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LA CENA DEL SIGNORE è SOLO IL SIMBOLO DEL SUO SACRIFICIO?

Ultimo Aggiornamento: 01/09/2009 15:56
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01/09/2009 15:56

Osservazioni

 

I. - In questa professione di fede la prima verità è che “la Messa (...) è il Sacrificio del Calvario reso sacramentalmente presente sui nostri altari”. Qual è il senso di queste parole?

a) Non bisogna immaginare, anzitutto, che la Santa Messa sia un nuovo sacrificio di Cristo, il quale “si è offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti” (Ebrei 9,28). Ma è anche vero che “egli, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta (... ), è sempre vivo    per intercedere” a nostro favore (Ebrei 7,24-25;  cf. Romani 8,34).

Questo vuol dire che Gesù il Cristo interviene continuamente nella storia facendo dono di se stesso al Padre. Questa sua offerta, questo suo intervento salvifico, si esprime soprattutto, in modo ,diretto ed esplicito, nel memoriale da lui istituito, nella celebrazione cioè della Santa Messa. La quale perciò è una nuova presenza, un nuovo aspetto dell'unico sacrificio, quello cioè della Croce. Nella Santa Messa Cristo è la vittima, Cristo l'offerente, perché egli stesso ha trovato il modo di immolarsi mediante segni  (il pane e il vino)  e  col  ministero  di coloro ai quali egli disse: “Fate questo in memoria di me” (Luca 22,19: 1 Corinzi 11,24). Le Messe, anche se sono molte, ricordano, rinnovandolo in modo efficace cioè salvifico, l'unico sacrificio di Cristo, il suo impegno a salvarci.

b) Non è forse vero che gli uomini usano commemorare, ossia rendere in qualche modo presente, un fatto o evento storico di grande importanza? Gli Ebrei celebravano la Pasqua per ricordare, qua si per rinnovare, il grande evento della liberazione dal faraone (cf. Esodo, cap. 12; Deuteronomio, cap. 16). Era un ricordo che rendeva presente il grande evento con la sua carica religiosa e salvifìca. In modo analogo la Santa Messa non fa dimenticare il sacrificio della Croce; al contrario lo rende presente d'una attualità efficace per la salvezza di tutti gli uomini.

 

2. - “Noi crediamo che la misteriosa presenza del Signore (...) è una presenza vera, reale, sostanziale”. E' il linguaggio abituare della Chiesa Cattolica per precisare il modo, in cui essa crede presente la Persona del Signore nel pane e nel vino consacrati, escludendo errori ed equivoci.

a) Vera esclude una presenza meramente simbolica. Sarebbe troppo poco, anzi errato, dire che il pane e il vino sono simboli del Corpo e Sangue di Cristo. Facciamo un esempio. La freccia che un gruppo di scouts segna all'ingresso della foresta serve a indicare la loro presenza nella foresta. Ma gli scouts o il loro campo non sono nella freccia. Questo è solo un simbolo, un indice, della loro presenza.

 Non così il pane e il vino consacrati. Essi non indicano che Cristo è presente altrove. Presenza vera vuol dire che Cristo è là, nel pane e nel vino consacrati: non bisogna cercare altrove per trovarlo.

b) Reale esclude pure una presenza meramente simbolica o emblematica e allo stesso tempo mette in risalto che nel pane e nel vino consacrati vi è la Persona di Cristo che rinnova continuamente la sua offerta al Padre e si dona come reale nutri- mento al suoi discepoli per la preservazione e la crescita della loro vita soprannaturale. “La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda” (Giovanni 6,55).

c) Sostanziale infine vuol dire che il Signore Gesù non solo agisce mediante il pane e il vino consacrati per la salvezza dell'uomo, standosene lontano. No! Egli agisce di presenza. L'Eucaristia non è solo un canale della virtù santificatrice del Salvatore del mondo, ma è la stessa fonte della salvezza. Nell'Eucaristia Cristo dona se stesso.

Noi possiamo dire che i tre termini vera, reale e sostanziale hanno un identico significato di fondo e si rafforzano reciprocamente in una perpetua affermazione che Cristo è presente veramente, veramente, veramente nel pane e nel vino consacrati.

La transustanziazione

Per indicare questo modo di presenza del Signore, che non è meramente simbolico o emblematico o virtuale, la Chiesa Cattolica ha adottato la parola transustanziazione. Con questo termine si vuole indicare un mutamento sostanziale del pane e del vino, che vengono “transustanziati” nel corpo e sangue di Cristo morto e risorto.

