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San Pietro ha soggiornato a Roma?

Ultimo Aggiornamento: 04/09/2009 10:47
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02/09/2009 07:43

San Pietro ha soggiornato a roma?

tratto dalla Rubrica "Un sacerdote risponde" di Totus Tuus


Fino al 1400 nessuno aveva messo in dubbio la presenza di San Pietro a Roma, e la cosa è talmente certa che anche protestanti e ortodossi oggi la ammettono. Lascio la risposta a un magistrale scritto di Mons. Arialdo Beni, premettendovi solo alcune brevi considerazioni.
Innanzi tutto dobbiamo considerare che alcune difficoltà circa la presenza a Roma di San Pietro depongono a favore di questa. Siamo certi che la Chiesa primitiva non vuole "montare" qualcosa di falso; una certa differenziazione delle testimonianze - una volta assodato la storicità di un certo fatto -, depone a favore della sua veridicità: un giudice guarda sempre con sospetto le testimonianze perfettamente convergenti.
Detto questo, entriamo in media res:

I. Il nuovo Testamento senza dubbio proclama il primato di Pietro: Gesù conferisce il primato a Pietro personalmente; Gesù non parla ancora di primato della Chiesa di Roma: soltanto Luca, alla lista di 12 popoli presenti a Gerusalemme il giorno di pentecoste (elenco classico) aggiunge, quale tredicesimo, Roma.
Testimoni antichissimi attestano il primato della Chiesa Romana, compresi Sant'Ireneo e CostituzioneApostolica.
Qual è il termine medio del passaggio del primato alla Chiesa di Roma se non la presenza di chi il Primato l'aveva ricevuto personalmente?

II. Tra i reperti archeologici Romani, il maggior numero di dipinti raffigura Gesù Buon Pastore; ma subito dopo abbiamo l'immagine di Pietro, indipendentemente da San Paolo e da altri santi. E spesso San Pietro è raffigurato sotto a Mosè, come nuovo Mosè: Pietro, vicario di Cristo, è il nuovo legislatore.

III. E' difficile mettere in dubbio le testimonianze circa il martirio di San Pietro a Roma. Anche qui la presenza di tradizioni diverse e di particolari che alcuni definiscono leggendari è un elemento a favore: Di solito una leggenda si forma sempre attorno a una verità storica ammessa e conosciuta da tutti.

IV. La tomba di San Pietro è a Roma, in Vaticano.

V. S.Ireneo scrive: "avendo fondato e costruito la Chiesa (a Roma), i beati apostoli affidarono la funzione dell'episcopato a Lino, ecc...." Adv. Haer: 3, 3, 2.: quindi San Pietro a Roma non è omesso da Sant'Ireneo, come Lei afferma erroneamente.

VI elemento La "costituzione apostolica" è su tanti punti inattendibile.

Ma ora passo la parola a Mons. Arialdo Beni, che magistralmente espone tutta la questione.

IL SOGGIORNO DI SAN PIETRO A ROMA
(Testo tratto da: Arialdo Beni, La nostra Chiesa Firenze: LEF, 1976, pp. 477-491)

La venuta di S. Pietro a Roma non fu mai contestata sistematicamente fino al secolo scorso.
Secondo il grande inquisitore Pietro Moneta [1] i Valdesi e, nel secolo XIV, Marsilio da Padova, negavano che tale venuta potesse esser dimostrata dalla Bibbia. Anche al tempo della Riforma soltanto voci isolate, fra le quali ricordiamo particolarmente Ulrico Veleno [2] e Federico Spanheim [3], osarono attaccare la tradizione, contro la quale, nell'epoca quasi-moderna, troviamo schierata l'intera Scuola di Tubinga (Baur, Schwegler, Zeller, Straub, Lipsius, ecc...).
Oggi soltanto qualche scrittore inacidito e spaesato si ostina a negare un fatto che ha ormai la saldezza del granito [4]. La maggior parte degli stessi acattolici sono ritornati all'antica tradizione [5].
Anche i Protestanti tedeschi, che pur avevano un tempo contestato accanitamente la venuta di Pietro a Roma, hanno finito per far macchina indietro. Così per esempio, Harnack [6], Lietzmann [7], Caspar [8], M. Dibelius [9], H. von Campenhausen [10], ecc.
Harnack scrive testualmente: "Il martirio di S. Pietro a Roma è stato negato dai tendenziosi pregiudizi protestanti ed in seguito dai preconcetti dei critici partigiani... Non vi è studioso che attualmente esiti a riconoscere che questo fu un errore " [11].
Il russo Basilio Bolotov dichiara che negare la venuta di Pietro a Roma equivale a rigettare ogni verità storica [12].
Cullmann, riassumendo la sua indagine sulla vita e l'attività dell'apostolo Pietro, cosi si esprime: "Se vogliamo riassumere, diremo che, durante la vita di Gesù, Pietro ha occupato tra i discepoli una posizione di preminenza; che dopo la morte di Cristo, egli ha per alcuni anni governato la Chiesa di Gerusalemme, poi è diventato capo della missione giudeo-cristiana; che in questa qualità... egli è venuto a Roma ad una data che non si può determinare, ma che non ha dovuto precedere di molto la sua fine: che egli è morto martire in questa città sotto il regno di Nerone, dopo avervi esercitato la sua attività durante un tempo assai breve " [13].

