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LE CENTO RISPOSTE

Ultimo Aggiornamento: 01/09/2009 12:26
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01/09/2009 12:20

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Capitolo IV

I PRETI

Un impegno particolare hanno messo sempre i fratelli evangelici nel far credere che gli Apostoli altro incarico non ebbero che quello di predicare e di battezzare e ciò per dire che il sacerdozio cattolico è nella Chiesa superstruttura abusiva e fuori dagli intenti di Cristo fondatore.

Da qui le domande dell'opuscolo:

24. "Che Gesù Cristo abbia istituito, oltre gli Apostoli che dovevano predicare il Vangelo, una gerarchia sacerdotale, ossia una casta speciale e privilegiata separata dal popolo? " (Mt.10:1-8;23:8).

25. "Che gli Apostoli abbiano istituito altri ordini diversi da quelli dei Vescovi o Pastori, Anziani o Presbiteri, Diaconi od Evangelisti? " (I Tim. 3:1-8;5:17).

Come si vede anche dalla seconda domanda, per essi Vescovi e presbiteri della Chiesa primitiva sono la stessa cosa che anziani e seniori, cioè semplici cristiani,

commendevoli per età e prudenza, ai quali collegialmente sarebbe stato affidato il governo delle chiese locali. Le denominazioni sarebbero quindi sinonime.

Da qui anche la premura dei traduttori protestanti della Bibbia, quale il Diodati, di cambiare quasi sempre episcopo e presbitero in anziani e di evitare il termine sacerdote per indicare il presbitero e l'episcopo della Nuova Legge, anche quando esso significa in modo evidente preti o sacerdoti.

Già Lutero in "De abroganda Missa privata" decretava, da maestro infallibile, la fine del sacerdozio cattolico e con esso del sacrificio eucaristico e del potere di assolvere i peccati. Riteneva soltanto il sacerdozio comune a tutti i fedeli, quello che nasce dal battesimo e del quale parla espressamente S.Pietro (I Pet.2:9), ma che differisce essenzialmente da quello ministeriale da Cristo istituito.

L'opuscolo cita Matteo (10:1-8) per ricordare l'istituzione del Collegio degli Apostoli, che è senza dubbio fondamentale nella Chiesa primitiva, come risulta anche dagli Efesini(2:19-20) e da Apocalisse(21:14), ma dimentica la missione dei 72 discepoli (Lc.10:1), che prefigura la distribuzione degli incarichi di responsabilità nelle comunità cristiane.

Cosi pure nella seconda citazione (Mt.23:8) - ove viene ricordato che uno solo - il Cristo - è il nostro Maestro e noi tutti siamo fratelli - si trascura di aggiungere che Cristo ordina agli Apostoli di ammaestrare tutte le nazioni (Mt. 28:19), di dire (At. 2:42) che i primi cristiani "erano assidui nell'ascoltare gli insegnamenti degli Apostoli" e che Dio ha posto nella Chiesa alcuni come maestri (I Cor.12:28-30).

Quest'ultimo testo afferma che nella Chiesa Dio stesso ha assegnato il primo posto agli apostoli affidando loro il ministero ecclesiale con il triplice compito di insegnare, santificare, governare:... "Ammaestrate... battezzandole... insegnando loro ad osservare..." (Mt.28:19-20), e il potere di "legare e sciogliere" (Mt.18:18), già singolarmente conferito a Pietro insieme alle "chiavi del regno dei cieli" (Mt.16:18-19; Le.22:32; Gv.21:15-17).

Tali caratteristiche apostoliche non sono qualcosa di limitato nel tempo, ma devono durare sino alla fine del mondo, tanto è vero che Cristo non lascia di assicurare che le porte degli inferi non prevarranno mai contro di essa (la Chiesa).

