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LA CRISTOLOGIA DEI TESTIMONI DI GEOVA

Ultimo Aggiornamento: 01/09/2009 16:10
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01/09/2009 16:09

CAPITOLO X

 

 

10. 0. TITOLI CRISTOLOGICI

 

 

10.1. Figlio dell'uomo

 

Durante la sua attività terrena, Gesù spesso usava il titolo "Figlio dell'uomo" e lo applicava a se stesso.

Tale titolo lo troviamo nei Vangeli ben 82 volte, e sempre sulla bocca di Gesù.

Il riferimento è ad un personaggio celeste del libro del profeta Ezechiele e Daniele.( Cfr. Dan. 7,13.14; Ez. 2,1.6.8;)

L'intendimento che i T. di G. hanno del titolo cristologico "Figlio dell'uomo" lo possiamo evincere dai loro scritti: « Il fatto che Gesù applicasse a sé stesso questa espressione, indicava chiaramente che il Figlio di Dio era davvero un essere umano, dato che era "divenuto carne" (Gv. 1, 14), essendo "nato da donna", la vergine ebrea Maria che l'aveva concepito e partorito (Gal. 4,4).

Quindi, non aveva semplicemente un corpo umano materializzato, come un tempo avevano avuto alcuni angeli, né si era incarnato, ma era proprio un "figlio del genere umano", poiché aveva una madre umana. Per questa ragione l'apostolo Paolo poté dire che l'8° Salmo si riferiva profeticamente a Gesù Cristo dice:

"lo facevi anche un poco inferiore agli angeli".(Eb. 2,7 T.N.M.)

Paolo spiega che per adempire questo Salmo profetico, Gesù senz'altro fu fatto "un poco inferiore agli angeli", diventando realmente un mortale "figlio dell'uomo terreno".

La designazione "Figlio dell'uomo" serve dunque a sottolineare lo stretto legame di parentela esistente fra Gesù Cristo ed il genere umano. Gesù infatti è identificato come Colui che ha il potere di riscattare il genere umano liberandolo dalle schiavitù del peccato e della morte, e anche come il grande Vendicatore del sangue….Gesù a proposito del "segno del Figlio dell'uomo". disse: "Vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi del cielo con potenza e gran gloria".(Mt. 24,30)

Questo era chiaramente un riferimento alla profezia di Daniele ... Anche Stefano ebbe una visione in cui vide "i cieli aperti e il Figlio dell'uomo in piedi alla destra di Dio".(At. 7,56) Ciò significa che Gesù nella sua posizione celeste conservava la designazione messianica di "Figlio dell'uomo". Quindi, l'adempimento della profezia di Dan. 7,13.14 non avviene al momento della risurrezione di Gesù al cielo, ma quando egli è autorizzato da Dio ad agire contro tutti gli oppositori mediante una energica espressione della sua autorità regale.

A quanto pare, dunque, la "venuta del figlio dell'uomo alla presenza dell'Antico dei giorni" corrisponde cronologicamente allo scoppio della guerra in cielo". (cioè nel 1914)( Perspicacia nello studio-, op. cit. pp. 923,924,- anche Ausiliario-, op. cit. pp. 454,455; vedi anche T.G. 1/6/1956, pag. 351.)

 

Inoltre, il libro di testo che spiega al T. di G. versetto per versetto l'Apocalisse di Giovanni, facendo una esegesi di Ap. 14,14-16 dice: « Non ci sono dubbi sulla identità di colui che siede sulla nube bianca.

Seduto su una nube bianca, simile ad un figlio dell'uomo e con una corona d'oro, questi è chiaramente Gesù, il re messianico che fu visto in visione anche da Daniele (Dn. 7,13.14). Ma di quale messe parla qui la profezia? Quand'era sulla terra, Gesù paragonò l'opera di fare discepoli alla mietitura del campo mondiale dell'umanità (Mt. 9,37.38). Questa mietitura o raccolta raggiunge il culmine nel "giorno del Signore, quando Gesù è incoronato re ed esegue il giudizio per conto del Padre suo. Così il tempo in cui Egli domina, a partire dal 1914, è anche il gioioso tempo in cui raccoglie la messe. Pur essendo Re e Giudice, Gesù attende l'ordine da Geova il suo Dio, prima di cominciare a mietere. Quest'ordine giunge mediante un angelo.

