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Apparecchio alla Morte di sant'Alfonso Maria de Liguori

Ultimo Aggiornamento: 10/07/2019 00:04
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Sesso: Femminile
09/07/2019 23:34

CHE GRAN BENE SIA LA GRAZIA DI DIO, E CHE MALE LA DISGRAZIA DI DIO


Nescit homo pretium eius (Iob 28,13)


PUNTO I


Dice il Signore: "Si separaveris pretiosum a vili, quasi os meum eris" (Ier 15,19). Chi sa segregare le cose preziose dalle vili, si rende simile a Dio, che sa riprovare il male ed eleggere il bene. Vediamo che bene sia la grazia e che male sia la disgrazia di Dio. Non intendono gli uomini il valore della divina grazia. "Nescit homo pretium eius". E perciò la cambiano per niente, per un fumo, per un poco di terra, per un diletto di bestia; ma ella è un tesoro infinito, che ci rende degni dell'amicizia di Dio. "Infinitus enim thesaurus est hominibus, quo qui usi sunt, participes facti sunt amicitiae Dei" (Sap 7,14). Sicché un'anima in grazia ella è amica di Dio. I gentili ch'eran privi della luce della fede, stimavano impossibile che la creatura potesse tenere amicizia con Dio; e parlando secondo il lume naturale, giustamente il diceano, perché l'amicizia (come dice S. Girolamo) rende gli amici eguali: "Amicitia pares aut accipit, aut facit". Ma Iddio ci ha dichiarato in più luoghi che noi per mezzo della sua grazia diventiamo suoi amici per l'osservanza della sua legge: "Vos amici mei estis, si feceritis quae praecipio vobis" (Io 15,14). "Iam non dicam vos servos... vos autem dixi amicos" (Io 15,15). Onde esclama S. Gregorio: O bontà di Dio! non meritiamo noi d'esser chiamati neppure suoi servi, ed egli si degna di chiamarci amici: "Oh mira divinae bonitatis dignatio! Servi non sumus digni nominari, et amici vocamur".


Come si stimerebbe fortunato chi avesse la sorte di aver per amico il suo re! Ma questa sarebbe temerità d'un vassallo pretendere di fare amicizia col suo principe. Ma non è temerità il pretendere un'anima di esser amica del suo Dio. Narra S. Agostino che ritrovandosi due cortigiani in un monistero di solitari, prese uno a leggere ivi la vita di S. Antonio Abate. "Legebat (scrive il santo) et exuebatur mundo cor eius". Leggeva, e leggendo il suo cuore si andava staccando dagli affetti del mondo. Indi rivolto al compagno gli parlò così: "Quid quaerimus? Maior ne esse potest spes nostra, quam quod amici imperatoris simus? Et per quot pericula ad maius periculum pervenitur? et quandiu hoc erit?". Amico, gli disse, pazzi che andiamo noi cercando? possiamo noi sperare più con servir l'imperadore, che di diventare suoi amici? e se a tanto giungessimo, ci porressimo a maggior pericolo della salute eterna. Ma no, che difficilmente arriveremo mai ad aver per amico Cesare. "Amicus autem Dei (così concluse) si voluero, ecce nunc fio". Ma s'io voglio, disse, essere amico di Dio, ora posso diventarlo.


Chi dunque sta in grazia di Dio, diventa amico di Dio. Di più diventa figlio: "Ecce Dii estis, et filii Excelsi omnes" (Ps 3,6). Questa è la gran sorte, che ci ha ottenuta l'amor divino per mezzo di Gesù Cristo. "Videte qualem caritatem dedit nobis Pater, ut filii Dei nominemur, et simus" (Io 3,1). Di più l'anima in grazia diventa sposa di Dio: "Sponsabo te mihi in fide" (Os 2,20). E perciò il padre del figlio prodigo, ricevendolo nella sua grazia, ordinò che gli fosse dato l'anello in segno dello sposalizio: "Date annulum in manum eius" (Luc 15,22). Dico di più, diventa tempio dello Spirito Santo. Suor Maria Dognes vide uscire un demonio da un bambino che ricevé il battesimo, ed entrarvi lo Spirito Santo con una corona d'angeli.