Per questo, dopo la tragica fine di Giuda, gli undici rimasti, con Pietro a capo, si preoccupano subito - prima ancora della Pentecoste! - di associarsi qualcuno al suo posto (At. 1:12-26) nel ministero apostolico. Poi essi mettono a capo delle comunità cristiane in formazione dei propri rappresentanti, denominati promiscuamente presbiteri o episcopi (At.20:17-28); (Tito 1:5-7). Ed è sempre dall'autorità che essi vengono costituiti (At.14:23;11:30), non dalla base, attribuendola (tale designazione) a Dio stesso:"Lo Spirito Santo vi ha posti come sorveglianti a pascere la Chiesa di Dio"(At.20:28).

La preoccupazione di non lasciare la Chiesa priva di responsabili autorizzati cresce man mano che gli Apostoli vedono approssimarsi la loro morte, ed emerge soprattutto nelle tre lettere, dette pastorali, scritte da S.Paolo ai suoi discepoli Timoteo e Tito, ai quali - dopo un periodo di ammaestramento - aveva affidato rispettivamente le comunità di Efeso e di Creta (I Tim.1:3; II Tim.1:6; Tito 1:5).

Dagli accenni ivi fatti sull'ufficio strettamente episcopale, risulta chiaro che per Paolo chi ne è investito deve esercitare l'insegnamento e il governo, cioè le funzioni stesse degli Apostoli! Paolo esorta quindi ripetutamente i due a conservare e difendere la "sana dottrina" tenendo lontani gli altri dall'eresia. Il conferimento del ministero avviene mediante il rito dell'imposizione delle mani (I Tim.4:14; Il Tim.1:6), compiuto da parte di chi già gode di tale dono (ivi: Paolo e il collegio dei presbiteri).

Tramite la stessa imposizione delle mani che Timoteo e Tito trasmettono a loro volta i loro poteri ad altri (Tito 1:5;1 Tim.5:22). E' propriamente questo l'inizio di quella catena ininterrotta che lega agli Apostoli i ministri sacri - vescovi, presbiteri, diaconi - della Chiesa cattolica odierna; è così che viene in essa perpetuato quel sacerdozio ministeriale che Cristo istituì e conferì agli Apostoli e che viene fedelmente trasmesso come dono ineffabile di Cristo alla sua Chiesa.

Questa sacra ordinazione - conferita mediante l'imposizione delle mani come al tempo degli Apostoli - è vero e proprio sacramento della Nuova Legge, istituito da Cristo, sacramento che conferisce a chi lo riceve una grazia sua propria, imprime nella sua anima un carattere spirituale indelebile e dà poteri divini sul corpo reale di Cristo - l'Eucaristia -, e sul suo corpo mistico che è la Chiesa.

Mediante il rito dell'ordinazione un cristiano viene elevato e costituito sacerdote, collocato con ciò stesso in una condizione diversa, essenzialmente distinto dallo stato

laicale, come un battezzato è essenzialmente e realmente distinto da un non battezzato.

E ciò non per formare "una casta speciale e privilegiata" (le caste si hanno

per nascita), ma per divina chiamata che si ha attraverso un rito sacramentale (l'imposizione delle mani).

Non si capisce perchè i Protestanti si debbano mostrare tanto preoccupati del fatto che nella Chiesa cattolica:

26. "vescovi e diaconi non possano prender moglie, e un prete senza moglie e figli debba essere chiamato padre? " (Tim.3:2;4 :12;4:3; Mt.23:9).

Il perchè il prete possa essere chiamato padre lo abbiamo spiegato già rispondendo alla domanda 17. In due passi di quelli sopraindicati non viene imposto ai Vescovi di sposarsi una volta, ma si proibisce solo di ordinare chi, rimasto vedovo, si sia risposato.

I fratelli evangelici ignorano forse che è proprio S.Paolo - al cui insegnamento dicono sempre di attenersi - a scrivere: "Io vorrei che tutti quanti fossero come sono io; ma Dio dà ad ognuno un dono particolare: agli uni dà questo dono, ad altri uno diverso" (I Cor. 7:7), e poco più avanti (7:32-34) ne dà anche il motivo che è quello di servire il Signore più liberamente e senza la preoccupazione di famiglia.

