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IL CELIBATO FORZOSO

Ultimo Aggiornamento: 01/09/2009 07:49
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01/09/2009 07:49

3. Mt 19,27-29: "Allora Pietro prendendo la parola disse: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito: che cosa dunque ne otterremo?”. E Gesù disse loro: In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell'Uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d'Israele”. “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna”.

 

4. Mc 10,28-30: “Pietro allora disse: “Ecco... (come in Mt 19,2 7-29). (come in Mt eccetto “insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna”.

 

5. Lc 18,28-30: “Pietro allora disse: ... (quasi identico a Mt e a Mc.).

 

6. Ap 14,4: “Questi non si sono contaminati con donne, sono infatti vergini e seguono l'Agnello dovunque va. Essi sono stati redenti tra gli uomini come primizie per Dio e per l'Agnello".

 

7. 1 Cor 7,7-9.32-34: " ... Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro. Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere...". “Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso .....”.

 

- Questi testi sono troppo chiari. La Chiesa ha sempre insegnato che il celibato piuttosto che essere il risultato dello sforzo dell'uomo è il risultato della docilità dell'uomo alla grazia di Dio.

- Certo un celibato inteso e vissuto come un peso da sopportare, inteso nel senso fisico e negativo, diminuisce la personalità.

- Ma qui parliamo di un celibato sacerdotale, scelto liberamente e inteso come segno e condizione di un amore indiviso e totale a Cristo e alla Chiesa. Questo celibato è perfettivo della personalità, meglio ancora del matrimonio.

- Possiamo ben dire che la crisi dei sacerdoti che abbandonano o vogliono abbandonare il celibato è una crisi di vocazione o, meglio, è una crisi di amore. Il loro cuore è diventato infedele: perciò diventa infedele anche la carne.

- Col Concilio di Trento, che tentava già da tempo la Riforma della Chiesa, si istituirono i seminari e il clero fu reclutato esclusivamente tra i celibi, sempre con scelta libera e volontaria, secondo le indicazioni evangeliche.

- Una ininterrotta serie di testi, sia letterari sia giuridici, ci informa della costante disciplina della Chiesa latina, la quale ha sempre esigito da tutti i sacri ministri una perfetta continenza: i coniugi non dovranno più usare del matrimonio dopo l'ordinazione; i celibi non dovranno sposarsi.

- Quando si parla di legge del celibato non si usa la espressione esatta: si tratta propriamente della legge di continenza, che, per i non coniugati, diventa, evidentemente, legge del celibato.

Su questa legge di continenza siamo informati da testi espliciti fin dagli inizi del secolo IV Poichè essi la danno come norma tradizionale, e alcuni persino di origine apostolica, non si tratta certo di una innovazione allora introdotta.

 

Tutti i testi, più che dettare una norma, prescrivono sanzioni per i trasgressori.

- Così, per esempio, il Concilio Spagnolo di Elvira del 305, nel suo canone 33, mentre richiama a "vescovi, preti, diaconi e a tutti i chierici nel sacro ministero" la proibizione di usare del matrimonio, prescrive che i trasgressori “vengano espulsi dall'ordine clericale”.

-          Così vari Concili, di Spagna e di Africa, nonchè quello di Nicea (325, can. 3).

- I Concili, Lateranense I (1123), can. 21, e il Lateranense II (1139), can. 7, introducono una nuova sanzione per i violatori della continenza celibataria: la nullità del matrimonio contratto dai sacri ministri.

- Da notare che le ragioni addotte in questi documenti sono, per lo più, di ordine spirituale e soprannaturale: quelle stesse, sostanzialmente, riproposte dall'Enciclica di Paolo VI sul celibato, e cioè la somma convenienza che chi tratta cose sacre sia libero da ogni cosa profana. E' quanto esprimeva pure papa Ciricio in una lettera ad un vescovo spagnolo (385), al quale il papa fa osservare come fosse logico il matrimonio nell'Antico Testamento, perchè per esso dovevano provvedere alla continuazione del culto divino al quale erano destinati soltanto i discendenti di stirpe sacerdotale.

Ma anche questi sacerdoti dell'A. Testa- mento non usavano del matrimonio durante il periodo nel quale, secondo il loro turno, servivano nel Tempio.

Se dunque i sacerdoti dell'A.T. erano continenti per un breve tempo, perchè per un breve tempo trattavano le cose sacre, i sacerdoti del N.T. devono esserlo sempre perchè sempre trattano le cose sacre. E se tanto esigevano le cose sacre dell'A.T., che erano soltanto l'ombra delle cose sacre del N.T., quanto più lo esigono queste! .

