QUESTO FORUM E' CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO... A LUI OGNI ONORE E GLORIA NEI SECOLI DEI SECOLI, AMEN!
 
Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Apparecchio alla Morte di sant'Alfonso Maria de Liguori

Ultimo Aggiornamento: 10/07/2019 00:04
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 1.222
Sesso: Femminile
09/07/2019 23:37

IL MAL'ABITO


Impius cum in profundum venerit, contemnit (Prov 18,3)


PUNTO I


Uno de' maggiori danni, che a noi cagionò il peccato di Adamo, fu la mala inclinazione al peccare. Ciò facea piangere l'Apostolo, in vedersi spinto dalla concupiscenza verso quegli stessi mali, ch'egli abborriva: "Video aliam legem in membris meis... captivantem me in lege peccati" (Rom 7,23). E quindi riesce a noi, infettati da questa concupiscenza, e con tanti nemici che ci spingono al male, sì difficile il giungere senza colpa alla patria beata. Or posta una tal fragilità che abbiamo, io dimando: Che direste voi d'un viandante, che dovesse passare il mare in una gran tempesta, con una barca mezza rotta, ed egli poi volesse caricarla di tal peso, che senza tempesta, e quantunque la barca fosse forte, anche basterebbe ad affondare? Che prognostico fareste della vita di costui? Or dite lo stesso d'un mal abituato che dovendo passare il mare di questa vita (mare in tempesta, dove tanti si perdono) con una barca debole e ruinata, qual'è la nostra carne, a cui stiamo uniti, questi volesse poi aggravarla di peccati abituati. Costui è molto difficile che si salvi, perché il mal'abito accieca la mente, indurisce il cuore, e con ciò facilmente lo rende ostinato sino alla morte.


Per prima il mal'abito "accieca". E perché mai i santi sempre cercano lume a Dio, e tremano di diventare i peggiori peccatori del mondo? perché sanno che se in un punto perdon la luce, possono commettere qualunque scelleragine. Come mai tanti cristiani ostinatamente han voluto vivere in peccato, sino che finalmente si son dannati? "Excaecavit eos malitia eorum" (Sap 2,21). Il peccato ha tolto loro la vista, e così si son perduti. Ogni peccato porta seco la cecità; accrescendosi i peccati, si accresce l'accecazione. Dio è la nostra luce; quanto più dunque l'anima si allontana da Dio, tanto resta più cieca. "Ossa eius implebuntur vitiis" (Iob 20,11). Siccome in un vaso, ch'è pieno di terra, non può entrarvi la luce del sole, così in un cuore pieno di vizi non può entrarvi la luce divina. E perciò si vede poi che certi peccatori rilasciati perdono il lume, e vanno di peccato in peccato, e neppure pensano più ad emendarsi. "In circuitu impii ambulant" (Psal 11,9). Caduti i miseri in quella fossa oscura, non sanno far altro che peccati, non parlano che di peccati, non pensano se non a peccare, e quasi non conoscono più che sia male il peccato. "Ipsa consuetudo mali (dice S. Agostino) non sinit peccatores videre malum, quod faciunt". Sicché vivono come non credessero più esservi Dio, paradiso, inferno, eternità.


Ed ecco, che quel peccato che prima faceva orrore, col mal'abito non fa più orrore. "Pone illos, ut rotam et sicut stipulam ante faciem venti" (Psal 82,14). Vedete, dice S. Gregorio, con che facilità una pagliuccia è mossa da ogni vento anche leggiero; così vedrete ancora taluno che prima (avanti che cadesse) resisteva almeno per qualche tempo, e combatteva colla tentazione; fatto poi il mal'abito, subito cade ad ogni tentazione, ad ogni occasione che gli vien di peccare. E perché? perché il mal'abito gli ha tolta la luce. Dice S. Anselmo che 'l demonio fa con certi peccatori, come fa taluno che tiene qualche uccello ligato col filo, lo lascia volare, ma quando vuole torna a farlo cadere a terra; tali sono (come dice il santo) i mal abituati: "Pravo usu irretiti ab hoste tenentur, volantes in eadem vitia deiiciuntur". Taluni, aggiunge S. Bernardino da Siena, seguiranno a peccare anche senz'occasione. Dice il santo che i mal abituati si fan simili a' molini a vento, i quali "rotantur omni vento", girano ad ogni aura di vento; e di più voltano, ancorché non vi stesse grano da macinare, e benché il padrone non volesse che voltino. Vedrai un abituato che senz'occasione va facendo mali pensieri, senza gusto, e quasi non volendo, tirato a forza dal mal'abito. S. Gio. Grisostomo: "Dura res est consuetudo, quae nonnunquam nolentes committere cogit illicita". Sì, perché (come dice S. Agostino) il mal'abito diventa poi una certa necessità: "Dum consuetudini non resistitur, facta est necessitas". E come aggiunge S. Bernardino, "usus vertitur in naturam"; ond'è che siccome all'uomo è necessario il respirare, così a' mal abituati, fatti schiavi del peccato, par che si renda necessario il peccare. Ho detto "schiavi"; vi sono i servi, che servono a forza colla paga; gli schiavi poi servono a forza senza paga; a questo giungono alcuni miserabili, giungono a peccare senza gusto.


