QUESTO FORUM E' CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO... A LUI OGNI ONORE E GLORIA NEI SECOLI DEI SECOLI, AMEN!
 
Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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LA CONFESSIONE

Ultimo Aggiornamento: 01/09/2009 08:18
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01/09/2009 08:15

La crisi rigorista del secolo III. All’inizio di questo secolo (circa il 220) si accese un'altra controversia a proposito della specie dei peccati da assolvere. I rigoristi deviarono in una eresia, il montanismo, cui aderì anche Tertulliano. Essi pretendevano irremissibili i più gravi peccati carnali: in un secondo momento credettero irremissibile anche il peccato di apostasia. Il papa S. Callisto, con un suo provvedimento, prescriveva di assolvere tali peccati da chiunque fossero commessi, anche da un presbitero.

Contro quest'ultima parte del decreto insorse anche Ippolito, prete romano, più tardi antipapa, il primo antipapa che la storia conosce. Il decreto papale ribadiva dottrina e prassi sempre tenute dalla Chiesa di Roma: il potere delle chiavi riguardante ogni specie di peccato. Né invero Tertulliano disconosceva aver Cristo dato a Pietro il potere di rimettere ogni peccato: ma pretendeva o che tale potere non fosse trasmissibile, o che non convenisse usarne senza eccezione.

Per il peccato di apostasia, che prese più grandi proporzioni in un secondo momento e durò più a lungo, molti si rifiutavano, opponendo all'apostasia la resistenza, le sofferenze, di quelli che si erano tenuti fedeli sino al martirio. Il perdono e la remissione non era forse un'ingiuria per i martiri? Anche qua i rigoristi finirono in una eresia: l'eresia dei novaziani, che contestava alla Chiesa lo stesso potere di assolvere. A difendere dottrina e prassi romana scese in campo il vescovo di Cartagine  S. Cipriano.

Dalla fine del secolo III si può considerare superato il periodo di controversie teoriche e di incertezze pratiche: ormai la dottrina e la prassi, sempre vive in Roma, diventarono la dottrina e la prassi universali. Ogni peccato è remissibile senza limite alcuno, purché - evidentemente - vi siano le condizioni soggettive ed oggettive per le quali il sacramento sia valido e lecito.

E' da notare che anche i rigoristi, i quali negavano o il potere o l'opportunità di assolvere da certi peccati, non è che condannassero il peccatore alla perdizione eterna: anche se volevano che la Chiesa non l'assolvesse neppure nel punto di morte, protestavano tuttavia di affidare il peccatore alla misericordia di Dio. La Chiesa intanto che rifiutava il suo officio di mediazione efficace, avrebbe offerto il suo officio di efficace impetratrice.

I vari atteggiamenti dei rigoristi potevano con qualche plausibilità rifarsi ai testi neotestamentari e cioè:

 

- Atti 15,20 dove il concilio degli Apostoli tenuto a Gerusalemme nel 54, deliberò di non sottoporre i gentili, che volevano farsi cristiani, alle obbligazioni della legge mosaica, ma di invitarli tuttavia ad "astenersi dalle contaminazioni degli idoli, dalla fornicazione, dagli animali soffocati e dal sangue".

 

- Eb 6,5-6, dove è scritto: "essere impossibile che coloro i quali sono stati una volta illuminati e cioè battezzati - e hanno mangiato l'Eucaristia, e hanno ricevuto lo Spirito Santo, e poi sono caduti nel peccato, si rinnovellino un'altra volta a penitenza" (forse qui impossibile" è uguale a "molto difficile").

 

- In Mt 12,32 (cf anche Mc 3,29; Lc 12,10) si parla della irremissibilità della bestemmia contro lo Spirito Santo, e nella 1° lettera di Gv (5,16), si parla di peccati che conducono alla morte... Questi testi non sono certamente molto chiari, e perciò si comprende come agli inizi della riflessione cristiana, agli inizi del cammino esegetico, essi dovessero pesare sulla dottrina e sulla prassi penitenziale. Così Origene, in un passo del De oratione parla di peccati insanabili, pure affermando il potere della Chiesa di rimettere ogni peccato. Persino S. Cipriano parla di irremissibilità della bestemmia contro lo Spirito Santo, la quale molto probabilmente è da intendersi così: L'uomo è scusabile se si inganna sulla dignità divina di Gesù, velata dalle umili apparenze del “Figlio dell'uomo", ma non lo è se chiude gli occhi e il cuore alle opere evidenti dello Spirito. Negandole, egli rigetta la proposta suprema che Dio gli fa e si mette fuori della salvezza (cf Eb 6,4-6; 10,26-31).

