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Apparecchio alla Morte di sant'Alfonso Maria de Liguori

Ultimo Aggiornamento: 10/07/2019 00:04
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Sesso: Femminile
10/07/2019 00:04

LA DIMORA AMOROSA CHE FA GESÙ SUGLI ALTARI NEL SS. SAGRAMENTO


Venite ad me omnes qui laboratis, et onerati estis, et ego reficiam vos (Matth 11,28)


PUNTO I


Il nostro amante Salvatore, dovendo partire da questo mondo, dopo di aver colla sua morte compita l'opera della nostra redenzione, non volle lasciarci soli in questa valle di lagrime. "Niuna lingua è bastante (dicea S. Pietro d'Alcantara), a poter dichiarare la grandezza dell'amore, che Gesù porta ad ogni anima; e perciò volendo questo sposo partire da questa vita, acciocché questa sua assenza non le fosse cagione di scordarsi di lui, le lasciò per memoria questo SS. Sagramento, nel quale Egli stesso rimanea, non volendo che tra ambedue restasse altro pegno per tenere svegliata la memoria ch'Egli medesimo". Merita dunque da noi grande amore questo gran tratto d'amore di Gesù Cristo; e perciò in questi ultimi nostri tempi Egli ha voluto che s'istituisse la festa in onore del suo SS. Cuore, come si porta rivelato alla sua serva suor Margherita Maria Alacoque, affinché noi rendessimo co' nostri ossequi ed affetti qualche contraccambio alla sua amorosa dimora che fa sugli altari: e così insieme compensassimo i disprezzi che in questo Sagramento d'amore Egli ha ricevuti e riceve tuttavia dagli eretici e da' mali cristiani.


Gesù si è lasciato nel SS. Sagramento, 1. per farsi trovare da tutti; 2. per dare udienza a tutti; 3. per far grazie a tutti. E per 1. Egli si fa trovare in tanti diversi altari, per farsi trovare da tutti che desiderano di trovarlo. In quella notte in cui il Redentore stavasi licenziando da' discepoli per andar alla morte, addolorati quelli piangeano, pensando di doversi dividere dal loro caro maestro; ma Gesù li consolava dicendo (e lo stesso diceva allora anche a noi): Figli miei, io vado a morire per voi, per dimostrarvi l'amore che vi porto; ma anche morendo non voglio lasciarvi soli; finché voi sarete sulla terra, voglio con voi restarmi nel SS. Sagramento dell'altare. Io vi lascio il mio corpo, l'anima mia, la mia divinità e tutto me stesso. No, finché voi starete sulla terra, io non voglio separarmi da voi. "Ecce vobiscum sum usque ad consummationem saeculi" (Matth 28,20). "Volea lo sposo (scrisse S. Pietro d'Alcantara) lasciare alla sua sposa in questa sì lunga lontananza qualche compagnia, acciocché non rimanesse sola, e perciò lasciò questo Sagramento, in cui rimase esso stesso, ch'era la miglior compagnia che potesse lasciarle". I gentili si han finti tanti dei, ma non han saputo fingersi un Dio più amoroso del nostro, e che ci sta più vicino e ci assiste con tanto amore. "Non est alia natio tam grandis, quae habeat deos appropinquantes sibi, sicut Deus noster adest nobis". Così appunto la S. Chiesa applica questo passo del Deuteronomio (Deut 4,7) alla festa del SS. Sagramento.


