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Obiezioni contro la teologia dogmatica

Ultimo Aggiornamento: 02/09/2009 08:07
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02/09/2009 08:07

CAPITOLO III. - OBIEZIONI CONTRO IL VALORE SCIENTIFICO E PRATICO DELLA TEOLOGIA

§ 1. - Obiezioni contro il valore scientifico della teologia.

Obiezioni desunte dalla differenza tra la teologia e le scienze profane e dall'impossibilità, vera o presunta, d'applicare alla teologia la nozione universalmente accolta di scienza. - La teologia è una disciplina sui generis. Il credente potrà attribuire un certo valore, ma essa non può rivendicare il nome di scienza. Pretesa, questa, inammissibile, non potendo la teologia sostenere il confronto con nessuna disciplina di carattere scientifico incontestabile e incontestato, e non essendo in grado di rispondere a nessuna delle definizioni della scienza desunte da queste discipline. La teologia si distingue essenzialmente dalle scienze filosofìche, matematiche, storielle e sperimentali; per trovare posto nell'edificio imponente delle scienze, dovrebbe trasformarsi sia in filosofia sia in storia critica della religione, rinunciando alla sua natura specifica e quindi rinnegando se stessa. Essa è e deve restare essenzialmente una disciplina fondata sui dati della fede ed ha per oggetto " misteri " di cui è incapace di fornire la ragione intrinseca, che li renderebbe intelligibili.

Risposta. - L'obiezione solleva una questione che non è nuova, perché già nel medioevo vi furono alcuni che, come Duns Scoto, negarono il carattere scientifico della teologia. Sotto l'influsso d'Aristotele si diffuse un concetto molto limitato della scienza, meritando questo nome in senso stretto solo una conoscenza certa, dedotta da principi evidenti. Ora il lavoro teologico poggia su proposizioni non evidenti per definizione, perché sono articoli di fede. San Tommaso, com'è risaputo, cercò di risolvere l'antinomia: nVi è un doppio genere di scienze. Alcune di esse procedono da princìpi noti per naturale lume d'intelletto, come l'aritmetica e la geometria; altre procedono da princìpi conosciuti alla luce d'una scienza superiore: p. es., la prospettiva si basa su proposizioni di geometria e la musica su principi d'aritmetica. E in tal maniera la teologia è una scienza; in quanto che poggia su principi conosciuti per lume di scienza superiore, cioè della scienza di Dio e dei beati. Quindi, come la musica ammette i principi che le fornisce la matematica, cosi la teologia accetta i principi rivelati da Dio " (5. Th. I, q. 1 art. 2). Il Dottore Angelico mostrava poi (ivi, art. 5) che la teologia, " scienza del pari speculativa e pratica, sorpassa tutte le altre sia speculative sia pratiche ", per la sua certezza ("derivata dal lume della scienza divina" infallibile), per la dignità della materia ("si occupa prevalentemente di cose che per la loro sublimità trascendono la ragione ") e per la superiorità del suo fine (" l'eterna beatitudine, alla quale sono diretti i fini di tutte le scienze pratiche ") (1).

(1) Sul pensiero di S. Tommaso circa il carattere scientifico della teologia si veda M. Daffara in La Somma Teologica di S. Tommaso, voi. i,pp. 10-13, Salani, Firenze 1949.

 

