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LA CRISTOLOGIA DEI TESTIMONI DI GEOVA

Ultimo Aggiornamento: 01/09/2009 16:10
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01/09/2009 16:08

Ma chi conosce i metodi adottati dagli scrittori del geovismo, nel citare le fonti, sa bene che tutte le volte che è possibile è buona norma controllare direttamente alla fonte i testi citati, o quanto meno consultare testi che trattano il problema. La risposta alle affermazioni geoviste è stata data da C. Olof Jonsson nel suo libro: "Il segno degli ultimi giorni ". "Nella domanda posta a Gesù e risposta in Mt. 24,3: « Quale sarà il segno della tua venuta? », la parola venuta traduce il greco parousìa. Il significato originario di parousìa è presenza, ma è ormai un fatto filologicamente accertato che al tempo di Gesù il vocabolo era correttamente usato in un altro significato che la Società Torre di Guardia volutamente ignora, ostinandosi a considerare "presenza" l'unica accezione corretta del termine e rivelando in ciò un "interesse acquisito".( C. OLOF JONSSON e Wolfgang HERBST, Il Segno degli ultimi giorni, ed. Deboniane, Roma, 1992, pag. 28)

L'affermazione che la "parousìa" di Cristo ha avuto inizio nel 1914 e che a partire da quell'anno è possibile coglierne le tracce negli avvenimenti mondiali, implica, in effetti, che il segno di cui si informavano i discepoli indichi la presenza già in atto di Gesù, che Gesù, cioè, è già venuto ed è presente invisibilmente; non sarebbe un preannuncio di essa, un segno che precederebbe la venuta di Gesù, segnalandone l'imminenza. Conseguentemente la T.N.M traduce la domanda di Mt. 24,3 come segue: "Dicci quando avverranno queste cose, e quale sarà il segno della tua presenza e del termine del sistema di cose?" L'idea che questa traduzione sottintende è che la seconda presenza di Cristo consti di due sequenze, la prima delle quali è rappresentata da una presenza invisibile che si protrae fino alla seconda, costituita dalla rivelazione di essa al mondo nella battaglia di Armaghedon. "Si tratta di un'idea tutt'altro che originale, visto che fu proposta da H. Drummond, uno dei futuri fondatori della Chiesa Cattolica Apostolica di E. Irving.

Tale teoria della "presenza invisibile" o della "venuta in due fasi", meglio conosciuta oggi come teoria del "rapimento segreto", fu poi ben presto condivisa da altri interpreti di profezie.

 

Essa fu adottata non solo dagli Irvingiti ma anche dai seguaci di J. Darby, fratelli di Plytnounth, ad opera dei quali si diffuse soprattutto tra i millenaristi, quei cristiani, cioè, che credevano in un futuro millennio sulla terra, letteralmente inteso.

Per molti sostenitori della venuta in due fasi la parola greca "parousìa" divenne il punto cruciale della questione.

Si credeva comunemente che questo termine si riferisse alla prima fase della venuta di Cristo, alla sua presenza invisibile "nell'aria", e che con "epiphania", "apparizione", ed "apokàlypsis", "rivelazione", si indicasse la seconda fase della venuta, l'intervento di Cristo sulla scena mondiale nella battaglia di Amaghedon".( Cfr. Il segno degli ultimi giorni, op. cit. pag. 29)

Dare alla parola "parousìa" il significato di venuta o di presenza non è in sé indifferente. Ne deriva infatti una diversa interpretazione e della domanda posta dai discepoli e dalla risposta di Gesù. "Il reverendo R- Govett, sostenitore della teoria dei rapimento segreto nel 1866, scriveva: « Se diciamo: "Qual è il segno della tua venuta?" allora stiamo chiedendo un segno dei futuri movimenti del Salvatore dai cieli altissimi. Se diciamo: "Qual è il segno della tua presenza?", stiamo chiedendo una prova dell'esistenza segreta di Gesù nell'aria. I discepoli chiesero: "Quale sarà il segno della tua presenza" Questo ci garantisce che essi immaginavano, che Gesù sarebbe stato presente in segreto »". (The Rainbow, giugno 1866, pag. 265)( Cfr. Il Segno degli ultimi giorni, op. cit. pag. 29.)