Ecco dunque Gesù Cristo, che se ne sta negli altari, come ristretto in tante prigioni d'amore. Lo cacciano i sacerdoti dalle custodie per esporlo, o per dar la comunione, e poi lo ritornano a chiudere. E Gesù se ne contenta di restarsene ivi il giorno e la notte. Ma che serviva, mio Redentore, a restarvi in tante chiese anche la notte, mentre le genti serrano le porte e vi lasciano solo? Bastava trattenervi solamente nelle ore del giorno. No, vuol Egli starsene anche la notte benché solo, aspettando che la mattina subito lo trovi chi lo cerca. Andava la sacra sposa cercando il suo diletto, e dimandava a chi incontrava: "Num quem diligit anima mea vidistis?" (Cant 3,3). E non trovandolo alzava la voce, dicendo: Sposo mio, fatemi sapere dove state: "Indica mihi ubi pascas, ubi cubes in meridie" (Cant 1,6). Allora la sposa non lo trovava, perché non vi era ancora il SS. Sagramento; ma al presente, se un'anima vuol trovare Gesù Cristo, basta che vadi alla parrocchia, o a qualche monastero, ed ivi troverà il suo diletto che l'aspetta. Non vi è villaggio per misero che sia, non vi è monastero di religiosi, che non tenga il SS. Sagramento; ed in tutti quei luoghi il Re del cielo si contenta di starsene chiuso in una cassettina di legno, o in una pietra, dove spesso se ne resta solo, appena con una lampa d'olio, senza chi l'assista. Ma, Signore (dice S. Bernardo), ciò non conviene alla vostra maestà. Non importa, risponde Gesù, se ciò non conviene alla mia maestà, ben conviene al mio amore.


Or qual tenerezza sentono i pellegrini in visitare la santa casa di Loreto, o i luoghi di Terra santa, la stalla di Betlemme, il Calvario, il santo Sepolcro, dove Gesù Cristo nacque, o abitò, o morì, o fu sepolto! Ma quanto maggiore dee esser la nostra tenerezza, in trovarci in una chiesa alla presenza di Gesù medesimo, che sta nel SS. Sagramento? Diceva il Ven. P. Giovanni d'Avila ch'egli non sapea trovare santuario di maggior divozione e consolazione, che una chiesa dove sta Gesù sagramentato. Ma piangeva all'incontro il P. Baltassarre Alvarez in vedere i palagi de' principi pieni di gente, e le chiese dove sta Gesù Cristo abbandonate e sole. Oh Dio, se il Signore si fosse lasciato in una sola chiesa della terra, v. gr. solo in S. Pietro in Roma, e si facesse ivi trovare solamente in un solo giorno dell'anno, oh quanti pellegrini, quanti nobili e quanti monarchi procurerebbero d'aver la sorte di trovarsi ivi in quel giorno, a corteggiare il Re del cielo ritornato in terra! Oh che nobil tabernacolo d'oro adornato di gemme gli sarebbe apprestato! Oh con qual apparato di lumi si solennizzerebbe in quel giorno questa dimora di Gesù Cristo! Ma no, dice il Redentore, Io non voglio dimorare in una sola chiesa, né per un solo giorno; né ricerco tante ricchezze e tanti lumi, io voglio dimorar continuamente in tutti i giorni ed in tutti i luoghi, dove si ritrovano i miei fedeli, acciocché tutti mi ritrovino facilmente, e sempre ad ogni ora che vogliono.


Ah che se Gesù Cristo non avesse pensato a questa finezza d'amore, chi mai avrebbe potuto pensarvi? Quando Egli se n'ascese al cielo, se alcuno gli avesse detto allora: Signore, se volete dimostrarci il vostro affetto, restatevi con noi sugli altari sotto le specie di pane, acciocché ivi possiamo trovarvi quando vogliamo; qual temerità sarebbe stata stimata questa domanda? Ma quello che non ha saputo neppure pensare alcuno degli uomini, l'ha pensato e l'ha fatto il nostro Salvatore. Ma oimè dov'è la nostra gratitudine ad un tanto favore? Se venisse un principe da lontano in un paese a posta per esser visitato da un villano, che ingratitudine sarebbe del villano, se non volesse vederlo, o vederlo sol di passaggio?