"Impius, cum in profundum venerit, contemnit" (Prov 18,3). Ciò lo spiega il Grisostomo appunto del mal abituato, il quale posto in quella fossa di tenebre, disprezza correzioni, prediche, censure, inferno, Dio, disprezza tutto, diventa il misero quale avoltoio, che per non lasciare il cadavere, su di quello più presto si contenta di farsi uccidere da' cacciatori. Narra il P. Recupito che un condannato a morte mentre andava alla forca, alzò gli occhi, vide una giovane, ed acconsentì ad un mal pensiero. Narra ancora il P. Gisolfo che un bestemmiatore, anche condannato a morte, mentre fu buttato dalla scala proruppe in una bestemmia. Giunge a dire S. Bernardo che per li mal'abituati non serve più a pregare, ma bisogna piangerli per dannati. Ma come vogliono uscire dal loro precipizio, se non ci vedono più? ci vuole un miracolo della grazia. Apriranno gli occhi i miserabili nell'inferno, quando non servirà più l'aprirli, se non per piangere più amaramente la loro pazzia.


PUNTO II


In oltre il mal'abito indurisce. "Cor durum efficit consuetudo peccandi", Cornelio a Lapide. E Dio giustamente il permette in pena delle resistenze fatte alle sue chiamate. Dice l'Apostolo che 'l Signore "cuius vult miseretur, et quem vult indurat" (Rom 9,18). Spiega S. Agostino: "Obduratio Dei est nolle misereri". Non è già che Iddio indurisce il mal abituato, ma gli sottrae la grazia, in pena dell'ingratitudine usata alle sue grazie; e così il di lui cuore resta duro e fatto come di pietra. "Cor eius indurabitur tanquam lapis, et stringetur quasi malleatoris incus" (Iob 41,15). Quindi avverrà che dove gli altri s'inteneriscono e piangono in sentir predicar il rigore del divino giudizio, le pene de' dannati, la passione di Gesù Cristo, il mal abituato niente ne resterà commosso; ne parlerà e sentirà parlare con indifferenza, come fossero cose che a lui non appartenessero; e a tali colpi egli diventerà più duro. "Et stringetur quasi malleatoris incus".


Anche le morti improvvise, i tremuoti, i tuoni, i fulmini più non lo spaventeranno: prima che svegliarlo e farlo ravvedere, più presto gli concilieranno quel sonno di morte, in cui dorme perduto. "Ab increpatione tua, Deus Iacob, dormitaverunt" (Ps 75,7). Il mal'abito a poco a poco fa perdere anche il rimorso della coscienza. Al mal abituato i peccati più enormi gli sembrano niente. S. Agostino: "Peccata quanvis horrenda, cum in consuetudinem veniunt, parva, aut nulla esse videntur". Il far male porta seco naturalmente un certo rossore, ma dice S. Girolamo che i mal abituati perdono anche il rossore peccando: "Qui ne pudorem quidem habent in delictis". S. Pietro paragona il mal abituato al porco, che si rivolta nel letame: "Sus lota in volutabro luti" (2 Petr 2,22). Siccome il porco, rivoltandosi nel loto, non ne sente egli il fetore; così accade al mal abituato: quel fetore che si fa sentire da tutti gli altri, egli solo non lo sente. E posto che il loto gli ha tolta anche la vista, che meraviglia, è, dice S. Bernardino, che non si ravveda, neppure mentre Dio lo flagella? "Populus immergit se in peccatis, sicut sus in volutabro luti; quid mirum si Dei flagellantis futura iudicia non cognoscit?". Onde avviene che in vece di rattristarsi de' suoi peccati, se ne rallegra, se ne ride e se ne vanta. "Laetantur, cum malefecerint" (Prov 2,14). "Quasi per risum stultus operatur scelus" (Prov 10,23). Che segni sono questi di tal diabolica durezza? Dice S. Tommaso di Villanova, sono segni tutti di dannazione: "Induratio, damnationis indicium". Fratello mio, trema che non ti avvenga lo stesso. Se mai hai qualche mal'abito, procura d'uscirne presto, ora che Dio ti chiama. E mentre ti morde la coscienza, sta allegramente perché è segno che Dio non t'ha abbandonato ancora. Ma emendati, ed esci presto; perché se no, la piaga si farà cancrena, e sarai perduto.


