciarlo una volta, perché non lo lasci ora? "Si aliquando, cur non modo?" (S. Agostino). Aspetti forse che giunga la morte? ma il tempo della morte non è tempo di perdono, ma di vendetta. "In tempore vindictae disperdet te".

Se alcuno vi dee una gran somma, voi presto vi cautelate con farvi fare l'obbligo scritto, dicendo: Chi sa che può succedere? E perché non usate poi la stessa cautela per l'anima vostra, che importa assai più di quella somma? perché non dite lo stesso: Chi sa che può succedere? Se perdete quella somma, non perdete tutto; e benché perdendo quella perdessivo tutto il vostro patrimonio, pure vi resterebbe la speranza di riacquistarlo; ma se in morte perdete l'anima, allora veramente avrete perduto tutto, e non vi sarà più per voi speranza di ricuperarlo. Voi siete così diligente in notare le memorie de' beni che possedete, per timore che non si perdano, se mai v'accadesse una morte improvvisa; e se per caso vi accade questa morte improvvisa, e vi trovate in disgrazia di Dio, che sarà dell'anima vostra per tutta l'eternità?

PUNTO III

"Estote parati". Non dice il Signore che ci apparecchiamo, quando ci arriva la morte, ma che ci troviamo apparecchiati. Quando viene la morte, allora in quella tempesta e confusione sarà quasi impossibile aggiustare una coscienza imbrogliata. Così dice la ragione. Così minaccia Dio, dicendo che allora Egli non verrà a perdonare, ma a vendicarsi del disprezzo fatto delle sue grazie. "Mihi vindicta, et ego retribuam in tempore". (Rom 12,19). Giusto castigo, dice S. Agostino, sarà questo per colui che potendo non ha voluto salvarsi, di non potere quando vorrà: "Iusta poena est, ut qui recta facere cum posset noluit, amittat posse cum velit". Ma dirà alcuno: Chi sa, può essere ancora che allora mi converta, e mi salvi. Ma vi gittereste voi in un pozzo con dire: Chi sa, può essere che gittandomi resto vivo e non muoio? Oh Dio, che cosa è questa? Come il peccato accieca la mente, che fa perdere anche la ragione! Gli uomini, quando si tratta del corpo, parlano da savi; quando poi si tratta d'anima, parlano da pazzi.

Fratello mio, chi sa se questo punto che leggete, è l'ultimo avviso che Dio vi manda? Presto apparecchiamoci alla morte, acciocché non ci colga improvvisamente. Dice S. Agostino che 'l Signore ci nasconde l'ultimo giorno di nostra vita, affinché in tutt'i giorni stiamo apparecchiati a morire: "Latet ultimus dies, ut observentur omnes dies". Ci avvisa S. Paolo che bisogna attendere a salvarci non solo temendo, ma anche tremando: "Cum metu et tremore vestram salutem operamini". (Philipp 2,12). Narra S. Antonino che un certo re della Sicilia per far intendere ad un privato il timore, col quale egli sedea nel trono, lo fece sedere a mensa con una spada pendente da un picciolo filo sulla testa, sicché quegli stando così, appena poté prendere qualche poco di cibo. Tutti noi stiamo collo stesso pericolo, mentre in ogni momento può caderci sopra la spada della morte, da cui dipende la nostra salute eterna.

Si tratta di eternità. "Si ceciderit lignum ad austrum, aut ad aquilonem, in quocunque loco ceciderit, ibi erit" (Eccl 11,3). Se venendo la morte ci troviamo in grazia di Dio, oh che allegrezza sarà dell'anima, potendo allora dire: Ho assicurato tutto, non posso perdere più Dio, sarò felice per sempre. Ma se la morte troverà l'anima in peccato, qual disperazione sarà il dire: "Ergo erravimus". Dunque ho errato ed al mio errore non ci sarà rimedio per tutta l'eternità? Questo timore fece dire al Ven. P. M. Avila, apostolo delle Spagne, quando gli fu portata la nuova della morte: "Oh avessi un altro poco di tempo, per apparecchiarmi a morire!". Questo facea dire all'Abbate Agatone, con tutto che moriva dopo tanti anni di penitenza: "Che ne sarà di me! I giudizi di Dio chi li sa!". S. Arsenio anche tremava in morte, e dimandato da' discepoli, perché così temesse: "Figli, rispose, questo timore non mi è nuovo; io l'ho avuto sempre in tutta la mia vita". Sopra tutti tremava il santo Giobbe, dicendo: "Quid faciam, cum surrexerit ad iudicandum Deus? et cum quaesierit, quid respondebo illi?".