PUNTO II


Per 2. Gesù Cristo nel Sagramento dà udienza a tutti. Dicea S. Teresa che non tutti in questa terra possono parlare col principe. I poveri appena posson sperare di parlargli e fargli sentire le loro necessità per mezzo di qualche terza persona: ma col Re del cielo non vi vogliono terze persone, tutti, e nobili e poveri posson parlarci, stando egli nel Sagramento, da faccia a faccia. Perciò si chiama Gesù fiore de' campi: "Ego flos campi, et lilium convallium" (Cant 2,1). I fiori de' giardini stan chiusi e riserbati, ma i fiori de' campi stanno esposti a tutti. "Ego flos campi", commenta Ugon Cardinale, "quia omnibus me exhibeo ad inveniendum".


Con Gesù Cristo dunque nel Sagramento possono parlarci tutti, e ad ogni ora del giorno. S. Pier Grisologo (parlando della nascita del Redentore nella stalla di Betlemme) dice che i re non danno sempre udienza; spesso accade che andando taluno a parlare col principe, le guardie lo licenziano con dirgli che non è tempo allora di udienza, che venga appresso. Ma il Redentore volle nascere in una spelonca aperta, senza porte e senza guardie, per dare udienza a tutti, e ad ogni ora: "Non est satelles, qui dicat non est hora". Lo stesso avviene con Gesù nel SS. Sagramento. Stanno aperte continuamente le chiese, ognuno può andare a parlare col Re del cielo sempre che vuole. E vuole Gesù Cristo che gli parliamo ivi con tutta la nostra confidenza, perciò si è posto sotto le specie di pane. Se Gesù comparisse sugli altari in un trono di luce, come comparirà nel giudizio finale, chi di noi avrebbe l'animo di accostarsegli vicino? Ma perché il Signore, dice S. Teresa, desidera che noi gli parliamo e gli cerchiamo le grazie con confidenza e senza timore, perciò ha coverta la sua maestà colle specie di pane. Egli desidera, come dice ancora Tommaso da Kempis, che noi ci trattiamo, come tratta un amico coll'altro amico, "ut amicus ad amicum".


Quando l'anima si trattiene a piè d'un altare, par che Gesù le dica quelle parole de' Cantici: "Surge, propera, amica mea, formosa mea, et veni" (Cant 2,10). "Surge", alzati, anima, le dice, non temere. "Propera", accostati a me vicino; "amica mea", non mi sei più nemica, mentre m'ami e sei pentita d'avermi offeso: "formosa mea", non sei più deforme agli occhi miei, la mia grazia ti ha fatta bella; "et veni", vieni su, dimmi quel che vuoi, a posta io sto in questo altare. Qual gaudio sentiresti, lettor mio, se ti chiamasse il re nel suo gabinetto e ti dicesse: Dimmi che vuoi? che ti bisogna? io t'amo e desidero di farti bene. Questo dice il Re del cielo Gesù Cristo a tutti coloro che lo visitano: "Venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam vos" (Matth 11,28). Venite poveri, infermi, afflitti, ch'io posso e voglio arricchirvi, sanarvi e consolarvi. A questo fine io mi trattengo sugli altari. "Clamabis, et dicet: Ecce adsum" (Isa 58,9).


PUNTO III


Gesù nel Sagramento dà udienza a tutti, per far grazie a tutti. Dice S. Agostino che ha più desiderio il Signore di dispensare le sue grazie a noi che noi di riceverle: "Plus vult ille tibi benefacere, quam tu accipere concupiscas". E la ragione è, perché Dio è bontà infinita, e la bontà di sua natura è diffusiva, sì che desidera di comunicare i suoi beni a tutti. Si lamenta Iddio, quando l'anime non vengono a cercargli le grazie: "Nunquid solitudo factus sum Israeli? aut terra serotina? Quare ergo dixit populus meus, non veniemus ultra ad te?" (Ier 2,31). Perché (dice il Signore) non volete più venire a me? che forse mi avete ritrovato come terra sterile o tardiva, quando mi avete cercate le grazie? S. Giovanni vide il Signore col petto pieno di latte, cioè di misericordia, e cinto da una fascia d'oro, cioè dall'amore, col quale egli desidera di dispensare a noi le sue grazie. "Vidi praecinctum ad mamillas zona aurea" (Apoc 1,13). Gesù Cristo sempre sta pronto a beneficarci, ma dice il Discepolo, che specialmente nel SS. Sagramento egli dispensa le grazie con più abbondanza. E 'l B. Errico Susone dicea che Gesù nel Sagramento esaudisce più volentieri le nostre preghiere.