Nell'Eucaristia non vi è nessuno spostamento locale del Corpo glorioso di Cristo assiso alla destra del Padre dopo l'ascensione. Restando quello che, è, il Signore glorioso si rende presente al posto di un'altra cosa, ossia del pane e del vino della loro sostanza - che solo muta. Certo rimane il mistero. Si tratta solo d'uno sforzo della mente umana, che trova il modo migliore per esprimere ciò che dice la Parola di Dio, ciò che dice la Bibbia, senza tradirla o minimizzarla o vanificarla. Per chi capisce, il mistero è una dimensione inseparabile della fede, della vera fede, che è accettazione di realtà invisibili sulla base della Rivelazione divina. Senza il mistero, la religione diventa un orgoglioso scientismo. Dicono i geovisti: Ma la parola “transustanziazione” non c'è nella Bibbia.

Si risponde :

a) Non c'è la parola, ma c'è certamente la cosa, la realtà soprannaturale che tale parola esprime con piena fedeltà alla Bibbia. In questo caso, la parola transustanziazione vuol esprimere l'autentico significato delle formule eucaristiche usate dal Signore: “,Questo è il i mio corpo, questo è il mio sangue”.

b) I geovisti usano tante parole che non sono nella Bibbia per diffondere i loro errori. Per esempio, dicono che il pane e il vino benedetti sono emblemi. Nella Bibbia non vi è la parola emblema. Come mai i geovisti non si fanno scrupolo di usarla? (Leggere Matteo 7,3-5).

 

PARTE SECONDA

L'ERRORE

Presenza reale

1. - L'errore:

“Il pane rappresenta il corpo carnale di Gesù. Il calice rappresenta il versato sangue di Gesù. Pane e vino benedetti sono emblemi del corpo, e sangue di Cristo”.

La verità:

Il verbo è (greco estìn) usato dai tre evangelisti ha un significato reale, non simbolico. Significa essere, non rappresentare. Ricordiamo la giustificazione biblica di questa spiegazione.

a) San Paolo rimprovera i cristiani di Corinto di essere colpevoli verso il Corpo e il Sangue del Signore. Questo rimprovero seguito dalla punizione divina non avrebbe senso, se quel pane e quel vino dopo la consacrazione continuassero ad essere ancora sostanzialmente pane e vino comuni con un rivestimento esteriore di simbolo (cf 1 Corinzi 11, 27-29).

b) Nella stessa lettera ai Corinzi (1 Cor. 10,16) l'apostolo afferma che il calice è una comunione col Sangue di Cristo e il pane consacrato è una comunione col suo Corpo. Comunione vuol dire unione con qualcuno o con qualcosa realmente presente. Se nel pane e nel vino della Santa Cena Cristo non fosse realmente presente, Paolo non avrebbe potuto parlare di comunione col suo Corpo e col suo Sangue.

c) Nel discorso della promessa (cf. Giovanni 6, 48-66, supra, pp. 23-24) Gesù dichiarò che avrebbe dato in cibo la sua carne e in bevanda il suo sangue. I Giudei diedero alle parole di Gesù un significato troppo reale, cioè carnale. Gesù corresse la loro interpretazione carnale, ma non negò che bisognava intendere la sua dichiarazione in senso realistico, non emblematico.

 

2. - L'errore:

Nella Bibbia leggiamo spesso frasi come queste.- “lo sono la via” (Giovanni 14,6); “lo sono la porta”  (Giovanni 10,7); “lo sono la vite” (Giovanni 15,1); “lo sono la luce del mondo” (Giovanni 8,12). Così pure nel Vangelo è detto: “Il seme è la parola di Dio” (Luca 8,1 1). In tutti questi casi e in tanti altri simili il verbo è (greco estìn) equivale a significa, ha cioè un significato emblematico. La stessa cosa deve dirsi delle formule eucaristiche.

La verità:

a) Negli esempi citati e in altri simili, Gesù non ha detto:  Questa via o questa porta o questa vite ecc. sono io. Non si è riferito cioè a una via o porta o vite ecc. determinata, specifica, limitata, escludendo le altre. Egli ha usato un linguaggio generico e ha detto: la via, la porta, la vite ecc. Questo dice chiaramente che egli voleva indicare la via (= qualunque via) ecc. come simbolo o emblema della sua persona. Il verbo è (estìn) equivale a significa.

Se Gesù avesse detto: “Questa via o questa vite ecc. sono io”, indicando una via o vite ben determinata a esclusione di tutte le altre, si potrebbe giustamente pensare a una sua presenza di diversa natura in una via o vite specifica, particolare, ben determinata. Il verbo è (estìn) conserverebbe il suo significato fondamentale, reale, e non quello simbolico.

b) Questo appunto è il caso delle formule eucaristiche. Gesù ha detto: Questo, cioè il pane che ho nelle mani, a esclusione di altro pane, è il mio Corpo. E così del vino. Questo modo di esprimersi non può indicare altro che tra lui e quel pane (e vino) vi deve essere un rapporto unico, reale, sostanzialmente diverso da ogni altro pane e vino.