1. Le testimonianze
1. La prima allusione abbastanza chiara al soggiorno romano di Pietro si ha nella Scrittura. Lo stesso S. Pietro, scrivendo ai cristiani dell'Asia Minore, t&rmina la sua lettera con queste parole: "Vi saluta [la Chiesa] che è coadunata in Babilonia, e Marco il mio figliuolo " [14].
Ma che cos'è questa "Babilonia? " La parola, di per sè, potrebbe essere presa in senso letterale, come anche in senso metaforico. Praticamente, non possiamo prenderla che in quest'ultimo senso. Di città che portassero infatti quel nome, allora, non ce n'erano che due: Babilonia di Mesopotamia e Babilonia d'Egitto.
Se non che, la prima, un tempo celeberrima, era stata, allora, abbandonata dai Giudei e, secondo la descrizione di Plinio e di Strabone, non era più che un " grande deserto ". Comunque, non vi si trovavano ancora i cristiani. Costoro, al dire del Talmud, vi faranno la loro comparsa solo al III sec. Nel saluto della I Petri non si può dunque, trattare di questa Babilonia di Mesopotamia.
La seconda città di tal nome, l'attuale Cairo, era, in quell'epoca, un piccolo forte militare, quasi sconosciuto. A parte che da un "castrum " militare non si usa datare le lettere, è sommamente improbabile che il Principe degli Apostoli si trovasse a dirigere una minuscola comunità cristiana, quale poteva esser quella di una località cosi ristretta.
Del resto, siccome la Chiesa siriaca formerà quasi una cosa sola con la Chiesa mesopotamica; siccome, poi, anche l'Egitto ha avuto più di un santo Padre che ha scritto di Pietro, perché, nelle rispettive tradizioni di queste chiese, non fare mai neanche un accenno al " salutat vos " dell'Apostolo, al suo soggiorno babilonese, se ciò le avesse riguardate?
"Babilonia ", dunque, non può avere che un senso metaforico.
Come già nell'Apocalisse di S. Giovanni (c. 17-18) e nei Libri Sibillini, il nome di "Babilonia " designa la Roma pagana. Così l'interpretarono, oltretutto, gli scrittori antichi, quali Papia, Clemente Alessandrino, Eusebio di Cesarea, S. Girolamo; in tal senso lo prendono tutti gli esegeti cattolici moderni insieme anche a molti protestanti. Lo stesso Renan asserisce: "In questo passo Babilonia designa evidentemente Roma; è in tal modo che si chiama, nelle comunità primitive, la capitale dell'impero " [15].
Se nella Scrittura "Babilonia " è il tipo della città depravata. effettivamente Pietro - che era tanto amante, d'altronde, del linguaggio metaforico (cfr. 2, 2; 2, 4 sgg.; 3, 18 sgg.; 5, 8 sgg.) - non poteva scegliere nome più adatto per indicare quella capitale, nella quale - al dire di Tacito - "confluiva da ogni parte e veniva celebrato tutto ciò che sa d'atroce e di vergognoso " [16].
Non va dimenticato, infine, che l'Apostolo proprio in quel tempo era probabilmente braccato dalla polizia imperiale di Nerone. Per cui, onde evitare il pericolo di essere scoperto, nulla di strano che sia ricorso all'uso di un nome simbolico. "Babilonia " è, dunque, sinonimo di Roma. Pietro ha scritto da Roma: Pietro è stato a Roma.
Un'altra chiara allusione al soggiorno romano di Pietro si trova nella celebre Lettera ai Corinti di Clemente. Dopo aver parlato (c. 5) delle sofferenze e del martirio delle "più grandi e giuste colonne ", "i buoni apostoli " Pietro e Paolo, soggiunge: "A questi uomini che vissero santamente si unì una grande moltitudine di oltraggi e tormenti, divennero esempio bellissimo in mezzo a noi, (gr. en &m&n) " [17]. La "grande moltitudine " del testo è sicuramente quella stessa di cui parla Tacito, Ann. 15, 44, multitudo ingens, e cioè la moltitudine delle vittime sacrificate a Roma durante la persecuzione neroniana. Ora proprio a questa moltitudine, che è stata "di bellissimo esempio fra noi ", e cioè a Roma [18], vengon, da Clemente, associate anche le due colonne Pietro e Paolo.
Dunque - qualora non si voglia arbitrariamente supporre una associazione insensata di fatti senza nesso fra di loro - anche i due apostoli apparterranno allo stesso martirologio romano. Pietro e Paolo - questa la testimonianza di Clemente - hanno subito il martirio a Roma, sotto Nerone.
Verso il 107 Ignazio d'Antiochia, scrivendo ai cristiani di Roma, dopo averli scongiurati a non voler impedire che sia "macinato dai denti delle belve ", menziona espressamente Pietro e Paolo: "Io non vi comando come Pietro e Paolo. Essi erano Apostoli, io sono un condannato; essi erano liberi, io, finora, sono uno schiavo " [19]. Parole, queste, che non avrebbero un fondamento, n& un significato, se non supponessero un governo di Pietro nell'Urbe.
Nessuna tradizione, d'altronde, ci parla di un comando esercitato per lettera. Se Pietro e Paolo hanno comandato ai Romani, devono averlo fatto di persona: Pietro e Paolo sono stati a Roma.
Dionigi, Vescovo di Corinto, in una lettera al Papa Sotère, del 166-170 circa, attesta esplicitamente:
"Tutt'e due (Pietro e Paolo), venendo nella nostra città di Corinto, ci ammaestrarono nella dottrina evangelica; indi se ne andarono in Italia ed, avendo istruiti allo stesso modo voi (Romani), contemporaneamente subirono il martirio " [20].
Secondo Eusebio di Cesarea, tanto Clemente Alessandrino come Papia (+ 150), vescovo di Gerapoli, testimoniano espressamente che Pietro predicò a Roma la catechesi apostolica che poi fu messa per iscritto da S. Marco "suo interprete " dietro preghiera dei cristiani stessi di quella comunità (Stor. Eccles. 3, 39, 15; 6, 14, 7. MG. 20, 299; 551).
Ireneo di Lione (+ 202) parla, a più riprese di Pietro e del suo apostolato nell'Urbe. "Matteo - attesta nell'Adversus Haereses - ha scritto per gli Ebrei e nella loro lingua, al tempo in cui Pietro e Paolo evangelizzavano Roma e vi fondavano la Chiesa ".
E un po' più avanti, dopo aver affermato che "...la massima ed antichissima Chiesa, da tutti conosciuta, [è stata] fondata a Roma dai due gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo " [21], riporta un catalogo dei Papi, che scende fino ad Eleuterio, con queste precise parole: "avendo fondato e costruito la Chiesa (a Roma), i beati apostoli affidarono la funzione dell'episcopato a Lino, ecc.... " [22].
Secondo Tertulliano, Pietro venne a Roma fatto simile al Signore nel martirio " (De Praescriptione haeret. 36. ML. 2, c. 9) e battezzò nel Tevere (De Baptism. 4. ML. 1, 1203).
Da Eusebio ci vien tramandato anche un frammento di un opuscolo composto dal presbitero Gaio contro il montanista Proclo sotto Papa Zeffirino (200-217), in cui si accenna ai "sepolcri " gloriosi di Pietro e di Paolo in questi termini: " Io posso mostrarti i trofei ( = sepolcri) degli Apostoli. Se vorrai recarti nel Vaticano o sulla via Ostiense, troverai i trofei di questi due, che fondarono questa Chiesa " [23].
Origene (+ 250), nel suo Commentario alla Genesi, scrive: "Pietro sembra aver predicato nel Ponto, nella Galazia, nella Bitinia, nella Cappadocia, nell'Asia, ai Giudei della Dispersione. Finalmente, venuto a Roma, vi fu crocifisso con la testa all'ingiù " [24].
Nel secolo IV la convinzione che S. Pietro fosse il fondatore della Chiesa di Roma era universale e ormai la documentazione è ricchissima.