Siccome una madre che tiene il petto ripieno di latte, va trovando bambini che vengano a succhiare, acciocché la sgravino da quel peso, così appunto il Signore da questo Sagramento d'amore ci chiama tutti, e ci dice: "Ad ubera mea portabimini... quomodo si cui mater blandiatur, ita ego consolabor vos" (Is 66,13). Il P. Baltassarre Alvarez vide appunto Gesù nel SS. Sagramento colle mani piene di grazie, per donarle agli uomini; ma non trovava chi le volesse.


O beata quell'anima, che se ne sta a piè d'un altare a domandar grazie a Gesù Cristo! La contessa di Feria, fatta monaca di S. Chiara, se ne stava sempre che poteva avanti il SS. Sagramento, ed ivi riceveva continuamente tesori di grazie. Dimandata un giorno che facesse tante ore innanzi al Venerabile? Rispose: "Io vi starei tutta l'eternità. Che si fa innanzi al SS. Sagramento? e che cosa non si fa? che fa un povero avanti un ricco? che fa un infermo avanti un medico? che si fa? si ringrazia, si ama, si domanda". Oh quanto vagliono queste ultime parole per trattenersi con frutto avanti il SS. Sagramento.


Si lamentò Gesù Cristo colla mentovata serva di Dio suor Margherita Alacoque dell'ingratitudine che gli usano gli uomini in questo Sagramento d'amore, allorché fe' vederle il suo Cuore circondato di spine, con una croce di sopra, in un trono di fiamme, dandole con ciò ad intendere l'amorosa dimora ch'Egli fa nel Sagramento, e poi le disse così: "Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini, e che non ha risparmiato niente: è giunto a consumarsi per dimostrar loro il suo amore. Ma io per riconoscenza non ricevo che ingratitudini dalla maggior parte, per le irriverenze e disprezzi che mi fanno in questo Sagramento d'amore. E ciò che più m'è sensibile, è che sono cuori a me consagrati". Non vanno gli uomini a trattenersi con Gesù Cristo, perché non l'amano. Piace loro star le ore intere a parlare con un amico, e poi loro dà tedio il trattenersi una mezz'ora con Gesù Cristo! Dirà taluno: Ma perché Gesù Cristo non mi concede il suo amore? Ma io rispondo: Se voi non discacciate dal cuore l'amore della terra, come vuol entrarvi l'amor divino? Ah che se voi poteste veramente dire col cuore quel che dicea S. Filippo Neri a vista del SS. Sagramento: "Ecco l'amor mio, ecco l'amor mio"; non avreste voi tedio a trattenervi le ore e le giornate intere avanti il SS. Sagramento.


Ad un'anima innamorata di Dio le ore avanti Gesù sagramentato sembrano momenti. S. Francesco Saverio tutto il giorno faticava per le anime, e nella notte poi quale era il suo riposo? era il trattenersi avanti il SS. Sagramento. S. Gio. Francesco Regis, quel gran missionario della Francia, dopo avere spesa tutta la giornata in confessare e predicare, se n'andava la notte alla chiesa, e trovandola qualche volta chiusa, restava a trattenersi fuori della porta al freddo e al vento, per corteggiare almeno così da lontano il suo amato Signore. S. Luigi Gonzaga desiderava di starsene sempre avanti il SS. Sagramento, ma perché gli era stato imposto da' superiori a non trattenervisi; passando per l'altare, e sentendosi da Gesù tirato a trattenersi, era costretto a partire per far l'ubbidienza; onde poi il santo giovine amorosamente gli dicea: "Recede a me, Domine, recede": Signore, non mi tirate, lasciatemi partire, così vuol l'ubbidienza. Ma se tu, fratello mio, non provi questo amore a Gesù Cristo, procura tu di visitarlo ogni giorno, ch'egli ben t'infiammerà il cuore. Ti senti freddo? accostati al fuoco, dicea S. Caterina da Siena. Ed oh beato te, se Gesù ti fa la grazia d'infiammarti del suo amore. Allora certamente che più non amerai altro che Gesù, e disprezzerai tutte le cose della terra. Dice S. Francesco di Sales: "Quando va a fuoco la casa, si buttano tutte le robe dalla finestra".