PUNTO II


Dice S. Tommaso d'Aquino che il dono della grazia eccede ogni dono che può ricevere una creatura, mentre la grazia è una partecipazione della stessa natura di Dio. "Donum gratiae excedit omnem facultatem naturae creatae, cum sit participatio divinae naturae". E prima già lo disse S. Pietro: "Ut per haec efficiamini divinae consortes naturae" (2 Petr 1,4). Tanto ci ha meritato Gesù Cristo colla sua passione: Egli ci ha comunicato lo stesso splendore che ha ricevuto da Dio. "Et ego claritatem, quam dedisti mihi, dedi eis" (Io 17,22). In somma chi sta in grazia di Dio, si fa una cosa con Dio: "Qui adhaeret Domino, unus spiritus est" (1 Cor 6,17). E disse il Redentore che in un'anima che ama Dio, viene ad abitarvi tutta la SS. Trinità: "Si quis diligit me, Pater meus diliget eum... et ad eum veniemus, et mansionem apud eum faciemus" (Io 14,23).


È così bella agli occhi di Dio un'anima in grazia che Dio stesso la loda: "Quam pulchra es, amica mea! quam pulchra es!" (Cant 4,1). Il Signore da un'anima che l'ama par che non sappia partire gli occhi né l'orecchie per tutto ciò che gli domanda. "Oculi Domini super iustos, et aures eius in preces eorum" (Ps 33,16). Dicea S. Brigida che non si potrebbe vedere da un uomo la bellezza d'un'anima in grazia di Dio, senza morire per lo gaudio. E S. Caterina da Siena, vedendo già un'anima in grazia, disse ch'ella volentieri avrebbe data la vita, acciocché quell'anima non avesse perduta una tanta bellezza; e perciò la santa baciava la terra per dove passavano i sacerdoti, pensando che per mezzo loro l'anime si rimettono in grazia di Dio.


Quanti acquisti poi di meriti può fare un'anima in grazia! In ogni momento ella può acquistare una gloria eterna. Dice S. Tommaso che ogni atto d'amore fatto da un'anima merita un paradiso a parte: "Quilibet actus caritatis meretur vitam aeternam". Che stiamo dunque noi ad invidiare i grandi del mondo? se stiamo in grazia di Dio, possiamo continuamente acquistare grandezze assai maggiori in cielo. Un certo fratello coadiutore della Compagnia di Gesù, come scrive il P. Patrignani ne' suoi Menologi, comparve dopo morte, e disse ch'egli era salvo insieme con Filippo II re di Spagna; e che amendue godeano già la gloria, ma che quanto minore egli era stato in terra di Filippo, tanto maggiore era in paradiso. In oltre, solamente chi la prova, può intender la pace che gode anche in questa terra un'anima che sta in grazia di Dio. "Gustate, et videte, quam suavis est Dominus" (Ps 33). Non possono venir meno le parole del Signore: "Pax multa diligentibus legem tuam" (Ps 118,165). La pace di chi sta unito con Dio avanza tutti i piaceri, che può dare il senso e 'l mondo. "Pax Dei, quae exsuperat omnem sensum" (Philipp 4,7).


PUNTO III


Vediamo ora la miseria d'un'anima, che sta in disgrazia di Dio. Ella è separata dal suo sommo bene ch'è Dio. "Peccata vestra diviserunt inter vos, et Deum vestrum" (Is 59,2). Sicché ella non è più di Dio, e Dio non è più suo: "Vos non populus meus, et ego non ero vester" (Ose 1,9). Non solamente non è più suo, ma l'odia e la condanna all'inferno. Non odia il Signore alcuna sua creatura, neppure le fiere, le vipere, i rospi: "Diligis omnia quae fecisti, et nihil odisti eorum quae fecisti" (Sap 11,25). Ma non può lasciar Iddio di odiare i peccatori. "Odisti omnes qui operantur iniquitatem" (Ps 5,7). Sì, perché Dio non può non odiare il peccato, ch'è quel nemico tutto contrario alla sua volontà; e perciò odiando il peccato dee necessariamente odiare anche il peccatore, che sta unito col peccato. "Similiter autem odio sunt Deo impius, et impietas eius" (Sap 14,9).


Oh Dio, se alcuno ha per nemico un principe della terra, non può mai prender sonno quieto, temendo giustamente ad ogni momento la morte. E chi ha per nemico Dio, come può aver pace? Può taluno sfuggire l'ira del principe con nascondersi in una selva, o con andar lontano in altro regno: ma chi può sfuggire le mani di Dio? Signore (dicea Davide), se io salirò in cielo, se mi nasconderò nell'inferno, dovunque vado, la vostra mano può arrivarmi: "Si ascendero in coelum, tu illic es, si descendero in infernum, ades. Etenim illuc manus tua deducet me" (Ps 138,8).


