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Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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Apparecchio alla Morte di sant'Alfonso Maria de Liguori

Ultimo Aggiornamento: 10/07/2019 00:04
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09/07/2019 23:29

LA MISERICORDIA DI DIO


Superexaltat autem misericordia iudicium (Iac 2,13)


PUNTO I


La bontà è diffusiva di sua natura, cioè inclinata a comunicare i suoi beni anche agli altri. Or Iddio che per natura è bontà infinita ("Deus cuius natura bonitas", S. Leone), ha un sommo desiderio di comunicare a noi la sua felicità; e perciò il suo genio non è di castigare, ma d'usar misericordia a tutti. Il castigare, dice Isaia, è un'opera aliena dall'inclinazione di Dio: "Irascetur, ut faciat opus suum, alienum opus eius... peregrinum est opus eius ab eo" (Is 28,21). E quando il Signore castiga in questa vita, castiga per usar misericordia nell'altra. "Deus iratus est, et misertus est nobis" (Ps 59,3). Si dimostra irato, acciocché noi ci ravvediamo e detestiamo i peccati: "Ostendisti populo tuo dura, potasti nos vino compunctionis" (Ps 59,5). E se ci manda qualche castigo, lo fa perché ci ama, per liberarci dal castigo eterno: "Dedisti metuentibus te significationem, ut fugiant a facie arcus, ut liberentur dilecti tui" (Ps 59,6). E chi mai può ammirare e lodare abbastanza la misericordia ch'usa Dio co' peccatori in aspettarli, in chiamarli ed in accoglierli, allorché ritornano? E per prima, oh la gran pazienza, che ha Dio in aspettarti a penitenza! Fratello mio, quando tu offendevi Dio, poteva egli farti morire? E Dio t'aspettava; e in vece di castigarti, ti faceva bene, ti conservava la vita e ti provvedeva. Fingea di non vedere i tuoi peccati, acciocché tu ti ravvedessi. "Dissimulans peccata hominum propter poenitentiam" (Sap 11,24). Ma come, Signore, Voi non potete vedere un sol peccato, e poi ne vedete tanti e tacete? "Respicere ad iniquitatem non poteris; quare respicis super iniquitates, et taces?" (Abac 1,11). Voi mirate quel disonesto, quel vendicativo, quel bestemmiatore, che da giorno in giorno vi accresce l'offese, e non lo castigate? e perché tanta pazienza? "Propterea exspectat Dominus, ut misereatur vestri" (Is 30,18). Dio aspetta il peccatore, acciocché si emendi, e così possa perdonarlo e salvarlo.


Dice S. Tommaso che tutte le creature, il fuoco, la terra, l'aria, l'acqua per loro naturale istinto vorrebbero punire il peccatore, per vendicare l'ingiurie fatte al lor Creatore: "Omnis creatura, tibi factori deserviens, excandescit adversus iniustos". Ma Dio le trattiene per la sua pietà. Ma, Signore, Voi aspettate questi empi, acciocché si ravvedano, e non vedete che l'ingrati si servono della vostra misericordia per più offendervi? "Indulsisti, Domine, indulsisti genti, nunquid glorificatus es?" (Is 26,15). E perché tanta pazienza? perché Dio non vuol la morte del peccatore, ma che si converta e si salvi. "Nolo mortem impii, sed ut convertatur, et vivat" (Ez 33,11). Oh pazienza di Dio! Giunge a dir S. Agostino che se Iddio non fosse Dio, sarebbe ingiusto, a riguardo della troppa pazienza che usa co' peccatori: "Deus, Deus meus, pace tua dicam, nisi quia Deus esses, iniustus esses". Aspettare chi si serve della pazienza per più insolentire, par che sia un'ingiustizia all'onore divino. "Nos peccamus", siegue a dire il santo, "inhaeremus peccato (taluni fan pace col peccato, dormono in peccato i mesi e gli anni), gaudemus de peccato (altri arrivano a vantarsi delle loro scelleraggini): et tu placatus es! Te nos provocamus ad iram, tu nos ad misericordiam"; sembra che facciamo a gara con Dio, noi ad irritarlo a castigarci, ed Egli ad invitarci al perdono.


PUNTO II


Considera in oltre la misericordia che usa Dio in chiamare il peccatore a penitenza. Quando Adamo si ribellò dal Signore, e poi si nascondea dalla sua faccia, ecco Dio che avendo perduto Adamo, lo va cercando e quasi piangendo lo chiama: "Adam, ubi es?" (Gen 3,9). "Sunt verba Patris (commenta il P. Pereira) quaerentis filium suum perditum". Lo stesso ha fatto Dio tante volte con te, fratello mio. Tu fuggivi da Dio, e Dio t'andava chiamando, ora con ispirazioni, ora con rimorsi di coscienza, ora con prediche, ora con tribolazioni, ora colla morte de' tuoi amici. Par che dica Gesù Cristo, parlando di te: "Laboravi clamans, raucae factae sunt fauces meae" (Ps 68,4). Figlio, quasi ho perduta la voce in chiamarti. Avvertite, o peccatori, dice S. Teresa, che vi sta chiamando quel Signore, che un giorno vi ha da giudicare.