Tanto era sentita dalla coscienza ecclesiale la stretta connessione fra continenza e sacrificio, che fra i teologi del secolo XII-XIII, fu avanzata l'idea che neppure il papa - che può dispensare i singoli casi - avesse l'autorità di cambiare la legge generale e comune.

La legge del celibato è rimasta a regolare la vita del Clero nella Chiesa latina, che vede nel celibato uno dei modi più manifesti e più efficaci della sua testimonianza d'amore a Cristo e di dedizione ai fratelli.

Il caso delle Vergini merita una considerazione particolare.

Verso il 150 Giustino, il filosofo martire, dà come una delle caratteristiche del Cristianesimo il fatto che "molti uomini e donne dell'età dai 50 ai 60 anni, istruiti fin dalla loro infanzia nell'insegnamento di Cristo, hanno conservata la verginità (Giustino, In Apologia, XV, 6 - Storia della Chiesa, Ediz. Ist. S. Gaetano, pp. 91-92, di Michel Le Monnier O.P. Ed. Ist. S. Gaetano).

 

Nel sec. IV, come reazione ad una certa "secolarizzazione" del Cristianesimo e come richiamo al destino dell'uomo, il culto della Verginità e del celibato conosce un grande sviluppo. A coloro che chiedono perchè tanti cristiani non si sposano, Ambrogio di Milano risponde che la vita è breve e che vale più, proclamare il ritorno di Cristo con l'essere vergini o celibi "per il regno dei cieli" anzichè sposarsi e generare figli. Questa casta solitudine si organizza poi nell'istituzione monastica, con la pratica anche di altri consigli evangelici: la povertà e l'obbedienza nella vita comune (ivi p. 149).

 

S. Gregorio Nazianzeno scrive a proposito della Verginità: “Non è poca cosa essere vergini: è essere annoverati fra gli angeli, fra nature semplici, anzi, oserei dire, con Cristo il quale, anche se ha voluto nascere per somigliare a noi, è però nato da una Vergine, ed ha così sanzionato la legge della Verginità per trascinarci con sè lontano da questa vita, per farci dare un taglio netto al mondo e, più ancora, per trasferirci fin d'ora da un mondo all'altro, dalla vita presente a quella futura" (Orazione 43,62, ivi p. 175).

 

Nel secolo III, tanto in Occidente quanto in Oriente, si nota l'affermarsi del celibato del clero e, contemporaneamente, della progressiva determinazione delle norme per la scelta e la formazione dei ministri, che si distinguono sempre più dai semplici fedeli.

Dell'obbligo dei celibato si parlerà la prima volta, verso il 360: inizierà così la disciplina caratteristica della Chiesa latina.

In Oriente si continua a proibire ai diaconi e ai sacerdoti le seconde nozze e il matrimonio dopo l'ordinazione, e un sacerdote sposato non può essere vescovo (Dalla Storia della Chiesa, Ed. I.S.G., Vicenza, p. 90).

- Già nella Chiesa apostolica la Verginità o la castità "per il regno dei cieli” (Mt 19,12) appariva uno stato di vita più confacente alla ricerca della perfezione. Le Vergini formavano un gruppo a parte nell'assemblea eucaristica (ivi, p. 148).

S. Gregorio di Nissa dice che “la Verginità rende l'anima come uno specchio, che riflette la purezza divina e le permette pertanto di farsi una con Dio. L'autentico amore per la castità non ha altro scopo che di rendere possibile all'anima la visione di Dio" (ivi, p. 175).

 

La contestazione del celibato

 

Diversamente dalla Chiesa cattolica, ben si può dire che non vi fu movimento eterodosso (= eretico) il quale non ponesse nel suo programma l'abolizione del celibato sacerdotale.

 

E' dunque fatto nuovo e preoccupante quello a cui assistiamo oggi: la contestazione da parte di certi ambienti cattolici.