PUNTO III


Perduta che sarà la luce, e indurito che sarà il cuore, moralmente ne nascerà che 'l peccatore faccia mal fine, e muoia ostinato nel suo peccato. "Cor durum habebit male in novissimo" (Eccli 3,27). I giusti sieguono a camminare per la via dritta. "Rectus callis iusti ad ambulandum" (Is 26,7). All'incontro i mal abituati van sempre in giro. "In circuitu impii ambulant" (Ps 11,9). Lasciano il peccato per un poco, e poi vi tornano. A costoro S. Bernardo annunzia la dannazione: "Vae homini qui sequitur hunc circuitum". Ma dirà quel tale: Io voglio emendarmi prima della morte. Ma qui sta la diffìcoltà, che un mal abituato si emendi, ancorché giunga alla vecchiaia; dice lo Spirito Santo: "Adolescens iuxta viam suam, etiam cum senuerit, non recedet ab ea" (Prov 22,6). La ragione si è, come ci dice S. Tommaso da Villanova, perché la nostra forza è molto debole. "Et erit fortitudo nostra ut favilla stupae" (Is 1,31). Dal che ne nasce, secondo dice il santo che l'anima priva della grazia non può stare senza nuovi peccati: "Quo fit, ut anima a gratia destituta diu evadere ulteriora peccata non possit". Ma oltre ciò, che pazzia sarebbe di taluno, se volesse giuocare e perdere volontariamente tutto il suo, sperando di rifarsi all'ultima partita? Questa è la pazzia di chi siegue a vivere tra' peccati, e spera poi nell'ultimo giorno della vita di rimediare al tutto. Può l'Etiope, o il pardo mutare il color della sua pelle? e come potrà far buona vita, chi ha fatto un lungo abito al male? "Si mutare potest Aethiops pellem suam, aut pardus varietates suas, et vos poteritis benefacere, cum didiceritis malum" (Ier 13,23). Quindi avviene che il male abituato in fine si abbandona alla disperazione, e così finisce la vita. "Qui vero mentis est durae, corruet in malum" (Prov 28,14).


S. Gregorio su quel passo di Giobbe: "Concidit me vulnere super vulnus, irruit in me quasi gigas" (Iob 16,15): dice il santo così: Se taluno è assalito dal nemico, alla prima ferita che riceve resta forse anche abile a difendersi; ma quante più ferite riceve, tanto più perde le forze, sino che finalmente resta ucciso. Così fa il peccato; alla prima, alla seconda volta resta qualche forza al peccatore (s'intende sempre per mezzo della grazia che gli assiste), ma se poi egli seguita a peccare, il peccato si fa gigante, "irruit quasi gigas". All'incontro il peccatore, trovandosi più debole e con tante ferite, come potrà evitare la morte? Il peccato, al dire di Geremia, è come una gran pietra, che opprime l'anima: "Et posuerunt lapidem super me" (Thren 3,53). Or dice S. Bernardo esser sì difficile il risorgere ad un mal abituato, quando è difficile ad uno che sia caduto sotto un gran sasso, e che non ha forza di rimuoverlo per liberarsene: "Difficile surgit, quem moles malae consuetudinis premit".


Dunque, dirà quel mal abituato, io son disperato? No, non sei disperato, se vuoi rimediare. Ma ben dice un autore che ne' mali gravissimi vi bisognano gravissimi rimedi: "Praestat in magnis morbis a magnis auxiliis initium medendi sumere". Se ad un infermo che sta in pericolo di morte e non vuol prender rimedi, perché non sa la gravezza del suo male, gli dicesse il medico: Amico, sei morto, se non prendi la tal medicina. Che risponderebbe l'infermo? Eccomi, direbbe, pronto a prender tutto; si tratta di vita. Cristiano mio, lo stesso dico a te, se sei abituato in qualche peccato: stai male, e sei di quell'infermi, che "raro sanantur" (come dice S. Tommaso da Villanova); stai vicino a dannarti. Se non però vuoi guarirti, vi è il rimedio; ma non hai d'aspettare un miracolo della grazia; hai da farti forza dal canto tuo a toglier le occasioni, a fuggire i mali compagni, a resistere con raccomandarti a Dio, quando sei tentato; hai da prendere i mezzi, con confessarti spesso, leggere ogni giorno un libretto spirituale, prendere la divozione a Maria SS., pregandola continuamente che t'impetri forza di non ricadere. Hai da farti forza, altrimenti ti coglierà la minaccia del Signore contro gli ostinati: "In peccato vestro moriemini" (Io 8,21). E se non rimedi, or che Dio ti dà questa luce, difficilmente potrai rimediare appresso. Senti Dio che ti chiama: "Lazare, exi foras". Povero peccatore già morto, esci da questa oscura fossa della tua mala vita. Presto rispondi; e datti a Dio; e trema che questa non sia l'ultima chiamata per te.