Cristiano mio, quante volte hai fatto il sordo con Dio, che ti chiamava? Meritavi ch'egli non ti chiamasse più. Ma no, il tuo Dio non ha lasciato di seguire a chiamarti, perché volea far pace con te e salvarti. Oh Dio, chi era quegli che ti chiamava? un Dio d'infinita maestà. E tu chi eri, se non un verme miserabile e puzzolente? E perché ti chiamava? non per altro che per restituirti la vita della grazia, che tu avevi perduta: "Revertimini, et vivite" (Ez 18,32). Acciocché taluno potesse acquistare la divina grazia, poco sarebbe, se vivesse in un deserto per tutta la sua vita; ma Dio ti esortava a ricever la sua grazia in un momento, se volevi con un atto di pentimento: e tu la rifiutavi. E Dio con tutto ciò non ti ha abbandonato; ti è andato quasi piangendo appresso e dicendo: Figlio, e perché ti vuoi dannare? "Et quare moriemini, domus Israel?" (Ez 18,31).


Allorché l'uomo commette un peccato mortale, egli discaccia Dio dall'anima sua. "Impii dicebant Deo: Recede a nobis" (Iob 21,14). Ma Dio che fa? si pone alla porta di quel cuore ingrato: "Ecce sto ad ostium, et pulso" (Apoc 3,20). E par che preghi l'anima a dargli l'entrata: "Aperi mihi, soror mea" (Cant 5,2). E si affatica a pregare: "Laboravi rogans" (Ier 15,6). Sì, dice S. Dionisio Areopagita, Dio va appresso a' peccatori come un amante disprezzato, pregandoli che non si perdano: "Deus etiam a se aversos amatorie sequitur, et deprecatur ne pereant". E ciò appunto significò S. Paolo, quando scrisse a' discepoli: "Obsecramus pro Christo, reconciliamini Deo" (2 Cor 5,20). È bella la riflessione, che fa S. Gio. Grisostomo commentando questo passo: "Ipse Christus vos obsecrat. Quid autem obsecrat? reconciliamini Deo; non enim Ipse inimicus gerit, sed vos". E vuol dire il santo che non già il peccatore ha da stentare per muovere Dio a far pace con esso, ma esso ha da risolversi a voler far pace con Dio; mentr'egli, non già Iddio, fugge la pace.


Ah che questo buon Signore va tutto giorno appresso a tanti peccatori, e va loro dicendo: Ingrati, non fuggite più da me, ditemi perché fuggite? Io amo il vostro bene, ed altro non desidero che di rendervi felici, perché volete perdervi? Ma, Signore, Voi che fate? Perché tanta pazienza e tanto amore a questi ribelli? che bene Voi ne sperate? È poco vostro onore il farvi vedere così appassionato verso di questi miseri vermi che vi fuggono. "Quid est homo, quia magnificas eum? Aut quid apponis erga eum cor tuum?" (Iob 7,17).


PUNTO III


I principi della terra sdegnano anche di riguardare i sudditi ribelli, che vanno a cercar loro perdono; ma Dio non fa così con noi. "Non avertet faciem suam a vobis, si reversi fueritis ad eum" (2 Par 30,9). Iddio non sa voltar la faccia a chi ritorna a' piedi suoi; no, poiché Egli stesso l'invita e gli promette di riceverlo subito che viene: "Revertere ad me, et suscipiam te" (Ier 3,1). "Convertimini ad me, convertar ad vos, ait Dominus" (Zach 1,3). Oh l'amore e la tenerezza con cui abbraccia Dio un peccatore che a Lui ritorna! Ciò appunto volle darci ad intendere Gesù Cristo colla parabola della pecorella, che avendola trovata il pastore, se la stringe sulle spalle: "Imponit in humeros suos gaudens" (Luc 15,5). E chiama gli amici a seco rallegrarsene: "Congratulamini mihi, quia inveni ovem meam, quae perierat" (Luc 15,6). E poi soggiunge S. Luca: "Gaudium erit in coelo super uno peccatore poenitentiam agente". Ciò maggiormente significò il Redentore colla parabola del figlio prodigo, dicendo ch'egli è quel Padre, che vedendo ritornare il figlio perduto, gli corre all'incontro; e prima che quegli parli, l'abbraccia e lo bacia, ed in abbracciarlo, quasi vien meno di tenerezza per la consolazione che sente: "Accurrens cecidit super collum eius, et osculatus est eum" (Luc 15,20).