Solo il clima cosi perturbato dei nostri giorni, indice di un illanguidimento della fede e delle considerazioni soprannaturali, può in qualche modo spiegare come mai taluni nell'interno della Chiesa, e persino da membri del clero e della gerarchia, si venga presentando il celibato come fosse, non già legge di libertà sacerdotale, ma problema di inciampo. Di qui la necessità da parte del Magistero di ribadire la fedeltà alla legge del celibato ecclesiastico, come ha fatto Paolo VI in molteplici documenti, dall'Enciclica del'24.6.967, Sacerdotalis caelibatus, alla lettera al Card. di Stato su tale argomento (2.2.1970), in consonanza con le precise direttive del Conc. Vat. Il che dice: "Questo Sacrosanto Sinodo torna ad approvare e confermare tale legislazione" (P.O., 16).

 

In Oriente

 

La disciplina su questo punto fu diversa: e non è questo il solo punto in cui la differenza tra Oriente e Occidente dipende, per gran parte, da influsso di natura politica o extraecclesiale.

- Anche in Oriente vi sono Chiese - come quella Armena, Siriaca, Copta - che non ammettono preti sposati.

- Nella Chiesa Ortodossa la legge del celibato vige per i vescovi. Da diversi anni in qua - si può dire dalla rivoluzione del 1917 in poi - va crescendo nella Chiesa russa il movimento a favore del celibato sacerdotale.

- Anche là dove il sacerdozio viene conferito a individui sposati, mai si concede che il sacerdote rimasto vedovo, contragga nuove nozze. Anche nella Chiesa dell'Oriente, e persino nella Chiesa Ortodossa, è dunque, operante la convinzione dell'estrema convenienza del celibato con il sacerdozio.

 

Se questi sono i fatti, non sarebbe esatto mettere in causa la Chiesa Orientale come testimonianza contraria al celibato sacerdotale.

 

- Al riguardo l'Esarca di Sofia afferma: “La Chiesa latina non avrebbe nulla da guadagnare dall'ammissione al sacerdozio di uomini coniugati. Nella mia diocesi ci sono stati buoni preti sposati, ma dopo la loro morte in armonia con la volontà dei fedeli, non ne sono stati ordinati altri”.

- I vescovi della Conferenza d'Oriente confessano "... quanto sia arduo servire contemporaneamente Dio e la famiglia".

- Dialogo e rispetto delle persone si, ma chiara e ferma condivisione dell'atteggiamento dell'autorità ecclesiastica cattolica che si mostra riluttante a rinunciare a quella “gemma fulgente nel diadema della Chiesa, qual'è il celibato sacerdotale" (il Patriarca Beltriti).

- E Gandhi diceva: “E’ il celibato che conserva giovane la Chiesa latina".

- Premendo il tasto su una revisione della norma del celibato per i sacerdoti, non si corre il rischio, dopo tanto allarme per la sempre più crescente “secolarizzazione” del mondo cristiano, di arrivare alla secolarizzazione dello stesso sacerdote?" (Da Vita Pastorale, n. 11, Nov. 1989, p. 9, "Celibato e sacerdoti familiari", Sacerdote Dante Grossetti, 29010, Pianello (PC))”.

 

Lo stato di vita degli Apostoli

 

- Le indagini patristiche sono varie e contrastanti. Le affermazioni degli uni e degli altri non sono ben motivate. S. Girolamo, dal silenzio dei testi, ricava che, eccetto Pietro, tutti gli altri erano celibi. L’affermazione non è decisiva, ma non è senza valore.

Clemente d'Alessandria (+ prima del 215) attribuisce all'Apostolo Filippo le figlie di Filippo l'evangelista (= diacono) e pensa, a torto, che Paolo si rivolga alla "sua congiunta" (Fil 4,2-3).

- Eusebio ricorda le parole di Luca: "Giungemmo a Cesarea, ed entrammo nella casa dell'evangelista Filippo che era uno dei sette, sostammo presso di lui. Egli aveva quattro figlie nubili, che avevano il dono della profezia" (At 21,8-9). Qui è chiaro l'equivoco.

- Si possono segnalare analoghe confusioni per Giovanni e Giacomo. Giovanni il presbitero è stato identificato con Giovanni l'apostolo, e Giacomo, il “fratello" del Signore, con un apostolo.

- Viene così confermato che per nessun apostolo gli scritti patristici ci forniscono elementi validi d'informazione.

Non possiamo dunque che riferirci ai dati evangelici.

 

 

La rinuncia alla moglie e ai figli

 

Da nessuno dei racconti evangelici si ricava che, gli apostoli, compreso Pietro, avessero moglie e figli. Molto più positiva è invece l'indicazione implicita nell'abbandono totale richiesto da Gesù a coloro che chiamava a seguirlo: ciò comportava la rinuncia alla famiglia e al matrimonio (cf. Mt 19,16-21; Mt 19,27- 30)”. Pietro metto in evidenza la totalità dell'abbandono e quello che gli costa. E Gesù nel rispondergli lo sottolinea vigorosamente: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna" (Mt 19,27-30).