L'UNIFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI DIO

Et vita in voluntate eius (Ps 29,6)

PUNTO I

Tutta la nostra salute, e tutta la perfezione consiste nell'amare Dio. "Qui non diligit manet in morte" (1 Io 3,14). "Caritas est vinculum perfectionis" (Colos 3). Ma la perfezione dell'amore consiste poi nell'uniformare la nostra alla divina volontà; poiché questo è l'effetto principale dell'amore, come dice l'Areopagita, unire le volontà degli amanti, sicché non abbiano che un solo cuore ed un solo volere. Intanto dunque piacciono a Dio l'opere nostre, le penitenze, le comunioni, le limosine, in quanto sono secondo la divina volontà; poiché altrimenti non sono virtuose, ma difettose e degne di castigo.

Ciò venne principalmente ad insegnarci dal cielo col suo esempio il nostro Salvatore. Ecco quel ch'egli disse in entrare nel mondo, come scrive l'Apostolo: "Hostiam et oblationem noluisti, corpus autem aptasti mihi. Tunc dixi: Ecce venio, ut faciam, Deus, voluntatem tuam" (Heb 10,5). Voi, Padre mio, avete rifiutate le vittime degli uomini, volete ch'io vi sacrifichi colla morte questo corpo che m'avete dato, eccomi pronto a far la vostra volontà. E ciò più volte dichiarò, dicendo ch'egli non era venuto in terra, se non per fare la volontà del suo Padre: "Descendi de coelo, non ut faciam voluntatem meam, sed voluntatem eius qui misit me" (Io 6,38). Ed in ciò volle che conosciamo il suo grande amore al Padre, in vedere ch'Egli andava a morire, per ubbidire al di lui volere: "Ut cognoscat mundus, quia diligo Patrem, et sicut mandatum dedit mihi Pater, sic facio, surgite, eamus" (Io 31,14). Quindi poi disse ch'egli riconoscea per suoi solamente coloro che faceano la divina volontà: "Quicunque enim fecerit voluntatem Patris mei qui in coelis est, ipse meus frater, et soror, et mater est" (Matth 12,38). Questo poi è stato l'unico scopo e desiderio di tutt'i santi in tutte le loro opere, l'adempimento della divina volontà. Il B. Errico Susone diceva: "Io voglio esser più presto un verme più vile della terra colla volontà di Dio, che un Serafino colla mia". E S. Teresa: "Tutto ciò che dee procurare chi si esercita nell'orazione, è di conformare la sua volontà alla divina; e si assicuri (aggiungea) che in ciò consiste la più alta perfezione; chi più eccellentemente la praticherà, riceverà da Dio i più gran doni, e farà più progressi nella vita interiore". I beati del cielo per ciò amano perfettamente Dio, perché sono in tutto uniformati alla divina volontà. Quindi c'insegnò Gesù Cristo a domandar la grazia di far la volontà di Dio in terra, come la fanno i santi in cielo: "Fiat voluntas tua, sicut in coelo et in terra". Chi fa la divina volontà, diventa uomo secondo il cuore di Dio, come appunto il Signore chiamava Davide: "Inveni virum secundum cor meum, qui faciet omnes voluntates meas" (1 Reg 1,14). E perché? perché Davide stava sempre apparecchiato ad eseguir ciò che volea Dio: "Paratum cor meum, Deus, paratum cor meum" (Ps 56,8 et Ps 107,2). Ed altro egli non cercava al Signore, che d'insegnargli a fare la sua volontà: "Doce me facere voluntatem tuam" (Ps 142,10).