Giunge il Signore a dire che se il peccatore si pente, egli vuole scordarsi de' suoi peccati, come se quegli non l'avesse mai offeso: "Si impius egerit poenitentiam... vita vivet; omnium iniquitatum eius non recordabor" (Ez 18,21). Giunge anche a dire: "Venite, et arguite me (dicit Dominus), si fuerint peccata vestra ut coccinum, quasi nix dealbabuntur" (Is 1,18). Come dicesse, venite peccatori (venite, et arguite me), e s'io non vi perdono, riprendetemi, e trattatemi da infedele. Ma no, che Dio non sa disprezzare un cuore che si umilia e si pente. "Cor contritum et humiliatum, Deus, non despicies" (Psal 50).


Si gloria il Signore di usar pietà e di perdonare i peccatori. "Exaltabitur parcens vobis" (Is 30,18). E quanto sta egli a perdonare? subito. "Plorans nequaquam plorabis, miserans miserabitur tui" (Is 30,19). Peccatore, dice il profeta, non hai molto da piangere; alla prima lagrima il Signore si muoverà a pietà di te. "Ad vocem clamoris tui, statim ut audierit, respondebit tibi" (Is 30,19). Non fa Dio con noi, come noi facciamo con Dio; Dio ci chiama, e noi facciamo i sordi; Dio no, "statim ut audierit respondebit tibi": subito che tu ti penti, e gli domandi il perdono, subito Dio risponde e ti perdona.




ABUSO DELLA DIVINA MISERICORDIA

Ignoras, quoniam benignitas Dei ad poenitentiam te adducit? (Rom 2,4)

PUNTO I

Si ha nella parabola della zizania in S. Matteo (Matth 13) che essendo cresciuta in un campo la zizania insieme col grano, volevano i servi andare ad estirparla: "Vis, imus, et colligimus ea?". Ma il padrone rispose: No, lasciatela crescere, e poi si raccoglierà e si manderà al fuoco: "In tempore messis dicam messoribus, colligite primum zizania, et alligate ea in fasciculos ad comburendum". Da questa parabola si ricava per una parte la pazienza che il Signore usa co' peccatori; e per l'altra il rigore che usa cogli ostinati. Dice S. Agostino che in due modi il demonio inganna gli uomini: "Desperando, et sperando". Dopo che il peccatore ha peccato, lo tenta a disperarsi col terrore della divina giustizia; ma prima di peccare, l'anima al peccato colla speranza della divina misericordia. Perciò il santo avverte ad ognuno: "Post peccatum spera misericordiam; ante peccatum pertimesce iustitiam". Sì, perché non merita misericordia chi si serve della misericordia di Dio per offenderlo. La misericordia si usa con chi teme Dio, non con chi si avvale di quella per non temerlo. Chi offende la giustizia, dice l'Abulense, può ricorrere alla misericordia, ma chi offende la stessa misericordia, a chi ricorrerà?

Difficilmente si trova peccatore sì disperato, che voglia proprio dannarsi. I peccatori voglion peccare, senza perdere la speranza di salvarsi. Peccano e dicono: Dio è di misericordia; farò questo peccato, e poi me lo confesserò. "Bonus est Deus, faciam quod mihi placet", ecco come parlano i peccatori, scrive S. Agostino. Ma oh Dio così ancora dicevano tanti, che ora sono già dannati.

Non dire, dice il Signore: Son grandi le misericordie che usa Dio; per quanti peccati farò, con un atto di dolore sarò perdonato. "Et ne dicas: miseratio Domini magna est, multitudinis peccatorum meorum miserebitur" (Eccli 5,6). Nol dire, dice Dio; e perché? "Misericordia enim, et ira ab illo cito proximant, et in peccatores respicit ira illius" (Eccli 5,7). La misericordia di Dio è infinita, ma gli atti di questa misericordia (che son le miserazioni) son finiti. Dio è misericordioso ma è ancora giusto. "Ego sum iustus, et misericors", disse il Signore un giorno a S. Brigida; "peccatores tantum misericordem me existimant". I peccatori, scrive S. Basilio, voglion considerare Dio solo per metà: "Bonus est Dominus, sed etiam iustus; nolite Deum ex dimidia parte cogitare". Il sopportare chi si serve della misericordia di Dio per più offenderlo, diceva il P. M. Avila che non sarebbe misericordia, ma mancamento di giustizia. La misericordia sta promessa a chi teme Dio, non già a chi se ne abusa. "Et misericordia eius timentibus eum", come cantò la divina Madre. Agli ostinati sta minacciata la giustizia; e siccome (dice S. Agostino) Dio non mentisce nelle promesse; così non mentisce ancora nelle minacce: "Qui verus est in promittendo, verus est in minando".