L'enumerazione di tutto quello che si lascia costituisce una novità in rapporto alla tradizione ebraica, dove l'obbligo di seguire Jahwè si limitava all'obbedienza dei precetti della Legge.

- Il lasciare i figli, non implica che i genitori devono lasciare i figli, ma della rinuncia di avere figli propri, ossia di rinunciare al matrimonio. Tale rinuncia era particolarmente sentita dalla mentalità ebraica. In Lc 18,29 è citata anche la moglie. Lasciare la moglie è complementare al "lasciare figli”.

Gesù non ha mai chiesto a nessuno di abbandonare i propri figli e non ha mai invitato nessuno a separarsi dalla moglie per seguirlo. Egli stesso aveva proclamato: “Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non separi” (Mt 19,6).

- Gesù ha citato l'ideale del celibato volontario come un aiuto alla fedeltà del matrimonio. Dopo aver affermato che l'uomo non può ripudiare sua moglie, elogia "coloro che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli" (Mt 19-12). Quindi la chiamata a seguire Gesù totalmente, può essere rivolta solo a individui liberi da ogni legame matrimoniale.

 

Il caso di Pietro (Mc 1,20-30). Sorprende che la moglie di Pietro non appaia nel racconto. Se ne deve dedurre che Pietro era libero da ogni obbligo matrimoniale.

 

Il caso di Paolo (1 Cor 7,8-9). Alle persone che si sono orientate verso il celibato e vivono non sposate, e a quelle che sono state poste da Dio in una situazione di vedovanza, Paolo raccomanda di perseverare, se possibile, in questo stato. Non si può sostenere che secondo i precetti formulati dai rabbini, tutti gli uomini ebrei si sposassero verso i 20 anni.

“Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie e si trova diviso!" (cf 1 Cor 7,32-34). Paolo rimane però realista e dice: "Se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere".

Lo stato di vita degli Apostoli dopo la Pentecoste.                                   

In 1 Cor 9,5 Paolo scrive che gli altri apostoli, i fratelli del Signore e Cefa, conducono con loro “una donna sorella”. La CEI traduce "donna credente"; la Volgata “mulierem sororem". Per un certo numero di protestanti e alcuni cattolici, l'espressione significa "sposa cristiana". Essi ritengono che "donna” (guné) abbia normalmente il senso di sposa e che nella stessa lettera S. Paolo parla di "sorella” come "sorella nella fede". (1 Cor 7,15). Paolo nella stessa lettera parla della "donna non sposata" (1 Cor 7,34), per cui non si può attribuire necessariamente alla parola gunè, donna, il senso di sposa. Inoltre anche il termine “sorella” non ha necessariamente il senso di “sorella nella fede". Il termine è associato a donna, che viene trattata come una sorella. L'intenzione dell'espressione. sembra giustamente distinguere questa donna dalla sposa. Inoltre, il diritto rivendicato da Paolo è privilegio della sua qualità di apostolo e tende a mostrare che non è un rango inferiore in rapporto agli altri apostoli.

Da parte di Paolo, come spiegare che abbia potuto rivendicare il diritto di condurre la propria moglie, lui che, non essendo sposato, augura che tutti fossero come lui?

Gli apostoli avevano seguito Gesù proprio perchè erano "liberi", cioè non avevano né moglie né figli. Gesù aveva condiviso con i discepoli la condizione di "coloro che si sono resi eunuchi per il regno dei cieli!” (Mt 19,12).

Paolo non poteva dunque affermare che Cefa e gli altri apostoli fossero accompagnati dalla propria moglie. Il diritto di condurre con loro una "donna sorella" era una contropartita del loro impegno nel celibato. Queste “donne sorelle" servivano la comunità, i discepoli. Infatti, in Lc 8,1-3 leggiamo: "In seguito Egli (Gesù) se ne andava per le città e i villaggi predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio. C'erano con Lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni" (cf anche Mc 15,40-41 e Mt 27,55-56).