Oh quanto vale un atto di perfetta rassegnazione alla volontà di Dio! basta a fare un santo. Mentre S. Paolo perseguitava la Chiesa, Gesù gli apparve, l'illuminò e lo convertì. Il santo allora altro non fece, che offerirsi a fare il voler divino: "Domine, quid me vis facere?" (Act 9,6). Ed ecco che Gesù Cristo subito lo dichiarò vaso d'elezione, e apostolo delle genti: "Vas electionis est mihi iste, ut portet nomen meum coram gentibus" (Act 9,15). Chi fa digiuni, chi fa limosine, chi si mortifica per Dio, dona a Dio parte di sé; ma chi gli dona la sua volontà gli dona tutto. E questo è quel tutto, che Dio ci dimanda, il cuore, cioè la volontà: "Fili mi, praebe cor tuum mihi" (Prov 23). Questa insomma ha da essere la mira di tutt'i nostri desideri, delle nostre divozioni, meditazioni, comunioni ecc. l'adempire la divina volontà. Questo ha da esser lo scopo di tutte le nostre preghiere, l'impetrare la grazia di eseguire ciò che Dio vuole da noi. Ed in ciò abbiamo da domandare l'intercessione de' nostri santi avvocati e specialmente di Maria SS., che c'impetrino luce e forza di uniformarci alla volontà di Dio in tutte le cose; ma specialmente in abbracciar quelle a cui ripugna il nostro amor proprio. Dicea il Ven. Giovanni d'Avila: "Vale più un benedetto sia Dio nelle cose avverse, che sei mila ringraziamenti nelle cose a noi dilettevoli".

PUNTO II

Bisogna uniformarci non solo in quelle cose avverse che ci vengono direttamente da Dio, come sono le infermità, le desolazioni di spirito, le perdite di robe o di parenti; ma anche in quelle che ci vengono anche da Dio, ma indirettamente, cioè per mezzo degli uomini, come le infamie, i dispregi, le ingiustizie e tutte l'altre sorte di persecuzioni. Ed avvertiamo che quando siamo offesi da taluno nella roba, o nell'onore, non vuole già Dio il peccato di colui che ci offende, ma ben vuole la nostra povertà e la nostra umiliazione. È certo che quanto succede, tutto avviene per divina volontà: "Ego Dominus formans lucem et tenebras, faciens pacem, et creans malum" (Is 45,7). E prima lo disse l'Ecclesiastico: "Bona et mala, vita et mors a Deo sunt" (Eccli 11,14). Tutti in somma vengono da Dio, così i beni, come i mali.

Si chiamano mali, perché noi li chiamiamo così, e noi li facciamo mali; poiché se noi l'accettassimo, come dovressimo con rassegnazione dalle mani di Dio, diventerebbero per noi non mali, ma beni. Le gioie che rendono più ricca la corona de' santi, sono le tribolazioni accettate per Dio, pensando che tutto viene dalle sue mani. Il santo Giobbe, quando fu avvisato che i Sabei si avevan prese le sue robe, che rispose? "Dominus dedit, Dominus abstulit" (Iob 1,21). Non disse già, il Signore mi ha dati questi beni, ed i Sabei me l'han tolti; ma il Signore me l'ha dati, e 'l Signore me l'ha tolti. E perciò lo benediceva, pensando che tutto era avvenuto per suo volere: "Sicut Domino placuit, ita factum est, sit nomen Domini benedictum" (Iob 1,21). I santi martiri Epitetto ed Atone, quando erano tormentati con uncini di ferro e torce ardenti, altro non diceano: "Signore, si faccia in noi la vostra volontà!". E morendo, queste furono l'ultime parole che dissero: "Siate benedetto, o Dio eterno, poiché ci date la grazia di adempire in noi il vostro santo beneplacito". Narra Cesario che un certo monaco, con tutto che non facesse vita più austera degli altri, nondimeno facea molti miracoli. Di ciò maravigliandosi l'Abbate, gli domandò un giorno, quali divozioni egli praticasse? Rispose che egli era più imperfetto degli altri, ma che solo a questo era tutto intento, ad uniformarsi in ogni cosa alla divina volontà. E di quel danno (ripigliò il superiore) che giorni sono ci fece quel nemico nel nostro podere, voi non ne aveste alcun dispiacere? No, padre mio, disse, anzi ne ringraziai il Signore, mentr'egli tutto fa o permette per nostro bene. E da ciò l'Abbate conobbe la santità di questo buon religioso.