Ai rigoristi passati e futuri, possiamo indicare il comportamento di Gesù il quale guarisce ogni male e ogni peccato: neppure la morte è di ostacolo alla sua potenza.

 

I rilievi fatti finora sulla base dei documenti storici ci persuadono che, se un sacramento è profondamente evoluto nei secoli, specialmente nei primi secoli, questo è il sacramento della penitenza. Dando uno sguardo riassuntivo a quanto (molto poco, perché non ho parlato degli elementi che lo compongono: l'accusa dei peccati, il dolore dei peccati con il proposito di non più peccare, la soddisfazione... il giudizio del confessore, la penitenza...) ho detto di questo sacramento, l'animo si riempie di gioia riconoscente: il nostro Dio è veramente il Dio della Misericordia; e noi siamo veramente, secondo l'espressione paolina, “i vasi di misericordia", i vasi che Egli ama riempire con la pienezza della sua misericordia, perché li ha "preparati per la gloria" (Rm 9,23).

 

Non cattolico. Mi sembra che ti stai dilungando su fatti e circostanze superflui.

 

Cattolico. Tutt'altro. Io sto rispondendo alle tue affermazioni secondo le quali la confessione sarebbe nata dalla istituzione dei penitenzieri: io voglio dimostrarti, invece, che la prassi della confessione ha avuto origine fin dai tempi apostolici. L'accusa dei peccati è uno degli atti del penitente costitutivi del sacramento. Non mancò mai nella Chiesa tale pratica, anche se la storia ci documenta maniere diverse di intenderla e di praticarla. Gli scarsi documenti che abbiamo dei primi secoli ci parlano abbastanza largamente di una penitenza, pubblica che includeva, però, anche il riconoscimento del proprio peccato, soprattutto se peccato pubblico. Autorevoli studiosi ritengono che fosse in uso, fin da allora, anche l'accusa aperta. La cosa sembra molto plausibile anche solo in rapporto alla penitenza pubblica. Modalità e tempi di tale pubblica penitenza venivano infatti determinati solitamente dal Vescovo. Egli dunque doveva conoscere le colpe per potervi proporzionare la penitenza. Dalla storia si sa che, almeno in Oriente, ad un dato momento venne istituita la carica del presbitero penitenziere, proprio per ricevere l'accusa. Secondo gli storici greci tale carica fu istituita ai tempi di Decio (metà del sec.III) e forse anche prima. Si può ritenere che quando S. Leone Magno, nel 459 scrive ai Vescovi della Campania che “le colpe della coscienza basta che siano manifestate soltanto ai sacerdoti in una confessione segreta" (D.B. 145), non facesse altro che sancire una prassi che ormai si era imposta universalmente. Il passo di Leone Magno non solo testifica l'uso della confessione segreta, confessione auricolare, ma che il ministro di tale confessione è solamente il sacerdote. Teniamo sempre presente che quando fu istituito il sacerdote penitenziere (metà del III sec.), ci imbattiamo in documenti contemporanei, come quelli di papa Cornelio (251-253) che parla della riconciliazione da lui fatta di alcuni novazionisti, e di S. Cipriano che scrive (in De Lapsis) che i fedeli "si confessano con dolore e semplicità ai sacerdoti... manifestano il peso della loro anima e cercano rimedio salutare alle loro ferite"; mentre la Didachè, che è del primo secolo, invita i fedeli a celebrare di domenica il sacrificio eucaristico "dopo di aver confessati i vostri peccati”. E ricordiamo ancora S. Ignazio (107 circa) il quale scrive ai fedeli che "il Signore perdona a coloro che si ravvedono, purché il loro pentimento li riconduca all'unità di Dio e alla comunione con il vescovo".