 

- Tertulliano confuta l'opinione secondo la quale Paolo farebbe allusione alle spose degli apostoli: “Non ne hanno" egli dice, e come l'Apostolo Paolo parla del suo “diritto di mangiare e bere" (1 Cor 9,4), cosi si tratta "semplicemente di donne che li servivano, come facevano quando accompagnavano il Signore" (Tertulliano, De Monogamia, 8,6 CC, 2,1,240). S. Girolamo, Clemente Alessandrino, Agostino, Pelagio, l'Ambrosiaster, Primasio, Teodoreto, ecc. pensavano la stessa cosa.

 

 

Riflessioni conclusive e riassuntive          

 

- Colui che ha proclamato l'indissolubilità del matrimonio non poteva "separare ciò che Dio ha congiunto". E' logica la conclusione: gli apostoli erano tutti senza famiglia.

- La novità costituita dal celibato consacrato, come Gesù lo ha voluto, non è stata sufficientemente apprezzata in tutte le sue implicanze come non è stato compreso il rispetto delle esigenze del matrimonio secondo tutta la sua estensione.

- Le parole di Gesù, nel loro contesto, così come sono state pronunciate (cf Mt 19,27- 29; Me 10,28-30; Lc 18,28-30), potevano significare soltanto la volontà di rinunciare ad avere moglie e figli, ossia la scelta del celibato volontario.

- L'immagine dell'eunuco volontario conferma che l'impegno è totale e definitivo in vista del regno dei cieli.

- Per la prima volta - con l'associare servizio del regno e rinuncia al matrimonio - appare il legame tra sacerdozio ministeriale e celibato.

- Non é quindi sufficiente considerare il celibato sacerdotale come una semplice legge disciplinare della Chiesa. La Chiesa ha promulgato la norma del celibato per mettere in pratica - sotto la spinta dello Spirito Santo - quello che era stato vissuto da Cristo e dai suoi apostoli fin dalle origini. Gesù non ha istituito una legislazione, ma ha fondato un ideale destinato a produrre i suoi frutti nel progressivo sviluppo della Chiesa. L'idea del celibato sacerdotale per il Regno dei Cieli non era limitato ai Dodici, ma occorreva del tempo perchè l'ideale si generalizzasse nella vita sacerdotale. Una legge esplicita e imposta dall'Alto avrebbe tolto al celibato sacerdotale il carattere di dono di grazia.

- Un'altra corrente, quella proveniente dal sacerdozio di uomini sposati, come era vissuto nella tradizione ebraica, si manifestò quasi contemporaneamente (cf 1 Tm 3,2; Tt 1,5-6), per cui, nei primi secoli, vi fu un certo numero di sacerdoti sposati. Tuttavia, l'ideale fondato nel Vangelo non cessò di crescere, come notava già Tertulliano alle soglie del sec. III.

 

Non cattolico. Hai detto tante cose, ma come il solito, non hai risposto a tutte le mie obiezioni.

 

Cattolico. Se tu rileggi quello che ho scritto finora, ti accorgerai che ho risposto a tutto e

anche abbondantemente. Comunque, rileggendo le tue obiezioni posso assicurarti che:

- La Chiesa tollera che vi siano altre chiese, pure cattoliche, che non osservano esattamente il celibato sacerdotale. Tale tolleranza è dovuta a ragioni storiche e di convenienza ben vagliate dal Magistero.

- Tertulliano, come ho già detto, alle soglie del 3° sec. notava che l'ideale del celibato fondato nel Vangelo non cessò di crescere. Non si sa bene se egli tra sacerdote. S. Girolamo ammette che egli fu sacerdote; né la notizia sembra smentita dal suo libro “Esortazione alla castità". Sì, scrive anche alla moglie (in due libri) esortandola a non risposarsi se fosse rimasta vedova. Tutto ciò non contrasta con quello che ho scritto.

- Di Silvestro I, papa e santo, non si hanno molte notizie. La storia ci dice che avrebbe promulgato decreti sulla consacrazione dei vescovi, sui processi e giudizi riguardanti i chierici, ecc. Dalle mie indagini non mi risulta che S. Silvestro abbia "ordinato" che ogni prete avesse la propria moglie, anzi lascerebbe presupporre il contrario, ma anche se ciò fosse avvenuto, il fatto potrebbe essere giudicato indifferentemente perchè non apporterebbe nessuna modifica a tutte le considerazioni fatte sul celibato sacerdotale.

- E' facile che il Concilio di Nicea (325) abbia respinto la proposta di interdire il matrimonio dei preti e che il papa Silvestro I abbia approvato ciò, ma non è meno vero che lo stesso Concilio di Nicea approvò la proibizione di usare del matrimonio a tutti i chierici in sacris, prescrivendo che i trasgressori “vengano espulsi dall’ordine clericale" (Can. 3).