INGANNI CHE IL DEMONIO METTE IN MENTE AI PECCATORI

Benché molti sentimenti di quelli, che si pongono in questa considerazione, sieno accennati nelle altre antecedenti, nondimeno giova qui metterli unitamente, per vincere gl'inganni usuali, con cui suole il demonio indurre i peccatori a ricadere.

PUNTO I

Figuriamo che un giovine, caduto in peccati gravi, se ne sia già confessato, ed abbia già ricuperata la divina grazia. Il demonio di nuovo lo tenta a ricadere: il giovine resiste ancora: ma già vacilla per gl'inganni, che gli suggerisce il nemico. Giovine, dico io, dimmi che vuoi fare? vuoi perdere ora la grazia di Dio, che già hai acquistata e che vale più di tutto il mondo, per questa tua misera soddisfazione? vuoi tu stesso scriverti la sentenza di morte eterna, e condannarti ad ardere per sempre nell'inferno? "No", tu mi dici, "non voglio dannarmi, voglio salvarmi; se farò questo peccato, appresso me lo confesserò". Ecco il primo inganno del tentatore. Dunque mi dici che appresso te lo confesserai; ma frattanto già perdi l'anima. Dimmi se avessi in mano una gioia, che valesse mille ducati, la butteresti tu in un fiume con dire: appresso farò diligenza e spero di ritrovarla? Tu hai in mano questa bella gioia dell'anima tua che Gesù Cristo l'ha comprata col suo sangue, e tu la butti volontariamente nell'inferno (poiché peccando secondo la presente giustizia già resti dannato) e dici: Ma spero di ricuperarla colla confessione? Ma se poi non la ricuperi? Per ricuperarla vi bisogna un vero pentimento, il quale è dono di Dio; se Dio questo pentimento non te lo dà? E se viene la morte, e ti leva il tempo di confessarti?

Dici che non farai passare una settimana, e te lo confesserai. E chi ti promette questa settimana di tempo? Dici che te lo confesserai domani, e chi ti promette questo domani? Scrive S. Agostino: "Crastinum Deus non promisit, fortasse dabit, et fortasse non dabit". Questo giorno di domani non te l'ha promesso Dio; forse te lo darà e forse te lo negherà, come l'ha negato a tanti, i quali si son posti vivi a letto la sera, e la mattina si son trovati morti di subito. Quanti nello stesso atto del peccato il Signore l'ha fatti morire, e l'ha mandati all'inferno? E se fa lo stesso con te, come potrai più rimediare alla tua ruina eterna? Sappi che con quest'inganno di dire, "poi me lo confesso", il demonio ne ha portati migliaia e migliaia di cristiani all'inferno, poiché difficilmente si trova un peccatore, sì disperato, che voglia proprio dannarsi; tutti allorché peccano, peccano colla speranza di confessarsi, ma così poi tanti miserabili si son dannati, ed ora non possono più rimediarvi.

Ma tu dici: "Ora non mi fido di resistere a questa tentazione". Ecco il secondo inganno del demonio, il quale ti fa apparire che tu non hai forza di resistere alla passione presente. Primieramente bisogna che sappi che Dio (come dice l'Apostolo) è fedele, e non permette mai che noi siam tentati oltre le nostre forze: "Fidelis autem Deus est, qui non patietur vos tentari supra id quod potestis" (1 Cor 10,13). Di più io ti dimando: Se ora non ti fidi di resistere, come ti fiderai appresso? Appresso il nemico non lascerà di tentarti ad altri peccati, ed allora egli sarà fatto assai più forte contra di te, e tu più debole. Se dunque non ti fidi ora di spegner questa fiamma, come ti fiderai di spegnerla, dopo ch'ella sarà fatta più grande? Dici: Dio mi darà l'aiuto suo. Ma Dio questo aiuto già presentemente te lo dà; perché tu con questo aiuto non vuoi resistere? Speri forse che Dio abbia da accrescerti gli aiuti e le grazie, dopo che tu hai accresciuti i peccati? E se vuoi al presente maggior aiuto e forza, perché non lo domandi a Dio? Dubiti forse della fedeltà di Dio, che ha promesso di dare tutto ciò che gli si cerca? "Petite et dabitur vobis" (Matth 7,7). Iddio non può mancare, ricorri a Lui, ed egli ti darà quella forza che ti bisogna per resistere. "Deus impossibilia non iubet", parla il concilio di Trento, "sed iubendo monet et facere quod possis, et petere quod non possis, et adiuvat ut possis". Dio non comanda cose impossibili, ma dando i precetti, ci ammonisce a fare quel che possiamo coll'aiuto attuale che ci dà; quando quell'aiuto non ci bastasse a resistere, ci esorta a cercare maggior aiuto, e chiedendolo allora ben Egli ce lo darà.