Immediatamente Gesù ubbidisce. Dapprima, a cominciare dal 1919, fa completare dai suoi angeli la mietitura del rimanente dei 144.000.

Successivamente ha luogo il radunamento della grande folla. La storia mostra che fra il 1931 e il 1935 comincia a manifestarsi un buon numero di queste altre pecore. Nel 1935 Geova fece si che la classe di Giovanni comprendesse la vera identità della grande folla.

Senz'altro Colui che è simile ad un "Figlio d'uomo" ha raccolto una messe abbondante e gioiosa durante questo tempo della fine ».( Rivelazione-, op. cit. pp. 211,212.)

In sintesi dalla visione geovista del termine "Figlio dell'uomo" si evince che:

 

1) Con tale espressione si vuole indicare la piena unica natura umana di Gesù;

 

2) Si trae la conclusione che Dan. 7,13 è una profezia che fa riferimento, si applica, e si adempie in Gesù;

 

3) Il termine “Figlio dell'uomo" sottolinea lo stretto legame di parentela tra Gesù ed il genere umano;

4) La venuta del "Figlio dell'uomo" avvenne nel 1914.

 

 

10.1.1.    Differenti usi dei termine

 

L'espressione Figlio dell'uomo è in realtà una espressione ambigua, di diverso uso nel V.T. e nel N.T.; nel libro di Ezechiele il profeta viene chiamato con l'espressione Figlio dell'uomo, ed in tale contesto indica semplicernente un "uomo". Diverso è invece l'uso del termine in Daniele. Probabilmente in Daniele con tale termine "si vuole esprimere l'attesa messianica che mai era venuta meno in mezzo al popolo e che in questo periodo, caratterizzato dalla prospettiva escatologica, assume le sembianze di colui che

verrà ad instaurare il Regno di Jahwè. Nel N.T. il titolo "Figlio dell'uomo" è direttamente riferito alla persona

storica di Gesù che con questa espressione ha voluto identificare se stesso e la sua missione.

"Figlio dell'uomo" è diventato progressivamente un titolo messianico con il quale la comunità primitiva ha identificato Gesù con il Signore escatologico".( Cfr. Lexicon Dizionario, Teol. Eneici., op. cit. pag. 420.)

 

Questo fatto appare particolarmente nel servo di Jahwè, in Lui si compiranno le speranze che Dio ha posto in Israele suo servo (Isa. 41,8). Israele, chiamato ad essere la luce dei pagani, si riduce dapprima al resto, poi ad un singolo individuo nel quale si concentra la missione.

Nel giudaismo il "Figlio dell'uomo" di Dan. 7,13 è considerato una figura individuale escatologica;

"Fino a Cristo la storia di salvezza conosce una riduzione progressiva: umanità- popolo d'Israele- resto d'Israele- l'individuo Gesù Cristo; fin qui la pluralità tende all' unità.

Ma a partire da questo momento inizia un movimento inverso, quello che dall'unìtà si rifrange nella pluralità. Gesù Cristo è il primogenito di molti fratelli (Rm. 8,29); costituisce il nuovo popolo di Dio e segna l'inizio della nuova umanità. Egli riassume così tutta l'evoluzione precedente ed apre una storia nuova.

Egli è tanto la fine, la meta e il compendio, come pure l'inizio di un nuovo futuro".( Walter KASPER, Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia, 1975, pag, 305)

 

Così Gesù nella sua persona potrà rappresentare contemporaneamente tre realtà: la persona individuale del Cristo, la comunità del nuovo Israele, la concreta unità di Gesù e dei membri della sua Chiesa.

In Mc. 2,10 il "Figlio dell'uomo" rimette i peccati. Il titolo fa riferimento al ruolo risolutivo che Gesù ha nella storia del mondo e dell'uomo.

 

In età patristica il termine "Figlio dell'uorno" è inteso in senso erroneo, cioè nato con natura umana, che assume natura umana. Ma il titolo fa riferimento ad una figura apocalittico-escatologica che ha la sua origine dall'alto, discende dall'alto e nell'alto rimane, perché pone il suo trono tra cielo e terra.

 

In Dan. 7,13-28 il "Figlio dell'uomo" viene dall'alto verso il basso, siede sulle nubi, ed esprime un giudizio.