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02/09/2009 07:45

2. Una luminosa conferma alle testimonianze storiche ci viene fornita dall'Archeologia
a) Un'iscrizione, detta della platonia (corruzione forse di "platoma " - lastra di marmo), posta, da quell'appassionato cultore delle antiche memorie cristiane che fu Papa Damaso (+ 384), nelle Catacombe di S. Sebastiano, al terzo miglio della via Appia, suona così: "Tu che domandi sul nome di Pietro e di Paolo, sappi: qui un tempo hanno abitato i due santi. L'Oriente mandò i discepoli, lo ammettiamo; - ma a causa del loro martirio sanguinoso - poiché essi sono saliti dietro a Cristo attraverso le stelle alla sede celeste e sono arrivati al regno dei beati - Roma ha ottenuto con maggior diritto di considerarli come suoi cittadini. Questo vuol cantare Damaso a vostra gloria, o nuove stelle " [25].
La frase "qui un tempo hanno abitato i due santi " ci lascia perplessi: si deve pensare ad una dimora vera e propria degli Apostoli, o ad una loro sepoltura? Non c'è nessun argomento che favorisca la prima ipotesi. Quanto alla seconda (sepoltura), il Presbitero Romano Gaio, come abbiamo sentito sopra, ci fa sapere che verso il 200 le ossa degli Apostoli si trovavano al Vaticano e sulla via Ostiense. Ora, questa testimonianza non sarebbe per caso in contraddizione con la frase damasiana?
Non sembra. Secondo una teoria, assai condivisa dagli archeologi, le cose sarebbero andate cosi: mentre Paolo era stato seppellito sulla via Ostiense, Pietro inizialmente venne seppellito al Vaticano, dove si trovava ancora al tempo del prete Gaio. Nel 258 (anno terribile della persecuzione di Valeriano, nel quale, fra l'altro vennero sequestrati i cimiteri) i cristiani - sia forse per salvarle dalla profanazione, sia per aver la possibilità di venerarle più facilmente - trasportarono le reliquie del loro primo Vescovo e di S. Paolo lontano dalla città, nelle Catacombe di S. Sebastiano. Fintanto che, terminata la persecuzione, dopo il 260, non le ricollocarono di nuovo nel loro sepolcro originario [26].
b) Che i corpi dei due apostoli abbiano, per un certo periodo, riposato nelle catacombe di S. Sebastiano, lo provano evidentemente alcune importantissime scoperte fatte tra il 1915-1916 sotto la parte anteriore di quella Basilica. In una stanza, chiamata dagli archeologi "Triclia " ( = sala da pranzo), è stata trovata infatti un'intera parete piena zeppa di graffiti, anteriori al periodo costantiniano, nei quali ritornano costantemente i nomi di Pietro e Paolo con più di cento invocazioni d'ogni specie in greco e in latino, o anche in latino con caratteri greci. "Paolo e Pietro, pregate per Vittore! "; "Paolo, Pietro, pregate per Erato! "; "Pietro e Paolo, venite in aiuto a Primo peccatore! "; "Pietro e Paolo, ricordatevi di Antonio Basso! "; " Pietro e Paolo, proteggete i vostri servi! ".
Parecchie iscrizioni accennano anche al refrigerium, una specie di banchetto funebre, d'origine pagana, che si celebrava in onore dei defunti. "Io, Tomio Celio, ho tenuto il refrigerium per Pietro e per Paolo "; " Dalmazio ha celebrato il refrigerium "; "Io ho fatto un refrigerium presso Pietro e Paolo " [27].
c) Da antiche memorie, come per esempio il Liber Pontificalis [28], sapevamo che Costantino verso il 315 aveva eretto una grandiosa Basilica sulla tomba originaria e... definitiva di S. Pietro al Vaticano. La monumentale Chiesa, a cinque navate, resistette fino agli inizi del 1500, quando Giulio II decise di costruirne una più grande, più sontuosa, quella attuale, sormontata dalla cupola di Michelangelo.
Essendo stati scoperti, in occasione della sistemazione della tomba di Pio XI, ambienti prima sconosciuti, Pio XII, il 28 giugno 1939, dette ordine di iniziare degli scavi sistematici sotto la Basilica di S. Pietro.
Le diligentissime ricerche hanno portato alla più luminosa conferma dei dati offerti dall'antichissima tradizione [29].
E cioè: sotto il livello dell'attuale basilica, alla profondità di parecchi metri, furono ritrovati i resti dell'antica basilica costantiniana, e al di sotto di essa venne alla luce una vasta zona cimiteriale pagana con elementi cristiani, anteriore all'imperatore Costantino (morto nel 337). La zona era attraversata, nella direzione dell'asse centrale della basilica, da una via romana, fiancheggiata da ricchi mausolei gentilizi del secondo e terzo secolo dopo Cristo. La via andava a sfociare in una specie di piazzuola circondata da varie tombe a inumazione della fine del primo secolo, scavate nella nuda terra, proprio nel punto che, sul piano dell'attuale basilica, corrisponde all'altare della "Confessione ".
La disposizione e l'antichità di quelle tombe erano tali che i quattro archeologi preposti agli scavi, pensarono di essere ormai vicini alla tomba del primo Papa. E infatti si presento loro, in corrispondenza diretta con l'attuale altare papale, una costruzione quadrangolare, ornata di marmi rari e di porfido, dell'età costantiniana. Aperta una breccia, gli archeologi vi scoprirono l'antico trofeo di Gaio. Era una specie di edicola funeraria, appoggiata a un contemporaneo muro (il muro rosso, chiamato cosi dal colore dell'intonaco) e costituita da due piccole nicchie sovrapposte, divise da una mensa di travertino sorretta da due colonnine di marmo. Pot& essere fissata anche l'epoca della costruzione del muro e dell'edicola: circa l'anno 150.
Un muro, aggiunto successivamente poco sopra l'edicola (il così detto muro g), risultò coperto da una vera selva di graffiti, ossia di iscrizioni incise sull'intonaco da pii visitatori. La professoressa Guarducci, dopo due anni di studio, riuscì a decifrarli, ricavandone una serie di acclamazioni e invocazioni cristiane di vittoria e di pace per i defunti. Varie volte il nome di Pietro vi appariva unito al nome di Cristo e persino di Maria! Spesso il nome di Pietro era scritto solo con le due iniziali maiuscole PE; oppure la E era attaccata alla base della P e ne risultava un segno a forma di chiave:

P
E.