Guardati, dice S. Gio. Grisostomo, quando il demonio (ma non Dio) ti promette la divina misericordia, affinché pecchi; "Cave ne unquam canem illum suscipias, qui misericordiam Dei pollicetur". Guai, soggiunge S. Agostino, a chi spera per peccare: "Sperat, ut peccet; vae a perversa spe". Oh quanti ne ha ingannati e fatti perdere, dice il santo, questa vana speranza. "Dinumerari non possunt, quantos haec inanis spei umbra deceperit". Povero chi s'abusa della pietà di Dio, per più oltraggiarlo! Dice S. Bernardo che Lucifero perciò fu così presto castigato da Dio, perché si ribellò sperando di non riceverne castigo. Il re Manasse fu peccatore, poi si convertì, e Dio lo perdonò; Ammone suo figlio, vedendo il padre così facilmente perdonato, si diede alla mala vita colla speranza del perdono; ma per Ammone non vi fu misericordia. Perciò ancora dice S. Gio. Grisostomo che Giuda si perdé, perché peccò fidato alla benignità di Gesù Cristo: "Fidit in lenitate magistri". In somma Dio, se sopporta, non sopporta sempre. Se fosse che Dio sempre sopportasse, niuno si dannerebbe; ma la sentenza più comune è che la maggior parte anche de' cristiani (parlando degli adulti) si danna: "Lata porta et spatiosa via est, quae ducit ad perditionem, et multi intrant per eam" (Matth 7,13).

Chi offende Dio colla speranza del perdono, "irrisor est non poenitens", dice S. Agostino. Ma all'incontro dice S. Paolo che Dio non si fa burlare: "Deus non irridetur" (Galat 6,7). Sarebbe un burlare Dio seguire ad offenderlo, sempre che si vuole, e poi andare al paradiso. "Quae enim seminaverit homo, haec et metet" (Galat 6,7). Chi semina peccati, non ha ragione di sperare altro che castigo ed inferno. La rete con cui il demonio strascina all'inferno quasi tutti quei cristiani che si dannano, è quest'inganno, col quale loro dice: Peccate liberamente, perché con tutt'i peccati vi salverete. Ma Dio maledice chi pecca colla speranza del perdono. "Maledictus homo qui peccat in spe". La speranza del peccatore dopo il peccato, quando vi è pentimento, è cara a Dio, ma la speranza degli ostinati è l'abbominio di Dio: "Et spes illorum abominatio" (Iob 11,20). Una tale speranza irrita Dio a castigare, siccome irriterebbe il padrone quel servo che l'offendesse, perché il padrone è buono.

PUNTO II

Dirà taluno, Dio m'ha usate tante misericordie per lo passato, così spero che me l'userà per l'avvenire. Ma io rispondo: E perché t'ha usate tante misericordie, per questo lo vuoi tornare ad offendere? Dunque (ti dice S. Paolo) così tu disprezzi la bontà e la pazienza di Dio? Nol sai che 'l Signore ti ha sopportato sinora; non già a fine che tu lo segui ad offendere, ma acciocché piangi il mal fatto? "An divitias bonitatis eius, et patientiae contemnis? Ignoras, quoniam benignitas Dei ad poenitentiam te adducit?" (Rom 2,4). Quando tu fidato alla divina misericordia non vuoi finirla, la finirà il Signore. "Nisi conversi fueritis, arcum suum vibrabit" (Ps 7). "Mea est ultio et ego retribuam in tempore" (Deut 32,35). Dio aspetta ma quando giunge il tempo della vendetta, non aspetta più e castiga.

"Propterea exspectat Dominus, ut misereatur vestri" (Is 30,18). Dio aspetta il peccatore, acciocché si emendi: ma quando vede che quegli del tempo, che gli è dato per piangere i peccati, se ne serve per accrescerli, allora chiama lo stesso tempo a giudicarlo. "Vocavit adversum me tempus" (Thren 1,15). S. Gregorio: "Ipsum tempus ad iudicandum vertit". Sicché lo stesso tempo dato, le stesse misericordie usate serviranno per farlo castigare con più rigore e più presto abbandonare. "Curavimus Babylonem, et non est sanata, derelinquamus eam" (Ier 51,9). E come Dio l'abbandona? O gli manda la morte, e lo fa morire in peccato; o pure lo priva delle grazie abbondanti, e lo lascia colla sola grazia sufficiente, colla quale il peccatore potrebbe sì bene salvarsi ma non si salverà. La mente accecata, il cuore indurito, il mal abito fatto renderanno la sua salvazione moralmente impossibile; e così resterà, se non assolutamente, almeno moralmente abbandonato. "Auferam sepem eius, et erit in direptionem" (Is 5,5). Oh che castigo! Che segno è, quando il padrone scassa la siepe, e permette che nella vigna v'entri chi vuole, uomini e bestie? è segno che l'abbandona. Così fa Dio, quando abbandona un'anima, le toglie la siepe del timore, del rimorso di coscienza, e la lascia nelle tenebre; ed allora entreranno in quell'anima tutti i mostri de' vizi. "Posuisti tenebras, et facta est nox, in ipsa pertransibunt omnes bestiae silvae" (Ps 103,20). E 'l peccatore abbandonato che sarà in quell'oscurità, disprezzerà tutto, grazia di Dio, paradiso, ammonizioni, scomuniche; si burlerà della stessa sua dannazione. "Impius, cum in profundum peccatorum venerit, contemnit" (Prov 18,3).