Poveri peccatori! essi son maledetti da Dio, maledetti dagli angeli, maledetti da' Santi, maledetti anche in terra in ogni giorno da tutti i sacerdoti e religiosi, che ne pubblicano la maledizione in recitare l'officio divino: "Maledicti qui declinant a mandatis tuis". In oltre la disgrazia di Dio importa la perdita di tutti i meriti. Abbia meritato un uomo quanto un S. Paolo Eremita che visse 98 anni in una grotta, quanto un S. Francesco Saverio, che guadagnò a Dio dieci milioni d'anime; quanto un S. Paolo apostolo, che guadagnò più meriti (come dice S. Girolamo), che tutti gli altri apostoli, se costui commette un solo peccato mortale, perde tutto. "Omnes iustitiae eius, quas fecerat, non recordabuntur" (Ez 18). Ed ecco la ruina che porta la disgrazia di Dio, da figlio di Dio lo fa diventare schiavo di Lucifero, da amico diletto lo fa diventare nemico sommamente odiato, da erede del paradiso lo fa diventare un condannato dell'inferno. Dicea S. Francesco di Sales che se gli angeli potessero piangere, in veder la miseria d'un'anima che commette un peccato mortale e perde la divina grazia, gli angeli si metterebbero a piangere per compassione.


Ma la maggior miseria è che gli angeli piangerebbero, se fossero capaci di piangere, e 'l peccatore non piange. Dice S. Agostino: Perde colui una bestiuola, una pecorella, non mangia, non dorme e piange; perderà poi la grazia di Dio, e mangia, dorme e non piange.




PAZZIA DEL PECCATORE

Sapientia enim huius mundi stultitia est apud Deum (1 Cor 3,19)

PUNTO I

Il venerabile Giovanni d'Avila avrebbe voluto dividere il mondo in due carceri, una per coloro che non ci credono e l'altra per coloro che ci credono, e vivono in peccato lontano da Dio; a costoro dicea che toccava il carcere de' pazzi. Ma la maggior miseria e disgrazia di questi miserabili si è ch'essi tengonsi per savi e prudenti, e sono i più sciocchi e stolti del mondo. E 'l peggio si è che il numero di costoro è innumerabile. "Et stultorum infinitus est numerus" (Eccl 1,15). Chi impazzisce per gli onori, chi impazzisce per gli piaceri, chi per le carogne di questa terra. E costoro poi ardiscono di chiamar pazzi i santi, che disprezzano questi beni del mondo, per acquistarsi la salute eterna e 'l vero bene ch'è Dio. Chiamano pazzia l'abbracciare i disprezzi e perdonare l'ingiurie, pazzia il privarsi de' piaceri di senso e abbracciare le mortificazioni; pazzia rinunziare gli onori e le ricchezze, l'amare la solitudine, e la vita umile e nascosta. Ma non avvertono che la loro sapienza, è chiamata pazzia dal Signore: "Sapientia enim huius mundi stultitia est apud Deum" (1 Cor 3,19).

Ah che un giorno ben confesseranno questa loro pazzia, ma quando? quando non vi sarà più rimedio; e diranno disperati: "Nos insensati vitam illorum aestimabamus insaniam, et finem illorum sine honore" (Sap 5,4). Ah miseri che siamo stati, noi stimavamo pazzia la vita de' santi, ma ora conosciamo che noi siamo stati i pazzi. "Ecce quomodo inter filios Dei computati sunt, et inter sanctos sors illorum est" (Sap 5,5). Ecco com'essi son già collocati tra 'l numero felice de' figli di Dio, ed han fatta tra' santi la loro fortuna, che sarà fortuna eterna, e li renderà per sempre beati; e noi siam restati nel numero degli schiavi del demonio, condannati ad ardere in questa fossa di tormenti per tutta l'eternità. "Ergo erravimus (così concluderanno il loro pianto) a via veritatis, et iustitiae lumen non luxit nobis" (Sap 5,6). Quindi l'abbiamo sgarrata per aver voluto chiudere gli occhi alla divina luce, e quello che più ci renderà infelici è che al nostro errore non vi è, né vi sarà più rimedio, mentre Dio sarà Dio.