La citazione (I Tim. 4:3) è del tutto fuor di luogo perchè non riguarda affatto la Chiesa cattolica, dove il matrimonio è stato sempre tenuto in grande onore e considerato addirittura sacramento se tra battezzati. In fatto di celibato l'Apostolo non fa che ricalcare l'insegnamento di Cristo: "Ci sono infatti degli eunuchi nati così dal seno della madre; e vi sono degli eunuchi fatti tali dagli uomini, e ci sono di quelli che si son fatti eunuchi da sè in vista del regno dei cieli. Chi può comprendere cerchi di comprendere". (Mt. 19:12)

La Chiesa cattolica non ha mai proibito di ordinare sacerdoti degli sposati: il celibato è solo una norma pratica del rito latino. Ma è giusto che essa scelga al ministero sacerdotale chi crede bene. S.Paolo elenca una quindicina di requisiti per presbiteri e diaconi (tra cui il non essere risposato) "marito di una sola donna, (Tim. 3:3; Tit. 1: 6) ".Perchè la Chiesa - che ha da Cristo la responsabilità di guidare le anime a salvezza coi mezzi che crede più opportuni - non può di tali requisiti precisarne alcuni secondo le circostanze di tempo e di luogo? Il celibato è senza dubbio più conforme a Cristo vergine, del quale il prete deve essere segno nel mondo. Del resto, nessuno è obbligato a farsi sacerdote, ma chi accetta deve legarsi prima davanti a Dio col celibato.

D'altra parte, se la verginità per il regno dei cieli è stata raccomandata tanto vivamente nel Nuovo Testamento ai cristiani in genere, è pienamente logico che lo sia ancor più per i vescovi e i sacerdoti consacrati totalmente al servizio di Dio e della Chiesa.

27. Che il prete sia una persona molto potente? (« Più che i santi e gli angeli, più che i serafini e cherubini, più che la Vergine Maria... parla il prete, ed ecco che Cristo, l'Iddio eterno e onnipotente, china in umile ubbidienza il capo al comando del prete ») *. (Leggi 2 Tessalonicesi 2:4; Romani 1:21-22).

Nella domanda 27, dove si fanno le meraviglie per i sovraumani poteri del sacerdote, gli autori dell'opuscolo fanno due citazioni che non si capisce cosa centrino col nostro argomento. La faziosità degli autori dell’opuscolo Cento Domande… raggiunge l’apice nella domanda n.27 dove si insinua e si fa dire alla Chiesa cattolica che i preti hanno poteri sovraumani, addirittura si bestemmia dicendo che Cristo china umilmente la testa ubbidendo ai comandi del prete, citando un professore di filosofia tal J. A. O’ Brien che ha scritto tale frase in un suo libro, e che tale libro ha ricevuto l’imprimatur del Vesvoco Noll di Fort Wayne, Indiana, USA, pag. 17, 18. Sarebbe però il caso di citare tutto il pensiero del filosofo, che trattando appunto filosofia parte da molto lontano per far capire il suo pensiero, con esempi filosofici appunto, un po’ come fanno tutti i filosofi. O’ Brien è un filosofo per l’appunto e non un teologo, quindi andare a citare una sua frase estrapolandola per giunta dal contesto del discorso è scorretto e calunnioso, tentare poi di farla passare per un insegnamento della Chiesa cattolica è vergognoso e meschino. (ndr, Incardona Salvatore)

Se nelle Chiese evangeliche manca oggi il potere sovraumano che neppure gli angeli e i santi del cielo hanno, che è quella di "dir Messa, e assolvere i peccati", come si ironizza nella domanda 28, la colpa è tutta dell'autore della Riforma, il quale ha rifiutato per i suoi seguaci, come abbiamo detto, il sacerdozio ministeriale, il solo che abiliti all'esercizio di siffatte sacre funzioni.