Dio lo lascerà in questa vita senza castigarlo, ma il non castigarlo sarà il suo maggior castigo. "Misereamur impio, et non discet iustitiam" (Is 26,10). Dice S. Bernardo su questo testo: "Misericordiam hanc ego nolo; super omnem iram miseratio ista". Oh qual castigo è quando Dio lascia il peccatore in mano del suo peccato, e par che non gliene domandi più conto! "Secundum multitudinem irae suae non quaeret" (Ps 9). E sembra che non sia con lui sdegnato. "Auferetur zelus meus a te, et quiescam, nec irascar amplius" (Ez 16,42). E par che lo lasci a conseguir tutto ciò che desidera in questa terra. "Et dimisi eos secundum desideria cordis eorum" (Ps 80). Poveri peccatori, che in questa vita son prosperati! È segno che Dio aspetta a renderli vittime della sua giustizia nella vita eterna. Dimanda Geremia: "Quare via impiorum prosperatur?" (Ier 12,1). E poi risponde: "Congregas eos quasi gregem ad victoriam". Non v'è castigo maggiore, che quando Dio permette ad un peccatore che aggiunga peccati a peccati, secondo quel che dice Davide: "Appone iniquitatem super iniquitatem... deleantur de libro viventium" (Ps 66,28). Sul che dice il Bellarmino: "Nulla poena maior, quam cum peccatum est poena peccati". Meglio sarebbe stato per talun di quest'infelici, che il Signore l'avesse fatto morire dopo il primo peccato; perché, morendo appresso, avrà tanti inferni, quanti peccati ha commessi.

PUNTO III

Si narra nella vita del P. Luigi la Nusa che in Palermo v'erano due amici; andavano questi un giorno passeggiando, uno di costoro chiamato Cesare ch'era commediante, vedendo l'altro pensoso: Quanto va, gli disse, che tu sei andato a confessarti, e perciò ti sei inquietato? Senti (poi gli soggiunse), sappi che un giorno mi disse il Padre la Nusa che Dio mi dava 12 anni di vita, e che se io non mi emendava tra questo tempo, avrei fatta una mala morte. Io ho camminato per tante parti del mondo, ho avute infermità, specialmente una che mi ridusse all'ultimo, ma in questo mese in cui si compiscono i 12 anni mi sento meglio che in tutto il tempo della vita mia. Indi l'invitò di venire a sentire il sabato una nuova commedia da lui composta. Or che avvenne? nel sabato, che fu a' 24 di novembre del 1668, mentre stava egli per uscire in iscena, gli venne una goccia, e morì di subito, spirando tra le braccia d'una donna anche commediante, e così finì la commedia. Or veniamo a noi. Fratello mio, quando il demonio vi tenta a peccare di nuovo, se volete dannarvi, sta in arbitrio vostro il peccare, ma non dite allora, che volete salvarvi; mentre volete peccare, tenetevi per dannato, e figuratevi che allora Dio scriva la vostra condanna, e vi dica: "Quid ultra debui facere vineae meae, et non feci?" (Is 5,4). Ingrato, che più io dovea fare per te, e non ho fatto? Or via, giacché vuoi dannarti, sii dannato, è colpa tua.

Ma dirai: E la misericordia di Dio dov'è? Ahi misero, e non ti pare misericordia di Dio l'averti sopportato per tanti anni con tanti peccati? Tu dovresti startene sempre colla faccia a terra ringraziandolo e dicendo: "Misericordiae Domini, quia non sumus consumti" (Thren 3). Tu facendo un solo peccato mortale, hai commesso un delitto più grande, che se ti avessi posto sotto i piedi il primo monarca della terra; tu n'hai commessi tanti, che se l'ingiurie ch'hai fatte a Dio, l'avessi fatte ad un tuo fratello carnale, neppure ti avrebbe sopportato; Dio non solo ti ha aspettato, ma ti ha chiamato tante volte, e ti ha invitato al perdono. "Quid ultra debui facere?". Se Dio avesse avuto bisogno di te, o se tu gli avessi fatto qualche gran favore, poteva egli usarti maggior pietà? Posto ciò, se tu di nuovo tornerai ad offenderlo, farai che tutta la sua pietà si muti in furore e castigo.