Con tutte queste parole, che a te sembrano fatti e circostanze superflui, io voglio dimostrarti che le deduzioni da te ripetute e avanzate già prima di te dal prof. Henry Charles Lea (1-5-1909) sono soltanto supposizioni di un protestante. Si sa che il Lea, nato e cresciuto protestante, trattando la storia, specialmente religiosa, esprime giudizi e valutazioni non equamini dei fatti che racconta. Pubblicò pure la Storia della confessione auricolare e delle indulgenze nella Chiesa latina in tre volumi, “nei quali il preconcetto religioso impedisce all'autore ogni oggettività di giudizio”. Questo è quello che dice di lui la storia (cf Enc. Cattolica). Credo che questo basti per dirti che sono i tuoi preconcetti a farti rifiutare tante verità della fede cristiana.

Non cattolico. Dici quello che vuoi, ma io ti ripeto che in un primo momento la confessione era pubblica e basta.

Cattolico. lo non ho negato che ci fosse una confessione anche pubblica, ti ho detto però che il sacramento della penitenza, data la sua importanza e tutto quello che comporta nella Chiesa e nei singoli fedeli, ha avuto uno sviluppo e una evoluzione notevole. Ti dico anche che il carattere pubblico aveva una duplice finalità: da una parte era di eloquente ammonimento a tutti i fedeli, dall'altra interessava alle sorti dei penitenti tutta la comunità: tutta la Chiesa gemeva e pregava per essi. Questa pubblica penitenza - che importava pratiche anche assai gravi, come lunghe orazioni, ripetuti digiuni, vestire in un certo modo, non servirsi di privilegi anche nella vita civile, e persino non usare il matrimonio - poteva protrarsi anche per anni. Era stabilita dal vescovo in base alla gravità della colpa: si trattava per lo più di colpe pubbliche, soprattutto se scandalose. Dopo tutto quello che ho detto sulla evoluzione del Sacramento della Penitenza, non fa meraviglia che la Chiesa al momento giusto (es.: Conc. Lateranense, Conc. di Trento ... ) sia intervenuta a regolare e a precisare tanti elementi componenti il Sacramento stesso.

Non cattolico. Devo farti notare ancora una cosa molto importante, e cioè che le parole che la Chiesa cattolica prende a pretesto per imporre la confessione hanno un ben diverso significato.

Cattolico. Desidererei sapere quali sono le parole che la Chiesa prende a pretesto per imporre la confessione e qual'è il loro vero significato.

Non cattolico. Le parole sono quelle da te citate precedentemente, e cioè: “A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi li riterrete saranno ritenuti" (Gv 20,23); e queste altre: “A te darò le chiavi del regno dei cieli; e tutto ciò che avrai legato sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che avrai sciolto in terra sarà sciolto nei cieli" (Mt 16,19).

 

Cattolico. Il significato di queste parole di Gesù è troppo chiaro. Le parole sono semplici e solenni e non credo che possano ammettere equivoci.

 

Non cattolico. Il vero significato è questo: "Quando un cristiano annunzia l'Evangelo della grazia, egli scioglie le anime dai loro peccati, non certo per una sua particolare capacità, ma per la potenza della predicazione cristiana. Se però le anime che ascoltano non accettano l'Evangelo, esse rimangono legate, vincolate al loro peccato. Non si tratta quindi di un "perdonare", "rimettere i peccati", "sciogliere" per iniziativa di un uomo. Chi ha diritto di perdonare non è l'uomo, ma solo Dio. I credenti hanno unicamente ricevuto la missione di essere ambasciatori di Dio, e l'annunzio del perdono è sanzionato da Dio in una sentenza di grazia o di condanna, a seconda che gli uditori l'ascoltano o la respingono".

