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Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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LA CONFESSIONE

Ultimo Aggiornamento: 01/09/2009 08:18
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01/09/2009 08:15

VIII CAPITOLO DEL LIBRO:

"MA IL VANGELO NON DICE COSI'":

 

Fascicoli dal n° 181 al n° 192

 

LA CONFESSIONE

 

A cura di frà Tommaso Maria di Gesù dei frati minori rinnovati

Via alla Falconara n° 83 - 90100 Palermo  - Tel. 0916730658

 

Continuando a leggere e a confutare il libro “Ma il Vangelo non dice così" del fratello evangelico valdese Roberto Nisbet, arriviamo al capitolo VIII nel quale viene contestato il Sacramento della Penitenza o Confessione. Con questo numero incominciamo a notare le obiezioni fatte in merito ed alle quali daremo la giusta risposta fondata, come sempre, sulla S. Scrittura, sulla storia e sulla ragione.

 

Non cattolico. Voi cattolici dite che la confessione è un sacramento istituito da Gesù Cristo, che i sacerdoti sono incaricati di assolvere i peccati e che i fedeli devono confessare i loro peccati almeno una volta l'anno. Noi invece diciamo che è stato il papa Innocenzo III, che per primo si attribuì il titolo blasfemo di "Vicario di Cristo", il quale al IV Concilio Lateranense del 1215, impose l'obbligo della confessione auricolare almeno una volta l'anno.

 

Cattolico. Noi cattolici, seguendo la S. Scrittura, la storia della Chiesa e la stessa ragione umana, rimaniamo sempre più sbalorditi di fronte alle affermazioni dei contestatori perché le loro obiezioni stravolgono, stranamente, tutte le realtà relative al Sacramento della Confessione. Una sola cosa ci appare di una certa logicità e cioè: che i nostri fratelli non cattolici, avendo ereditato dai loro “capostipiti" come sistema razionale la "protesta" contro la Chiesa cattolica, essi ne fanno largamente uso, anche irrazionalmente e forse anche senza rendersene completamente conto.

Infatti, spesso i nostri fratelli non cattolici affermano di volersi attenere strettamente alla S. Scrittura, ma poi, poiché il Cattolicesimo è tutto basato sulla S. Scrittura, e poiché essi lo contestano e lo rifiutano, "sono costretti", per una certa loro coerenza, a cercare o ad inventare ragioni per dimostrare che la Chiesa cattolica non si attiene strettamente alla Parola di Dio.

Non è difficile rispondere alle obiezioni dei non cattolici. Infatti:

 

l. Il Vangelo è molto chiaro e non ammette false interpolazioni. Esso suona così:

a) Gv 20,19-23: “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato,... venne Gesù... e disse: “Pace a voi...” Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi”. Dopo... alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi".

Non credo che occorra molto spremersi le meningi per capire che Gesù abbia voluto istituire, con queste parole, il Sacramento della Penitenza. Basta leggerle e pronunziarle devotamente per capirne l'importanza e la solennità. Non c'è dubbio: "come il Padre ha mandato me, così io mando voi". E' chiaro che agli Apostoli che ascoltano viene affidata da Gesù la stessa missione che il Padre ha affidato a Lui. Si, sono cose sorprendenti, inaudite, quasi incredibili. per la mente umana. A degli uomini viene affidata la potestà di Cristo-Dio: quella cioè di rimettere i peccati!...

 

b) Mt 16,18-29: “... E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi dei regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.

Anche qui non credo che sia necessario spremere troppo le proprie meningi. Le parole sono molto chiare e solenni e sono una promessa.

 

c) Mt 18,18: “In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo".

Sono difficili queste parole? Non mi sembra proprio, esse sono chiarissime e precise. Anche qui, come a Pietro, Gesù fa una promessa che si sarebbe realizzata.

 

Non cattolico. Ma quando si realizzò questa promessa? Dimmelo.

Cattolico. Io ti  ho citato prima Gv 20,19-23, perché Gesù con le sue parole, dopo la risurrezione, istituiva il Sacramento e, quindi, adempiva la promessa fatta a Pietro e agli altri apostoli quando disse: “tutto ciò che legherai...", "tutto ciò che legherete"... “sarà sciolto anche in cielo".