MORTE DEL PECCATORE

Angustia superveniente, pacem requirent, et non erit; conturbatio super conturbationem veniet (Ezech 7,25)

PUNTO I

Al presente i peccatori discacciano la memoria e 'l pensiero della morte, e così cercano di trovar pace (benché non la trovino mai) nel vivere che fanno in peccato; ma quando si troveranno nell'angustie della morte, prossimi ad entrare nell'eternità: "Angustia superveniente, pacem requirent, et non erit"; allora non possono sfuggire il tormento della loro mala coscienza; cercheranno la pace, ma che pace può trovare un'anima, ritrovandosi aggravata di colpe, che come tante vipere la mordono? che pace, pensando di dover comparire tra pochi momenti avanti di Gesù Cristo giudice, del quale sino ad allora ha disprezzata la legge e l'amicizia? "Conturbatio super conturbationem veniet". La nuova già ricevuta della morte, il pensiero di doversi licenziare da tutte le cose del mondo, i rimorsi della coscienza, il tempo perduto, il tempo che manca, il rigore del divino giudizio, l'eternità infelice che si aspetta a' peccatori: tutte queste cose componeranno una tempesta orrenda, che confonderà la mente ed accrescerà la diffidenza; e così confuso e sconfidato il moribondo passerà all'altra vita.

Abramo con gran merito sperò in Dio contro la speranza umana, credendo alla divina promessa: "Contra spem in spem credidit" (Rom 4,18). Ma i peccatori con gran demerito e falsamente per loro ruina sperano, non solo contro la speranza, ma ancora contro la fede, mentre disprezzano anche le minacce, che Dio fa agli ostinati. Temono essi la mala morte, ma non temono di fare una mala vita. Ma chi gli assicura di non morire di subito con un fulmine, con una goccia, con un butto di sangue? ed ancorché avessero tempo in morte da convertirsi, chi gli assicura che da vero si convertiranno? S. Agostino ebbe da combattere dodici anni per superare i suoi mali abiti; come potrà un moribondo, che sempre è stato colla coscienza imbrattata, in mezzo a i dolori, agli stordimenti della testa e nella confusione della morte fare facilmente una vera conversione? Dico "vera", perché allora non basta il dire e promettere; ma bisogna dire e promettere col cuore. Oh Dio, e da quale spavento resterà preso e confuso allora il misero infermo, ch'è stato di coscienza trascurata, in vedersi oppresso da' peccati e da' timori del giudizio, dell'inferno e dell'eternità! In quale confusione lo metteranno questi pensieri, quando si troverà svanito di testa, oscurato di mente e assalito da' dolori della morte già vicina! Si confesserà, prometterà, piangerà, cercherà pietà a Dio, ma senza sapere quel che si faccia; ed in questa tempesta di agitazioni, di rimorsi, d'affanni e di spaventi passerà all'altra vita. "Turbabuntur populi, et pertransibunt" (Iob 34,20).

Ben dice un autore che le preghiere, i pianti e le promesse del peccator moribondo sono appunto come i pianti e le promesse di taluno, che si vede assalito dal suo nemico, il quale gli tiene posto il pugnale alla gola per torgli allora la vita. Misero chi si mette a letto in disgrazia di Dio, e di là se ne passa all'eternità!

PUNTO II

Non una, ma più e molte saranno le angustie del povero peccator moribondo. Da una parte lo tormenteranno i demoni. In morte questi orrendi nemici mettono tutta la forza per far perdere quell'anima, che sta per uscire di questa vita, intendendo che poco tempo lor resta da guadagnarla, e che se la perdono allora, l'avran perduta per sempre. "Descendit diabolus ad vos habens iram magnam, sciens quod modicum tempus habet" (Apoc 12,12). E non uno sarà il demonio, che allora tenterà, ma innumerabili che assisteranno al moribondo per farlo perdere. "Replebuntur domus eorum draconibus" (Is 13,21). Uno gli dirà: Non temere che sanerai. Un altro dirà: E come? tu per tanti anni sei stato sordo alle voci di Dio, ed ora esso vorrà usarti pietà? Un altro: Come ora puoi rimediare a quelli danni fatti? a quelle fame tolte? Un altro: Non vedi che le tue confessioni sono state tutte nulle, senza vero dolore, senza proposito? come puoi ora più rifarle?