Allusione evidente alle chiavi di San Pietro. I graffiti risalgono alla fine del terzo secolo e agli inizi del quarto.
Sotto l'edicola furono trovati i resti di una tomba terragna, stranamente vuota e quasi distrutta, mentre le tombe vicine contenevano ancora delle ossa. Alcuni resti di ossa umane furono ritrovati addosso al muro rosso, e altri nella zona circonvicina.
Non poteva più esserci alcun dubbio: quella fossa, difesa dall'edicola e inglobata da Costantino entro la sua costruzione ornata di marmi preziosi e di porfido, era la tomba umilissima del primo Papa!
Pio XII, nel messaggio natalizio del 1950, ne diede il festoso annunzio: "è stata veramente ritrovata la tomba di San Pietro? A tale domanda la conclusione finale dei lavori e degli studi risponde con un chiarissimo . La tomba del Principe degli Apostoli è stata ritrovata ". E il Papa proseguiva: "Una seconda questione, subordinata alla prima, riguarda le reliquie del Santo. Sono state esse rinvenute? ". La risposta non pot& essere altrettanto positiva: furono sì ritrovati resti di ossa umane al margine del sepolcro, ma come si sarebbe potuto garantirne la sicura appartenenza a San Pietro? Restava però intatta la realtà storica della tomba, e il Papa poteva concludere: "La gigantesca cupola s'inarca esattamente sul sepolcro del primo Vescovo, di Roma, del primo Papa: sepolcro, in origine, umilissimo, ma sul quale la venerazione dei secoli posteriori, con meravigliosa successione di opere, eresse il massimo tempio della Cristianità ".
Rimaneva dunque aperta la seconda questione, riguardante le reliquie dell'Apostolo. Erano state veramente ritrovate? Ed ecco la seconda pagina di questa storia meravigliosa.
La professoressa Guarducci nel 1953 iniziò il delicato lavoro di decifrazione dei graffiti del muro g.
Notò subito, incavato nello spessore del muro, un piccolo vano segreto, foderato di lastrine di marmo, ma scardinato e inspiegabilmente vuoto. Venne a sapere dal sampietrino che aveva eseguito i lavori che, durante gli scavi, mons. Ludovico Kaas, segretario economo della Fabbrica di San Pietro, senza dir nulla ai quattro archeologi, aveva fatto aprire il ripostiglio e ne aveva asportato il contenuto. Aveva trovato ossa umane, pezzettini di stoffa di porpora ricoperti di fili d'oro purissimo, frammenti di marmo e di intonaco rosso, ossicini di animali... Fece rinchiudere tutto in una cassettina di legno e vi aggiunse un suo biglietto con le indicazioni essenziali, poi depose la cassetta in un ambiente della medesima zona di esplorazioni. Quella cassetta, in seguito alla morte di mons. Kaas, era stata dimenticata; nel 1953 il sampietrino andò a prelevarla e la consegnò alla professoressa Guarducci, la quale impegnata a decifrare i suoi graffiti, si limitò solo a osservarne il contenuto, senza annettervi eccessiva importanza.
Nel 1956, per ordine di Pio XII, vennero affidati al prof. Venerando Correnti, direttore dell'Istituto di Antropologia all'Università di Palermo, i due gruppi di ossa che erano state ritrovate attorno alla tomba di San Pietro, perch& ne facesse un accurato esame. Gli fu pure consegnata, a parte, la famosa cassetta.
L'esame, minuziosissimo, si protrasse per vari anni. Alla prova dei fatti, le ossa del primo gruppo risultarono resti di tre individui, di cui uno quasi certamente di sesso femminile; mentre quelle del secondo gruppo appartenevano addirittura a quattro individui diversi. Non si poteva quindi individuarvi i resti di San Pietro.
Nella primavera del 1964 venne ultimato l'esame delle ossa contenute nella cassetta. Il responso risultò sorprendente: esse costituivano circa la metà di uno scheletro (rappresentato in quasi tutte le sue parti, compreso il cranio), e appartenevano ad un unico individuo di sesso maschile, di corporatura robusta, di età fra i sessanta e i settant'anni, di altezza tra m. 1,64 e 1,65.
I dati offerti dall'esame scientifico delle ossa corrispondevano in pieno alle caratteristiche di San Pietro: corporatura robusta, altezza più che normale per un palestinese di quei tempi, età avanzata: una vera rarità per un'epoca in cui, secondo i calcoli degli scienziati, la media della vita umana non superava i 25-30 anni.
Quei resti erano stati rinvenuti gelosamente nascosti entro lo spessore del muro g, ricoperto di graffiti inneggianti all'Apostolo, situato proprio sulla sua primitiva fossa, che non per nulla era stata trovata semidistrutta e vuota. Aderente alle ossa, fu notata della terra che, all'esame scientifico, risultò la stessa della fossa sottostante. Dunque quelle ossa, ritenute sicuramente di San Pietro, Costantino le aveva fatte estrarre dalla fossa e le aveva nascoste - all'asciutto e al sicuro - nel vano rivestito di marmo del muro g, che egli poi aveva inglobato - con il muro rosso e il trofeo di Gaio - entro il suo mausoleo ricoperto di marmi rari e di porfido.
Una nuova conferma si può avere nei pezzettini di stoffa di pura porpora imperiale rivestita di fili d'oro finissimo: dunque., l'e ossa erano di un personaggio a cui l'imperatore non aveva trovato eccessivo rendere onori regali! I frammenti di marmo e di intonaco rosso non fanno che confermare che quelle ossa erano state asportate proprio dal misterioso ripostiglio addossato al muro rosso e scheggiato nei suoi marmi al momento della estrazione: il che del resto risultava pure dal logoro biglietto di mons. Kaas, che ne indicava la provenienza.
E la presenza di ossicini di animali (bue, pecora, gallinaccio, ecc.), trovati frammisti alle ossa umane? Essa in un primo momento sorprese e sconcertò un poco, tanto più che analoga presenza riguardava pure gli altri due gruppi di ossa. Alla fine però quegli ossicini si dimostrarono anch'essi provvidenziali per una conferma definitiva: la loro presenza indicava, infatti, che il corpo di San Pietro era stato inumato in un terreno che, al tempo di Nerone, era ancora coltivato, e cioè prima di essere trasformato definitivamente in vero e proprio cimitero. Dunque, la tomba di San Pietro risale... all'epoca del suo martirio!
Ma un'altra prova era destinata a porre l'ultimo suggello. Osservando bene entro il vuoto ripostiglio, la Guarducci vi aveva decifrato una brevissima iscrizione, in lingua greca, con lettere tracciate stentatamente, che tradotte in italiano suonano cosi: Pietro è qui dentro. Dunque, prima che il muro dei graffiti, col suo ripostiglio segreto e il suo prezioso contenuto, venisse incluso nel monumento costantiniano, una mano si introdusse furtiva nel piccolo vano e incise con difficoltà, sull'intonaco del muro rosso che faceva da parete, le fatidiche parole, quasi a suggellare e tramandare ai posteri il ricordo di quella traslazione memorabile: "Pietro è qui dentro ", parole che oggi costituiscono per noi come una specie di "autentica " per le reliquie del Principe degli Apostoli, e ancor più per la sua venuta a Roma.
Davanti alle stesse pietre che parlano, la verità della venuta e della morte di S. Pietro a Roma s'illumina di tanta luce, che, se al tempo di Harnack era da ciechi il rinnegarla, oggi sarebbe addirittura da pazzi.
Un'obiezione, che spesso ci sentivamo ripetere dai negatori del soggiorno romano di Pietro era la seguente: Se Pietro era già stato nella capitale e vi si trovava ancora, perch& S. Paolo, scrivendo nel 58 ai Romani, non gli manda neppure un saluto? perch& non lo ricorda nemmeno?
Veramente, il silenzio di uno, o di pochi, non può mai annullare un coro così potente di voci tutte concordi ed unanimi. Tanto meno, quando ci siano delle ragioni che lo giustifichino appieno. Prima di tutto, "se si ammette che Pietro era presente a Roma - dice il Garofalo - quando Paolo scriveva, è necessario fare un'osservazione ovvia. Quando Paolo ha inviato la sua lettera alla comunità di Roma, a chi l'ha indirizzata? Alla comunità, naturalmente; ma una lettera non si consegna ad una folla; si consegna ad una persona, la quale, in questo caso, non poteva essere che il capo della Chiesa. E allora che bisogno c'era, in una lettera mandata alla comunità, tramite il capo, di nominare il capo stesso? " [30].
Non va dimenticato, d'altra parte, che siamo in tempi calamitosi, in cui è necessario uno spirito di somma discrezione per non arrecar danno alla Chiesa nascente. Ora, se l'Eucarestia era una cosa da nascondere, certamente non era meno da nascondere il capo della Chiesa, S. Pietro.
Del resto, nell'elogio caloroso della fede dei Romani "celebrata in tutto il mondo " (1, 8), nella confessione che Paolo fa di aver come regola di non invadere il campo degli altri "per non edificare su fondamento altrui " (15, 29), nella protesta di voler venire a Roma non per insegnare, ma per consolarsi (1, 11 e 12), per "saziarsi " (15, 24), ecc. ... non c'è, forse, tutta una trasparente, allusione ad un fondatore, di quella Chiesa, più importante dell'apostolato stesso dei pagani, una allusione a S. Pietro?
Comunque, una risposta più radicale all'obbiezione potrebbe essere anche questa: Paolo non saluta Pietro, perché costui si trovava momentaneamente assente da Roma.