Questa figura è da interpretare in senso individuale o collettivo? Non c'è risposta.

 

E' una figura enigmatica, e neppure gli ebrei riuscivano a capirne il significato. E' un titolo ricco di profetismo, è una figura misteriosa che opera una graduale rivelazione. Ciò permette a Gesù di parlare o evitare di parlare in modo esplicito. Usa "Figlio dell'uomo" per dire che il Regno di Dio è qui, Dio lo sta attuando per mezzo di quello che Lui sta dicendo e compiendo.

Questo titolo non solo protegge il mistero, ma lo svela perché si riferisce ai testi biblici apocalittici come quelli di Ezechiele e Daniele. "Quindi il titolo Figlio dell'uomo" si trova sulla bocca di Gesù per correggere il possibile fraintendimento politico del titolo Messia.

 

In quel contesto il titolo "Figlio dell'uomo" è stato valutato come espressione della pretesa di Gesù e della sua dimensione escatologica. Nell'ambito, invece, della riflessione sul mistero di Gesù Cristo, questo titolo

orienta alla comprensione dell'umanítà di Gesù, così come quello di "Figlio di Dio" aiuta a comprendere la sua divinità.

La prima riflessione teologica che il Kasper sviluppa dal titolo "Figlio dell'uomo" è, dunque, orientata all'affermazione della umanità di Crísto che abbraccia tutta la sua vita, dalla nascita alla morte.(cf N.Madonia, Ermeneutica e cristologia in W. Kasper, ed. Augustinus, Palermo 1990. pp.223,224.)

 

"Denominandosi Figlio dell'uomo, Gesù si presenta come giudice e salvatore escatologico, che in futuro verrà nella gloria.

Ma, innovando profondamente il significato di questa figura, dichiara che il Figlio dell'uomo esercita già ora il potere di giudicare e salvare. Questa tensione presente e futuro corrisponde alla dinamica del Regno, ora nascosto ed avversato, ma in futuro glorioso.

Il Figlio dell'uomo impersona il Regno".(cf La verità vi farà liberi, op. cit. pag. 122, n.222)

 

 

10.2   Figlio di Davide

 

li titolo cristologico "Figlio di Davide" presente nei sinottici, indica che Gesù è il Messia promesso e sottolinea un aspetto particolare della figura del Messia: l'unto di Dio doveva nascere dalla famiglia di Davide.( Cfr. Mt. 22,42.)

 

Il titolo "Figlio di Davide" sottolinea il legame che unisce il Salvatore alla storia d'Israele alla profezia dell'antico patto. In Gesù, in quanto discendente di Davide (2)  trova infatti piena realizzazione l'antica profezia fatta al re d'Israele (Cfr. 2 Sarn. 7,12.) di una particolare benedizione sulla casa di Davide e del suo ristabilimento; non però secondo l'aspettativa dei giudei, che la attendevano come una rinnovata e vittoriosa attività politico-militare, ma nel senso che la fedeltà di Dio ha suscitato il discendente atteso, colui che dà a tutta la storia d'Israele il suo vero significato, colui la cui missione è assai più vasta di un semplice ristabilimento dinastico.

 

Per i T. di G. il titolo "Figlio di Davide" lo qualifica come re del Regno di Dio per eredità sia legíttima che naturale, e senza tale qualifica Gesù non avrebbe potuto sedere alla destra di Dio per regnare. Nello spiegare la legittima eredità, viene detto: « Poiché il padre di Maria era Eli della casa di Davide, mediante

Natan figlio di Davide, Gesù ricevette il diritto naturale al trono di Davide mediante Maria. Tuttavia poiché Giuseppe adottò legalmente Gesù come suo primogenito, Gesù acquistò ulteriormente il diritto legale al trono, poiché Giacobbe, padre di Giuseppe, era un diretto discendente reale del re Davide, mediante Salomone e tutti i re di Giuda ».( La Torre di Guardia dei 1/6/1959, pag. 332.)

"Quindi Gesù Cristo è Figlio di Davide perché è l'erede sia legittimo che naturale al trono di Davide".( Cfr. Perspicacia nello studio-, op. cit. pag. 658.)