PUNTO II

Dice: "Dio è di misericordia". Ecco il terzo inganno comune de' peccatori, per cui moltissimi si dannano. Scrive un dotto autore che ne manda più all'inferno la misericordia di Dio, che non ne manda la giustizia; perché questi miserabili, confidano temerariamente alla misericordia, non lasciano di peccare, e così si perdono. Iddio è di misericordia, chi lo nega; ma ciò non ostante, quanti ogni giorno Dio ne manda all'inferno! Egli è misericordioso, ma è ancora giusto, e perciò è obbligato a castigare chi l'offende. Egli usa misericordia, ma a chi? a chi lo teme. "Misericordia sua super timentes se... Misertus est Dominus timentibus se" (Ps 102,11.13). Ma con chi lo disprezza e si abusa della sua misericordia per più disprezzarlo, Egli usa giustizia. E con ragione; Dio perdona il peccato, ma non può perdonare la volontà di peccare. Dice S. Agostino che chi pecca col pensiero di pentirsene dopo d'aver peccato, egli non è penitente, ma è uno schernitore di Dio: "Irrisor est, non poenitens". Ma all'incontro ci fa sapere l'Apostolo che Dio non si fa burlare: "Nolite errare, Deus non irridetur" (Gal 6,7). Sarebbe un burlare Dio offenderlo come piace, e quanto piace, e poi pretendere il paradiso.

"Ma siccome Dio m'ha usate tante misericordie per lo passato, e non m'ha castigato, così spero che mi userà misericordia per l'avvenire". Ecco il quarto inganno. Dunque perché Dio ha avuta compassione di te, per questo ti ha da usare sempre misericordia, e non ti ha da castigare mai? Anzi no, quanto più sono state le misericordie, che Egli t'ha usate, tanto più devi tremare, che non ti perdoni più e ti castighi, se di nuovo l'offendi. "Ne dicas: Peccavi, et quid accidit mihi triste? Altissimus enim est patiens redditor" (Eccli 5,4). Non dire (avverte l'Ecclesiastico), ho peccato e non ho avuto alcun castigo; perché Dio sopporta; ma non sopporta sempre. Quando giunge il termine da Lui stabilito delle misericordie, che vuol usare ad un peccatore, allora gli dà il castigo tutto insieme de' suoi peccati. E quanto più l'ha aspettato a penitenza, tanto più lo punisce, come dice S. Gregorio: "Quos diutius exspectat, durius damnat".

Se dunque tu vedi, fratello mio, che molte volte hai offeso Dio, e Dio non t'ha mandato all'inferno, dei dire: "Misericordiae Domini, quia non sumus consumti" (Thren 3,22). Signore, ti ringrazio, che non m'hai mandato all'inferno, com'io meritava. Pensa, quanti per meno peccati de' tuoi si son dannati. E con questo pensiero cerca di compensare l'offese, che hai fatte a Dio, colla penitenza e con altre opere buone. Questa pazienza, che Dio ha avuta con te, dee animarti, non già a più disgustarlo, ma a più servirlo ed amarlo, vedendo ch'egli ha fatte a te tante misericordie, che non ha fatte agli altri.

PUNTO III

"Ma io son giovine; Dio compatisce la gioventù; appresso mi darò a Dio". Siamo al quinto inganno. Sei giovine? ma non sai che Dio non conta gli anni: ma conta i peccati di ciascuno? Sei giovine? ma quanti peccati hai fatti? Vi saranno molti vecchi, che non saranno giunti a far neppure la decima parte de' peccati da te commessi. E non sai che 'l Signore ha stabilito il numero e la misura de' peccati, che a ciascun vuol perdonare? "Dominus patienter exspectat", dice la Scrittura, "ut eas, cum iudicii dies advenerit, in plenitudine peccatorum puniat" (2 Machab 6,14). Viene a dire che Dio ha pazienza ed aspetta sino a certo segno, ma quando è già piena la misura de' peccati, ch'egli ha determinata di perdonare, non più perdona, e castiga il peccatore, o con mandargli subito la morte nello stato in cui si trova di dannazione, o pure l'abbandona nel suo peccato, il quale castigo è peggior della morte. "Auferam sepem eius, et erit in direptionem" (Isa 5,5). Se voi avete un territorio e l'avete circondato di siepe, l'avete coltivato per più anni, e vi avete fatte molte spese, e vedete che 'l territorio con tutto ciò non vi rende alcun frutto; voi che fate? ne togliete la siepe, e lo lasciate in abbandono. Così tremate, che Dio non faccia con voi. Se voi seguirete a peccare, anderete perdendo il rimorso della coscienza, non penserete più né all'eternità, né all'anima vostra, perderete quasi ogni luce, perderete il timore: ecco tolta la siepe, ed ecco già arrivato l'abbandono di Dio.