NOTE
1
Adversus Cath. et Wald., V, 2, p. 411 (Ed. Roma, 1743).
2 Nel 1520 pubblicò uno scritto intitolato: Tractatus quod Petrus Apostolus numquam Romae fuerit.
3 De ficta profectione Petri Apostoli in Urbem Romam, Leydae, 1679.
4 Fra i moderni negatori ricordiamo: CH. GUIGNEBERT, La Primaut& de Pierre et la venue de Pierre à Roma, Parigi 1909; N. KÉPHALAS, Mel&t& istorik& peri ait&&n to& sk&smatos, Atene, 1911, pp. 12-40; F. DI SILVESTRI FALCONIERI, L'Apostolo S. Pietro è mai stato in Roma?, 1925; J. TURMEL, Histoires des dogmes, III, La Papaut&, Paris, 1933, p. 105 sg.; K. HEUSSI, War Petrus in Rom, Gotha 1937; M. GOGUEL, Les premiers temps de l'Église, pp. 220-225, è... fra color che son sospesi! Dopo aver tentato di negare il valore alle testimonianze e ai fatti generalmente addotti per provare la venuta di S. Pietro a Roma, così conclude: "Se l'argomento decisivo in favore della Tradizione fa difetto, non si può avanzare alcun fatto o alcun testo che stabilisca che Pietro non è venuto a Roma e non vi ha subito il martirio. Una critica prudente deve confessare qui la sua impotenza. Una cosa solamente sembra certa, e cioè, che se Pietro è venuto a Roma e vi è morto martire, egli non c'è venuto che tardi ". Per una storia dettagliata della questione, vedi O. CULLMANN, Saint Pierre, Neuch&tel 1962, pp. 62-67.
5 J. MARX, Manuale di Storia Ecclesiastica, I, Firenze, 1913, p. 38, cita - fra i protestanti che ammettono il fatto storico - Neander, Guericke, Hase, Leipnitz, Hilgenfeld, Hundhausen, Lightfoot, Gieseler. A costoro potremmo aggiungere, fra i viventi: O. Cullman, E. Molland, A. Fridrichsen, G. Kr&ger, C. T. Craig, C. King, I. Munck.
6 Chronologie der altkirchlichen Literatur, I, Berlino, 1897, p. 244.
7 Petrus und Paulus in Rom, II ed., Berlino 1927, specialmente c. 13 e 14; Petrus r&mischer M&rtyrer, Berlin, 1936, p. 13.
8 Die &lteste r&mische B&schofsliste, Weimar, 1926.
9 Rom und die Christen im 1. Jahrundert, 1942.
10 Verk&ndigung und Forschung, 1946-47, p. 230.
11 O. c., p. 244.
12 Lezioni di Storia dell'antica Chiesa (in russo), t. III, Pietrogrado 1913, p. 279.
13 O. c. p. 171.
14 1 Petri, 5, 13: "Salutat vos Ecclesia, quae est in Babylone co&lecta, et Marcus filius meus ".
15 L'Ant&christ, p. 122. O. CULLMANN, op. cit., p. 72, ritiene la nostra spiegazione "di gran lunga la più verosimile ".
16 Annali, 15, 44.
17 1 Clementis, 6, KIRCH, 8-9.
18 en &m&n, ovverosia fra coloro in mezzo ai quali si trova appunto Clemente. Siccome costui è romano e scrive la sua lettera da Roma, en &m&n è evidente sinonimo della comunità romana.
19 Ad Rom. 4, 3.
20 In EUSEBIO, Stor. Eccl. 2, 25, 8. MG. 20, 210.
21 Ivi, 3, 3, 2. MG. 7, 848.
22 Ivi, 3, 3, 2. MG. 7, 849.
23 Stor. Eccles. 2, 25, 5-7. MG. 20, 207.
24 In EUSEBI0, Stor. Eccles. 3, 1. MG. 20, 215.
25 L'iscrizione, di cui è andato perso l'originale, ci è stata trasmessa dai manoscritti e da una copia incompleta del III secolo. La puoi trovare, fra gli altri, in ML. 13, 382.
26 Anche antichi itinerari ci fanno credere che le tombe degli Apostoli furono per qualche tempo Ad Catacumbas.
27 La Depositio Martyrum nell'opera di Filocalo (a. 354) sembra esigere un trasporto del corpo di S. Pietro in Catacumbas sotto il consolato di Tusco e di Basso, e cioè verso il 258. Cfr. L. HERTLING - E. KIRSCHBAUM, Le Catacombe romane e i loro martiri, Roma 1949, pp. 95-110.
28 Cfr. O. MARUCCHI, op. cit., pp. 87-97 e 175-198; L. HERTLING-E. KIRSCHBAUM, op. cit., pp. 88-90. Furono proprio queste scoperte che decisero l'acattolico Hans Lietzmann a sostenere a spada tratta la venuta dell'Apostolo a Roma, nella seconda ediz. del suo ormai famoso vol.: Petrus und Paulus in Rom, Berlino 1927, spec. pp. 226-238. Cfr. anche F. TOLOTTI, Ricerche intorno alla Memoria Apostolorum, in " Riv. di arch. crist. ", 22 (1946), pp. 712; 23-24 (1947-1948), pp. 13-116; E. GRIFFE, La l&gende du transfert des corps de S. Pierre et de S. Paul ad Catacumbas, in "Bullettin de litt&rature eecl&siastique publi& par l'Institut Catholique de Toulouse ", 1951, pp. 183-200. Liber pontificalis, ed. Duchesne, p. 176.
29 Per più ampie informazioni cfr. A. FERRUA, Nelle Grotte di S. Pietro, in "Civiltà Catt. ", 92 (1941), III, pp. 358-365; 423-433; ID., Nuove scoperte sotto S. Pietro, in "Civiltà Catt. ", 93 (1942), IV, pp. 73-86; 228-241; La storia del sepolcro di S. Pietro, in " Civiltà Catt. ", 103 (1952), 1, pp. 15-29; E. KIRSCHBAUM, Gli scavi nelle Grotte di S. Pietro, in "Gregorianum ", 29 (1948), pp. 544-557; L. HERTLING - E. KIRSCIIBAUM, op. cit., pp. 105-111; F. APOLLONI GHETTI - A. FERRUA - E. KIRSCHBAUM - E. JOSI, Esplorazioni sotto la confessione di S. Pietro, I, pp. 107-144; O. CULLMANN, Saint Pierre, pp. 123-136 (il quale, però, mentre ammette che sia stato ritrovato il "tropaion " di cui parla il presbitero Gaio, contesta la verità del ritrovamento della tomba). M. GUARDUCCI, La tomba di S. Pietro, Roma 1949; Le reliquie di Pietro sotto la confessione della Basilica Vaticana, Roma 1965.
30 S. GAROFALO, La prima venuta di S. Pietro a Roma nel 42, p. 19

[Modificato da (Gino61) 02/09/2009 07:46]
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LA TOMBA DI SAN PIETRO

la tomba di san pietro

LE OSSA DELL'APOSTOLO PIETRO SONO ANCORA NELLA SUA TOMBA SOTTO LA BASILICA VATICANA?
di Don Angelo Albani e Don Massimo Astrua


PRESENTAZIONE


La fatica di condensare un libro in poche pagine non è sempre facile, soprattutto per il pericolo di travisare il pensiero dell'Autore.
Ma il libro La tomba di Pietro della Prof.ssa Margherita Guarducci, edito da Rusconi nel 1989, è così limpido e documentato da ridurre al minimo le possibilità di un fraintendimento.
Noi abbiamo cercato di inquadrare i fatti descritti dall'illustre epigrafista in un contesto storico più vasto, così da aiutare il Lettore a collocarli nella bimillenaria Tradizione cattolica, Tradizione che essi vengono a confermare e ad illuminare di luce nuova e certissima.
Questo "condensato" potrà essere utilmente distribuito nelle Parrocchie, nelle Scuole e ovunque laverità storica, sempre affascinante, potrà demolire pregiudizi e fondare certezze.

Don Angelo Albani e Don Massimo Astrua


LE OSSA DI SAN PIETRO SONO ANCOR OGGI NELLA SUA TOMBA SOTTO L'ALTARE PAPALE DELLA BASILICA VATICANA


Dal punto di vista storico non sono mai esistiti dubbi sulla venuta di San Pietro a Roma, sulla sua crocifissione e sulla sua sepoltura nella necropoli vaticana, a breve distanza dal luogo del martirio.
Egli era giunto a Roma nell'anno 41, al tempo dell'imperatore Claudio e vi rimase, salvo una breve interruzione, fino alla morte che subì nell'anno 64, all'inizio della persecuzione di Nerone.
Questo pazzo imperatore che aveva già fatto avvelenare il fratello, assassinare la madre Agrippina, la moglie Ottavia e aveva ucciso personalmente la seconda moglie Poppea in un raptus di pazzia mise a fuoco la città di Roma.
Quindi, come afferma lo storico Tacito, (per distogliere da sé l'ira del popolo ne fece ricadere la colpa sui cristiani scatenando contro di essi una feroce persecuzione.
Fu durante questa persecuzione che, secondo la testimonianza di Clemente romano (Ad Chorinthios, 1, 56), nell'anno 64 Pietro subì il martirio per crocifissione proprio nel circo di Nerone che sorgeva sul colle Vaticano.
Lo storico Eusebio di Cesarea ci informa che Pietro, non ritenendosi degno di morire come il suo Maestro, chiese ed ottenne di essere crocifisso con il capo all'ingiù.
Il suo corpo fu seppellito nello stesso colle Vaticano, in un cimitero vicino al luogo del martirio e sulla sua tomba, divenuta subito oggetto di venerazione, i cristiani innalzarono, nel II secolo, un "trofeo" (detto di "Gaio", dal nome dello scrittore cristiano del II secolo che ne parla, come ci riferisce lo storico Eusebio) che, in base agli scavi effettuati negli anni '40, è stato ricostruito così:

 

Agli inizi del IV secolo, Costantino, l'imperatore che decretò la libertà religiosa per il Cristianesimo, fece erigere, sul luogo dell'antico "trofeo" una grande Basilica a cinque navate, il cui altare maggiore era ubicato esattamente sopra la tomba dell'Apostolo.
Ecco la ricostruzione generale del complesso monumentale:

 

 

Costantino aveva anche raccolto le ossa di San Pietro dal luogo della sepoltura primitiva (un umido loculo interrato) e le aveva poste in un loculo più asciutto, ricavato in un muro che già sorgeva accanto al luogo della sepoltura primitiva.
Ma di questo diremo diffusamente più sotto, quando parleremo degli scavi ordinati nel 1939 da Pio XII.
Qui vogliamo solo anticipare che nel Rinascimento l'intera Basilica costantiniana fu demolita da Papa Giulio II e ricostruita dalle fondamenta su disegno del Bramante poi modificato da Michelangelo, dal Maderno e dal Bernini: è l'attuale Basilica Vaticana dominata dalla cupola di Michelangelo, sotto il cui altare, disegnato dal Bernini ed eretto da Papa Clemente VIII, sono ancor oggi custodite le sacre ossa dell'Apostolo.
Il lettore si chiederà: come sappiamo che le ossa dell'Apostolo Pietro si trovano ancor oggi là sotto?
Lo sappiamo (oltre che dalla secolare tradizione storica) dai positivi e inconfutabili risultati degli scavi archeologici iniziati nel 1939 e tuttora in fase di sviluppo, come diremo ora.

 

GLI SCAVI ORDINATI DA PIO XII NEL 1939 CHE PORTARONO AL RINVENIMENTO DELLA TOMBA DELL'APOSTOLO PIETRO.


Per molti secoli, praticamemte fino all'inizio del secolo ventesimo, nessun Papa osò ordinare una ispezione archeologica della tomba di San Pietro. La tomba dell'Apostolo incuteva in tutti un sacro timore reverenziale.

Fu Pio XII che, pochi mesi dopo la sua elezione a Pontefice, volle iniziare gli scavi sotto il pavimento della Basilica Vaticana e specialmente sotto l'altare della Confessione dove, secondo l'ininterrotta tradizione, si sarebbe dovuta trovare la tomba dell'Apostolo.

Questi scavi Ñdiretti da Mons. Ludovico Kaas coadiuvato dagli archeologi professor Enrico
Josi, Padre Antonio Ferrua e Padre Engelbert Kirschbaum e dall'architetto Bruno Maria Apollonj GhettiÑ durarono circa un decennio (dal 1941 al 1950) e portarono dapprima alla scoperta, sotto la Basilica Vaticana, di una vasta necropoli di epoca precristiana, orientata da Ovest ad Est. La sua posizione rispetto alla Basilica è visibile (in nero) nella figura sottostante:

 

Il lettore potrà notare che l'estrema zona Ovest della necropoli viene a trovarsi proprio sotto la "cupola" michelangiolesca, ossia sotto l'Altare papale detto "della Confessione".
Se ora osserviamo una pianta più dettagliata di tale necropoli, potremo constatare che l'estrema zona Ovest comprende un cortile abbastanza vasto chiamato dagli archeologi campo "P".

In questo ulteriore ingrandimento della zona Ovest della necropoli, possiamo notare che il campo "P" è delimitato, sulla sinistra di chi guarda, da un muro che va da Nord a Sud, detto "Muro rosso", dal colore dell'intonaco che lo ricopre.

 

Al centro di questo "Muro rosso" è visibile una piccola nicchia semicircolare e un poco più in alto un piccolo muro, detto muro "G", ricoperto sul lato Nord da numerosi graffiti.

La figura seguente ritrae in modo molto dettagliato la zona della piccola nicchia e del muro "G".

 

In essa sono chiaramente visibili il tratto del "Muro Rosso" con la nicchia che fa da sfondo alla Edicola del II secolo e la base delle due colonnine marmoree che sostenevano la lastra di travertino che costituivano l'Edicola o "Trofeo di Gaio" del II secolo.
Tra la nicchia e la base delle due colonnine, ossia proprio al centro del "Trofeo", gli archeologi di Pio XII ritrovarono il luogo della primitiva sepoltura di Pietro (dell'anno 64), ma lo trovarono vuoto. Come spiegare questo mistero?
La risposta verrà dal rinvenimento, a nord della sepoltura primitiva, di un loculo, rivestito di marmo, di epoca costantiniana (inizio del IV secolo) che l'Imperatore aveva fatto scavare all'interno di un muro già esistente (il cosiddetto muro "G"). e dove vi aveva deposto, avvolte in prezioso tessuto di porpora e d'oro, le ossa dell'Apostolo.
La parete nord del Muro "G", era ripiena di graffiti col nome di Cristo, di Maria e di Pietro, ma gli archeologi non vi fecero gran conto.

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02/09/2009 07:49

Di enorme importanza fu invece il ritrovamento di un graffito di sette lettere greche (ricordiamo che il greco era allora la seconda lingua dell'impero), inciso sul "Muro rosso" nella zona di esso alla quale veniva ad appoggiarsi il lato Nord del muro "G". In tal modo il graffito veniva a trovarsi all'interno del Loculo, come risulta dal suo perfetto adattamento alla lacuna rimasta nell'intonaco del "Muro rosso". Ciò ha portato giustamente la professoressa Guarducci ad arguire che quella scritta fosse stata graffita da una mano insinuatasi nel loculo prima della sua chiusura in età costantiniana.

Tale graffito diceva:

 

La storia di questo graffito è, a dir poco, rocambolesca. Esso fu trovato su una carriola di detriti dal padre Ferrua, uno dei quattro scavatori ufficiali, il quale (per motivi inspiegabili o, come lui disse, per salvarlo) se l'era portato a casa sua finché, quando nel 1952 la cosa fu risaputa, per ordine di Pio XII dovette restituirlo al Vaticano.

Le sette lettere greche sono così state interpretate esattamente dalla professoressa Margherita Guarducci, epigrafista di fama mondiale:

 

 

Facciamo notare che l'esistenza del prezioso graffito essendo venuta a conoscenza purtroppo solo nel 1952 quando la campagna di scavi indetta da Pio XII era da tempo ufficialmente conclusa non poté essere annunciata da Pio XII nel suo solenne annuncio del ritrovamento della Tomba fatto alla chiusura dell'Anno Santo 1950.

 

* * *

Al termine dei lavori, gli archeologi diretti da Mons. Kaas giunsero anche a stabilire con certezza che i successivi rifacimenti dell'altare della Confessione, che vari Papi avevano operato nei secoli (l'altare maggiore della Basilica costantiniana fu rifatto da Gregorio Magno nel VI secolo e poi da Papa Callisto II nel XII secolo e infine da Clemente VIII nel XVI secolo) giacciono tutti uno sopra l'altro e poggiano tutti sull'antico monumento costantiniano.

Lo spaccato verticale della zona archeologica rappresentato nella fprossima immagine mostra, in basso, il luogo terrigno della primitiva sepoltura del corpo di Pietro' avvenuta subito dopo il martirio, sulla quale, nel II secolo è stata innalzata l' edicola funeraria o ''Trofeo" detto di Gaio. Sulla destra si vede il muro "G'' con il loculo marmoreo dove Costantino trasportò, nel IV secolo, le ossa dell'Apostolo. Il tutto ha come sfondo la parete orientale del ''Muro rosso".