 

3. - L'errore:

Nella frase biblica: “Quella Roccia era Cristo” (1 Corinzi 10,4) il verbo era ha un significato simbolico ed equivale a “significa”. Lo stesso deve dirsi del verbo è delle formule eucaristiche.

La verità:

a) Nella Bibbia dell'Antico Testamento sono gli scrittori sacri a usare l'immagine o simbolo della roccia - di qualunque roccia - per indicare che Jahve è un sicuro fondamento e sostegno o luogo di rifugio per il suo popolo. Jahve mai ha detto: “Questa roccia sono io”. Quando perciò gli scrittori sacri dicono: “Jahve è roccia” (cf. Deuteronomio 32,4; 2 Samuele 22,3; 23,3 ecc.) usano un linguaggio simbolico. il verbo è equivale a  “significa”.

b) In 1 Corinzi 10,4 san Paolo applica l'immagine della Roccia a Cristo. Le parole “quella roccia era Cristo” è lui che le dice, non Dio, non Cristo. E Paolo non aveva né il potere né l'ordine divino di cambiare una roccia nella Persona di Cristo.

Il verbo era della frase paolina, in questo contesto, non può non avere che un significato simbolico, come lo aveva negli scrittori dell'Antico Testamento, da cui Paolo prende il suo modo di esprimersi.

 

4. - L'errore:

Se il pane e il vino consacrati diventano carne e sangue di Cristo, Gesù faceva anche in modo che i suoi fedeli apostoli si rendessero cannibali mangiando letterale carne umana e bevendo letterale sangue umano, questo in violazione della legge che Dio aveva dato ai Giudei contro il bere o mangiar sangue. (Levitico 17:10.11).

La verità:

a) “Non c'è niente di nuovo sotto il sole” (,Qoèlet 1,9). I testimoni di Geova, accusando i veri cristiani di cannibalismo, ripetono la stessa grossolana calunnia dei pagani contro i cristiani dei primi secoli. La mentalità pagana, carnale e grossolana, non poteva elevarsi alla sublimità dei riti cristiani. Essi perciò, con chiara allusione alla Cena del Signore celebrata dai cristiani, fantasticavano calunniosamente di cannibalismo, di sacrifici umani ecc. I testimoni di Geova vanno collocati tra le file degli antichi pagani ignoranti e denigratori.

b) L'errore dei geovisti ripete pure l'errore dei Giudei di Cafarnao, a cui fu lo stesso Gesù a dare la risposta appropriata (cf. pp. 23-24). Egli li ammonì di non dare alle sue parole un significato letterale e carnale; ma non ritrattò ciò che aveva affermato, vale adire che la sua Carne è vero cibo e il suo Sangue vera bevanda (cf. Giovanni 6,55).

Il Signore non può ingannare anche se i sensi non aiutano a capire. Solo il coraggio della fede accetta ciò che dice il Signore. Simon Pietro e con lui moltissimi altri hanno protestato e protestano la loro fede nella Parola del Figlio di Dio (cf. Giovanni 6,68).

 

5. - L'errore:

a)  “Gesù non poteva né voleva dire che il pane diventasse suo corpo perché il corpo di Gesù supera di molto, le dimensioni della pagnotta del pane, che egli aveva nelle mani”.

La verità:

a) Gesù non disse che avrebbe dato in cibo il suo Corpo con le dimensioni naturali di un uomo adulto o di un bambino. La parola “corpo” non indica le dimensioni, ma la “persona”; e non sono le dimensioni che costituiscono la persona. L'uomo è persona, qualunque siano le sue dimensioni anche se minime come quelle di un neo-concepito. La formula “Questo è  il  mio  Corpo” equivale a: “Questo sono io”. Gesù voleva dire: “Con questo pane consacrato io do me stesso”.

b) Qualche immagine ci aiuta a capire. Il pane che noi mangiamo è sempre pane sia che ne prendiamo un boccone sia che ne consumiamo un intero filone. L'oro è sempre oro, qualunque siano le sue dimensioni. E' vero che nel caso dell'oro la quantità accresce il valore. Ma l'essere oro rimane identico, malgrado la quantità. E così pure nel caso del pane.