Lo stesso dobbiamo far noi, quando ci accadono le cose avverse, accettiamole tutte dalle divine mani, non solo con pazienza, ma con allegrezza, ad esempio degli apostoli, che godeano nel vedersi maltrattati per amore di Gesù Cristo: "Ibant gaudentes a conspectu concilii, quoniam digni habiti sunt pro nomine Iesu contumeliam pati" (Act 5,41). E che maggior contento che soffrire qualche croce e sapere che abbracciandola noi diamo gusto a Dio? Se vogliamo dunque vivere con una continua pace, procuriamo da ogg'innanzi di abbracciarci col divino volere, con dir sempre in tutto ciò che ci avviene: "Ita, Pater, quoniam sic fuit placitum ante te" (Matth 11,26). Signore, così è piaciuto a Voi, così sia fatto. A questo fine dobbiamo indrizzare tutte le nostre meditazioni, comunioni, visite e preghiere: pregando sempre Dio che ci faccia uniformare alla sua volontà. Ed offeriamoci sempre dicendo: Mio Dio, eccoci, fatene di noi quel che vi piace. S. Teresa almeno cinquanta volte il giorno si offeriva a Dio, acciocché avesse di lei disposto come volea.

PUNTO III

Chi sta unito alla divina volontà, gode anche in questa terra una perpetua pace: "Non contristabit iustum, quidquid ei acciderit" (Prov 12,21). Sì, perché un'anima non può avere maggior contento che di vedere adempirsi quant'ella vuole. Chi non vuole altro se non quello che vuole Dio, ha quanto vuole, perché già quanto succede, tutto avviene per volontà di Dio. L'anime rassegnate, dice Salviano, se sono umiliate, questo vogliono; se patiscono povertà, vogliono esser povere; in somma vogliono tutto ciò che accade, e perciò menano una vita beata: "Humiles sunt, hoc volunt: pauperes sunt, paupertate delectantur; itaque beati dicendi sunt". Viene il freddo, il caldo, la pioggia, il vento, e chi sta unito alla volontà di Dio, dice: Io voglio questo freddo, questo caldo ecc., perché così vuole Dio. Viene quella perdita, quella persecuzione, viene l'infermità, viene la morte, e quegli dice: Io voglio esser misero, perseguitato, infermo, voglio anche morire, perché così vuole Dio. Chi riposa nella divina volontà, e si compiace di tutto ciò che fa il Signore, è come stesse di sopra alle nubi, vede le tempeste che sotto di quelle infuriano, ma non resta da loro né leso, né perturbato. Questa è quella pace, come dice l'Apostolo, che "exsuperat omnem sensum" (Ephes 3,2), che avanza tutte le delizie del mondo, ed è una pace stabile, che non ammette vicende: "Stultus sicut luna mutatur, sapiens in sapientia manet sicut sol" (Eccli 27,12). Lo stolto (cioè il peccatore) si muta come la luna, che oggi cresce e domani manca: oggi si vede ridere, domani piangere, oggi allegro e tutto mansueto, domani afflitto e furibondo; in somma si muta, come si mutano le cose prospere o avverse che gli accadono. Ma il giusto è come il sole, sempre eguale ed uniforme nella sua tranquillità, in ogni cosa che avviene; poiché la sua pace sta nell'uniformarsi alla divina volontà. "Et in terra pax hominibus bonae voluntatis" (Luc 2,14). S. Maria Maddalena de Pazzi in sentir nominare "Volontà di Dio", sentiva talmente consolarsi, che usciva fuori di sé in estasi d'amore. Nella parte inferiore non manca di farsi sentire qualche puntura delle cose avverse, ma nella superiore regnerà sempre la pace, quando la volontà sta unita a quella di Dio. "Gaudium vestrum nemo tollet a vobis" (Io 16,22). Ma che pazzia è quella di coloro, che ripugnano al volere di Dio! Quel che vuole Iddio, si ha senza meno da adempire. "Voluntati eius quis resistit?" (Rom 9,19). Onde i miseri han da soffrir già la croce, ma senza frutto, e senza pace. "Quis restitit ei, et pacem habuit?" (Iob 9,4).