Alla base del disegno si vede il livello del pavimento costantiniano; più in su la base dell'altare di Callisto II (secolo XII) che circondava quello più piccolo eretto nel VI secolo da Gregorio Magno; più in su ancora il piano dell'attuale altare con le colonne a tortiglione del Bernini.
In sostanza, gli scavi fatti effettuare da Pio XII confermarono archeologicamente quanto già storicamente si sapeva con certezza: che la tomba di San Pietro esiste ancor oggi sotto l'altare papale detto della "Confessione" della Basilica Vaticana, tanto che Pio XII poté dichiarare al mondo nel radiomessaggio natalizio a chiusura dell'Anno Santo 1950: «É stata veramente trovala la tomba di San Pietro? A tale domanda la conclusione dei lavori e degli studi risponde con un chiarissimo "Si": la tomba del Principe degli Apostoli è stata ritrovata!».

 

IL PROSEGUIMENTO DELLE RICERCHE ARCHEOLOGICHE DA PARTE DELLA PROFESSORESSA GUARDUCCI E IL RINVENIMENTO DELLE OSSA DI SAN PIETRO.

Al termine degli scavi suddetti, se si era ritrovata con certezza la tomba di San Pietro, non altrettanto si poteva dire per le ossa del Santo.
Tali scavi infatti misero in luce sia la primitiva tomba interrata sia quella costantiniana ricavata nello spessore del muro "G", ma delle ossa non se ne seppe almeno - ufficialmente - nulla.
Il merito del rinvenimento delle ossa dell'Apostolo va principalmente alla professoressa Margherita Guarducci, il cui nome resterà per sempre legato al ritrovamento e alla identificazione scientifica delle ossa del Santo; e quel che ora diremo non è che il riassunto di quanto la stessa professoressa Guarducci ha scritto nel suo libro: La Tomba di San Pietro edito nel 1989 dalla Editrice Rusconi di Milano. A questo libro appassionante rimandiamo il lettore che volesse approfondire l'argomento.
La storia del ritrovamento ha veramente del romanzesco. Perché infatti le ossa di San Pietro non furono ritrovate nel Loculo del muro ''G" nel quale Costantino le aveva certamente riposte?
Per comprenderlo bisogna rifarsi al 1941. In quell'epoca, mons Kaas, che era il sovrintendente agli scavi, per controllare personalmente il procedere dei lavori era solito fare, verso sera, a Basilica chiusa, un giro di ispezione nella zona degli scavi, accompagnato dal "sampietrino" (i "sampietrini" sono gli operai addetti alla manutenzione della Basilica di San Pietro) Giovanni Segoni.
Una sera, durante l'ispezione, mons. Kaas notò che all'interno del Loculo del muro "G'", in mezzo a vari detriti ivi caduti dalle pareti in seguito alle forti scosse causate dagli scavi, affioravano alcune ossa umane.
La presenza di queste ossa era sfuggita ai quattro archeologi che vi lavoravano durante il giorno, forse perché giudicarono di nessuna rilevanza archeologica i detriti crollati nel
Loculo o forse pensarono di esaminarli in un secondo tempo.
Ma l'occhio più attento di mons. Kaas o forse quello del "sampietrino" Segoni notarono le ossa; e fu un innato senso di pietà verso i trapassati che Mons Kaas decise di separare subito le ossa dai detriti e di farle mettere dal Segoni in una cassetta di legno che lo stesso Segoni e Mons. Kaas depositarono in un magazzino nelle grotte vaticane.
Con ciò, scrive la Guarducci, mons. Kaas aveva salvato, pur non sapendolo, le reliquie di Pietro».


* * *

Ed ora dobbiamo fare un salto di oltre 10 anni ed arrivare al 1953, anno in cui la professoressa Guarducci ebbe il permesso di scendere a ispezionare le grotte vaticane.
Il suo compito era quello di studiare i numerosi graffiti esistenti sul muro ''G'' che i precedenti archeologi non erano riusciti a decifrare che in minima parte.
Ma sentiamo ora il racconto della stessa professoressa:
«Mentre mi scervellavo per trovare una via dentro quella selva selvaggia [dei graffiti], mi venne in mente che forse mi sarebbe stato utile sapere se qualche altra cosa fosse stata trovata nel sottostante Loculo, oltre i piccoli resti descritti dagli scavatori nella relazione ufficiale.
Era, per caso, vicino a me Giovanni Segoni, da poco promosso al grado di "capoccia" [capo] dei sampietrini. A lui, che sapevo aver preso viva parte agli scavi, rivolsi dunque la mia domanda, ed egli mi rispose senza esitare:
Si, qualche altra cosa ci deve essere, perché ricordo di averla raccolta io con le mie mani. Andiamo a vedere se la troviamo".
Egli mi guidò allora verso il deposito dei materiali ossei, davanti alla cappella di San Colombano. Entrai dunque dietro il Segoni, per la prima volta, in quell'ambiente. Lì, fra casse e canestri pieni di materiali ossei e di altre cose varie, giaceva ancora al suolo la cassetta che più di dieci anni prima il Segoni stesso e mons. Kaas vi avevano deposta...
Un biglietto, infilato tra la cassetta e il coperchio, molto umido ma ancora perfettamente leggibile, dichiarava che quel materiale proveniva dal muro "G". II Segoni mi disse di averlo scritto egli stesso sotto dettatura di mons. Kaas, ciò che, del resto, era prassi usuale.

Credetti opportuno e doveroso portare subito la cassetta nello studio dell'Ing. Vacchini [direttore dell'Ufficio tecnico della Fabbrica di San Pietro] e qui, davanti alla finestra, la cassetta fu aperta e ne estraemmo il contenuto.
Vi trovammo una certa quantità di ossa, di colore spiccatamente chiaro, frammiste a terra, un paio di scaglie di marmo, frammenti di laterizii e di malta, frammenti d'intonaco rosso, piccolissimi frammenti di stoffa rossastra intessuta di fili d'oro, e una moneta medioevale d'argento, che poi risultò battuta a Lucca nell'XI secolo [questa moneta risultò poi far parte di altre monete gettate dai fedeli intorno alla tomba di Pietro lungo i secoli, ed anche introdotte nel Loculo attraverso una fessura dell'intonaco tuttora esistente. Il tutto era fortemente impregnato di umidità.

Nessuno avrebbe potuto ragionevolmente mettere in dubbio la provenienza di quel materiale dal Loculo del muro "G": la dichiarazione del Segoni e l'indicazione del biglietto erano infatti clamorosamente confermate dalla perfetta omogeneità del materiale contenuto nella cassetta con quello del Loculo. Specialmente significativa era la presenza dei frammenti di intonaco rosso nell'una e nell'altro».
Poi la professoressa Guarducci fa questa confessione che rivela la sua serietà scientifica:
«Debbo dire, a questo punto, che già mi era balenata nella mente l'idea, ovvia del resto, che il loculo del muro "G" fosse destinato in origine ad accogliere le reliquie di Pietro, e che quest'idea si presentò in seguito, come ipotesi, anche ad altri studiosi.
Allora però, davanti ai resti recuperati, io mi sentii fortemente scettica...».  
La professoressa voleva evidentemente che il riconoscimento di quelle ossa fosse condotto con estremo rigore scientifico e da diversi specialisti nelle varie scienze mediche, paleoantropologiche, storiche, ecc. E di fatto tali esami iniziarono subito e si protrassero per ben 10 anni, fino al giugno del 1963.
Nel 1956, come antropologo fu scelto dalle autorità della Fabbrica di San Pietro il celebre professor Venerando Correnti che, dopo aver esaminato altri reperti ossei (che risultarono però appartenere a più persone) prese a studiare le ossa contenute nella cassetta che chiamò VMG perché sapeva che provenivano dal Vano del Muro "G".