Qual pazzia dunque per un vile interesse, per un poco di fumo, per un breve diletto perdere la grazia di Dio! Che non fa un vassallo per guadagnarsi la grazia del suo principe! Oh Dio per una misera soddisfazione perdere il sommo bene, ch'è Dio! perdere il paradiso! perdere anche la pace in questa vita, facendo entrar nell'anima il peccato, che co' suoi rimorsi sempre la tormenterà! e condannarsi volontariamente ad una miseria eterna! Ti prenderesti quel gusto illecito, se per quello ti toccasse poi ad esserti bruciata una mano? o pure a star chiuso un anno dentro una sepoltura? Faresti quel peccato, se dopo quello dovessi perdere cento scudi? E poi credi, e sai che peccando perdi il paradiso e Dio, e sei per sempre condannato al fuoco, e pecchi?

PUNTO II

Poveri peccatori! faticano, stentano per acquistare le scienze mondane, o l'arte di guadagnare i beni di questa vita, che tra breve han da finire; trascurano poi i beni di quella vita, che non finisce mai! Perdono talmente il senno, che diventano non solo pazzi ma bruti; poiché vivendo da bruti, non considerano ciò ch'è bene e ciò ch'è male; ma solamente seguitano gl'istinti bestiali del senso, in abbracciare quel che al presente piace alla carne, senza pensare a quel che perdono ed alla ruina eterna che si tirano sopra. Ma questo non è operare da uomo, ma da bestia. Dice S. Gio. Grisostomo: "Hominem illum dicimus, qui imaginem hominis salvam retinet; quae autem est imago hominis? rationalem esse". L'esser uomo è l'esser ragionevole, cioè operare secondo la ragione, non secondo l'appetito del senso. Se Dio desse ad una bestia l'uso di ragione, e quella secondo la ragione operasse, direbbesi che opera da uomo; così all'incontro, quando l'uomo opera secondo il senso contro la ragione, dee dirsi che l'uomo opera da bestia.

"Utinam saperent, et intelligerent, et novissima providerent" (Deut 32,29). Chi opera da prudente secondo la ragione, prevede il futuro, cioè quello che dee succedergli nel fine della vita, la morte, il giudizio, e dopo questo l'inferno o il paradiso. Oh quanto è più savio un villano che si salva, che un monarca, che si danna! "Melior est puer pauper, et sapiens rege sene et stulto, nesciente praevidere in posterum" (Eccl 4,13). Oh Dio non si stimerebbe da tutti pazzo chi per guadagnare al presente un giulio, si mettesse a rischio di perdere tutt'i suoi beni? E chi per una breve soddisfazione perde l'anima, o si mette a rischio di perderla per sempre, non avrà da stimarsi pazzo? Questa è la ruina di tante anime, che si dannano, il badare solamente a' beni e mali presenti, e non badare a' beni e mali eterni.

Dio non ci ha posti certamente in questa terra per farci ricchi, acquistarci onori, o per contentare i nostri sensi, ma per guadagnarci la vita eterna. "Finem vero vitam aeternam" (Rom 6,22). E 'l conseguir questo fine, solamente a noi dee importare. "Porro unum est necessarium" (Luc 10,42). Ma questo fine è quel che più disprezzano i peccatori; pensano solo al presente, camminano alla morte, s'accostano ad entrare nell'eternità, e non sanno dove vanno. Che diresti d'un nocchiero, dice S. Agostino, che dimandato dove va, rispondesse che non lo sa? ognun direbbe che costui porta la nave a perdersi: "Fac hominem perdidisse quo tendit, et dicatur ei: Quo is et dicat, nescio. Nonne iste navem ad naufragium perducet? Talis est (poi conclude il santo) qui currit praeter viam". Tali sono quei savi del mondo che san far guadagni, prendersi gli spassi, conseguire i posti, ma non sanno salvarsi l'anima. Fu savio l'epulone in farsi ricco, ma "mortuus est, et sepultus in inferno". Fu savio Alessandro Magno in acquistar tanti regni, ma tra pochi anni morì e si dannò in eterno. Fu savio Arrigo VIII, in sapersi mantenere nel trono con ribellarsi dalla Chiesa, ma all'ultimo egli stesso vedendo che già perdea l'anima, confessò: "Perdidimus omnia". Quanti miserabili ora piangono, e gridano nell'inferno: "Quid profuit nobis superbia, aut divitiarum iactantia? transierunt omnia illa tanquam umbra" (Sap 5,9). Ecco, dicono, che per noi tutti i beni del mondo son passati come un'ombra, ed altro non ci è restato che un pianto ed una pena eterna.