E che altro vuole Dio, se non il nostro bene? "Voluntas Dei sanctificatio vestra" (1 Thess 4,3). Vuol vederci santi, per vederci contenti in questa vita, e beati nell'altra. Intendiamo che le croci che ci vengono da Dio, "omnia cooperantur in bonum" (Rom 8,28). Anche i castighi in questa vita non vengono per nostra ruina, ma affinché ci emendiamo e ci acquistiamo la beatitudine eterna. "Ad emendationem non ad perditionem nostram evenisse credamus" (Iudt 8,27). Iddio ci ama tanto, che non solo brama, ma è sollecito della salute di ciascuno di noi. "Deus sollicitus est mei" (Psal 39,18). E che mai ci negherà quel Signore, che ci ha dato il medesimo suo Figlio? "Qui proprio Filio suo non pepercit, sed pro nobis omnibus tradidit illum, quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit?" (Rom 8,32). Abbandoniamoci dunque sempre nelle mani di quel Dio, il quale sempre ha premura del nostro bene, mentre siamo in questa vita. "Omnem sollicitudinem vestram proiicientes in eum, quoniam ipsi cura est de vobis" (1 Petr 5,7). Pensa tu a me (disse il Signore a S. Caterina di Siena), ed io penserò sempre a te. Diciamo spesso colla sacra sposa: "Dilectus meus mihi, et ego illi" (Cant 2,16). L'amato mio pensa al mio bene, ed io non voglio pensare ad altro che a compiacerlo, e ad unirmi alla sua santa volontà. E non dobbiamo pregare, dicea il santo Abbate Nilo, che Dio faccia quel che vogliamo noi, ma che noi facciamo quel ch'egli vuole.

Chi fa sempre cosi farà una vita beata ed una morte santa. Chi muore tutto rassegnato nella divina volontà lascia agli altri una moral certezza della sua salvazione. Ma chi in vita non sarà unito al voler divino, non lo sarà neppure in morte, e non si salverà. Procuriamo dunque di renderci familiari alcuni detti della Scrittura, co' quali ci terremo sempre uniti alla volontà di Dio. "Domine, quid me vis facere?". Signore, ditemi che volete da me, che tutto voglio farlo. "Ecce ancilla Domini": Ecco l'anima mia è vostra serva, comandate, e sarete ubbidito. "Tuus sum ego, salvum me fac": Salvatemi, Signore, e poi fatene di me quel che vi piace; io son vostro, non sono più mio. Quando accade qualche avversità più pesante, diciamo subito: "Ita, Pater, quoniam sic fuit placitum ante te" (Matth 11,26). Dio mio, così è piaciuto a Voi, così sia fatto. Sopra tutto siaci cara la terza petizione del Pater noster: "Fiat voluntas tua sicut in coelo et in terra". Diciamola spesso con affetto e replichiamola più volte. Felici noi se viviamo e terminiamo la vita dicendo così: "Fiat, fiat voluntas tua!".



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