Lo sviluppo moderno delle scienze sperimentali e storiche portò naturalmente ad ampliare il concetto di scienza in una nozione che doveva essere applicabile tanto alle nuove discipline, piene di promesse e altrici di speranze talvolta eccessive, quanto alla filosofia e alle matematiche, discipline che per il loro metodo deduttivo e per le loro conclusioni di portata universale, per secoli erano state considerate come tipi perfetti se non esclusivi della scienza. D'ora in poi il nome di scienza sarà applicato ad ogni complesso sistematico di conoscenze relative a uno stesso oggetto, ottenute con metodi sufficientemente rigorosi, e stabilite con certezza o almeno con probabilità. Ci si limita dunque a queste condizioni: oggetto (materiale e formale) unico; ricerca e prove metodiche; risultati sufficientemente certi; esposizione sistematica dell'insieme. Qui è superfluo dimostrare come la teologia risponde a ciascuna di queste condizioni: la maggior parte degli elementi della prova sono stati forniti nelle pagine precedenti. Resta solo da vedere se dal punto di vista scientifico sia legittimo basarsi sulla rivelazione e prendere da essa princìpi che non sono evidenti; la risposta dev'essere decisamente affermativa. È certo che numerose affermazioni contenute nella rivelazione non sono intrinsecamente evidenti per noi, ma abbiamo un'evidenza sufficiente dalla credibilità della rivelazione cristiana e del magistero ecclesiastico, credibilità che in generale ha la sua prova nell'apologetica, disciplina scientifica di natura storica o filosofica. oggetto della maggior parte di quest'opera. La teologia, poggiando sulla testimonianza divina, in che cosa può essere inferiore alle scienze storiche, essenzialmente dipendenti da testimonianze umane? La rivelazione contiene in dubbiamente misteri, cioè affermazioni di cui ci sfugge l'intelligibilità; ma alla fin fine perché sconcertarci se ci sono misteri relativi a Dio? Anzi, non è cosa piuttosto naturale che l'intelligenza dell'uomo necessariamente finita non possa cogliere perfettamente la realtà di Dio, la quale è nello stesso tempo infinitamente. comprensiva e assolutamente semplice? Anche le creature sono piene di misteri, e a mano a mano che la scienza riesce a sollevare il velo che nasconde gli esseri, scopre orizzonti ancor più misteriosi, tanto che, io credo, nessuno spera seriamente che l'uomo un giorno farà piena luce sulle meraviglie della natura; ma anche se un sogno cosi ardito non fosse troppo temerario, sarà sempre vero che le ricerche umane non giungeranno mai a una conoscenza esauriente dell'Infinito. Perciò i misteri non ci autorizzano a negare il carattere scientifico della teologia, finché non si riesca a provare che essi implicano una reale contraddizione, e bisogna aggiungere che tale prova non è stata data e non c'è da temere che venga data in futuro.

Logicamente e storicamente la negazione del carattere scientifico della teologia è dovuta a queste due cause principali: perché si erige come nozione generica della scienza la definizione che conviene solo a un tipo particolare, oppure perché si nega la possibilità di una rivelazione soprannaturale (2).

Obiezioni desunte dalla pretesa mancanza di libertà indispensabile alla scienza. - La scienza si può sviluppare solo in regime di libertà e nulla le è più contrario che la costrizione e la necessità esterna. Ora la teologia subisce inevitabilmente una duplice costrizione, che le impone delle credenze, tra le quali molti misteri: l'una proviene dalla rivelazione, l'altra dal magistero ecclesiastico. " Un domina qualsiasi si presenta come un asservimento, un limite ai diritti del pensiero, una minaccia di tirannia intellettuale, un ostacolo e una restrizione imposta dal di fuori alla libertà della ricerca, tutte cose radicalmente opposte alla vita dello spirito, al suo bisogno d'autonomia e di sincerità", al suo principio generatore e fondamentale che è quello d'immanenza... Dopo Cartesio il primo principio metodologico incontestabile è che non bisogna ritenere come vero se non ciò che si vede chiaramente come tale " (E. Le Roy, op. cit., p. 9 e 7).

(2) Sul carattere scientifico della teologia cfr. Congar, Théologie in D. T. C, XV, coli. 459-462, con la bibliografia ivi citata.

 

Risposta. - La libertà che la scienza ha il diritto di rivendicare non è assoluta e illimitata, perché la scienza deve riconoscere come legge suprema la verità e accoglierla in qualunque modo si manifesti; è legata dai principi della logica e dalle esigenze del metodo. Perciò non si può dire che sia un ostacolo alla legittima libertà della scienza ciò che aiuta la scienza a scoprire il vero. La libertà della scienza esclude soltanto tutto quello che per sua natura può arrestare, far deviare o indietreggiare lo spirito nella ricerca della verità. Alla luce di quest'osservazione è facile vedere che la teologia non è priva della libertà richiesta. Anzitutto è evidente che la rivelazione soprannaturale divina, anche quando riguarda i misteri, non fa altro che manifestare verità della massima importanza; d'altronde rigettare la rivelazione perché viene dal kdi fuori", significa sopprimere l'oggetto stesso della teologia. A prima vista può sembrare che gl'interventi dottrinali della Chiesa creino maggior difficoltà. Il teologo non dovrebbe poter esaminare, conforme alle sole esigenze della scienza e indipendentemente da ogni controllo dell'autorità religiosa, quali siano gli insegnamenti contenuti nelle fonti della rivelazione? Ma tal modo d'agire equivale a dimenticare l'economia divinamente stabilita per trasmettere la verità salvifica. Gesù Cristo ha incaricato un magistero vivente di conservare fedelmente e di proporre autenticamente il suo vangelo, e per rendere quest'organismo capace di compiere efficacemente tale missione, gli ha conferito il carisma dell'infallibilità. Il teologo, che ascolta la voce di questo magistero, lungi dal lasciarsi imporre un giogo intollerabile, si munisce di reali garanzie di verità e, d'altronde, non ha che piegarsi alle esigenze derivanti dalla natura e dall'oggetto stesso della teologia. Qui non c'è nessun " estrin-secismo " reprensibile. Giova tuttavia notare che non ogni intervento dottrinale della Chiesa ha la stessa portata. I teologi hanno cercato di delimitare il campo dell'infallibilità del magistero. Gl'insegnamenti infallibili della Chiesa hanno evidentemente un valore assoluto; le decisioni non infallibili hanno mi-nor autorità, che però è sempre considerevole, e in loro favore milita evidentemente la presunzione della verità.