 

Cattolico. Non ti nascondo che ti sto ascoltando trasecolato!... Mi rendo sempre più conto delle disastrose conseguenze dell'interpretazione arbitraria e personale che vige nel protestantesimo. Dopo queste parole che ho ascoltato io comprendo sempre più chiaramente gli effetti deleteri delle parole di Lutero che invita il credente a dover sentire "nell'intimo del cuore che questa e proprio questa è la Parola divina" per essere sicuro!... Oppure, come dice E. Comba, che “Tutti i fedeli possono ed hanno diritto di interpretare le S. Scritture", e che "Sempre avviene una rivelazione divina nella coscienza umana religiosa, la quale è pertanto l'organo della rivelazione divina, non ve ne sono altri". Oppure, ancora, quello che ha detto un altro protestante: "Per avere la certezza di quello che indichi e voglia la Parola di Dio, dobbiamo decidere da noi stessi e scegliere ciò che soddisfa la nostra ragione...". Questi pensieri, come ben ricorderai, li ho ripetuti già diverse volte con tutti i relativi riferimenti, ma si vede che i protestanti, in preda ai pregiudizi, sacrificano - forse involontariamente o senza accorgersene - l'uso della retta ragione.

 

Non cattolico. Come puoi sostenere che un uomo possa prendere il posto di Dio? Questa è una bestemmia! ...

 

Cattolico. Infatti, anche gli scribi e i farisei dicevano di Gesù la stessa cosa quando asseriva di rimettere i peccati: "Egli bestemmia". Essi non credevano alla divinità di Gesù, e potevano anche essere scusati, ma molti non cattolici dicono di credere in Gesù, vero uomo e vero Dio; come mai poi non credono alle sue parole e vogliono dar loro un significato diverso da quello che hanno?

 

Non cattolico. Sì, io credo fermamente alla divinità di Cristo, ed è proprio per questo che non posso ugualmente credere che degli uomini possano sostituirsi a Dio.

 

Cattolico. Non voglio ripetere per l'ennesima volta le stesse cose. Le parole di Cristo sono chiarissime: "come il Padre ha mandato me... così io mando voi ... a chi rimetterete  ... sarà rimesso ed a chi non rimetterete i peccati saranno ritenuti”.

Questa è la grande misericordia di Dio, la sua immensa bontà: Egli ha delegato i ministri della Sua Chiesa a compiere e svolgere il Suo ministero. Perciò la Chiesa è il Corpo di Cristo, la sua Sposa, Colonna e sostegno della verità. Il non cattolico vuole pensare e credere contro l'evidenza delle parole di Cristo, contro la vita e la realtà dei fatti della Chiesa fondata da Cristo. Ma tutto ciò è invenzione umana.

 

Non cattolico. Interpretazione umana è tutto ciò che ha inventato la Chiesa. E devi darmi conto di queste invenzioni umane, perché mi hai promesso che oltre alla S. Scrittura e alla storia mi avresti provato anche con argomenti di ragione la pratica della confessione così come viene vissuta nella Chiesa cattolica.

Ecco, i non cattolici hanno potuto constatare che la confessione - com'è insegnata nella Chiesa romana - è responsabile dell'errato concetto di peccato, che viene considerato nelle sue singole manifestazioni esteriori e non nella sua natura. Così l'individuo si confessa al prete, distinguendo fra peccati "veniali" (che si possono tacere) e peccati "mortali", fra la bugia e l'assassinio, fra il peccato di gola e l'adulterio e via dicendo. Così si ignora il problema di fondo, che è quello della nostra natura corrotta, e si dimentica che i singoli peccati (veniali o mortali, che dir si voglia) non sono che delle manifestazioni secondarie del primo e vero peccato, cioè della nostra ribellione contro Dio.

E' quello che aveva capito il re Davide, adultero e assassino, quando esclamava: “Io ho peccato contro te, contro te solo" (Salmo 51,4 = 50,4).

Il danno della dottrina e della pratica della confessione auricolare è immenso. Certo è da deplorarsi che il popolo si sottometta ad una pratica così avvilente per la dignità umana, ma più grave ancora è la responsabilità di chi gliela impone. Ma - direbbe il compianto sacerdote Lorenzo Milani – “sulla soglia del disordine estremo mandiamo a voi quest'ultima nostra debole scusa, supplicandovi di credere nella nostra inverosimile buona fede. Ma se non avete come noi provato a succhiare col latte errori secolari, non ci potete capire" (L. Milani, Esperienze pastorali, Firenze, Libreria Ed. Fiorentina, 1958, p. 437).