In realtà, la risposta che Gesù dà ai Farisei in Mt. 22,41-45 mette in evidenza che pur discendendo da Davide per le sue origini umane, il Messia aveva anche un carattere divino che lo rendeva superiore a Davide.

Con molta probabilità l'uso che i sinottici fanno di questo titolo, rivela una mentalità precristiana che identificava il titolo con l'attesa di un messianismo regale.

 

In Mt. 22,41-45 Gesù accetta il titolo, ma lo rende più conforme e coerente con la sua predicazione che vedeva nel servo sofferente l'espressione più adeguata.

 

 

 

10.3.   Figlio di Dio

 

Poche espressioni del N.T. esprimono con altrettanta chiarezza tutto il mistero di Gesù di Nazareth, della sua persona e della sua opera. L'evangelista Marco raccoglie tutta la sua testimonianza su Gesù sotto il titolo significativo: "Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio" (Mc. 1,1).

 

Caratteristico dei sinottici è il fatto che due sole categorie di individui, ben determinate, chiamano Gesù "Figlio di Dio": gli indemoniati e i discepoli.

Con questa esplicita confessione della sua superiorità, della sua divinità stessa, lo affrontano i demoni nella persona dei malati da essi posseduti.( Mc. 3,11; 5,7.)

Ed è precisamente questo mistero della divinità di Gesù che è dato ai discepoli di conoscere.( Mt. 16,16)

 

Il titolo cristologico "Figlio di Dio" esprime la realtà ontologica della relazione di Gesù di Nazareth con Dio.

 

In virtù di questa particolare relazione con Dio Egli è l'Unigenito venuto dal Padre,( Gv. 1, 18.) è il Logos che dall'eternità è presso Dio.( Gv. 1,2.)

Nella dottrina geovista il titolo "Figlio di Dio" assume un significato particolare: « Gesù è l'unigenito Figlio di Dio nel senso che ha avuto origine da lui. E' anche il primogenito di Dio in quanto prima creatura di Dio. Il termine "principio" di Gv. 1,1 non può riferirsi al "principio" di Dio, il Creatore, in quanto Egli è etemo, senza principio.

Deve quindi riferirsi al principio della creazione, quando la Parola fu generata da Dio quale suo Figlio primogenito. Il termine "principio" è usato in modo simile in diversi altri versetti per descrivere l'inizio di un periodo, di una carriera o di un comportamento, come il "principio" della carriera cristiana di coloro a cui Giovanni scrisse la sua prima lettera. (1 Gv. 2,7; 3,11)

Gesù è "l'unigenito Figlio" in quanto è l'unico dei figli di Dio creato esclusivamente da Dio, dato che tutti gli altri furono creati tramite questo figlio primogenito.

 

Gesù, quando nacque come essere umano, continuò ad essere Figlio di Dio; quando, circa trenta anni dopo la sua nascita umana, fu battezzato, l'uomo Gesù nacque di nuovo come Figlio spirituale con la speranza di ritornare in cielo. Come Davide da adulto poté diventare figlio di Dio in senso speciale, così

anche Gesù divenne Figlio di Dio in modo speciale al momento del suo battesimo ed alla sua risurrezione (Perspicacia nello studio..., op. cit. pag. 928.)  Fin qui il geovismo.

 

In realtà l'uso che viene fatto nel N.T. del titolo "Figlio di Dio" esprime l'apice della pretesa di Gesù, perché rivela la sua consapevolezza di avere una relazione del tutto unica con Dio, quella appunto della figliolanza divina, e rivela che Gesù è Figlio di Dio in modo unico ed assoluto, altro che figlio alla stessa maniera di Davide.

"La comunità primitiva, memore dell'insegnamento di Gesù, si è sempre più spesso rivolta a Dìo chiamandolo ed invocandolo come Padre; uno sguardo al Vangelo di Giovanni mostra che l'impiego di "Padre" riferito a Dio è di 109 volte. Se lo si confronta con le 4 volte usate da Marco, si può concludere che verso la fine del I° secolo la comunità ha assunto definitivamente questa espressione come sinonimo di Dio. La fede vede in Gesù Figlio di Dio la verità della condizione reale di Gesù Cristo, vero Dio perché Figlio del Padre".( Lexicon, Diz. Teol, op, cit. pag. 422.)

 

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