È possibile che sorga una tensione nei rapporti tra lo studio teologico e l'atteggiamento del magistero su questi punti che non appartengono al campo dell'infallibilità dottrinale. " La Chiesa, scrive a questo proposito B. Poschmann (op. cit., pp. 14-15), non considera la verità rivelata prima di tutto come oggetto di scienza, ma come il fondamento della vita religiosa; ai suoi occhi importa soprattutto difendere questo fondamento; essa deve cercare d'impedire che novità insufficientemente accertate non portino la confusione nelle convinzioni dei fedeli. Il suo atteggiamento sarà quindi necessariamente conservatore, non potendo essa approvare una novità se non dopo essersi assicurata che questo elemento è conforme ai principi della fede. La situazione della teologia è diversa: il suo compito non si limita a trasmettere la dottrina riconosciuta dalla Chiesa; essa deve anche allargare il campo delle conoscenze, confrontare gli articoli della fede con i risultati delle altre scienze, collaborare positivamente al continuo sviluppo del domma. Perciò, come ogni altra scienza, la teologia deve ricorrere a ipotesi che saranno sufficientemente dimostrate vere solo in uno stadio ulteriore della ricerca; sicché, anche se la Chiesa riconosce e incoraggia la teologia, dalla natura stessa delle cose può derivare una certa tensione tra l'autorità ecclesiastica e le ricerche teologiche. Per la suddetta ragione, l'autorità ecclesiastica può sentirsi obbligata ed opporsi a una teoria, anche se dettata dalle migliori intenzioni. In queste circostanze, eccetto il caso che si tratti d'una sentenza definitiva in materia di fede, non sono nel campo dell'impossibile giudizi erronei, che possono colpire gravemente questo o quell'uomo di studio, il quale li dovrà sopportare come accidenti umanamente inevitabili. Però una siffatta censura dottrinale ha carattere disciplinare, non costituisce un intervento positivo nel processo della conoscenza e nel metodo scientifico, quindi non intende escludere per principio ogni ricerca ulteriore in proposito. Del resto sarebbe errato considerare tale tendenza conservatrice della Chiesa solo dal punto di vista degli ostacoli che può creare, poiché essa esercita pure un'azione che contribuisce al progresso della scienza. Infatti impone la riflessione critica, l'apprezzamento e l'utilizzazione totale delle acquisizioni del passato, costituisce un contrappeso naturale di fronte a un progresso troppo precipitato, che, malgrado tutto, non può venir identificato senz'altro con la causa della verità. In ogni caso, proprio grazie a tale tendenza conservatrice, la teologia cattolica sfuggi molte volte alla necessità di far marcia indietro, e, anche nell'epoca moderna, la storia del suo sviluppo prova che essa non è per nulla condannata al ristagno ".

Infine accanto alle questioni che sono oggetto d'un intervento del magistero ecclesiastico, c'è il campo estremamente vasto dei problemi liberamente discussi tra i teologi. La durata e la vivacità delle controversie, la diversità o anche la varietà delle teorie proposte permettono di misurare l'ampiezza della libertà lasciata alla scienza teologica. Cfr. Garrigou-Lagrange, Le sens commuti, ed. cit, pp. 359-368.