 

Cattolico. Io resto sempre più sorpreso di quanto dici e ringrazio Iddio che ci ha mandato il Suo Figlio diletto e ci ha anche detto di ascoltarlo. La Chiesa si attiene alla divina rivelazione e a quanto Gesù, Parola del Padre, è venuto ad insegnarci. L'uomo, dopo essere nato, per potersi sviluppare ha bisogno di tante cose (nutrimento, aria, assistenza, medicine, cure, ecc ... ) nell'ordine naturale. Così è dell'uomo anche nell'ordine spirituale (Battesimo, Cresima, Eucaristia, Penitenza, ecc...). Tutto questo gli viene dall'Alto con la divina grazia. Tuttavia, poiché l'uomo, dopo il peccato originale, ha una natura vulnerata per cui è piuttosto incline al male, ecco che Gesù, ben conoscendo la fragilità umana, trovò il mezzo per guarirne le piaghe dell'anima ed istituì il Sacramento della Confessione come tavola di salvezza.

Adesso voglio un pò rispondere, ma con la ragione illuminata dalla fede, a quanto tu dici contro la opportunità della confessione.

- Notiamo anzitutto che se la confessione fosse un'invenzione umana, la storia ci dovrebbe ricordare l'epoca ed il nome di quell'uomo - Papa o Vescovo o prete o frate - che l'ha inventata, come la storia fa con tutti gli altri inventori.

E invece su questo punto la storia è muta. Non c'è scrittore, amico o nemico della Chiesa che ne faccia menzione.

- C'è di più. Ragionando ancora, potremmo pensare: sono stati forse i fedeli a inventare la confessione? No: essi mai si sarebbero imposti un obbligo nuovo e umiliante per l'umano orgoglio. Forse i sacerdoti? Ma qual motivo avrebbe potuto indurli ad imporre ai cristiani un giogo così pesante? L'interesse? E piacere? La curiosità? E' facile, da chiunque, rispondere a queste domande, perché se c'è un ministero pesante e gravoso in cui il sacerdote non guadagna niente è proprio questo! E che bel piacere sarebbe quello che obbliga a levarsi magari nel cuor della notte per correre al letto degli infermi, ad essere spettatori di scene strazianti... ad affrontare, in tempo di peste o di altre malattie contagiose, anche la morte? E qual curiosità ci può essere nel sapere le miserie e le debolezze umane, che spesso si ripetono fino alla nausea, e di cui poi, il confessore deve custodire il più rigoroso segreto, sino a potere o dovere compromettere la propria vita?

Dunque non si può ragionevolmente ammettere che qualcuno nella Chiesa abbia inventata la confessione. E poi come avrebbero potuto farla accettare improvvisamente da tutti? Come volete che contro l'ardito innovatore non fossero insorti a ribellione i popoli, non avessero protestato almeno i re ed i principi, sempre così orgogliosi, non avessero alzato la voce gli eretici che sono là sempre con tanto d'occhi per cogliere la Chiesa in fallo e condannarla?... Ma se non altro, l'inventore o gli inventori, avrebbero dovuto esentare se stessi da questo peso! Invece no: sono obbligati a confessarsi, tanto come i fedeli, anche i preti, i parroci, i vescovi ed il Papa!

Il padre Gioacchino Ventura così scrive: "Quando io ho veduto una volta l'anima pura di Pio IX inginocchiato ai miei piedi per confessarsi e ricevere l'assoluzione; quando io ho veduto questa prima maestà della terra nell'umile attitudine dei penitente davanti all'ultimo dei preti; imbarazzato, stupefatto, commosso sino alle lacrime, dissi tra me stesso: io non mi ingannavo, no, quando credevo che i preti non hanno inventata la confessione; ma al presente io tocco coi dito questa consolante verità, poiché vedo lo stesso Vicario di Cristo, quale uomo e quale cristiano, passare anch'esso sotto la severità della legge della Confessione. Una legge che non esenta neppure il dio della terra, non può avere altro autore che il Dio dei cielo!" (La ragione filosof., Vol. III, conf. XVIII).