 

C. T. Russel, fondatore dei T. di G. fece proprie queste considerazioni. Nel 1876 sotto l'influenza di N. H. Barbour, di fede avventista, (di cui Russel era assistente) e dei suoi associati, Russel adottò "presenza" come l'unico significato di parousìa e se ne servì per imporre la sua teoria, che cioè, Cristo era venuto nel

1874 segretamente e invisibilmente, così come era stato predetto da Barbour.

 

Nell'adozione di tale significato giocò un ruolo di primissimo piano il fallimento della predizione del 1874; ed il conseguente bisogno di giustificarlo. Esso rimase poi operante nella cerchia di Russel fino agli anni trenta del nostro secolo, quando all'improvviso si "scoprì" che la "invisibile presenza" di Cristo aveva avuto inizio nel 1914, e non nel 1874. Che il significato più esatto di parousìa sia "presenza", e che esso sia l'unico possibile nel contesto biblico, è opinione che incontra ormai scarso credito tra i traduttori biblici i quali, con rarissime eccezioni, a "presenza" preferiscono tutti "venuta", "avvento", "arrivo".

 

Fino alla metà dei XIX secolo, pare che pochi traduttori biblici siano stati propensi a tradurre parousìa con "presenza".

"Il primo traduttore del XIX sec. Che rese parousìa con "presenza" in Mt. 24, fu, con ogni probabilità, R. Young nella sua Literal Translation of the Holy Bible, del 1862.

Due anni dopo, B. Wilson, uno dei primi capi del movimento religioso conosciuto oggi come Chiesa della Conferenza Generale di Dio, pubblicò il The Emphatic Diaglott (1864) dove tradusse parousìa con "presenza" tutte le ventiquattro volte in cui il termine ricorre nel N.T.

Questo gruppo professa vedute simili a quelle dei T. di G. su dottrine come la Trinità, l'anima, e l'inferno di fuoco. Si giunge così al 1872, allorché B. Rotherham pubblicò il The Emphasized New Testament. Nella terza edizione riveduta dell'opera, del 1897, Rotherham passo', nella traduzione di parousìa, da "arrivo" precedentemente adottato a "presenza".

 

La ragione del cambiamento, come egli stesso spiegò, nell'Appendice alla terza edizione, va rintracciata in una parziale adesione dell'autore, alla teoria della "venuta in due tempi". La parousìa di Cristo, egli spiega, può essere non solo un evento, ma anche un "periodo più o meno esteso", durante il quale "devono avere

luogo certe cose".

 

Rotherham era stato influenzato nel suo pensiero dalla stretta amicizia con alcuni ideatori della rivista The Rainbow, della quale lo stesso Rotherham fu editore negli ultimi tre anni della sua pubblicazione (dal 1885 al 1887).

 

Nel nostro secolo le traduzioni che rendono "parousìa" con "presenza" in Mt. 24 sono: A Concordant Version (1962) di A. E. Knoch, la Bible Numerics (2' ed., 1935) di I. Panin, la Traduzione del Nuovo mondo delle Scritture Greche Cristiane (1950) della Società Torre di Guardia, il New Testament di J. L. Tomanek, la Restoration of Original Holy Name Bible (1968), il Todays English New Testament di D. Klingensmith (1972) ed il New Testament (1972) di Dyrnond.

 

Altre traduzioni danno qua e là "presenza" come significato letterale di parousìa nelle note in calce, ma optano per "venuta", "arrivo", o espressioni simili al testo.

 

Che alcuni traduttori furono condizionati dalla loro adesione alla dottrina della "presenza invisibile" è chiaramente dimostrato dalla traduzione di Dymond (1972) di Mt. 24,3: "Ma nello stesso tempo dieci quali altri eventi indicheranno che tu sei ritornato sulla terra per esservi invisibilmente presente". A parte queste poche eccezioni, i traduttori sia antichi che moderni, nei versetti in cui si parla della seconda venuta di Crísto hanno preferito tradurre parousìa con venuta, avvento, arrivo, piuttosto che con presenza.