Se quella pianta di fico trovata dal padrone senza frutto, dopo l'anno concesso a coltivarla, neppure avesse renduto alcun frutto, chi mai avrebbe sperato che il Signore l'avesse dato più tempo e perdonato il taglio? Senti dunque ciò che ti avverte S. Agostino: "O arbor infructuosa, dilata est securis, noli esse secura, amputaberis". Il castigo (dice il santo) ti è stato differito, ma non già tolto, se più ti abuserai della divina misericordia, "amputaberis", finalmente ti taglierà. Che vuoi aspettare, che proprio Dio ti mandi all'inferno? Ma se ti ci manda, già lo sai che non vi sarà poi più rimedio per te. Il Signore tace, ma non tace sempre; quando giunge il tempo della vendetta, non tace più. "Haec fecisti, et tacui. Existimasti inique, quod ero tui similis? Arguam te, et statuam contra faciem tuam" (Ps 49,21). Ti metterà avanti le misericordie che ti ha usate, e farà ch'elle stesse ti giudichino e ti condannino.



IL NUMERO DEI PECCATI

Quia non profertur cito contra malos sententia, ideo filii hominum perpetrant mala (Eccl 8,11)

PUNTO I

Se Dio castigasse subito chi l'offende, non si vedrebbe certamente ingiuriato, come ora si vede; ma perché il Signore non castiga subito ed aspetta, perciò i peccatori pigliano animo a più offenderlo. Ma bisogna intendere che Dio aspetta e sopporta: ma non aspetta e non sopporta sempre. È sentenza di molti santi Padri, di S. Basilio, di S. Girolamo, di S. Ambrogio, di S. Cirillo Alessandrino, di S. Gio. Grisostomo, di S. Agostino e d'altri che siccome Iddio tiene determinato il numero per ciascun uomo de' giorni di vita, de' gradi di sanità, o di talento che vuol dargli: "Omnia in mensura, et numero, et pondere disposuisti" (Sap 11,21), così ancora tiene a ciascuno determinato il numero de' peccati, che vuol perdonargli; compito il quale non perdona più. "Illud sentire nos convenit (dice S. Agostino) tandiu unumquenque a Dei patientia sustineri; quo consummato, nullam illi veniam reservari". Lo stesso dice Eusebio Cesariense: "Deus exspectat usque ad certum numerum, et postea deserit". E lo stesso dicono gli altri Padri nominati di sopra.

E questi Padri non han parlato a caso ma fondati sulle divine Scritture. In un luogo disse il Signore che trattenea la rovina degli Amorrei, perché non era compito ancora il numero delle loro colpe: "Nondum completae sunt iniquitates Amorrhaeorum" (Gen 15). In altro luogo disse: "Non addam ultra misereri Israel" (Is 19). In altro "Tentaverunt me per decem vices, non videbunt terram" (Num 14,22). In altro dice Giobbe: "Signasti quasi in sacculo delicta mea" (Iob 14,17). I peccatori non tengono conto de' peccati, ma ben lo tiene Dio per dare il castigo, quando è maturata la messe, cioè quando è compito il numero: "Mittite falces, quoniam maturavit messis" (Ioel 3,13). In altro luogo dice Dio: "De propitiato peccato noli esse sine metu; neque adiicias peccatum super peccatum" (Eccli 5,5). E vuol dire: Peccatore, bisogna che tu paventi anche de' peccati che ti ho perdonati, perché, se ne aggiungi un altro, può essere che il peccato nuovo insieme coi perdonati compiscono il numero, ed allora non vi sarà più misericordia per te. In altro luogo più chiaramente dice la Scrittura: "Exspectat Deus patienter, ut cum iudicii dies advenerit, eas (Nationes), in plenitudine peccatorum puniat" (2 Macch 6,14). Sicché Dio aspetta sino al giorno, in cui si riempie la misura de' peccati, e poi castiga.

Di tal castigo poi vi sono molti esempi nella Scrittura, e specialmente di Saulle, che avendo l'ultima volta disubbidito a Dio, Dio l'abbandonò, talmente ch'egli pregando Samuele che avesse interceduto per lui: "Porta quaeso peccatum meum, et revertere mecum, ut adorem Deum"; Samuele gli rispose: "Non revertar tecum, quia abiecisti sermonem Domini, et abiecit te Dominus" (1 Reg 15,25). Vi è l'esempio di Baltassarre, il quale stando a mensa profanò i vasi del tempio, ed allora vide una mano che scrisse sul muro: "Mane, Thecel, Phares". Venne Daniele, e spiegando quelle parole, tra l'altro gli disse: "Appensus es in statera, et inventus es minus habens" (Dan 5,27). Dandogli ad intendere che il peso de' suoi peccati già avean fatto calar la bilancia della divina giustizia, ed in fatti nella stessa notte fu ucciso: "Eadem nocte interfectus est Baltassar rex Chaldaeus". Ed oh a quanti miserabili succede lo stesso, che vivono molti anni ne' peccati, ma quando termina il loro numero son colti dalla morte e mandati all'inferno! "Ducunt in bonis dies suos, et in puncto ad inferna descendunt" (Iob 21,13). Taluni mettonsi ad indagare il numero delle stelle, il numero degli angeli, o degli anni di vita che avrà alcuno, ma chi mai può mettersi ad indagare il numero de' peccati, che Dio voglia a ciascun perdonare? E perciò bisogna tremare. Chi sa, fratello mio, che a quella prima soddisfazione indegna, a quel primo pensiero acconsentito, a quel primo peccato che farete, Dio non vi perdoni più?