- Eppure tutti i “Fratelli separati” con a capo Lutero, sostengono che la Confessione fu inventata dal papa Innocenzo III, nel Concilio Lateranense IV, tenutosi nell'anno 1215.

Voglio ancora ricordare che tutte le sette eretiche che sin dai primi secoli si separarono dalla Chiesa cattolica, taluna delle quali è ancora superstite, sia pure con poche migliaia di seguaci, hanno la confessione che non presero certo da noi nei secoli posteriori, ma che portarono già con sé andandosene come profughe dalla casa madre. Il che mostra che fin dai primi secoli la Confessione era universalmente praticata.

- Pochi - specialmente tra i non cattolici - pensano quanto sia salutare all'uomo la Confessione, per le cinque cose che essa esige dal peccatore.

L'esame lo obbliga a riguardarsi peccatore com'è, suscitandogli avversione al peccato. Il dolore lo obbliga a detestare, a ripudiare i suoi peccati. E proponimento lo induce alla risoluzione ferma di non più peccare. La confessione lo obbliga come a vomitare il peccato che lo tortura, che lo rimorde, a liberarsi di quel peso segreto che lo opprime. La penitenza è la pena che subisce dei peccati a cui sente doverne aggiungere altre volontarie e più gravi.

La Confessione è rimedio del peccato. Questo è superbia e piacere; la Confessione è umiltà e dolore e pena. La Confessione è un peso, ed è giusto, poiché per essa si tratta di ottenere il perdono dei peccati, ma è un peso anche dolce che risponde all'inclinazione naturale del cuore che ha bisogno di confidarsi, e apporta gioia e consolazioni indicibili.

Di fronte a tutte queste osservazioni, frutto della ragione, anzi del più elementare buon senso, sarebbe una cecità inqualificabile il non riconoscere Gesù Cristo come autore e istitutore del Sacramento della Penitenza (= Confessione), e il voler sostenere che una creazione così provvida, santa, sublime, degna della divina bontà, sia opera dell'uomo e non di Dio.

 

Non cattolico. Dimmi, allora, perché tanti, ad onta di tutto, si ostinano ancora ai nostri giorni, a negare la divinità di questo Sacramento e lo odiano a morte, più di qualunque altro e lo combattono in mille maniere?

 

Cattolico. La ragione principale è perché molti non vogliono mettere nessun freno alle proprie passioni e lasciare il peccato. Così facendo si allontanano dalle pratiche religiose e gridano contro la Confessione, simili a quella signora che avendo un viso brutto e deforme, non passava mai innanzi ad uno specchio senza mandarlo in frantumi! ...

 

Non cattolico. Sono chiacchiere quelle che dici, perché io ti posso dimostrare con i fatti che effettivamente la confessione cattolica è causa di un naturale rifiuto e di forte avversione. Ti racconto soltanto qualche fatto, che traggo dalla cronaca abbastanza recente.

 

1. "Sono una ragazza di vent'anni e con un buon impiego e sino a poco tempo fa molto religiosa; ora purtroppo non più. Mi spiego: ogni qualvolta che vado a confessarmi, la prima cosa che il confessore mi do- manda: “Sei fidanzata?”. E poi: “Vi baciate?”. “Quante volte?”. Essere fidanzati è una bella cosa, secondo il confessore; baciarsi è invece peccato gravissimo che ha richiesto, come penitenza, il non vedere per due mesi il mio fidanzato. Fin qui tutto bene o meglio tutto regolare, purtroppo. Ciò che ha fatto traboccare il vaso della pazienza è stata una ulteriore domanda. Per me è stato troppo. Da allora non ho più messo piede in una chiesa" (La Stampa, 14 maggio 1960).

 

2. "Desidero immensamente riaccostarmi a Dio comunicandomi, ma non trovo il coraggio di inginocchiarmi ad un confessionale. Io non so se la mia è mancanza di vera umiltà, ma non credo. Mi pento sinceramente dei miei peccati. Ma il fatto di doverli aridamente sussurrare in attesa della sentenza senza poter tentare di spiegarli (più a me stessa che al confessore), di aprirvi sopra un colloquio umano veramente proficuo, è una cosa che mi agghiaccia, mi toglie ogni slancio. Ora mi dica, per favore, la confessione non si può rendere scritta? Oppure a viso aperto, senza quella terribile grata? (Amica, 23 ottobre 1966).