Nell'Eucaristia il valore salvifico - la nostra comunione col Corpo e col Sangue di Cristo (cf. 1 Corinzi 10,16) - non dipende dalla quantità del pane e del vino. Cristo dà tutto se stesso qualunque siano le dimensioni del pane e del vino.

 

6. - L'errore:

In Matteo 26,29 Gesù dice: “D'ora innanzi non berrò più di questo succo della vite, fino a quel giorno in cui lo berrò con voi, nuovo, nel regno del Padre mio”. Queste parole indicano che Gesù  si  riferì al  contenuto  del  calice  come a “questo succo della vite”, e ciò dopo aver detto “questo è il mio sangue”.

La verità:

a) Bisogna sapere o ricordare che nella Cena pasquale celebrata da Gesù secondo il rituale giudaico erano serviti quattro bicchieri o calici di vino. Gli evangelisti ne ricordano solo uno, - il secondo con precisione - sul quale Gesù disse le parole: “Questo è il mio sangue”. Di tutta la celebrazione pasquale gli evangelisti non dicono altro.

b) Descritto o ricordato solo quel gesto di Gesù, cioè la consacrazione del secondo calice, gli evangelisti ricordano qualche altra espressione di Gesù. Questa espressione, estranea alla Cena, sono appunto le parole ricordate in Matteo 26,29: “Non berrò ecc.”.

Queste parole non si riferiscono al vino del secondo calice consacrato, ma sono un riferimento a tutta la Cena. Finita la Cena, Gesù, mentre forse era fuori la sala, dice: “Non berrò ecc.”, cioè non celebrerò più con voi questo tipo di banchetto pasquale; infatti celebreremo insieme la nuova Pasqua, ossia staremo insieme nella gioia del Regno di Dio. La Cena pasquale, e in generale il banchetto, è un simbolo della gioia del paradiso o Regno di Dio (cf. Matteo 8,11; Luca 13,29; 22,30).

Anziché dire: Non celebrerò più questo tipo di Pasqua, Gesù dice: Non berrò più di questo succo della vite. il vino infatti era un elemento o componente essenziale della Cena.

c) A conferma di quanto detto finora sta il fatto che Luca ricorda questo particolare prima della Cena, cioè senza riferimento al vino del calice consacrato: “Venuta l'ora, Gesù si mise a tavola con gli apostoli e disse loro: Ho ardentemente desiderato di mangiare questa pasqua con voi, prima del mio patire. Vi dico infatti, che non la mangerò più finché essa non sì compia nel Regno di Dio” (Luca 22,14-15).

Luca non parla di succo della vite, ma di banchetto pasquale, e colloca le parole di Gesù prima della consacrazione del vino. Quindi le parole di Gesù: “non berrò ecc.” oppure “Non mangerò questa pasqua ecc.”, non si riferiscono al vino del calice consacrato, ma a tutto il festino pasquale, simbolo e prefigurazione del festino eterno, cioè del paradiso.

La Messa come sacrificio

1. - L'errore:

“Gesù offrì il sacrifìcio di se stesso una volta, non c'è mai bisogno che lo 'rinnovi' - Ebrei 9.24-28; 7:25; 27; 10-'11,12,14-18”.

La verità:

a) Nei testi citati dalla Lettera agli Ebrei l'autore sacro non fa nessun riferimento alla Santa Cena né per affermare né per negare il suo valore sacrificale. Non era sua intenzione parlare di queste cose. Egli concentra il suo argomento sul sacrifìcio della Croce per contrapporlo ai sacrifìci cruenti ,degli Israeliti dell'Antico Patto. Sarebbe perciò un abuso della Parola di Dio voler dedurre che nei testi citati vi sia una formale negazione della natura sacrificale della Santa Cena.

b) Nella Santa Messa non è rinnovato il Sacrificio della Croce nel senso che si offre a Dio un nuovo sacrificio. Cristo si è offerto sulla Croce una volta per tutte (cf. Ebrei 9,7-8) Egli tuttavia ha trovato il modo di essere sempre in mezzo a noi come sacerdote e vittima nel pane e vino consacrati, applicando gli effetti salvifici dell'unico sacrificio della Croce. (Cf. supra pp. 5-7 e 13-15).

 

2. - L'errore:

“Chi ne 'rinnova' di continuo il sacrificio non lo considera di valore maggiore dei sacrifici animali che si facevano sotto la Legge. - Ebrei 10,1-4”.