PUNTO II

Dice quel peccatore: Ma Dio è di misericordia. Rispondo, e chi lo nega? La misericordia di Dio è infinita, ma con tutta questa misericordia, quanti tutto dì si dannano? "Veni ut mederer contritis corde" (Is 61,1). Dio sana chi tiene buona volontà. Egli perdona i peccati, ma non può perdonare la volontà di peccare. Replicherà: Ma io son giovine. Sei giovine? ma Dio non conta gli anni, conta i peccati. E questa tassa de' peccati non è eguale per tutti; ad alcuni Dio perdona cento peccati, ad un altro mille, ad un altro al secondo peccato lo manderà all'inferno. Quanti il Signore ce ne ha mandati al primo peccato? Narra S. Gregorio che un fanciullo di cinque anni, in dire una bestemmia, fu mandato all'inferno. Rivelò la SS. Vergine a quella serva di Dio Benedetta di Fiorenza che una fanciulla di 12 anni al primo peccato fu condannata. Un altro figliuolo di 8 anni anche al primo peccato morì e si dannò. Dicesi nel Vangelo di S. Matteo (Matth 21) che 'l Signore la prima volta che trovò quell'albero di fico senza frutto, subito lo maledisse, "nunquam ex te nascatur fructus", e quello seccò. Un'altra volta disse: "Super tribus sceleribus Damasci, et super quatuor non convertam eum" (Amos 1,3). Forse alcun temerario vorrà chiedere ragione a Dio, perché ad uno vuol perdonare tre peccati, e quattro no? In ciò bisogna adorare i divini giudizi, e dire coll'Apostolo: "O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei; quam incomprehensibilia sunt iudicia eius, et investigabiles viae eius!" (Rom 11,33). S. Agostino: "Novit ille cui parcat, et cui non parcat. Quibus datur misericordia, gratis datur, quibus non datur, ex iustitia non datur".

Replicherà l'ostinato: Ma io tante volte ho offeso Dio, e Dio m'ha perdonato; e così spero che mi perdoni quest'altro peccato. Ma io dico: E perché Dio non ti ha castigato sinora, avrà da essere sempre così? Si compirà la misura, e verrà il castigo. Sansone seguitando a trescare con Dalila, pure sperava di liberarsi dalle mani de' Filistei, come avea fatto prima: "Egrediar sicut ante feci, et me excutiam" (Iudic 16,20). Ma in quell'ultima volta restò preso, e ci perdé la vita. "Ne dicas: peccavi, et quid accidit mihi triste?". Non dire, dice il Signore, ho fatti tanti peccati, e Dio non mai m'ha castigato. "Altissimus enim est patiens redditor" (Eccli 5,4). Viene a dire, che verrà una e pagherà tutto. E quanto maggiore sarà stata la misericordia, tanto più grave sarà il castigo. Dice il Grisostomo che più dee temersi, quando Dio sopporta l'ostinato, che quando subito lo punisce: "Plus timendum est cum tolerat, quam cum festinanter punit". Perché (come scrive S. Gregorio) coloro che Dio aspetta con più pazienza, più rigorosamente poi punisce, se restano ingrati! "Quos diutius exspectat, durius damnat". E spesso, soggiunge il santo, che quelli che molto tempo sono stati sopportati, improvvisamente poi muoiono senz'aver tempo di convertirsi: "Saepe qui diu tolerati sunt, subita morte rapiuntur, ut nec flere ante mortem licet". Specialmente quando più grande sarà stata la luce che Dio ti ha data, tanto maggiore sarà la tua accecazione ed ostinazione nel peccato. "Melius enim erat illis" (disse S. Pietro) "non cognoscere viam iustitiae quam post agnitionem retrorsum converti" (2 Petr 2,21). E S. Paolo disse essere impossibile (moralmente parlando) che un'anima illuminata, peccando di nuovo si converta: "Impossibile enim est eos, qui semel illuminati sunt, et gustaverunt donum coeleste... et prolapsi sunt, rursus renovari ad poenitentiam" (Hebr 6,4).