 

Perché lo hanno fatto, se la maggior parte di loro concorda sul fatto che il significato primario della parola è presenza? E' possibile che tanti esperti delle lingue originarie del N.T. non abbiano saputo cogliere il senso esatto dei termine greco? Che cosa ci dicono le prime antiche versioni dei N.T., la Latina, la Siriaca,

la Copta, la Gotica, che furono prodotte quando ancora il greco della Koinè, la lingua originaria del N.T., era una lingua viva?

 

Come intesero quegli antichi traduttori la parola parousìa?

 

 

 

9.1  Il termine "Parousìa" nelle più antiche versioni

 

9.1.1. La Vulgata

 

La Vulgata, l'opera di san Girolamo che risale alla fine del IV° secolo presenta un dato interessante.

Ben venti volte, sulle ventiquattro in cui il termine compare nel N.T., parousìa è tradotto adventus, ossia "venuta". Solo in quattro casi (1 Cor. 16,17; 2 Cor. 10, 10; Fil. 2,12 -1 2 Pt. 1, 16;.) parousìa è tradotto praesentia, "presenza", e di essi solo l'ultimo riguarda la parousìa di Cristo. Negli altri sedici casi in cui parousìa compare collegato a Cristo, Girolamo preferì rendere il termine con adventus, per la semplice ragione che egli dava alla parola parousìa il significato di "venuta" e non di "presenza".

 

9.1.2.  Vetus Latina

 

Le versioni anteriore alla Vulgata, come la Vetus Latina, tranne cinque passi (2 Cor. 10,10; Fil. 2,12; 2 Ts. 2,9; 2 Pt. 3,4.12.) dei quali però solo due riguardano la parousìa di Cristo, preferisce tradurre parousìa con "adventus", e fa questo in quindici dei diciassette versetti in cui si parla della parousìa di Cristo.

 

9.1.3. Peshitta Siriaca

 

Questa versione del V° secolo ebbe anch'essa, come la Vulgata, dei precedenti più antichi, testimoniati dai manoscritti siriaci Curetoniano e Sinaitico. Poiché il siriaco di questi manoscritti è un dialetto dell'aramaico, esso è probabilmente molto vicino al dialetto palestinese-aramaico parlato da Gesù e dagli apostoli.

Se, secondo quanto si ritiene comunemente, la lingua originaria di Gesù e degli apostoli fu l'aramaico, queste versioni siriache possono riflettere le parole effettivamente usate da Gesù e dagli apostoli.

Il corrispondente siriaco di parousìa in Mt. 24 è "me' thithà", che, alla stessa maniera del latino "adventus" significa "venuta", essendo derivato da un verbo che significa "venire".

 

9.1.4. Versione Gotica

 

Anche la versione gotica del vescovo ariano Wulfila, realizzata nella metà del IV sec. e precedente di poco la Vulgata latina, rende in greco parousìa con un equivalente di "venuta", il gotico "cums".

Dall'esame delle fonti emerge dunque che nei passi in cui si tratta della seconda venuta di Cristo, le prime versioni del N.T., realizzate quando ancora il greco della koinè era una lingua viva da traduttori espertissimi della lingua greca, preferirono rendere "parousìa" con vocaboli che significano "venuta". Perché parousìa è reso con venuta quando si riferìscono a Gesù, e con "presenza" quando si riferisce, per esempio, alla "parousìa" di san Paolo?( Cfr. 2 Cor. 10,10; Fil. 2,12-1) L'interrogativo è rimasto a lungo senza risposta, fino a quando agli inizi dei XX sec. Nuove scoperte hanno permesso agli studiosi del N.T. di giungere alla soluzione del problema.