Obiezioni desunte dalla pretesa impossibilità del progresso in teologia. - Le scienze, anche quelle relativamente giovani, hanno una storia assai gloriosa, che, dopo inizi talvolta molto umili, non ha da registrare che rapidi progressi sempre più importanti, una vera marcia di conquistatori sempre vittoriosi. Invece gli annali della teologia non conoscono simili trionfi che tuttavia sembrano derivare dalla legge e dalla stessa natura d'ogni vera scienza. Pare che la teologia non abbia più la vitalità e la duttilità indispensabili per qualsiasi progresso. Essa è legata per sempre dai dati d'una rivelazione " compiuta coll'età apostolica " e per di più tt definitiva ", dalle (" definizioni immutabili " del magistero ecclesiastico e dal valore normativo accordato alla Tradizione.

Risposta. - Rispondiamo brevemente, poiché molti spunti li abbiamo già forniti nelle pagine precedenti. Anche la teologia può vantare il suo passato: essa riportò le conquiste più brillanti quando ancora non esisteva la maggior parte delle scienze, tanto vantate ai nostri giorni. Dopo secoli d'evoluzione davvero imponente, dopo la costituzione di una sintesi con basi e linee solidissime, lo sviluppo non poteva più continuare con un ritmo cosi rapido, e d'altronde qualsiasi storia un po' lunga comporta epoche meno gloriose. Non crediamo che la storia della teologia debba temere il confronto con quella del pensiero filosofia). Infine, anche oggi è sempre possibile e reale il progresso. Il rinnovamento contemporaneo degli studi biblici, storici e filosofici ha fin d'ora assai contribuito a perfezionare i metodi teologici e produce numerose e notevoli opere che autorizzano le più belle speranze.

 

§ 2. - Obiezioni sul valore pratico della teologia.

Obiezioni contro l'utilità della teologia donunatlca dal punto di vista della vita religiosa individuale. - Se non ha un valore vitale e non contribuisce a svegliare e conservare e sviluppare in noi la vita interiore, la teologia dommatica non merita attenzione. Ora, giudicata da questo punto di vista (l'unico vero punto di vista quando si tratta della religione) l'utilità della teologia è veramente illusoria. L'autore dell'Imitazione di Gesù Cristo può dire con piena verità nel primo capitolo: a Quid prodest tibi alta de Tradizione disputare?... Vere alta verba non faciunt sanctum et justum ". La fede del teologo paragonata con quella del k carbonaio " è spesso meno solida, meno viva e meno attiva.

Risposta. - Con un'osservazione che può sembrare comune ma che forse non è superflua, diciamo che un trattato di teologia dommatica non è propriamente né un'opera di spiritualità né un libro di meditazione, ma un'esposizione scientifica della fede cattolica, nata dallo studio, destinata allo studio e non mira direttamente a nutrire la vita interiore. Però è anche vero che le opere di spiritualità e i libri di meditazione avranno un valore reale e duraturo solo se il loro autore, oltre un'intensa vita interiore, possiede conoscenze teologiche solide ed estese. Come potrebbe essere diversamente? Chi tratterà convenientemente di Dio, della sua abitazione in noi, dell'azione della sua grazia nelle anime nostre, senz'avere prima fatto uno studio approfondito del domma? Privi della luce degli insegnamenti della teologia come si potrà approvare o condannare una devozione o una pratica religiosa? L'esperienza conferma queste considerazioni a priori, perché solo le opere di spiritualità basate sulla teologia riescono a imporsi a tutti. Tali sono gli apprezzatissimi libri di Dom Columba Marmion, Cristo vita dell'anima e Cristo nei suoi misteri, improntati ad una solida e profonda teologia. Si leggano le meditazioni e le preghiere di Sant'Anselmo, di San Tommaso e di San Bonaventura, e si vedrà come la teologia sappia offrire alla pietà un alimento sostanzioso. Infine maestri universalmente riconosciuti della vita spirituale, come Santa Teresa e San Giovanni della Croce, insistono sull'importanza e la necessità di solide conoscenze teologiche per la direzione delle anime. Essi intendono certamente parlare della teologia ascetica e mistica, che però, come abbiamo già notato, è inconcepibile senza la dommatica, supponendo, tra il resto, una conoscenza approfondita del trattato sulla grazia.