È terribile quel che dice il Signore contra i sordi alle sue chiamate: "Quia vocavi, et renuistis... Ego quoque in interitu vestro ridebo, et subsannabo vos" (Prov 1,24). Si notino quelle due parole "Ego quoque": significano che siccome quel peccatore ha burlato Dio, confessandosi, promettendo e poi sempre tradendolo; così il Signore si burlerà di lui nella sua morte. In oltre dice il Savio: "Sicut canis qui revertitur ad vomitum suum, sic imprudens qui iterat stultitiam suam" (Prov 26,11). Spiega questo testo Dionisio Cartusiano, e dice che come si rende abbominevole e schifoso quel cane, che si ciba di ciò che prima ha vomitato; così rendesi odioso a Dio, chi ritorna a commettere i peccati che ha detestati nella confessione: "Sicut id quod per vomitum est reiectum resumere, est valde abominabile ac turpe, sic peccata deleta reiterare".

PUNTO III

"Fili, peccasti? Non adiicias iterum, sed de pristinis deprecare, ut tibi dimittantur" (Eccli 21,1). Ecco quel che ti avverte, cristiano mio, il tuo buon Signore, perché ti vuol salvo: Figlio, non tornare ad offendermi, ma d'oggi innanzi attendi a chiedere il perdono de' peccati fatti. Fratello mio, quanto più hai offeso Dio, tanto più dei tremare di non offenderlo più, perché un altro peccato che commetterai, farà calar la bilancia della divina giustizia, e sarai dannato. Io non dico assolutamente, che dopo un altro peccato per te non vi sarà più perdono, perché questo nol so, ma dico che può succedere. Onde quando sarete tentato, dite: E chi sa se Dio non mi perdona più, e resto dannato? Ditemi di grazia, se fosse probabile che in un cibo vi fosse il veleno, lo prendereste voi? Se probabilmente credeste che in quella via vi fossero i vostri nemici per torvi la vita, vi passereste voi, avendo un'altra via sicura? E così qual sicurezza, anzi qual probabilità avete voi che tornando a peccare, appresso ne avrete vero dolore e non tornerete più al vomito? e che peccando, Dio non vi faccia morire nello stesso atto del peccato, o che dopo quello non vi abbandoni?

Oh Dio, se voi comprate una casa, voi fate già tutta la diligenza per assicurar la cautela e non buttare il vostro danaro. Se prendete una medicina, cercate di bene assicurarvi che quella non vi possa nuocere. Se passate un torrente, cercate di assicurarvi di non cadervi dentro. E poi per una misera soddisfazione, per un diletto di bestia, volete arrischiare la salute eterna, con dire: Spero di confessarmelo? Ma io vi domando: Quando ve lo confesserete? Domenica. E chi vi promette d'esser vivo sino a Domenica? Domani. E chi vi promette questo domani? Dice S. Agostino: "Diem tenes, qui horam non tenes?". Come potete promettervi di confessarvi domani, quando non sapete di avere neppure un'altra ora di vita? "Qui poenitenti veniam spopondit, (siegue a dire il santo), peccanti diem crastinum non promisit; fortasse dabit, fortasse non dabit". Dio ha promesso il perdono a chi si pente, ma non ha promesso il domani a chi l'offende. Se ora peccate, forse Dio vi darà tempo di penitenza, e forse no; e se non ve lo dà, che ne sarà di voi per tutta l'eternità? Frattanto voi per un misero gusto già perdete l'anima e la mettete a rischio di restar perduta in eterno. Mettereste voi a rischio mille docati per quella vil soddisfazione? Dico più: fareste voi per quel breve gusto un vada tutto, danari, casa, poderi, libertà e vita? No? e poi come per quel misero piacere, volete in un punto far già perdita di tutto, dell'anima, del paradiso e di Dio? Ditemi: Son verità queste cose che insegna la fede, o son favole, che vi sia paradiso, inferno, eternità? Credete voi che se vi coglie la morte in peccato, sarete perduto per sempre? E che temerità, che pazzia condannarvi già da voi stesso ad un'eternità di pene, con dire: Spero appresso di rimediarvi? "Nemo sub spe salutis vult aegrotare", dice S. Agostino. Non si trova pazzo, che si pigli il veleno con dire, può essere che poi con rimedi mi guarisca; e voi volete condannarvi ad una morte eterna, con dire: Può essere che appresso me ne liberi? Oh pazzia che n'ha portato e ne porta tante anime all'inferno! Secondo già la minaccia del Signore: "Fiduciam habuisti in malitia tua, veniet super te malum, et nescies ortum eius" (Is 48,10). Hai peccato fidando temerariamente alla divina misericordia, verrà improvvisamente su di te il castigo, senza saper donde viene.




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