"Ante hominem vita, et mors, quod placuerit ei, dabitur illi" (Eccli 15,18). Cristiano mio, in questa vita ti è posta avanti la vita e la morte, cioè il privarti de' gusti vietati con guadagnarti la vita eterna, o il prenderli colla morte eterna. Che dici? che scegli? Scegli da uomo, e non da bestia. Scegli da cristiano, che ha fede e dice: "Quid prodest homini, si mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur?".

PUNTO III

Intendiamo che i veri savi sono coloro, che sanno acquistarsi la divina grazia e 'l paradiso. Preghiamo dunque sempre il Signore che ci doni la scienza de' santi, ch'Egli dà a chi gliela cerca. "Dedit illis scientiam sanctorum" (Sap 6,10). Oh che bella scienza è il sapere amare Dio e 'l salvarsi l'anima, che consiste nel sapere prender la via della salute eterna ed i mezzi per conseguirla. Il trattato di salvarsi l'anima è il trattato fra tutti il più necessario. Se sapremo tutto, e non sapremo salvarci, niente ci servirà, e saremo per sempre infelici; ma all'incontro saremo sempre beati, se sapremo amare Dio, ancorché fossimo ignoranti di tutte l'altre cose. "Beatus qui te novit, etsi alia nescit", dicea S. Agostino. Un giorno Fra Egidio disse a S. Bonaventura: Beato Voi, P. Bonaventura, che sapete tante cose, ed io povero ignorante non so niente; voi potete farvi più santo di me. Senti, gli rispose allora il santo, se una vecchiarella ignorante sa amar Dio più di me, ella sarà più santa di me. Dal che Fra Egidio si pose poi a gridare: O vecchiarella, vecchiarella, senti, senti; se tu ami Dio, puoi farti più santa del P. Bonaventura.

"Surgunt indocti, et rapiunt coelum", dicea S. Agostino. Quanti rozzi che non san leggere, ma sanno amare Dio, si salvano; e quanti dotti del mondo si dannano! ma quelli, non questi sono i veri savi. Oh che gran savi sono stati un S. Pasquale, un S. Felice Cappuccino, un S. Giovanni di Dio, benché ignoranti delle scienze umane! Che gran savi sono stati tanti, che lasciando il mondo sono andati a chiudersi ne' chiostri e a vivere ne' deserti, come un S. Benedetto, un S. Francesco d'Assisi, un S. Luigi di Tolosa, che rinunciò al regno. Che gran savi tanti martiri, tante verginelle, che rinunciarono alle nozze de' grandi per andare a morire per Gesù Cristo! E questa verità la conoscono anche i mondani, e non lasciano di dire di taluno che si è dato a Dio: Beato lui che l'intende, e si salva l'anima. In somma quei che lasciano i beni del mondo per darsi a Dio, si chiamano uomini disingannati. Dunque quei che lasciano Dio per li beni del mondo, come debbono chiamarsi? Uomini ingannati.

Fratello mio, di qual compagnia di costoro volete esser voi? Per bene eleggere vi consiglia S. Gio. Grisostomo a visitare i cimiteri. "Proficiscamur ad sepulchra". Belle scuole sono le sepolture per conoscere la vanità de' beni di questo mondo e per apprendere la scienza de' santi. Dimmi (dice il Grisostomo), sai discernere ivi chi sia stato principe, chi nobile e chi letterato? Io per me, dice il santo: "Nihil video, nisi putredinem, ossa et vermes. Omnia fabula, somnium, umbra". Tutte le cose di questo mondo tra breve finiranno e svaniranno come una commedia, un sogno, un'ombra. Ma, cristiano mio, se vuoi diventar savio, non basta conoscere l'importanza del tuo fine, bisogna prendere i mezzi per conseguirlo. Tutti vorrebbero salvarsi e farsi santi; ma perché poi non pigliano i mezzi, non si fanno santi e si dannano. Bisogna fuggir le occasioni, frequentare i sagramenti, fare orazione, e prima di tutto bisogna stabilire nel nostro cuore le massime del Vangelo: "Quid prodest homini, si mundum universum lucretur? Qui amat animam suam, perdet eam" (Io 12,25). Il che viene a dire, bisogna perdere anche la vita per salvare l'anima. "Qui vult venire post me, abneget semetipsum" (Matth 16,24). Per seguire Gesù Cristo, bisogna negare all'amor proprio le soddisfazioni che cerca: "Vita in voluntate eius" (Ps 39,6). La nostra salute sta nel fare la divina volontà; queste ed altre simili massime.