 

Dopo questi esempi, certamente penserai che noi protestanti, abolendo la confessione, abbiamo una religione molto comoda. La risposta a questo modo di pensare dei cattolici te la dà proprio un cattolico, il quale scrive sull’Europeo (8 gennaio 1961):

"Che la loro religione li ponga (i protestanti) senza intermediari di fronte a Dio, mi pare che sia chiaro dal modo con cui la praticano: essi non hanno la confessione e la loro preghiera sale direttamente al Signore senza bisogno di interprete... E che ciò crea

in loro un maggiore senso di responsabilità, mi sembra ovvio. I compromessi diventano più facili quando si sa che basta confessarli per esserne perdonati. E' molto comodo liberarsi dai propri errori e peccati rimettendoli con una bella confessione nelle mani di un parroco e dicendogli: 'Occupatene un pò tu'. Chi non ha questa scappatoia rimane solo di fronte a Dio, cioè di fronte alla propria coscienza, con cui il colloquio è molto difficile... Ciò ha reso la nostra vita molto più facile e gradevole, liberandola dal dubbio e dal rimorso. Ma anche ha favorito la nostra congenita propensione a evadere ogni responsabilità individuale”.

 

Questi sono fatti e non chiacchiere.

 

Cattolico. Sui fatti di cronaca da te raccontati si potrebbero dire molte cose, ma, temendo di perdermi in lunghe disquisizioni polemiche, parto dalle verità della nostra fede e dallo stesso Sacramento della Confessione da Cristo istituito, per dirti che:

a) Di questi fatti negativi potresti raccontarne anche a centinaia, ma io di quelli positivi, di quelli cioè che lasciano capire l'opportunità del Sacramento della Confessione, la sua bontà, il beneficio e la gioia che arreca alle anime te ne potrei raccontare a migliaia, a centinaia di migliaia e oltre...

b) Una ragazza di venti anni che reclama attraverso "La Stampa" contro la Confessione, non deve essere mai stata molto religiosa. Può forse dirsi che non ha avuto mai una vera fede, perché una persona che ha fede profonda non abbandona la Chiesa di Cristo anche perché sa che essa è il Suo prolungamento. Chi ha fede non abbandona la propria religione perché un suo ministro non gli garba, ma, tutt’al più, ne sceglie un altro, come si fa quando un medico non ci convince della sua bravura.

c) Non è possibile che un sincero credente, possa desiderare immensamente riaccostarsi a Dio comunicandosi e poi non trovi il coraggio di inginocchiarsi ad un confessionale. Un vero cristiano sa che l'umiltà è la base della santità e della perfezione e non la mette da parte per le sue vedute personali. Anche una persona molto timida e impacciata avrà il coraggio di aprirsi ad un buon sacerdote, dirgli le sue difficoltà... e troverà mille sacerdoti che sono disposti a parlarle a viso aperto, senza quella terribile grata...

d) Non credo, assolutamente, che un vero cattolico possa credere che la preghiera di un credente abbia bisogno di interprete per salire a Dio. Neppure credo che un vero cattolico, che conosce il Vangelo, il pensiero e le parole di Cristo, possa pensare che confessando sinceramente i suoi peccati si senta tranquillo mettendo tutto nella mani di un parroco e dicendogli: "Occupatene un pò tu". E neppure riesco a credere che un vero cattolico possa pensare che confessando sinceramente i propri peccati si senta più propenso a evadere ogni responsabilità individuale. Tutt'altro!...

Chi pensa secondo gli esempi che tu mi hai elencato può essere o un protestante, oppure un cattolico che per la sua facile e disimpegnata vita cristiana sente molta propensione a scuotere il dolce e soave peso a cui Cristo sottopone i suoi fedeli seguaci.

e) Mi hai un pò commosso quando hai ripetuto le parole del compianto sacerdote Lorenzo Milani. Per chi legge, è giusto chiarire il pensiero di don Lorenzo Milani, altrimenti si crea un grande equivoco e ne risulterà una grande falsità.