 

 

 

9.2.   L'uso tecnico di "Parousìa"

 

Nel corso degli scavi effettuati negli ultimi cento anni nei luoghi degli antichi insediamenti greco-romani, sono venuti alla luce migliaia di iscrizioni su pietra e metallo e numerosi testi su papiro, pergamene, ceramiche.

ll primo che comprese l'importanza di tale scoperta e ne studiò i riflessi sull'esegesi biblica fu
A. Deissmann, professore dell'università di Heídelberg e di Berlino, il quale pubblicò nel 1895 i risultati delle sue indagini. La sua ricerca contribuì a gettare una nuova luce sul lessico neotestamentario

greco. Uno dei vocaboli che più si avvantaggiò delle nuove ricerche, fu appunto parousìa.

 

Pubblicando, nel 1908, "Licht vom Osten " (Luce dell'oriente), alla voce "parousìa" A. Deissman dice: "Un'altra delle idee centrali dell'antica dottrina cristiana riceve luce dai nuovi testi, cioè parousìa, o avvento, venuta, una parola in cui si esprimono le più ardenti speranze di san Paolo. Noi adesso possiamo dire che la migliore interpretazione della primitiva speranza cristiana della "parousìa" è il vecchio "avvento",

« Ecco, il tuo re viene a te ».(Mt. 21,5)

Dal periodo tolemaico fino al secondo dopo Cristo la parola ricorre in Oriente come "espressione tecnica per indicare l'arrivo o la visita del re, o dell'imperatore.

Le conclusioni a cui era pervenuto il Deissman, ricevettero ulteriore conferma dalle ricerche di altri studiosi quali: G. Milligan, J. Moulton, P. L.Schoonheim.

Oggi tutti i moderni lessici e dizionari di greco segnalano questo significato in aggiunta a quello primario di "presenza", mentre nessuno dubita più che, quando nel N.T. "parousìa" è usato riguardo alla seconda venuta di Cristo, esso abbia il significato di "visita del re".

Quindi non c'è nulla che dia l'idea di una presenza segreta, invisibile, nascosta.

A sostegno della improbabile equivalenza "parousìa = presenza", la Società Torre di Guardia porta alcune traduzioni bibliche ed il parere isolato di qualche studioso di greco. I puntelli però si rivelano più deboli dell'edificio che sono chiamati a sostenere, raccattati da testi obsoleti, che risalgono al tempo in cui si ignorava l'esistenza di un uso tecnico del vocabolo.

Così si scopre che delle cinque traduzioni bibliche portate come prova dell'esattezza, dell'equivalenza "parousìa = presenza" nella più recente trattazione della voce "parousìa" della Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture, (Appendice 5 B, 1989, pp. 1578,1579), ben tre, (Emphatic Diaglott di Wilson, The Emphasized Bible di Rotherbam e The Holy Bible in Modern English di Fenton) sono anteriori agli studi di Deissman, Millígan, Moulton. La quarta è la stessa Traduzione del Nuovo Mondo delle Scritture Greche Cristiane, nell'edizione del 1950. Anche il grande rilievo dato al parere di I. P. Warren, che in

"The Parousìa" si rivela convinto sostenitore della linea "parousìa = presenza", si ridimensiona quando si scopre che l'opera di Warren risale al 1879.( I.P. WARREN, The Parousia, Portiand, Maine, 1879, pp. 12-15.)

Passando poi ai tre moderni lessici greci a cui la Società Torre di Guardia fa riferimento: A Greek-English Lexícon dí Liddell e Scott; Dizionario Teologico del Nuono Testamento di Kittel-Friedrich (GLN7); il Lessico di Bauer, si nota subito come di essi si faccia un uso distorto e di comodo.

Si dice, infatti, soltanto che riportano la voce "parousìa" il significato di "presenza", e si tace che non solo registrano parimenti il significato tecnico di "visita di un re", ma che sottolineano persino che quest'ultima è l'eccezione comune in cui il vocabolo compare nel N.T. in riferimento alla "parousìa" di Gesù Cristo.

Ma questo il lettore della pubblicazione della Torre di Guardia non lo saprà mai.

(ndr i comuni tdG infatti non vanno a consultare autorevoli vocabolari greci, anzi non consultano proprio niente, si limitano solo a leggere i libri che vengono loro indicati dagli anziani).