Veniamo all'ultimo inganno. Voi dite: "È vero che con questo peccato io perdo la grazia di Dio, e resto condannato all'inferno, e può già essere che per questo peccato mi danno; ma può essere ancora ch'io appresso mi confessi e mi salvi". Sì signore, io te lo concedo che può essere che ancora ti salvi, perché finalmente io non son profeta, perciò non posso dire per certo che dopo questo peccato Dio non ti userà più misericordia. Ma non mi puoi negare che dopo tante grazie che 'l Signore t'ha fatte, se ora lo torni ad offendere, è molto facile che resti perduto. Così parlano le Scritture: "Cor durum male habebit in novissimo" (Eccli 3,27). Il cuore ostinato in morte anderà male. "Qui malignantur, exterminabuntur" (Ps 36,9). I maligni finalmente saranno esterminati dalla divina giustizia. "Quae seminaverit homo, haec et metet" (Gal 6,8). Chi semina peccati, in fine non raccoglierà che pene e tormenti. "Vocavi, et renuistis... in interitu vestro ridebo, et subsannabo vos" (Prov 1,24). Vi ho chiamati, dice Dio, e voi vi siete burlati di me; nella vostra morte io mi burlerò di voi. "Mea est ultio, et ego retribuam in tempore" (Deut 32,35). A me spetta la vendetta de' peccati, ed io te la renderò, quando giungerà il tempo. Così dunque parlano le Scritture de' peccatori ostinati. Così cerca la giustizia e la ragione. Tu mi dici: "Ma può essere che con tutto questo pure mi salvi". Ed io ritorno a dire che sì signore, può essere: ma che pazzia, dico, è l'appoggiare la salute eterna dell'anima ad un "può essere", e ad un "può essere" poi così diffícile? È negozio questo da metterlo in sì gran pericolo?



IL GIUDIZIO PARTICOLARE

Omnes enim nos manifestari oportet ante tribunal Christi (2 Cor 5,10)

PUNTO I

Consideriamo la comparsa, l'accusa, l'esame e la sentenza. E parlando prima della comparsa dell'anima dinanzi al giudice, è comune sentenza de' Teologi che il giudizio particolare si fa nel punto stesso che l'uomo spira; e che nel luogo medesimo dove l'anima si separa dal corpo, ella è giudicata da Gesù Cristo, il quale non manderà, ma verrà Egli stesso a giudicar la di lei causa. "Qua hora non putatis, Filius hominis veniet" (Luc 12,40). "Veniet nobis in amore (dice S. Agostino), impiis in tremore". Oh quale spavento avrà chi vedrà la prima volta il Redentore, e lo vedrà sdegnato! "Ante faciem indignationis eius quis stabit?" (Naum 1,6). Ciò considerando il P. Luigi da Ponte, tremava in tal modo, che facea tremare anche la cella dove stava. il V. P. Giovenale Ancina, sentendo cantare la "Dies illa", al pensiero del terrore che avrà l'anima in dovere esser presentata al giudizio, risolse di lasciar il mondo, come in effetto lo lasciò. Il vedere lo sdegno del giudice sarà l'avviso della condanna: "Indignatio regis, nuntii mortis" (Prov 16,14). Dice S. Bernardo che allora l'anima patirà più in vedere Gesù sdegnato, che nello stare nel medesimo inferno: "Mallet esse in inferno".

Alle volte si son veduti i rei sudar freddo, in esser presentati avanti a qualche giudice di terra. Pisone comparendo in senato colla veste da reo, sentì tanta confusione che volontariamente si uccise. Che pena è ad un figlio, o ad un vassallo vedere il padre, o il principe gravemente sdegnato? Oh qual altra pena maggiore proverà quell'anima in vedere Gesù Cristo da lei in vita disprezzato! "Videbunt in quem transfixerunt" (Zach 12,10). Quell'agnello che in vita ha avuta tanta pazienza, l'anima poi lo vedrà irato, senza speranza più di placarlo; ciò la indurrà a pregare i monti a caderle sopra, e così nasconderla dal furore dell'agnello sdegnato. "Montes cadite super nos, abscondite nos ab ira Agni" (Apoc 6,16). Dice S. Luca parlando del giudizio: "Tunc videbunt Filium hominis" (Luc 21,27). Il vedere il giudice in forma d'uomo, oh qual pena apporterà al peccatore! perché dalla vista di tal uomo morto per la sua salute, si sentirà maggiormente rimproverare la sua ingratitudine. Quando il Salvatore ascese al cielo, dissero gli angeli a' discepoli: "Hic Iesus qui assumptus est a vobis in coelum, sic veniet, quemadmodum vidistis eum euntem in coelum" (Act 1,11). Verrà dunque il giudice a giudicare colle stesse piaghe, colle quali si partì dalla terra. "Grande gaudium intuentium! grandis timor exspectantium", dice Ruperto. Quelle piaghe consoleranno i giusti, ma spaventeranno i peccatori. Allorché Giuseppe disse a' fratelli: "Ego sum Ioseph, quem vendidistis", dice la Scrittura che quelli per lo terrore si tacquero, e perderono la parola: "Non poterant respondere fratres, nimio terrore perterriti" (Gen 45,3). Or che risponderà il peccatore a Gesù Cristo? Forse avrà animo di cercargli pietà; quando primieramente dovrà rendergli conto del disprezzo ch'ha fatto della pietà usatagli? "Qua fronte (Eusebio Emisseno) misericordiam petes, primum de misericordiae contemtu iudicandus?". Che farà dunque, dice S. Agostino; dove fuggirà, quando vedrà di sopra il giudice sdegnato, di sotto l'inferno aperto, da un lato i peccati che l'accusano, dall'altro i demoni accinti ad eseguir la pena, e di dentro la coscienza che rimorde? "Superius erit iudex iratus, inferius horrendum chaos, a dextris peccata accusantia, a sinistris daemonia ad supplicium trahentia, intus conscientia urens? quo fugiet peccator sic comprehensus?".