- Che S. Atanasio dice che ci sono vescovi o monaci sposati; che S. Gregorio Nazianzeno fosse figlio di un vescovo; che S. Patrizio fosse figlio di un diacono e che i Veneziani abbiano avuto un vescovo sposato, queste sono tutte cose comprensibili e credibili per i tempi in cui avvennero. E germe del celibato posto da Cristo e ribadito da S. Paolo si è sviluppato nonostante tutte queste vicende da me già segnalate.

- Che poi S. Paolo sconsigliasse il matrimonio solo perchè credeva imminente la fine, non sembra vero leggendo i suoi scritti e le ragioni che adduce per il celibato. Tanto più che S. Paolo diceva ai Tessalonicesi “di non lasciarvi facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente. Nessuno vi inganni in alcun modo" (2 Tes 2,1-3).

- Rileggendo le obiezioni mi pare di aver risposto a tutte e anche abbondantemente. Dalle mie risposte, ossia dalla realtà storica, dall'esperienza  e dai Sacri Testi si può ricavare che il sacerdote celibe può certamente molto di più e meglio dedicarsi al suo ministero. E si può anche dedurre che mons. Ancel, vescovo ausiliare di Lione, fa bene a non criticare i preti sposati, tra i quali se ne trovano anche di molto validi, però è bene anche tener presente che l'Esarca di Sofia, ha affermato che la Chiesa latina non avrebbe nulla da guadagnare dall'ammissione al sacerdozio di uomini

coniugati. Nella mia diocesi ci sono stati buoni preti sposati, ma dopo la loro morte, in armonia con la volontà dei fedeli, non ne sono stati ordinati altri".

Nella mia permanenza a Fabriano (1968-71), parlando un giorno con un avvocato, dei quale mi sfugge il nome, questi mi disse: “Fra Tommaso, le devo dire che io una volta mi ero convinto che forse sarebbe stato meglio che i sacerdoti fossero sposati. Ma durante l'ultima guerra io ero un capitano e combattevo sul fronte greco, lì ebbi l'occasione di osservare e di conoscere i sacerdoti sposati. Dal loro modo di agire e dal traffico nero che facevano per provvedere alla famiglia, capii che la Chiesa Romana fa molto bene ad opporsi al matrimonio dei sacerdoti".

 

Chiudo l'argomento ricordando alcuni pensieri dell'attuale papa, Giovanni Paolo II, il quale, parlando alla Congregazione per il Clero, ha detto che “il celibato è dono prezioso perla Chiesa". “Il celibato ecclesiastico costituisce, per la Chiesa, un tesoro da custodire con ogni cura e da proporre soprattutto oggi come segno di contraddizione per una società bisognosa di essere richiamata ai valori superiori e definitivi dell'esistenza". Perciò "Le difficoltà presenti non possono far rinunciare a tale prezioso dono". "Anche in altre epoche, aggiunge il Papa, ci sono stati dei momenti di difficoltà, poi superati. E quindi anche oggi occorre leggere le situazioni concrete con fede e umiltà senza privilegiare criteri di tipo antropologico, sociologico o psicologico, che mentre danno l'illusione di risolvere i problemi, in realtà finiscono per ampliarli a dismisura". "Ai giovani - continua il Papa - devono essere offerti alti ideali ed esempi concreti di austerità, coerenza, generosità e dedizione incondizionate". "Il sacerdozio è dono dall'Alto e non va considerato come una realtà puramente umana, quasi fosse espressione di una comunità che elegge democraticamente il suo pastore. I pastori, invece, vengono eletti deliberatamente dalla sovrana volontà di Dio". “E’ quanto mai urgente, in questa nostra epoca segnata da una diffusa, anche se talora non espressa, sete di valori, che i ministri dell'altare, avendo costantemente presente allo spirito la grandezza della loro vocazione, siano formati a svolgere con fedeltà e competenza il loro ministero pastorale e missionario" (Dall'Osservatore Romano, p. 5 del 23.10.93).

Il Signore vi dia pace.

   Fra Tommaso Maria di Gesù

(fine dell'argomento)

 

BIBLIOGRAFIA

 

1. Enciclopedia Cattolica. 

2. Dottrina della fede, F. Amerio, Ed. Ares, Milano.

3. Civiltà Cattolica, n. 3346, 18.11.1984

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