 

Si arriva infine al Lessico di Bauer, dove si legge testualmente che "parousìa" divenne il termine ufficiale per indicare la venuta di una persona di rango elevato, specialmente re ed imperatori, durante le loro visite alle provincie; una chiara negazione, come si vede, della tesi sostenuta dalla Torre di Guardia. Ma stranamente ad essa si fa riferimento come se ne costituisse la conferma, non la smentita.

Tra i dizionari, soltanto l'Expository Dictionary of New Testament Words, il dizionario greco-inglese curato da W. E. Vìne, sembra offrire un certo sostegno a chi intende la "parousìa" di Cristo come un periodo di "presenza invisibile" che sarà seguita dalla rivelazione finale alla battaglia di Armaghedon. Vi si legge

infatti: "Parousìa ... denota sia un arrivo, sia una conseguente presenza... Quando è usato a proposito del ritorno di Cristo il termine indica non semplicemente la sua momentanea venuta per i suoi santi, ma la sua presenza con loro da quel momento fino alla sua rivelazione e manifestazione al mondo".

Questa definizione della "parousìa" suona molto simile a quella della Società Torre dí Guardia.( Cfr. Ausiliario per capire la Bibbia, op. cit. pag. 10 17; anche: Perspicacia nello studio. op cit, vol. Il pag. 648)

Non sorprende perciò scoprire che essa appare identica nel dizionario biblico della Società.

W. E. Vine è stato, in realtà, uno dei più ferventi sostenitori della dottrina del "rapimento segreto" nel nostro secolo. Questo, evidenternente, lo spinse a dare di "parousia" una definizione che costituisse il puntello linguistico della sua posizione teologica, sebbene ciò lo ponesse in posizione arretrata di fronte agli esiti più modemi dell'esegesi biblica. Come detto prima, l'idea del "rapimento segreto" trovò entusiastica adesione soprattutto tra i seguaci dì J. N. Darby, noti come "i Fratelli".

Nel 1847 uno scisma tra Derby e G. Muller, il capo del gruppo de "i Fratelli" della città inglese di Bristol, spaccò in due il movimento: da una parte gli "Exclusive Brethren", che rimasero con Derby, dall'altra gli "Open Brethren", che si schierarono con Muller.

Sebbene lo stesso Muller si dichiarasse contrario alla dottrina del "rapimento segreto", il movimento degli "Open Brethren"aderì all'idea e continuò a predicarla.

W. E. Vine, nato nel 1873, sembra che sia stato fin dalla gioventù associato agli "Open Brethren". Fu un grande studioso, e il suo Dizionario è uno strumento importantissimo per lo studio del N.T. La sua definizione della parola "parousìa" fu, comunque, chiaramente influenzata dalll'adesione alla dottrina del "rapimento segreto" per la quale simpatizzo probabilmente fin dalla giovinezza…..Il famoso esegeta e commentatore biblico F. F. Bruce, sebbene fosse della stessa matrice religiosa di Vine, avanzò seri dubbi sulla correttezza dell'uso che Vine aveva fatto della parola "parousìa" nella loro dottrina escatologica. Scrive Bruce: « ci sì può chiedere se questa interpretazione della "parousìa" corrisponde al senso che la

parola aveva nel greco ellenistico. Vine adduce a sostegno il lessico di Cremer; ma Cremer scrisse un bel po' di tempo prima che lo studio dei papiri documentari rivoluzionasse le nostre conoscenze della lingua della Koinè ellenistica ».( F. F. BRUCE, in P. 0. RUOFF, W. E. VINE, His Life and Minístry , Londra, 1955, pp. 75,76.)

 

 

 

9.3.    Il contesto biblico

 

Nei casi di polisemia, quando cioè la parola ha più di un significato, decisivo per la sua comprensione diventa il contesto. Nel caso di Mt. 24,3 i discepoli chiesero a Gesù un segno che ne rivelasse la "presenza" o un segno che ne anticipasse la "venuta"!

Interrogata al riguardo, la Società Torre di Guardia fu costretta ad ammettere che i discepoli "non pensavano che Cristo avrebbe governato come glorioso spirito dai cieli e perciò non sapevano che la sua seconda presenza sarebbe stata invisibile".( La Torre di Guardia del 15/9/1965, pp. 574,575.)