PUNTO II

Considera l'accusa e l'esame. "Iudicium sedit, et libri aperti sunt" (Dan 9). Due saranno questi libri, il Vangelo e la coscienza. Nel Vangelo si leggerà quel che il reo doveva fare, nella coscienza quel che ha fatto: "Videbit unusquisque quod fecit", S. Girolamo. Nella bilancia della divina giustizia non si peseranno allora le ricchezze, la dignità e la nobiltà delle persone, ma solamente l'opere. "Appensus es in statera (disse Daniele al re Baltassarre), et inventus es minus habens" (Dan 5,27). Commenta il P. Alvarez: "Non aurum, non opes in stateram veniunt, solus rex appensus est". Verranno allora gli accusatori, e per prima il demonio. "Praesto erit diabolus (dice S. Agostino) ante tribunal Christi, et recitabit verba professionis tuae. Obiiciet nobis in faciem omnia quae fecimus, in qua die, in qua hora peccavimus". "Recitabit verba professionis tuae", viene a dire che presenterà le stesse nostre promesse, alle quali poi abbiamo mancato; ed addurrà tutte le colpe, segnando il giorno e l'ora in cui l'abbiamo commesse. Indi dirà al giudice, come scrive S. Cipriano: "Ego pro istis nec alapas, nec flagella sustinui". Signore, io per questo reo non ho patito niente, ma esso ha lasciato Voi che siete morto per salvarlo, per farsi schiavo mio; ond'esso a me tocca. Accusatori saranno anche gli angeli custodi, come dice Origene: "Unusquisque Angelorum testimonium perhibet, quot annis circa eum laboraverit, sed ille monita sprevit". Sicché allora: "Omnes amici eius spreverunt eam" (Ier 51). Accusatrici saranno le mura, tra le quali quel reo avrà peccato! "Lapis de pariete clamabit" (Abac 2,11). Accusatrice sarà la stessa coscienza: "Testimonium reddente illis conscientia ipsorum in die, cum iudicabit Deus" (Rom 2). Gli stessi peccati allora, dice S. Bernardo, parleranno, "et dicent: Tu nos fecisti, opera tua sumus, non te deseremus". Accusatrici finalmente saranno, come dice il Grisostomo, le piaghe di Gesù Cristo: "Clavi de te conquerentur: cicatrices contra te loquentur: crux Christi contra te perorabit". Indi si verrà all'esame.

Dice il Signore: "Ego in die illa scrutabor Ierusalem in lucernis" (Soph 1,12). La lucerna, dice il Mendoza, penetra tutti gli angoli della casa: "Lucerna omnes angulos permeat". E Cornelio a Lapide, spiegando la parola "in lucernis", dice che allora Dio metterà avanti al reo gli esempi de' santi e tutt'i lumi ed ispirazioni che gli ha dato in vita; ed anche tutti gli anni che gli ha concessi a far bene. "Vocavit adversum me tempus" (Thren 1,15). Sicché allora avrai da render conto d'ogni occhiata. "Exigitur a te usque ad ictum oculi", S. Anselmo. "Purgabit filios Levi, et colabit eos" (Malach 3,3). Siccome si cola l'oro, separandone la scoria, così si avranno da esaminare le opere buone, le confessioni, le comunioni ecc. "Cum accepero tempus, ego iustitias iudicabo" (Ps 74,3). In somma, dice S. Pietro che nel giudizio il giusto appena si salverà: "Si iustus vix salvabitur, impius et peccator ubi parebunt?" (1 Petr 4,18). Se ha da rendersi conto d'ogni parola oziosa, qual conto si renderà di tanti mali pensieri acconsentiti? di tante parole disoneste? S. Gregorio: "Si de verbo otioso ratio poscitur, quid de verbo impuritatis?". Specialmente dice il Signore (parlando degli scandalosi che gli han rubate l'anime): "Occuram eis quasi ursa raptis catulis" (Osea 13,8). Parlando poi dell'opere dirà il giudice: "Date ei de fructu manuum suarum" (Prov 31). Pagatelo secondo le opere che ha fatte.