La verità:

a) La Santa Messa non 'rinnova' il sacrificio cruento del Calvario in senso numerico o quantitativo. Essa è lo stesso unico Sacrificio del Calvario “ricordato” (cf. i Corinzi 11,26) in una forma effettiva mediante la presenza del Signore nel pane e nel vino consacrati. La S. Messa in tanto ha valore in quanto è connessa col sacrificio della Croce: ad esso non aggiunge nulla, ma ne applica il valore saivifico attraverso il tempo.

b) Al contrario, i sacrifici che si facevano sotto la Legge erano indipendenti l'uno dall'altro: il valore salvifìco di uno era limitato e separato dal valore salvifico dell'altro o degli altri. L'autore della Lettera agli Ebrei puntualizza il contrasto tra i sacrifici antichi e quello unico e irripetibile di Cristo, non già tra il Sacrificio della Croce e la S. Messa.

 

3. - L'errore:

“Cristo è in cielo, non è portato quotidianamente nel sacrificio della messa. - Efesini 1:20,21; Ebrei 9:24”.

La verità:

a) Certamente Cristo è in cielo col suo corpo glorioso. Ma essere in cielo non vuol dire essere nella stratosfera, sulle nostre teste, come grossolanamente insinuano i tdG. Essere in cielo non va preso in senso spaziale, ma indica un modo di essere, e vuol dire che Cristo appartiene all'ambito del divino in contrapposizione alla “terra” come ambito del puramente umano.

b) Malgrado questa sua condizione o modo di essere invisibile egli ci ha assicurato di voler essere presente nel pane e nel vino consacrati con una presenza che ricorda in modo effettivo la sua azione salvifica mediante il sacrificio della Croce. Certo, è una presenza misteriosa, che non va accertata o misurata con un ragionamento meramente umano. “E' lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla” (Giovanni 6,63). Noi crediamo alla parola di vita del Figlio di Dio come hanno creduto i primi discepoli (cf. Giovanni 6,67-70), tra i quali c'era tuttavia Giuda. Nulla è impossibile a Dio! (cf. Luca 1,37).

 

4. - L'errore:

“Gesù disse: " Continuate a fare questo in ricordo di me , non in sacrificio. - Luca 22: 19”.

La verità:

Il punto è sapere che tipo di commemorazione o ricordo intendeva Cristo. Vi sono infatti vari tipi di commemorazione o ricordo. Si può commemorare una persona con un discorso in suo onore o con una lapide o con un monumento o anche con una visita al cimitero o al luogo del suo martirio ecc.

Gesù ha voluto e l'ha detto espressamente che il ricordo di Lui fosse fatto mediante un'azione, un gesto, un rito, ossia mediante la consumazione in un pasto comunitario, di natura prettamente religiosa, del pane-Corpo e del vino-Sangue.

San Paolo in questo tipo di commemorazione. vedeva il sacrificio proprio   dei cristiani, la comunione al Corpo e al Sangue del Signore, in contrasto coi sacrifici dei pagani e somigliante a quelli degli Israeliti (cf. 1 Corinzi 10,17-21).

 

5. - L'errore:

“Il sacrificio incruento non potrebbe rimettere i peccati. - Ebrei 9,11,12,22; Levitico 17:11”.

La verità:

Cristo ha rimesso i peccati mediante il sacrificio cruento della Croce. La S. Messa in tanto ha valore sacrificale, e quindi di rimettere i peccati, in quanto è connessa col sacrificio cruento della Croce. Nel pane e vino consacrati Cristo è presente come Sacerdote e Vittima, avendo egli trovato il modo misterioso di perpetuare l'azione salvifica del Calvario fino alla sua seconda venuta.

 

6. - L'errore:

“Gesù disse: "il mio sangue sarà sparso", non che fosse stato sparso.  Matteo 26:27,28; Luca 22:20”.

La verità:

a) Del pane-Corpo Gesù ha detto: “Questo è il mio corpo, che è dato (greco didòmenon), participio passato (Luca 22,19,). In 1 Corinzi è detto: “Questo è il mio corpo per voi, oppure, che è per voi (1 Corinzi 11,24). L'una e l'altra formula non indica un tempo meramente futuro, ma presente o appena passato. Parimenti in 1 Corinzi 11,25 san Paolo ricorda le parole del Signore nel modo seguente: “,Questo calice è la nuova Alleanza nel mio sangue”. Non si tratta di un'azione e realtà futura, ma presente o appena passata. Gesù iniziava allora la Nuova Alleanza'

b) Alla luce di queste chiare espressioni anche le formule parallele riguardanti il sangue in Matteo 2,6,27 e Luca 22,20 devono avere lo stesso significato, devono cioè indicare un'azione non meramente futura, ma presente o appena. passata, che si compie cioè mentre Gesù pronunzia quelle parole. Molti traduttori rendono Matteo 26,27 con “versato per molti” e Luca 22,20 “versato per voi”.

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