VITA INFELICE DEL PECCATORE E VITA FELICE DI CHI AMA DIO

Non est pax impiis, dicit Dominus (Is 48,22)
Pax multa diligentibus legem tuam (Ps 118,165)

PUNTO I

Tutti gli uomini in questa vita faticano per trovare la pace. Fatica quel mercante, quel soldato, quel litigante, perché pensa con quel guadagno, con quel posto, o col vincer quella lite di far la sua fortuna e così trovare la pace. Ma poveri mondani, che cercano la pace nel mondo, il quale non può darla! Dio solo può dare a noi la pace: "Da servis tuis (prega la santa Chiesa) illam, quam mundus dare non potest, pacem". No, non può il mondo con tutt'i suoi beni contentare il cuore dell'uomo, perché l'uomo non è creato per questi beni, ma solo per Dio; ond'è che solo Dio può contentarlo. Le bestie che son create per li diletti de' sensi, queste trovano la pace ne' beni della terra; date ad un giumento un fascio d'erba, date ad un cane un pezzo di carne, eccoli contenti, niente più desiderano. Ma l'anima, ch'è creata solo per amare e star unita con Dio, con tutt'i piaceri sensuali non potrà mai trovar la sua pace; solo Dio può renderla appieno contenta.

Quel ricco, che narra S. Luca (Luc 12,19), avendo fatta una buona raccolta da' suoi campi, diceva a se stesso: "Anima, habes multa bona posita in annos plurimos, requiesce, comede, bibe". Ma questo infelice ricco fu chiamato pazzo, "Stulte", e con ragione, dice S. Basilio: "Nunquid animam porcinam habes?". Misero (gli dice il santo), e che forse hai l'anima di qualche porco, di qualche bestia, che pretendi contentar l'anima tua col mangiare, col bere, co' diletti del senso? "Requiesce, comede, bibe?". L'uomo da' beni del mondo può esser riempiuto, ma non già saziato: "Inflari potest, satiari non potest", dice S. Bernardo. E scrive il medesimo santo sul Vangelo: "Ecce nos reliquimus omnia", di aver veduti diversi pazzi con diverse pazzie. Dice che tutti questi pativano una gran fame, ma altri si saziavano di terra, figura degli avari: altri d'aria, figura di quei che ambiscono onori: altri d'intorno ad una fornace imboccavano le faville, che da quella svolazzavano, figura dell'iracondi; altri finalmente d'intorno ad un fetido lago beveano quell'acque fracide, figura de' disonesti. Quindi ad essi rivolto il santo dice loro: O pazzi, non vedete che queste cose più presto accrescono, che tolgono la vostra fame? "Haec potius famem provocant, quam exstinguunt". I beni del mondo son beni apparenti, e perciò non possono saziare il cuore dell'uomo. "Comedistis, et non estis satiati" (Aggaeus 1,6). E perciò l'avaro quanto più acquista, tanto più cerca d'acquistare. S. Agostino: "Maior pecunia avaritiae fauces non claudit, sed extendit". Il disonesto quanto più si rivolge tra le sordidezze, tanto più resta nauseato insieme e famelico; e come mai lo sterco e le sozzure sensuali possono contentare il cuore? Lo stesso avviene all'ambizioso, che vuol saziarsi di fumo, poiché l'ambizioso più mira quel che gli manca, che quello che ha. Alessandro Magno, dopo aver acquistati tanti regni, piangeva, perché gli mancava il dominio degli altri. Se i beni di questa terra contentassero l'uomo, i ricchi, i monarchi sarebbero appieno felici, ma la sperienza fa vedere l'opposto. Lo dice Salomone, il quale asserisce di non aver negato niente a' suoi sensi: "Et omnia, quae desideraverunt oculi mei, non negavi eis" (Eccl 2,10). Ma con tutto ciò che dice? "Vanitas vanitatum, et omnia vanitas" (Eccl 1,2). E vuol dire: Tutto ciò ch'è nel mondo, è mera vanità, mera bugia, mera pazzia.