Non cattolico. Ho già detto che la storia, contrariamente a quanto affermi, ci dice che fu il papa Innocenzo III ad imporre l'obbligo della confessione, perché le parole da te citate hanno un altro significato.

Cattolico. Il dire che papa Innocenzo III, nel Concilio Lateranense IV (1215), abbia istituito il Sacramento della Penitenza è una grossolana falsità. Chi lo afferma o ignora, o vuole ignorare tutta la storia precedente in merito alla confessione. Innocenzo III non fece che disciplinarne l'uso, comandando che tutti i cristiani si confessassero almeno una volta l'anno sotto pena di incorrere in certe censure della Chiesa. Si vede chiaro che in quell'epoca molti cristiani si confessavano raramente, ed il papa intervenne giustamente.

Per far comprendere il vero significato delle parole "almeno una volta l'anno" a certi penitenti, io faccio questo discorso: "Supponi che dopo che ti sei sposato, nei primi tempi vai spesso a far visita ai tuoi genitori. Passando del tempo ci vai più raramente; dopo ancora altro tempo, fai passare dei mesi e poi anche oltre un anno senza recarti da tuo padre e tua madre. Il che provoca, certamente, dispiacere e risentimento nei tuoi genitori, i quali, rammaricati, ti dicono: “figlio mio, se tu non vieni almeno una volta l'anno a farci visita, noi non ti riteniamo più nostro figlio, né ti daremo, nella divisione dell'eredità, tutto quello che avremmo voluto darti”. A questa minaccia, tu ti decidi di andare a far visita ai tuoi genitori almeno una volta l'anno.

Ora ti domando: Un figlio che va a trovare i genitori solo una volta l'anno e di più, per non perdere alcuni beni materiali, secondo te, ama i propri genitori?

Ecco la risposta che mi è stata sempre data: "No". Un figlio che agisce cosi non ama i suoi genitori. Ebbene, concludo io, anche tu, confessandoti una volta l'anno, non ami Gesù, non ami la tua anima, sei preso principalmente, solo dalle cose materiali.

Quando la Chiesa ci dice di “confessarci almeno una volta l'anno", non ci dà un consiglio, ma ci fa una minaccia.

Non cattolico. Io, parlandoti di Innocenzo III, mi riferisco proprio alla storia. Fu lui che obbligò a confessarsi.

 

 

 

Cattolico. Della storia tu conosci solo una parte. Infatti, ignori:

 

a)     che negli Atti degli Apostoli (19,18) è scritto: "Molti di quelli che avevano abbracciato la fede venivano a confessare in pubblico le loro pratiche magiche";

b)      che l'apostolo Giovanni (1 Gv 1,9) ci dice che: "Se riconosciamo (=confessiamo) i nostri peccati, Egli che è fedele e giusto, ci perdonerà e ci purificherà da ogni colpa";

c)      che alcuni passi delle lettere paoline sembrano sottintendere la dottrina e la prassi penitenziale:

 

- 1 Cor 5,3-5: "Orbene, io, assente con il corpo, ma presente con lo spirito, ho già giudicato come se fosse presente colui che ha compiuto tale azione... nel nome del Signore... con il potere del Signore nostro Gesù, questo individuo sia dato in balia di Satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore".

 

- 2 Tes 3,14-15: "Se qualcuno non obbedisce a quanto diciamo per lettera, prendete nota di lui e interrompete i rapporti, perché si vergogni; non trattatelo però come un nemico, ma ammonitelo come un fratello".

 

- Tt 3,10-11: “Dopo una o due ammonizioni sta lontano da chi è fazioso, ben sapendo che è gente ormai fuori strada e che continua a peccare condannandosi da se stesso;

 

- 2 Cor 2,18-20. In questo passo S. Paolo è più esplicito e le parole sono abbastanza chiare e precise: "Dio ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro".

 

Non cattolico. Dal momento che tu insisti, io ti dirò che proprio un altro papa, S. Clemente I, romano, molto prima di Innocenzo III nello scrivere ai Corinzi, dice quello che diciamo noi. Ecco le sue parole: “Il Signore nulla esige dagli uomini se non una confessione fatta a Lui" (Clemente Romano, Epist. I ad Cor., 52; cit. da: H Ch. Lea, Storia della confessione auricolare e delle indulgenze nella Chiesa latina, 1911, p. 211).