Non tocca a noi (e ci sarebbe impossibile) valutare la vita spirituale dei teologi e confrontarla con quella di anime molto pie, che non hanno mai potuto dedicarsi a uno studio un po' approfondito del domma. Ammettiamo di buon grado che la grazia divina può condurre e conduce realmente alcuni fedeli, privi di formazione teologica, a un grado eminente di santità, ma bisognerebbe pure vedere se, in molti casi, la teologia non ha contribuito alla direzione ricevuta da queste anime elette. Ammettiamo anche senza difficoltà che una vasta erudizione teologica può stare assieme a una vita spirituale languida e perfino a una condotta gravemente reprensibile, essendo noto che la santità non si riduce a un insieme di conoscenze teologiche, ma richiede prima di tutto grazia, umiltà, spirito di fede e carità ardente. Però bisogna ammettere che tra i santi canonizzati vi è un numero imponente di teologi. J. Leclereq non esita a scrivere: u I teologi, se non si santificano studiando la teologia, è perché oppongono alla grazia l'ostacolo delle loro insufficienti disposizioni; anche se è vero che non tutti i teologi sono santi, bisogna però riconoscere che nel popolo cristiano non v'è categoria di persone che abbia tanti santi quanti ne hanno i teologi " (Essai de morale catholique, 1 ed., voi. ni, p. 32).

La teologia ha dunque un valore vitale di somma importanza ed è indispensabile die il teologo ne sia intimamente convinto e abbia coscienza del compito che è chiamato a svolgere a questo riguardo. Non sarebbe augurabile che, sull'esempio di B. Bartmann (Manuale di teologia dogmatica), gli autori di teologia dommatica indicassero, anche brevemente, il valore religioso dei diversi punti della dottrina? Forse questo li indurrebbe a dare più rilievo alle credenze fondamentali e a ridurre il posto, talvolta eccessivo, dato a questioni piuttosto accessorie, se non addirittura oziose. Ma molto più dello sviluppo dato ai problemi vitali importa lo spirito generale che anima l'opera, quest'imponderabile d'immensa importanza, che dipende essenzialmente dal grado di vita spirituale dell'autore: solo il teologo, per il quale Dio e le cose divine sono divenuti una realtà viva e vivificante, troverà l'accento che tocca gli spiriti e i cuori. L'intelligenza, lo studio, l'erudizione non daranno mai l'intuizione e la penetrazione della conoscenza per cannaturalitatem, fornita da un'intensa vita interiore. In questi ultimi anni, la necessità ineluttabile d'esaminare i molteplici lavori d'ispirazione razionalista e le esigenze più imperiose della scienza, hanno reso il compito del teologo particolarmente difficile e delicato. Il teologo deve ad ogni costo infondere nei suoi studi e nella sua opera uno spirito profondamente religioso, contribuendo cosi all'avvento del nuovo ordine cristiano che il mondo invoca dal fondo della sua miseria e che ha negli spiriti migliori i suoi profeti e apostoli; e ciò sarà pienamente possibile solo a condizione che il teologo nella sua persona unisca armoniosamente l'uomo di scienza e l'uomo della grazia, lo studioso e il santo, entrambi perdutamente votati al servizio del loro rispettivo ideale (il vero e il bene) che altro non è se non la causa di Dio.

Obiezioni contro l'utilità della teologia dommatica dal ponto di vista della predicazione della fede. - Si può dire che ai nostri giorni la predicazione è colpita di sterilità, perché da molto tempo non esercita più sugli spiriti e sulle anime quell'attrattiva e quella suggestione che possedeva nei primi secoli; essa ha pure perduto la sua semplicità grandiosa e il suo accento di gioia spirituale; è diventata complicata, astratta e prosaica; spesso è infarcita da espressioni metafisiche e giuridiche. Ora, guardando attentamente, non si scorge forse che il mutamento è dovuto al nefasto influsso della teologia? Oggi si espone ai fedeli l'arido riassunto d'un trattato completo di teologia, non più la sintesi seducente e viva del messaggio cristiano.