Dall'altra parte si vedrà il moribondo circondato da' suoi peccati. "Virum iniustum mala capient in interitu" (Ps 139,12). Questi peccati come tanti satelliti, dice S. Bernardo, lo terranno afferrato e gli diranno: "Opera tua sumus, non te deseremus". Noi siamo tuoi parti, non vogliamo lasciarti; ti accompagneremo all'altra vita, e teco ci presenteremo all'eterno giudice. Vorrà allora il moribondo sbrigarsi da tali nemici, ma per isbrigarsene bisognerebbe odiarli, bisognerebbe convertirsi di cuore a Dio; ma la mente è ottenebrata, e 'l cuore è indurito. "Cor durum habebit male in novissimo: et qui amat periculum, peribit in illo" (Eccli 3,27).

Dice S. Bernardo che il cuore, ch'è stato ostinato nel male in vita, farà i suoi sforzi per uscire dallo stato di dannazione, ma non giungerà a liberarsene, ed oppresso dalla sua malizia nel medesimo stato finirà la vita. Egli avendo sino ad allora amato il peccato, ha insieme amato il pericolo della sua dannazione; giustamente perciò permetterà il Signore che allora perisca in quel pericolo, nel quale ha voluto vivere sino alla morte. Dice S. Agostino che chi è lasciato dal peccato, prima ch'egli lo lasci, in morte difficilmente lo detesterà come dee; perché allora quel che farà, lo farà a forza: "Qui prius a peccato relinquitur, quam ipse relinquat, non libere, sed quasi ex necessitate condemnat".

Misero dunque quel peccatore ch'è duro, e resiste alle divine chiamate! "Cor eius indurabitur quasi lapis, et stringetur quasi malleatoris incus" (Iob 41,15). Egli l'ingrato in vece di rendersi ed ammollirsi alle voci di Dio, si è indurito come più s'indurisce l'incudine a' colpi del martello. In pena di ciò tal ancora si ritroverà in morte, benché si ritrovi in punto di passare all'eternità. "Cor durum habebit male in novissimo". I peccatori, dice il Signore, mi han voltate le spalle per amore delle creature: "Verterunt ad me tergum, et non faciem, et in tempore afflictionis suae dicent: Surge, et libera nos. Ubi sunt dii tui, quos fecisti tibi? surgant, et liberent te" (Ier 2,27). I miseri in morte ricorreranno a Dio, e Dio loro dirà: Ora a me ricorrete? chiamate le creature che vi aiutino; giacché quelle sono state i vostri dei. Dirà così il Signore, perché essi ricorreranno, ma senz'animo vero di convertirsi. Dice S. Girolamo tener egli quasi per certo ed averlo appreso coll'esperienza che non farà mai buon fine, chi ha fatta mala vita sino alla fine: "Hoc teneo, hoc multiplici experientia didici, quod ei non bonus est finis, cui mala semper vita fuit".

PUNTO III

Gran cosa! Dio non fa altro che minacciare una mala morte a' peccatori: "Tunc invocabunt me, et non exaudiam" (Prov 1,18). "Nunquid Deus exaudiet clamorem eius, cum venerit super eum angustia" (Iob 27,9). "In interitu vestro ridebo, et subsannabo" (Prov 1,26). ("Ridere Dei est nolle misereri", S. Gregor.). "Mea est ultio, et ego retribuam eis in tempore, ut labatur pes eorum" (Deuter 32,35). Ed in tanti altri luoghi minaccia lo stesso; ed i peccatori vivono in pace, sicuri come Dio avesse certamente promesso loro in morte il perdono e 'l paradiso. È vero che in qualunque ora si converte il peccatore, Dio ha promesso di perdonarlo; ma non ha detto che il peccatore in morte si convertirà; anzi più volte si è protestato che chi vive in peccato, in peccato morirà: "In peccato vestro moriemini" (Io 8,21). "Moriemini in peccatis vestris" (Io 8,24). Ha detto che chi lo cercherà in morte, non lo troverà: "Quaeretis me, et non invenietis (Io 7,34). Dunque bisogna cercare Dio, quando si può trovare: "Quaerite Dominum, dum inveniri potest" (Is 55,6). Sì, perché vi sarà un tempo che non potrà più trovarsi. Poveri peccatori! poveri ciechi, che si riducono a convertirsi all'ora della morte, in cui non sarà più tempo di convertirsi! Dice l'Oleastro: "Impii nusquam didicerunt benefacere, nisi cum non est tempus benefaciendi". Dio vuol salvi tutti, ma castiga gli ostinati.