PUNTO II

Ma non solo dice Salomone che i beni di questo mondo sono vanità, che non contentano, ma sono pene che affliggono lo spirito: "Et ecce universa vanitas, et afflictio spiritus" (Eccl 1,14). Poveri peccatori! pretendono di farsi felici co' loro peccati, ma non trovano che amarezza e rimorso: "Contritio, et infelicitas in viis eorum, et viam pacis non cognoverunt" (Ps 13,3). Che pace! che pace! No, dice Dio: "Non est pax impiis, dicit Dominus" (Is 48,22). Primieramente il peccato porta con sé il terrore della divina vendetta. Se alcuno tiene un nemico potente, non mangia, né dorme mai quieto; e chi ha per nemico Dio, può stare in pace? "Pavor his qui operantur malum" (Prov 10,29). Chi sta in peccato, se sente tremar la terra, se sente tuonare, oh come trema! Ogni fronda che si muove, lo spaventa. "Sonitus terroris semper in aure eius" (Iob 15,21). Fugge sempre, senza veder chi lo perseguita. "Fugit impius, nemine persequente" (Prov 28,1). E chi lo perseguita? il medesimo suo peccato. Caino dopo che uccise il fratello Abele dicea: "Omnis igitur, qui invenerit me, occidet me" (Gen 4,14). E con tutto che il Signore l'assicurò che niuno l'avrebbe offeso: "Dixitque ei Dominus: Nequaquam ita fiet"; pure dice la Scrittura che Caino "habitavit profugus in terra" (Ibid.): andò sempre fuggendo da un luogo ad un altro. Chi era il persecutore di Caino, se non il suo peccato?

In oltre il peccato porta seco il rimorso della coscienza, ch'è quel verme tiranno che sempre rode. Va il misero peccatore alla commedia, al festino, al banchetto: ma tu (gli dice la coscienza) stai in disgrazia di Dio; se muori, dove vai? Il rimorso della coscienza è una pena sì grande anche in questa vita, che taluni per liberarsene, son giunti a darsi volontariamente la morte. Uno di costoro fu Giuda, come si sa, che per disperazione da se stesso si appiccò. Si narra d'un altro, che avendo ucciso un fanciullo, per isfuggir la pena del rimorso andò a farsi religioso; ma neppure nella religione trovando pace, andò a confessare il suo delitto al giudice, e si fe' condannare a morte.

Che cosa è un'anima che sta senza Dio? Dice lo Spirito Santo ch'è un mare in tempesta: "Impii autem quasi mare fervens, quod quiescere non potest" (Isa 57,20). Dimando, se taluno fosse portato ad un festino di musica, di balli e rinfreschi, e stesse ivi appeso co' piedi, colla testa in giù, potrebbe godere di questo spasso? Tàl'è quell'uomo che sta coll'anima sotto sopra, stando in mezzo a i beni di questo mondo, ma senza Dio. Egli mangerà, beverà, ballerà: porterà sì bene quella ricca veste, riceverà quegli onori, otterrà quel posto, quella possessione, ma non avrà mai pace. "Non est pax impiis". La pace solo da Dio si ottiene, e Dio la dà agli amici, non già a' nemici suoi.

I beni di questa terra, dice S. Vincenzo Ferreri, vanno da fuori non entrano già nel cuore: "Sunt aquae, quae non intrant illuc, ubi est sitis". Porterà quel peccatore una bella veste ricamata, terrà un bel diamante al dito, si ciberà a suo genio; ma il suo povero cuore resterà pieno di spine e di fiele, perciò lo vedrai che con tutte le sue ricchezze, delizie e spassi, sta sempre inquieto, e ad ogni cosa contraria s'infuria, e si stizza, diventando come un cane arrabbiato. Chi ama Dio, nelle cose avverse si rassegna alla divina volontà, e trova pace; ma ciò non può farlo chi vive nemico alla volontà di Dio, e perciò non ha via di quietarsi. Serve il misero al demonio, serve ad un tiranno, che lo paga d'affanni e d'amarezze. E non possono venir meno le parole di Dio che dice: "Eo quod non servieris Deo tuo in gaudio, servies inimico tuo in fame, et siti, et nuditate, et omni penuria" (Deut 28,48). Che non patisce quel vendicativo, dopo che si è vendicato! quel disonesto dopo ch'è giunto al suo intento! quell'ambizioso! quell'avaro! Oh quanti, se patissero per Dio quel che patiscono per dannarsi, diventerebbero gran santi!