 

Cattolico. Anch'io insisto e ti dirò che il Papa S. Clemente (88-97) nella sua lettera ai Corinzi (scritta nel 95) dice tante belle cose.

La lettera di S. Clemente Romano ai Corinzi è un documento storico di grande portata. “E’ un capolavoro che racchiude valori espressivi e contenuti dottrinari che da soli potrebbero costituire gli elementi di una teologia completa dell'epoca". (cf “I Padri Apostolici”, 7° Ed., Città Nuova, 5°  Vol., p. 43). A Corinto, comunità fondata dall'Apostolo Paolo, si verificarono delle sedizioni di una certa gravità al punto che i dissidenti deposero i presbiteri. Il papa Clemente interviene con tatto quasi materno per calmare gli animi. Il suo linguaggio, informato ai sensi biblici e alla realtà spirituale, tende sempre all'universale. Esorta i responsabili della sedizione a correggersi deponendo ogni superbia, e a ricordarsi su quello che comporta il nome santo e glorioso di cristiano.

Fatta questa premessa, la frase da te citata suona propriamente così: “Fratelli, il Signore dell'universo non ha bisogno, non cerca nulla da nessuno tranne che si faccia a Lui la confessione" (52, 1).

Prima di scrivere queste parole, in 51,3 dice: "E' meglio per l'uomo confessare le sue colpe che indurire il suo cuore..."

Seguendo sempre la lettera-omelia di Clemente in 57,1-2 scrive: “Voi che siete la causa della sedizione sottomettetevi ai presbiteri e correggetevi con il ravvedimento, piegando le ginocchia dei vostro cuore. Imparate ad assoggettarvi deponendo la superbia e l'arroganza orgogliosa della vostra lingua. E' meglio per voi essere trovati piccoli e ritenuti nel gregge di Cristo, che avere apparenza di grandezza ed essere rigettati dalla sua speranza”.

In queste ultime frasi è difficile vedervi soltanto un’esortazione a sottomettersi ai sacerdoti: è più facile vedere nelle parole di Clemente un chiaro riferimento alla Confessione, perché è propriamente questa la dottrina cattolica del Sacramento della Penitenza.

Il monito che talora si legge nei Padri, di confessare i peccati solo a Dio, quando non si riferisca alle colpe quotidiane che si possono espiare con la preghiera (cf Agostino, D e Symbolo, sermo I ad catechumenos, 7,15; Serm., 9,11), indica la confessione da farsi in segreto, in opposizione a quella pubblica (cf G. Crisostomo, De Lazaro, Hom., 4,4); e ciò con tanta più ragione in quanto, temendo i Padri che nella riconciliazione del peccatore il sacerdote agisce come strumento e ministro del Signore (cf Ambrogio, De paenit., 1, 8934-37; , Paciano, Epist., 1,6 e 3,7; Crisostomo, In Joan. hom., 87,4) potevano essi con ragione, fermando la considerazione sull'agente principale, parlare della Confessione come se dovesse farsi solo a Dio.

In realtà, che la Confessione fatta a Dio non escludesse l'intervento del sacerdote è confermato sia dalle esortazioni, che si leggono negli scritti dei Padri, rivolte al ministro della confessione, perché accolgano benevolmente i peccatori; sia dalla preoccupazione costante che gli stessi Padri manifestano di essere ministri idonei della penitenza, con il sanare le malattie (= peccati) dei fedeli che mediante la Confessione venivano loro manifestate, e con il proporzionare la penitenza alla diversa specie dei peccati

(cf Cipriano, Epist. 59, 15-16; Paciano, Paraenes. ad paenit., 8; Gregorio di Nazianzo, Orat. 2 Apologetica, 16-33; Crisostomo, De Sacerdotio, 2, 24).

 

Non cattolico. Io sto alle parole dette da.papa Clemente, esse sono inequivocabili:

“Il Signore nulla esige dagli uomini se non una confessione fatta a Lui".

 

Cattolico. So bene che il non cattolico, quando può, si attacca ad una frase, ad una parola, pur di difendere le sue opinioni, ma la storia è storia e bisogna tenerne conto ed ascoltarla.