Se mai alcun miserabile ritrovandosi in peccato, fosse colto dalla goccia, e stesse destituto di sensi, qual compassione farebbe a tutti il vederlo morire senza sagramenti e senza segno di penitenza? qual contento poi avrebbe ognuno, se costui ritornasse in sé e cercasse l'assoluzione, e facesse atti di pentimento? Ma non è pazzo poi chi avendo tempo di far ciò, siegue a stare in peccato? o pure torna a peccare e si mette in pericolo che lo colga la morte, nel tempo della quale forse lo farà, e forse no? Spaventa il veder morire alcuno all'improvviso, e poi tanti volontariamente si mettono al pericolo di morire così, e morire in peccato!

"Pondus et statera iudicia Domini sunt" (Prov 16,21). Noi non teniamo conto delle grazie, che ci fa il Signore; ma ben ne tiene conto il Signore e le misura; e quando le vede disprezzate sino a certi termini, lascia il peccatore nel suo peccato, e così lo fa morire. Misero chi si riduce a far penitenza in morte. "Poenitentia, quae ab infirmo petitur, infirma est", dice S. Agostino. S. Geronimo dice che di centomila peccatori che si riducono sino alla morte a stare in peccato, appena uno in morte si salverà: "Vix de centum millibus, quorum mala vita fuit, meretur in morte a Deo indulgentiam unus". Dice S. Vincenzo Ferrerio che sarebbe più miracolo che uno di questi tali si salvasse, che far risorgere un morto. "Maius miraculum est, quod male viventes faciant bonum finem, quam suscitare mortuos". Che dolore, che pentimento vuol concepirsi in morte da chi sino ad allora ha amato il peccato?

Narra il Bellarmino ch'essendo egli andato ad assistere ad un certo moribondo ed avendolo esortato a fare un atto di contrizione, quegli rispose che non sapea ciò che si fosse contrizione. Bellarmino procurò di spiegarcelo, ma l'infermo disse: "Padre, io non v'intendo, io non son capace di queste cose". E così se ne morì. "Signa damnationis suae satis aperte relinquens", come il Bellarmino lasciò scritto. Giusto castigo, dice S. Agostino, sarà del peccatore, che si dimentichi di sé in morte, chi in vita si è scordato di Dio: "Aequissime percutitur peccator, ut moriens obliviscatur sui qui vivens oblitus est Dei ".

"Nolite errare (intanto ci avverte l'Apostolo), Deus non irridetur: quae enim seminaverit homo, haec et metet; qui seminat in carne sua, de carne et metet corruptionem" (Galat 6,7) Sarebbe un burlare Dio vivere disprezzando le sue leggi, e poi raccoglierne premio e gloria eterna; ma "Deus non irridetur". Quel che si semina in questa vita, si raccoglie nell'altra. A chi semina piaceri vietati di carne, altro non tocca che corruzione, miseria e morte eterna.

Cristiano mio, quel che si dice per gli altri, si dice anche per voi. Ditemi se vi trovaste già in punto di morte, disperato da' medici, destituto di sentimenti e ridotto già in agonia, quanto preghereste Dio che vi concedesse un altro mese, un'altra settimana di tempo allora, per aggiustare i conti della vostra coscienza? E Dio già vi dà questo tempo. Ringraziatelo e presto rimediate al mal fatto, e prendete tutti i mezzi per ritrovarvi in istato di grazia, quando verrà la morte, perché allora non sarà più tempo di rimediare.




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