Se tu hai letto le "Esperienze pastorali" di don Milani, saprai certamente, o almeno dovresti sapere, dal momento che lo citi, che quel compianto sacerdote con quelle parole vuoi dire ben altro da quello che tu vorresti farci intendere. Egli immagina di scrivere una “lettera dall'oltretomba" riservata e segretissima ai missionari cinesi.

Don Milani vive in tempo di pieno comunismo, creduto per circa settanta anni, difensore dei poveri. Egli condivideva, perciò, molto accoratamente la causa dei poveri pur rigettando il comunismo, e immagina di scrivere, appunto, una lettera ai missionari cattolici cinesi dopo la sua morte, oltre il 2000, quando cioè gli errori degli europei saranno ben chiari ed i cinesi evangelizzeranno gli europei! Infatti egli scrive: “Cari e venerabili fratelli, voi certo non vi saprete capacitare come prima di cadere noi non abbiamo messa la scure alla radice della ingiustizia sociale. E' stato l'amore dell’ordine che ci ha accecato. Sulla soglia del disordine estremo mandiamo a voi quest'ultima nostra debole scusa, supplicandovi di credere nella nostra inverosimile buona fede. (Ma se non avete come noi provato a succhiare col latte errori secolari non ci potrete capire). Non abbiamo odiato i poveri come la storia dirà di noi. Abbiamo solo dormito...".

Mi fermo qui. Quanto ho riportato è sufficiente a farci capire che don Milani parla esclusivamente di errori sociali-politici. Questo è il suo punto di vista. Per convincercene riporto alcune sue frasi tratte da due libri di don Gerlando Lentini che ci parla di lui. In "Don Lorenzo Milani - servo di Dio e di nessun altro" (Ed. Gribaudi), il Lentini dice: “Caro amico, il libro che ti accingi a leggere è esplosivo...: ti avverto che rischi di cambiare radicalmente, di diventare rivoluzionario, di non poter più fare sonni tranquilli, d'innamorarti perdutamente di Cristo, della Chiesa, della Politica, della Scuola; e di un amore sincero, tenero e aggressivo insieme... (ivi, p. 7). A pag. 8, scrive: “Don Milani ha scritto di se stesso: 'severamente ortodosso e disciplinato e nello stesso tempo appassionatamente attento al presente e al futuro. Nessuno può accusarmi di eresia o di indisciplina...".

Sfogliando un altro libro del Lentini “Come bisogna essere - Don Lorenzo Milani" (Ed. "Carroccio"), vi trovo che don Milani, scrivendo al padre Reginaldo Santilli, revisore di "Esperienze pastorali”, che aveva concesso il "nulla osta" per la stampa, gli diceva: “Non mi ribellerò mai alla Chiesa, perché ho bisogno più volte alla settimana il perdono dei miei peccati e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa" (ivi, p. 48).

E in una lettera alla zia Silvia: “So di aver fatto infinite cose buone e altrettanto cose cattive, ma non son mica tanto cretino da perder tempo a rodermi sulle seconde. Il Sacramento della Confessione è quella meravigliosa istituzione per cui il cristiano può vivere più sereno e ottimista degli altri: il male lo cancella con un colpo di spugna, il

bene non lo cancella anzi l'accumula" (L. Milani, Lettere alla mamma, cit., 21-3- 1966).

“La confessione frequente e la direzione spirituale davano a don Lorenzo Milani quella interiore serenità, quella gioia spirituale, quella dirittura di coscienza che, nonostante tutto, lo rendevano un uomo e un prete cristianamente contento..." (cf G. Lentini, “Come bisogna essere”, p. 49).

Ad un suo giovane amico scriveva: “La fede quando si trova va tenuta stretta per non perderla. Io penso che non si possa tenerla stretta altro che col confessarsi spesso" (cf Lettere di L. Milani, priore di Barbiana, cit., 22-7-1955, dal libro sopra citato, p. 47).

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