 

Non cattolico. Io ti sto ascoltando. Hai finito?

 

Cattolico. Sulla storia della Confessione ho ancora da riferirti molte cose.

Anzitutto voglio dire, come risulta dalla storia e dalla logica, che l'istituzione del Sacramento della Penitenza, per il suo carattere psicologico e giudiziario, fu in grado di adottare costantemente, nel corso dei secoli, la procedura voluta dalla durezza dei costumi oppure dalla sensibilità religiosa del tempo. Il diritto di rimettere o di ritenere i peccati, di accordare o rifiutare al fedele la partecipazione all'Eucaristia attuò ancora una volta la legge, che si verifica tanto spesso nel Cattolicesimo, della continuità del principio nel multiforme sviluppo della vita feconda e generosa. Certamente il potere delle chiavi è rimasto quale lo aveva istituito Gesù Cristo; e tuttavia, salvando tale sostanza, come dice il Concilio di Trento, si conformò ai diversi bisogni delle anime, ai diversi climi e alle successive civiltà. Diventò un metodo, un’educazione, un'ascesi; e, ogni volta che fu necessario, assunse una forma nuova, imprevista, utile, benefica. E per aver dato la pace a tante e cosi varie coscienze, non è invecchiato e continua a piegarsi alle nostre esigenze spirituali al fine di soddisfarle.

La Chiesa, forse un pò spaventata dai propri diritti, forse un pò stupita che “Dio avesse dato un tale potere agli uomini” pare esitasse a servirsi troppo spesso di un'arma nuova e tagliente.

Le coscienze di allora, tanto fervide quanto semplici, forse non avevano ancora bisogno di cure troppo speciali. Venivano dal mondo giudaico e da quello romano e nessuno dei due era pronto per fare esami di coscienza particolareggiati. La ragione giudaica più fedele che tenera, più esatta che inquieta, conosceva "il cuore contrito e umiliato", ma ne esponeva i dettagli solo a Dio; riposava più sopra un largo fondamento di speranze nazionali e religiose, su un dogmatismo duro e irriducibile, un proselitismo implacabile che non sopra delicatezze mistiche e confessioni precise, e se soffriva di scrupoli erano troppo spesso scrupoli di farisei. Quanto ai Gentili, Greci e Romani nulla li disponeva direttamente a quello che noi chiamiamo Sacramento della Penitenza, o Confessione o Riconciliazione.

Gli antichi solo a stento manifestavano le loro anime, che d'altronde conoscevano appena. Il Cristianesimo, perseguitato per oltre tre secoli, non, aveva ancora iniziato il grande lavoro per far rientrare le anime nella loro interiorità. La religione rimaneva un dovere o un'estasi, una fede o una morale; sotto le pressione del Vangelo essa doveva divenire un'ascesi e una confidenza, un esame e una confessione. Il Sacramento avrebbe attuato il grande cambiamento, e finché non fosse compiuto, s'accontentava di abituare il fedele a rendere conto davanti alla comunità delle grandi linee della sua coscienza.

In quell'epoca la Penitenza è soprattutto una liturgia, lunga e austera, monotona e un pò teatrale; colpiva soprattutto i sensi esteriori.

Nei secoli successivi soprattutto il progresso dell'ascetismo volgarizzò ed estese l'uso della istituzione penitenziale: medicina severa per i peccatori, diventò a poco a poco un rimedio preventivo per le anime ferventi. Da sanzione disciplinare qual'era e rimase, divenne un esercizio ascetico. L'evoluzione probabilmente è dovuta ai monaci. Crebbe il numero di coloro che si accostavano al sacramento, che però dovette farsi più discreto; per essere frequentato, dovette farsi meno visibile. Era l'epoca in cui la spiritualità occidentale, erede delle esperienze religiose che avevano sovvertito e poi pacificato la grande anima di Agostino, si metteva per sempre alla scuola di questo grande penitente il quale aveva avuto il sentimento del peccato più di tutti i Padri anteriori (cf Enciclopedia Apologetica, Ed. Paoline, V Ediz., pagg. 508-509.)

 

Non cattolico. Io ti ringrazio per tutte queste belle notizie che mi dai, però esse sono piuttosto parole e opinioni, mentre io ti chiedevo una storia più concreta e documentata sulla confessione.