Ed ecco il risultato dei suoi studi:

- le ossa appartenevano ad un unico individuo;- esse appartenevano a un individuo di sesso maschile e di robusta costituzione vissuto circa 2000 anni fa;

- l'età dell'individuo oscillava tra i 60 e i 70 anni;

- esse costituivano, in volume, circa la metà del totale dello scheletro e rappresentavano tutte le parti del corpo, cranio compreso (27 frammenti), esclusi i piedi;

- tutte le ossa erano incrostate di terra;

- alcune ossa sporgenti presentavano tracce regolari di colore rossastro che facevano pensare a un involucro di tessuto.

Ora, tutte queste caratteristiche si adattavano perfettamente ella persona di Pietro.

Continua la professoressa Guarducci:


«Pensai anche al graffito del "Muro rosso"  "PETROS ENI'"(Pietro è qui dentro), esistente nell'interno del loculo, al di sopra delle ossa.
Si fece allora strada nella mia mente un illuminante pensiero: che fossero veramente quelle le ossa di Pietro?...
L'affascinante idea andava sempre più affermandosi. Tutti gli elementi convergevano verso tale soluzione con impressionante coerenza, tanto che già il 25 novembre 1963 potei annunciare a Paolo VI che, con estrema probabilità, le ossa di Pietro erano state identificate».


Intanto le indagini scientifiche venivano estese al campo merceologico e chimico, condotte dalla professoressa Maria Luisa Stein e dal professor Paolo Malatesta dell'Università di Roma e portarono, per quanto riguardava i tessuti, a risultati importanti. Esse dimostrarono che si trattava di un finissima stoffa tinta con autentica porpora di murice e che l'oro era autentico e purissimo: lo stesso tipo di tessuto porporino intrecciato con oro nel quale venivano avvolti i corpi degli Imperatori o dei personaggi degni di altissimo onore!
Anche la terra incrostata alle ossa fu sottoposta ad esame petrografico dai professori Carlo Lauro e Giancarlo Negretti: si trattava di terra (sabbia marnosa) perfettamente analoga alla terra del campo "P", il che confermava la provenienza di quelle ossa dal Loculo interrato che giaceva sotto l'edicola del II secolo.

* * *

A conclusione di tali accertamenti e di altri rigorosissimi fatti negli anni seguenti da scienziati di tutto il mondo, Paolo VI, durante l'udienza pubblica nella Basilica Vaticana del 26 giugno 1968, annunciò ai fedeli che le ossa di Pietro erano state ritrovate e identificate.
Il giorno seguente' giovedì 27 giugno 1 l968, le reliquie del corpo di Pietro furono solennemente riportate nel Loculo del muro "G" dove Costantino le aveva deposte sedici secoli prima e da dove, 27 anni prima, mons. Kaas le aveva inconsapevolmente tolte, salvandole però in tal modo da quasi sicura dispersione.
Le ossa dell'Apostolo erano precedentemente state racchiuse in 19 contenitori di plexiglas a tenuta stagna, legati da un filo di rame argentato fermato con il sigillo della Fabbrica di San Pietro.



L'ENORME PORTATA STORICA, TEOLOGICA ED

ECUMENICA DEL RITROVAMENTO DELLE OSSA DI

PIETRO.

 


1 - L'archeologia è, tra le scienze, forse la più ''concreta'': essa ha per oggetto realtà materiali, visibili, palpabili. I reperti storici sono lì da vedere e ognuno li può studiare, analizzare, datare in modo oggettivo col sussidio di quasi tutte le altre scienze sperimentali come la fisica, la chimica, ecc.
Essa è, a sua volta, una scienza sussidiaria della storia. É vero che la storia ha le sue proprie fonti letterarie e di tradizione orale, ma trova nella archeologia una fonte sussidiaria che conferma in modo oggettivo e palpabile i dati delle altre fonti e talvolta li corregge e li precisa.
Ebbene, con il rinvenimento della tomba e delle ossa di Pietro, la bimillenaria ed ininterrotta tradizione storica della venuta di San Pietro a Roma, della sua permanenza come Vescovo, del suo martirio e della sua sepoltura, riceve una conferma irrefutabile e consolantissima.

2 - Inoltre non è chi non veda quanto questo rinvenimento conforti ciò che da sempre la teologia cattolica ha sostenuto: ossia che il Primato sugli altri Apostoli conferito da Cristo a Pietro si trasmette, in forza della successione nella Cattedra di Pietro, ai Vescovi di Roma, fino alla fine del mondo.
Si deve qui ricordare che tutto il mondo protestante aveva sempre negato, cominciando dallo stesso Lutero, la presenza della tomba (e delle ossa) di Pietro a Roma.  Ma questa negazione era evidentemente strumentale, dato che Lutero stesso, il quale conosceva benissimo le tradizioni letterarie al riguardo, non poteva ignorare la verità di questo dato storico.
Ma, tant'è, quando un'ideologia offusca la mente di un uomo questi non arretra neppure davanti alla negazione e al capovolgimento delle più evidenti realtà storiche!
Questa negazione ha percorso e sostenuto tutta la polemica teologica anticattolica dei protestanti (e degli ortodossi), fino ai nostri giorni, ed il ritrovamento della tomba e delle ossa di Pietro dovrebbe indurre al ripensamento gli attuali negatori del Primato del Vescovo di Roma su tutta l'unica Chiesa di Cristo!
Un bell'esempio di ravvedimento ci è offerto da un grande studioso protestante, che fu anche Osservatore al Concilio Vaticano II, Oscar Cullmann: dopo l'annuncio di Pio XII del ritrovamento della Tomba, egli uscì a dire alla Guarducci: «Ma che tomba avete trovato? Non c'è il nome, non ci sono le ossa...»; ma quando, quattordici anni dopo, la stessa professoressa Guarducci gli sottopose la documentazione archeologica della presenza del nome di Pietro accanto e nella tomba, e le ossa identificate con assoluta certezza, allora sul suo volto si dipinse lo sbalordimento e una mal repressa vena di disappunto, superato però subito dal desiderio di sapere tutto sulla straordinaria scoperta (Cfr. O.C. pag. 99).

3 - Da ultimo ci piace sottolineare l'enorme portata ecumenica di questo ritrovamento archeologico.

Il vero ecumenismo non è il cammino verso l'Unione per giungere alla Verità, ma è il cammino verso la Verità per giungere all'Unione; perché la Verità precede e fonda l'Unione, come Cristo, che è la Verità, precede e fonda l'unica Chiesa.
Il ritrovamento della tomba e delle ossa di Pietro sono un provvidenziale richiamo a tutti noi su come dobbiamo condurre il nostro impegno ecumenico: anzitutto nella fedeltà personale al Magistero della Chiesa Cattolica; poi nella proposizione integrale dell'umica Verità ai fratelli separati; e, solo dopo, nella ricerca fraterna di un dialogo che appiani le loro difficoltà e li conduca ad accettare la Verità tutta intera.
Non è certamente merito nostro se siamo nati e cresciuti nell'unica vera Chiesa che Cristo ha fondato su Pietro; ma sarebbe nostro eterno demerito se ci lasciassimo sedurre dal desiderio di far presto l'Unione e di farla a qualunque costo. Quanti sbagli sono stati commessi e quanto tempo è stato perduto da chi ha voluto percorrere questa via! Che le sacre Reliquie del Principe degli Apostoli (le uniche fino ad oggi ritrovate di un Apostolo!) ci richiamino costantemente a perseguire l'Unità solo passando per la Verità, che è Cristo!

 

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04/09/2009 10:47

                     


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