PUNTO III

In somma l'anima per conseguir la salute eterna, ha da trovarsi nel giudizio colla vita fatta conforme alla vita di Gesù Cristo. "Quos praescivit, et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui" (Rom 8,29). Ma ciò era quello che faceva tremare Giobbe. "Quid faciam, cum surrexerit ad iudicandum Deus? et cum quaesierit, quid respondebo illi?". Filippo II, avendogli un suo domestico detta una bugia, lo rimproverò dicendogli: "Così m'inganni?". Quel miserabile ritornato in casa, se ne morì di dolore. Che farà, che risponderà il peccatore a Gesù Cristo giudice? Farà quel che fece colui del Vangelo, che venne senza la veste nuziale, tacque, non sapendo che rispondere. "At ille obmutuit" (Matth 22,12). Lo stesso peccato gli otturerà la bocca: "Omnis iniquitas oppilabit os suum" (Psal 106,42). Dice S. Basilio che 'l peccatore allora sarà più tormentato dal rossore, che dallo stesso fuoco dell'inferno: "Horridior, quam ignis, erit pudor".

Ecco finalmente il giudice darà la sentenza. "Discede a me, maledicte, in ignem aeternum". Oh che tuono terribile sarà questo! "Oh quam terribiliter personabit tonitruum illud!", il Cartusiano. Dice S. Anselmo: "Qui non tremit ad tantum tonitruum, non dormit, sed mortuus est". E soggiunge Eusebio che sarà tanto lo spavento de' peccatori in sentirsi proferir la condanna, che se potessero morire, di nuovo morirebbero: "Tantus terror invadet malos, cum viderint iudicem sententiam proferentem, ut nisi essent immortales, iterum morerentur". Allora, dice S. Tommaso da Villanova, non si dà più luogo a preghiere; né vi sono più intercessori, a cui ricorrere: "Non ibi precandi locus; nullus intercessor assistet, non amicus, non pater". A chi allora dunque ricorreranno? Forse a Dio, che han così disprezzato? "Quis te eripiet, Deusne ille, quem contempsisti?" (S. Basilio). Forse a' santi? a Maria? No, perché allora: "Stellae (che sono i santi avvocati) cadent de coelo; et luna (ch'è Maria) non dabit lumen suum" (Matth 24). Dice S. Agostino: "Fugiet a ianua paradisi Maria".

Oh Dio, esclama S. Tommaso da Villanova, e con quale indifferenza sentiamo parlar del giudizio, quasi a noi non potesse toccar la sentenza di condanna! o come noi non avessimo ad esser giudicati! "Heu quam securi haec dicimus, et audimus, quasi nos non tangeret haec sententia, aut quasi dies ille nunquam esset venturus!". E qual pazzia, soggiunge lo stesso santo, è lo star sicuro in cosa di tanto pericolo! "Quae est ista stulta securitas in discrimine tanto!". Non dire, fratello mio, ti avverte S. Agostino: Eh che Dio vorrà proprio mandarmi all'inferno? "Nunquid Deus vere damnaturus est?". Nol dire, dice il santo, perché anche gli ebrei non sel persuadevano d'esser esterminati; tanti dannati non sel credevano d'esser mandati all'inferno; ma poi è venuta la fine del castigo: "Finis venit, venit finis: nunc immittam furorem meum in te, et iudicabo" (Ez 7,6). E così ancora, dice S. Agostino, avverrà anche a te: "Veniet iudicii dies, et invenies verum, quod minatus est Deus". Al presente a noi sta di sceglier la sentenza che vogliamo: "In potestate nostra (dice S. Eligio) datur, qualiter iudicemur". E che abbiamo da fare? aggiustare i conti prima del giudizio: "Ante iudicium para iustitiam" (Eccli 18,19). Dice S. Bonaventura che i mercanti prudenti, per non fallire, spesso rivedono ed aggiustano i conti. "Iudex ante iudicium placari potest, in iudicio non potest", S. Agostino. Diciamo dunque al Signore, come diceva S. Bernardo: "Volo iudicatus praesentari, non iudicandus". Giudice mio, voglio che ora in vita mi giudicate e mi punite, or ch'è tempo di misericordia, e mi potete perdonare; perché dopo morte sarà tempo di giustizia.




Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Cerca nel forum
Tag discussione
Discussioni Simili   [vedi tutte]

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 01:04. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com