 

Cattolico. Non pensare che quanto ti ho detto finora sia opinione e basta. Nel riferirti certi giudizi ho anche fatto delle citazioni di autori ben noti tra i Padri della Chiesa, come Agostino, Ambrogio, Paciano.

Rispondendo alla tua richiesta di storia documentata, ti segnalo quanto appresso.

a) Che la Chiesa antica abbia avuto in uso la Confessione, risulta dalle seguenti constatazioni.

E' noto che la penitenza era determinata dal sacerdote, il quale, prima di imporla, doveva tener conto della natura e della gravità della colpa, delle condizioni personali del reo, delle circostanze in cui era stato commesso il peccato. Viene attestata tale prassi, tra gli altri, da Agostino (Serm., 351,9), da Innocenzo 1 (Ep. ad Decentium, 7), da Gregorio Magno (In Evang. hom., 26). Ma evidentemente ciò supponeva l'uso della confessione da parte del penitente. Difatti, tale previa confessione è ricordata da papa Cornelio (251-253) scrivendo della riconciliazione da lui fatta di alcuni novazionisti (Ep. Cornelii ad Cyprianum: PL 3,718-22). E' ricordata dalla Didascalia degli Apostoli in occasione del diverso modo in cui venivano riconciliate alcune determinate specie di peccatori (2,16-18; 38-41; 42-43).

Cipriano, poi, ci fa sapere che alcuni fedeli, pur avendo solo pensato di sacrificare agli idoli, tuttavia "confessando ciò con dolore e semplicità ai sacerdoti di Dio, fanno l'esame della coscienza, manifestano il peso dell'anima loro, cercano un rimedio salutare alle ferite" (De Lapsis, 28). Il che dimostra come anche dei peccati commessi solo internamente ora in uso fare la confessione.

Da parte sua, Tertulliano, già montanista, ci attesta la consuetudine dei fedeli di ottenere dal vescovo il perdono dei peccati meno gravi e più facile a commettersi (De Pud., 18,17; 19,23-24): evidentemente dopo che il vescovo ne ha avuto notizie mediante la confessione.

Né sono infrequenti le recriminazioni dei Padri contro quei fedeli, i quali, mentre confessano al sacerdote i propri peccati, tuttavia si astengono poi dal fare la penitenza che viene loro imposta. Così, per es., Ambrogio (De paenit., 2,9.86 e 10,91), Paciano (Paraenesis ad paenit., 8), Asterio di Amasea (Hom.: PG 40,368).

 

b) Alla prassi dei fedeli di confessare i propri peccati dà saldo fondamento dottrinale l'insegnamento dei Padri e degli scrittori ecclesiastici sulla necessità della confessione. Esplicita, infatti è la loro affermazione che, per la remissione dei peccati è dei tutto richiesta la confessione al sacerdote: cf Cipriano: “Confessi ciascuno il proprio delitto, mentre chi peccò è ancora nel mondo, mentre può ammettersi la sua confessione, mentre la soddisfazione e la remissione per opera dei sacerdoti è grata presso il Signore" (D e Lapsis, 29); Origene (11n Levit. homil., 3,4); Ambrogio di cui è detto: “Il peccato è veleno, il rimedio è l'accusa dei proprio crimine; veleno è l'iniquità, la confessione è il rimedio della caduta" (In ps., 27,11); Girolamo, il quale afferma che è ufficio dei sacerdoti della Nuova Legge legare e sciogliere, non già ad arbitrio, ma solo “dopo udite la varie specie dei peccati” (In Matth., 3,16,19); Agostino (Serm., 351,10); Leone Magno, il quale scrive che la norma della Chiesa è di concedere la penitenza solo a quanti confessano le proprie colpe (Epist., 108,2).

 

c) Ma in altro modo ancora insegnano i Padri la necessità della Confessione; e cioè, con il descrivere il processo penitenziale in analogia o alla risurrezione di Lazzaro o alla guarigione delle malattie corporali.