PUNTO III

Dunque tutt'i beni e diletti del mondo non possono contentare il cuore dell'uomo, e chi può contentarlo? Solo Dio. "Delectare in Domino et dabit tibi petitiones cordis tui" (Ps 36,4). Il cuore dell'uomo va sempre cercando quel bene che lo contenti. Ottiene le ricchezze, i piaceri, gli onori, e non è contento; perché questi son beni finiti, ed egli è creato per un bene infinito; trovi egli Dio, s'unisca con Dio; ed eccolo già contento, niente più desidera. "Delectare in Domino, et dabit tibi petitiones cordis tui." S. Agostino in tutta la sua vita menata fra' diletti del senso, non trovò mai pace. Quando poi si diede a Dio, allora confessava e diceva al Signore: "Inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te". Dio mio, dicea, ora conosco che ogni cosa è vanità e pena, e Voi solo siete la vera pace dell'anima. "Dura sunt omnia, et tu solus requies". Ond'egli fatto poi maestro a sue spese, scrisse: "Quid quaeris homuncio, quaerendo bona? quaere unum bonum, in quo sunt omnia bona". Davide essendo re, mentre stava in peccato, andava alle cacce, ai giardini, alle mense, ed a tutte l'altre delizie regali, ma gli diceano le mense, i giardini e tutte l'altre creature di cui godea: Davide, tu da noi vuoi essere contentato? No, non possiamo noi contentarti: "Ubi est Deus tuus?" va, trova lo Dio tuo, ch'egli solo può contentarti; e perciò Davide in mezzo a tutte le sue delizie non faceva altro che piangere: "Lacrimae meae fuerunt panes die ac nocte, dum dicitur mihi quotidie, ubi est Deus tuus?" (Ps 41,4).

Oh come all'incontro sa contentare Dio l'anime fedeli, che l'amano! S. Francesco d'Assisi, avendo lasciato tutto per Dio, benché si trovasse scalzo, con uno straccio sopra, morto di freddo e di fame, dicendo: "Deus meus et omnia", provava un paradiso. S. Francesco Borgia dopo che fu religioso, e gli toccava ne' viaggi a dormir sulla paglia, era tanta la consolazione, che per quella non potea prender sonno. S. Filippo Neri similmente, avendo lasciato tutto, quando andava a riposo, Iddio così lo consolava, ch'egli giungeva a dire: Ma, Gesù Cristo mio, lasciatemi dormire. Il P. Carlo di Lorena Gesuita, de' principi di Lorena, ritrovandosi nella sua povera cella, talvolta per la contentezza si metteva a danzare. S. Francesco Saverio nelle campagne dell'Indie si slacciava il petto, dicendo: "Sat est, Domine", basta Signore, non più consolazione, che 'l mio cuore non è capace di sostenerla. Dicea S. Teresa che dà più contento una goccia di consolazione celeste, che tutt'i piaceri e spassi del mondo. Eh che non possono mancare le promesse di Dio, di dare a chi lascia i beni del mondo per suo amore, anche in questa vita il centuplo di pace e di contento. "Qui reliquerit domum, vel fratres, etc. propter nomen meum, centuplum accipiet, et vitam aeternam possidebit" (Matth 19,29).

Che andiamo dunque cercando? andiamo a Gesù Cristo che ci chiama e ci dice: "Venite ad me omnes, qui laboratis, et onerati estis, et ego reficiam vos" (Matth 11,28). Eh che un'anima che ama Dio, trova quella pace che avanza tutti i piaceri e soddisfazioni, che può dare il senso ed il mondo. "Pax Dei quae exsuperat omnem sensum" (Philip 4,7). È vero che in questa vita anche i santi patiscono, perché questa terra è luogo di meriti, e non si può meritare senza patire; ma dice S. Bonaventura che l'amore divino è simile al mele, che rende dolci, ed amabili le cose più amare. Chi ama Dio, ama la di Lui volontà, e perciò gode nello spirito anche nelle amarezze; poiché abbracciandole sa che lo compiace, e gli dà gusto. Oh Dio, i peccatori voglion disprezzare la vita spirituale, ma senza provarla! "Vident crucem, sed non vident unctionem", dice S. Bernardo; guardano solamente le mortificazioni che soffrono gli amanti di Dio, e i piaceri di cui si privano; ma non vedono le delizie spirituali, con cui l'accarezza il Signore. Oh se i peccatori assaggiassero la pace che gode un'anima che non vuole altro che Dio! "Gustate, et videte" (dice Davide), "quam suavis est Dominus" (Ps 33). Fratello mio, comincia a far la meditazione ogni giorno, a comunicarti spesso, a trattenerti avanti il SS. Sagramento, comincia a lasciare il mondo e a fartela con Dio, e vedrai che il Signore ti consolerà più Egli in quel poco di tempo, in cui con esso ti tratterrai, che non ti ha consolato il mondo con tutti i suoi divertimenti. "Gustate, et videte". Chi non lo gusta, non può intendere, come sa contentare Dio un'anima che l'ama.




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