 

La stessa conclusione si ha in un altro numero della rivista: "Quando chiesero a Gesù: « Quale sarà il segno della tua presenza? », non sapevano che la sua futura presenza sarebbe stata invisibile".( La Torre dì Guardia del 1/7/1974, pag. 402, par. 6)

Ma se i discepoli non pensavano che nel futuro Cristo sarebbe stato invisibilmente presente, come avrebbero potuto chiedere un segno della sua presenza invisibile?

Già questo dice che Matteo non può avere usato "parousìa" nel senso di "presenza".

I discepoli chiedevano quindi a Gesù non un segno che li avvertisse che l'evento era in atto, ma un segno che li avvertisse in anticipo dell'approssimarsi di esso. Se questa interpretazione è esatta è lecito averne conferma dal contesto.

Marco, nel suo Vangelo, offre gli elementi per una interessante verifica. Nella sua versione, la richiesta di un "segno" riguarda esclusivamente la distruzione del tempio.( Cfr. Mc: 13,1-4.)

Non è possibile pensare che i discepoli avessero bisogno di un "segno" che li avvertisse che il tempio era stato distrutto, o che la sua distruzione sarebbe avvenuta presto.

E' chiaro, invece, che essì chiedevano un "segno" precorritore dell'evento. Viene così demolita l'argomentazione a cui talora la Soc. Torre di Guardia ricorre, che "non vi sarebbe bisogno di un segno, se la parousìa doveva essere visibile".( Cfr. Svegliatevi, 8/6/1968, pag. 27.)

E il modo in cui rispose, conferma che i segni precorrevano l'evento. Infatti, dopo avere elencato gli eventi futuri tra cui la distruzione di Gerusalemme, Gesù descrivendo il "segno" che avrebbe accompagnato la sua venuta "sulle nubi", dice: «Ora imparate dal fico l'illustrazione; Appena il suo ramoscello si fa tenero e

mette le foglie, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte »( Cfr. Mc. 13,28.29 in T.N.M.; anche Mt. 24,32.33; Lc. 21,29-3 1,)

Non c'è dubbio che nell'esempio di Gesù i germogli del fico hanno la funzione di indicare ai discepoli non che l'estate è presente, ma che l'estate si avvicina.

I germogli sono i segni che precedono, non seguono la venuta dell'estate. Allo stesso modo, il segno della venuta del Figlio dell'uomo proverà che "Egli è vicino, alle porte", non che è presente invisibilmente.

Il paragone è tra l'estate che si avvicina e Cristo che si avvicina. Gesù esorta i discepoli ad attendere un segno che precederà il suo arrivo, la sua "visita regale", non un segno che seguirà la sua venuta e lo mostrerà invisibilmente presente.

 

Quindi i Sinottici indicano molto chiaramente che i discepoli chiedevano un segno della venuta di Cristo, non un segno della sua presenza. Inoltre, nelle parabole in cui si ammonisce sulla necessità di essere vigili nell'attesa, Gesù paragona il suo giudizio a quello di un padrone che ritorna a casa dopo un viaggio.( Cfr. Mc: 13,33-37. La trattazione dei tema "parousìa" è tratta da : Il segno degli ultimi giorni, op. cit. pp. 28-41.)

 

Ciò che vi si descrive è l'arrivo del padrone, non la sua invisibile presenza.

Tutte le testirnonianze quindi, quelle provenienti dalle traduzioni antiche e moderne, dai lessici della lingua greca, dal contesto, e dalle concordanze, portano ad un'unica conclusione: "parousìa" in Mt. 24,3 non può riferirsi alla "presenza invisibile", o di una "venuta in due fasi"; ma si riferisce al futuro arrivo di Cristo, ed alla sua "venuta" in qualità di re per compiere il Giudizio, "con potenza e grande gloria" (Mt. 24,30 in T.N.M) accompagnato dai suoi santi angeli, e quindi si riferiscono alla divinità di Cristo.

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