Come a Lazzaro fu detto “Vieni fuori" (Gv 11,43) e quindi fu sciolto dalle fasce che lo tenevano legato, così è necessario che il peccatore metta fuori, cioè, manifesti le sue iniquità mediante la confessione, perché possa essere quindi sciolto dai ministri della Chiesa: cf Ambrogio (Depaenit., 2,7,57-58); Agostino (Enarr. in ps, 10 1, 2, 3; Serm., 67, 1,2; In Joan. tract., 22,7).

Inoltre, come per ottenere la guarigione dal medico bisogna innanzitutto fargli conoscere la malattia, così per essere guarito dal peccato bisogna manifestarlo al sacerdote con la confessione: cf Origene (In Ps., 37, hom., 2,6), Afraate (Demonstr., 7: De paenitentibus, 2-3).

 

d) E' da rilevare che nella Chiesa antica la cosa più grave ed impressionante che costituiva la maggiore difficoltà per il peccatore, non era l'accusa dinanzi al sacerdote, ma la penitenza. Tanto è vero che parecchi si confessavano, chiedevano ed ottenevano la       penitenza, ma poi non avevano il coraggio e la forza di compierla.

Si comprende allora che i pastori di anime insistano tanto sulla penitenza e poco sulla confessione: contrariamente a quanto avviene oggi, quando, costituendo la manifestazione dei peccati, per molti cristiani, l'ostacolo principale, è su di essa che insiste la predicazione, senza peraltro pensare che la Chiesa non richieda più la penitenza o la contrizione del cuore.

Che poi i Padri intendevano per confessione la manifestazione dei peccati al sacerdote, si deduce dall'insistenza cori la quale essi inculcano che la confessione deve essere fatta in Chiesa, deve essere orale, deve riguardare i singoli peccati, né deve lasciarsi il peccatore vincere dal timore di arrossire nello svelare le proprie iniquità (cf Ambrogio, De paenit., 2,7,57; In ps., 37,57; Crisostomo, Hom. 2 de paenit., 1; De Lazaro, hom., 4, 4; Hom. non esse ad gratiam contionandum, 3): ammonizioni queste che non si comprenderebbero qualora si trattasse di confessione fatta solo a Dio, come ho già detto precedentemente (cf Enc. Cattolica) .

 

Non cattolico. Hai finito con la storia?

 

Cattolico. Credo di aver detto tanto quanto basti a dimostrare sufficientemente che la Confessione va fatta, si, a Dio, ma tramite il ministro designato, e che Innocenzo III non fu lui a stabilire la confessione dei peccati, ma ne regolò alcune norme.

 

Non cattolico. Io ho ancora da farti presenti molte cose sull'argomento della confessione.

a) Dalla storia sappiamo invece che il colpevole di qualche scandalo o peccato doveva umiliarsi a confessare pubblicamente quella sua colpa, e non certo tutti i suoi peccati.

b) Dopo le persecuzioni, molti cristiani che avevano avuto la debolezza di abiurare, domandavano di essere riammessi alla Chiesa. Si trovò, allora più pratico, anziché far comparire costoro davanti a tutta l'assemblea, di delegare un penitenziere ad ascoltare i penitenti. Era naturale che, contemporaneamente alla istituzione dei penitenzieri, i fedeli si confidassero con i loro ministri. Questi cominciarono a dire che la pratica è buona, anzi consigliabile. Ma quando, nel 1215, il papa Innocenzo III decretò l'obbligo della confessione, sollevò l’opposizione più violenta del popolo” (H CH. Lea, Storia della confessione auricolare e delle indulgenze nella Chiesa latina, 1911, p. 211).

 

Cattolico. Ho già detto precedentemente che il Sacramento della Penitenza, dato il suo peculiare complesso, ha avuto una importante evoluzione. Ciò non toglie nulla alla istituzione fatta da Cristo con molta chiarezza e precisione. I documenti storici, che abbiamo a disposizione, ci persuadono di tale sviluppo.

D'altra parte, le parole di Gesù presentano la missione che Egli sta per affidare ai discepoli come una continuazione di quella che il Padre ha affidato a Lui: "Come il Padre ha mandato me, cosi io mando voi". L'investitura è espressa col gesto simbolico dell'alitare su di loro, quasi comunicando il suo stesso spirito che è lo Spirito Santo. In forza della vita del Cristo e della potenza dello Spirito in loro, essi continueranno a fare quello che Gesù ha fatto: rimettere i peccati. Gli ascoltatori non potevano sbagliarsi: né potevano dubitare dell'efficacia nell'ordine invisibile e spirituale a quel modo con cui di altre parole di Gesù avevano constatata l'efficacia nell'ordine visibile e materiale. Gesù ha rimesso. i peccati: per questo fu mandato dal Padre. Anche essi rimetteranno i peccati: per questo sono mandati dal Figlio.