Tali facoltà non sono un'invenzione della Chiesa cattolica, ma palpitante realtà che scaturisce dal Nuovo Testamento e dall'operato di Cristo. Fu infatti Gesù che investì gli Apostoli del suo medesimo potere sacerdotale, distinguendoli con ciò essenzialmente dagli altri suoi seguaci e conferendo loro mandati divini indipendentemente dal volere e dal consenso degli altri discepoli.

E' lui che li chiama con una vocazione speciale, è lui che promette loro di farli pescatori di uomini, che li sceglie tra tanti discepoli chiamandoli Apostoli e dichiarando loro: "non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi perchè andiate e portiate frutti e frutti duraturi"(Gv.15:16).E nell'Ultima Cena - in una singolare aria di rito e di mistero -, dopo di avere consacrato e trasformato nel suo corpo e nel suo sangue il pane e il vino, secondo quanto aveva solennemente promesso a Cafarnao all'indomani della moltiplicazione dei pani, egli dice loro:"Fate questo in memoria di me"(Lc.22:19; I Cor.11:24).

Comandando loro di fare ciò che egli - Sommo ed eterno Sacerdote dell'Altissimo - aveva in quel momento fatto, conferiva agli Apostoli quella facoltà che l'atto richiedeva. Autorizzandoli a rinnovare e ad offrire il suo stesso sacrificio, egli faceva con ciò gli Apostoli e loro successori partecipi del suo medesimo sacerdozio.

Tale partecipazione Gesù la completò quando - dopo la risurrezione - conferì loro l'altro potere - anch'esso strettamente sacerdotale - di rimettere i peccati (Gv.20:1-19).

Fu in seguito alla concessione di questo straordinario potere che gli Apostoli cominciarono a considerarsi ministri della riconciliazione: "Dio, il quale ci ha seco riconciliati per mezzo di Cristo, e ci ha affidato il ministero della riconciliazione" (II Cor.18:20).

Si tratta quindi di poteri essenzialmente divini, che solo Dio può conferire e non già gli uomini, i quali nessun potere, per quanto altolocati, hanno in ciò o possono avere. Lo mette in risalto S.Paolo: "Ogni uomo ci consideri ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio" (1 Cor.4:1); e per meglio far comprendere il singolare mandato ricevuto spiega:"Ogni pontefice, preso di mezzo agli uomini, è costituito rappresentante degli uomini in tutto ciò che riguarda il culto di Dio, allo scopo di offrire oblazioni e sacrifici" (Ebr. 5: 1 ); e passa ad avvertire che "nessuno si può attribuire tale dignità perchè bisogna esservi chiamati da Dio"(Ibid.5:4).

Da questi passi biblici risulta più che evidente la essenziale differenza che passa tra gli Apostoli insigniti del sacerdozio e gli altri discepoli che questo non ebbero, e per conseguenza tra i semplici laici e quelli consacrati sacerdoti.

Le due citazioni (Salmo 51:1 e 32:5) - apposte alla domanda 28 - ricordano che è Dio a perdonare i peccati, ma gli autori dell'opuscolo dimenticano di aggiungere che Cristo "ha mirabilmente delegato tale potere agli uomini" (Alt. 9:8) e precisamente agli Apostoli: "A chi rimetterete i peccati, saranno, loro rimessi, e a chi li riterrete, saranno

ritenuti" (Gv. 20:2 1-2 3). Non capiti anche a noi di ingiuriare la misericordia di Dio come fecero gli scribi di cui si parla in S.Marco (2:6-7)!

Il ceto dei cardinali, che da circa un millennio sono i più stretti collaboratori ed anche i grandi elettori del Sommo Pontefice, è ovviamente di istituzione ecclesiastica. I Protestanti - come sempre - ne vanno a cercare il nome l'istituzione nella Bibbia e ci domandano:

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