La Chiesa apostolica e la Chiesa primitiva subito così intesero e così praticarono. Negli Atti si dice che “molti di coloro che avevano creduto venivano a confessare e a manifestare quanto avevano fatto" (At 19,18). Giacomo nella sua lettera pone questa esortazione: “confessate l'uno all'altro i vostri peccati e pregate gli uni per gli altri, affinché siate guariti" (5,16). S. Giovanni nella prima lettera afferma: "se noi confessiamo i nostri peccati, Egli (Dio) è fedele e giusto per rimetterci i nostri peccati e purificarci da ogni iniquità" (1,9). Da quanto detto, pur non potendo sostenere una testimonianza esplicita della confessione sacramentale, resta non di meno incontestabile che questi testi suppongono una società nella quale il loro significato fosse ben accessibile, esprimendo una prassi consueta: manifestare ad altri le proprie colpe per ottenere da Dio il perdono.

Il passo di S. Giovanni poi attesta un punto importantissimo della dottrina cristiana: nessuna specie di peccati è esclusa dalla possibilità di perdono: Dio può “rimettere tutti i nostri peccati e purificarci da ogni iniquità"; tutti, ossia in qualsiasi numero; ogni iniquità, ossia di qualunque specie. Nessun limite all'infinita misericordia di Dio: né limite quantitativo, né limite qualitativo.

Parlando della storia e della tradizione, già ho segnalato il pensiero dei SS. Padri. Da tener presente che S. Cipriano e il papa Cornelio sono della metà dei "duecento". La Didaché, invece, è dei primo secolo (circa il 90): essa invita i fedeli a celebrare, di domenica, il sacrificio eucaristico “dopo di avere confessati i vostri peccati". S. Ignazio martire (circa il 107) ai fedeli di Filadelfia scrive che "il Signore perdona a coloro che si ravvedono, purché il loro pentimento li riconduca all'unità di Dio e alla comunione con il vescovo". Nel secolo II ci sono testimonianze più esplicite, come quella di Dionigi di Corinto che raccomanda - in una lettera circolare ad alcune chiese e alcuni vescovi del Ponto - di “accogliere coloro che si convertono da qualsiasi peccato o delitto o anche da uno sviamento eretico". Queste parole ci fanno entrare nel vivo delle controversie che dovevano, nei secoli II-IV, travagliare la Chiesa a proposito del sacramento della penitenza.

A metà del II secolo si abbozzò una tendenza rigorista che per distogliere dal peccato il battezzato, gli minacciava preclusa ogni via al perdono: già sei stato perdonato nel battesimo, come puoi pretendere di essere perdonato ancora un'altra volta? Non é ben chiaro se costoro intendessero contestare alla Chiesa l'uso della confessione o anche il potere di confessare, il potere cioè di rimettere i peccati.

Contro questa corrente ci rimangono due documenti insigni: un lungo scritto intitolato Il Pastore, scritto da Erma, fratello del papa S. Pio I. Siamo verso il 150. Gran parte dello scritto è inteso proprio a rivendicare la liceità della confessione, ossia di un mezzo sacramentale di remissione dei peccati dopo il battesimo. L'annuncio è proposto con circospezione e cautela, forse per non urtare troppo rudemente la coscienza dei rigoristi bene intenzionati: si afferma cioè l'unicità della confessione: dopo il battesimo si dà la confessione, ma per una sola volta.

La stessa rivendicazione, con lo stesso limite, fa Tertulliano nella sua opera intitolata appunto "De paenitentia".

Eppure il Vangelo è così chiaro: "Quante volte dovrò perdonare - chiese Pietro a Gesù - al mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: "non fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette" (Mt 18,22). Se l'uomo deve perdonare sempre, Dio non perdonerà sempre? Non credo che la generosità dell'uomo dovrà essere più grande di quella di Dio!

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