Risposta. - La differenza tra la predicazione cristiana dei primi secoli e quella contemporanea è considerevole e, sotto molti aspetti, il paragone è a tutto vantaggio della prima. Il mutamento è dovuto in parte all'intrusione di non pochi elementi (particolarmente termini, espressioni) della teologia scientifica nella catechesi, come ha dimostrato J. A. Jungmann, S. J., professore all'Università di Innsbruck, nell'opera: La buona novella e la nostra predicazione della fede (3). L'obiezione contiene.dunque una parte di verità, ma si tratta di sapere a chi si deve rivolgere rimprovero. Lo stesso Jungmann riconosce pienamente e giustamente che le speculazioni teologiche sono legittime, utili e necessarie, e che sono dovute in gran parte al bisogno di combattere gli errori e il naturale desiderio di approfondire il dato rivelato; però i predicatori ebbero il torto di non aver capito abbastanza lo scopo e la natura proprii del loro compito e d'aver incorporato troppi elementi della teologia scientifica nel loro messaggio. La causa del parziale insuccesso della catechesi attuale deve quindi essere attribuita più ai predicatori che ai teologi, anche se non si possono dimenticare le circostanze attenuanti (come le necessità apologetiche) che gli accusati possono allegare in loro favore (4).

Quindi la teologia non merita il rimprovero dell'obiezione e può anzi rendere grandi servizi alla causa della predicazione cristiana. Il suo studio è indispensabile a quelli che hanno la missione di portare la lieta novella agli uomini, poiché se mancherà una sufficiente e solida formazione teologica ai predicatori, mancherà sempre l'esattezza richiesta dal rispetto dovuto alla parola divina, e più ancora mancherà quella ricchezza dottrinale che siamo in diritto di esigere dai messaggeri della rivelazione definitiva. Ma c'è di più. Grazie soprattutto all'attuale rinnovamento liturgico, la predicazione cristiana sta per subire una profonda trasformazione che le assicurerà un'azione più efficace sulla vita religiosa dei fedeli. Il teologo non può rimanere indifferente a questo movimento; deve anzi essere lieto di prestargli il suo concorso, poiché meglio di chiunque altro potrà esporre con precisione le linee maestre del messaggio da annunciare alla generazione contemporanea.

Die Fehbotsckqft und unsere Glaubensverkindigung, Regensburg 1936. Notiamo che molte idee analoghe a quelle esposte da J.-A. Jungmann furono sostenute già oltre un se
colo fa da J. B. Hirsgher, Professore di teologia nella Facoltà cattolica di Tubinga nell'opera Ueber das Verhaeltnis des Evangeliums zu der theologischen Scholastik der neuesten %jàt in Katholùchen Deutschland. Zugleich ah Beitrag zur Katechetìk, Tubinga 1823. E' da notare che,come hanno dichiarato ultimamente, il Jungmann e gli altri fautori della cosiddetta teologia cherigmatica o della predicazione non intendono propugnare una siffatta teologia in opposizione a quella scientifica, ma come un prolungamento e un'integrazione di essa.
In altre parole si limitano ad insistere sulla necessità di una accentuazione e di una preoccupazione più pratica e vitale nell'esposizione teologica, a Ad un tale proposito, scrive il Padre A. Gemelli, non poteva mancare e non mancò il plauso comune " (in Teologiae spiritualità, p. 17). Cfr. Bibliografia.
" Non di rado la teologia è "il tesoro nascosto" non appieno utilizzato neppure dai predicatori. Eppure quattro anni di studio teologico nei seminari e negli altri istituti di formazione ecclesiastica sono indirizzati principalmente all'apostolato e in primo luogo alla predicazione nelle molteplici sue forme. Quanto raramente tuttavia si odono predicare le solite verità dommatiche come la fede, la speranza, la carità, il dolore perfetto con la sua potenza santificatrice, la nobiltà e necessità della grazia, la necessità e infallibilità del gran mezzo della preghiera ed altre molte! Di conseguenza ne scapita la formazione spirituale di troppi cristiani dei nostri giorni che rimane leggera, senza vigore, se non contaminata da ignoranza anche delle rudimentali verità religiose.
Le omelie dei Padri, invece, sono un esempio fulgido di teologia che possiamo anche noi chiamare "cherigmatica", purché si soggiunga subito che non è altra teologia da quella insegnata nei corsi teologici, sebbene presentata in altra veste. Lo studio profondo e ben assimilato, attraverso la meditazione della teologia scientifica, sbocca spontaneamente, per un apostolo, nella teologia cherigmatica, che pur tenendo conto e adattandosi alle capacità intellettuali, alle tendenze e alla psicologia dell'uditorio, ritiene intatta la purezza, la solidità e la forza del domma cattolico. Causa principale delle deficienze nella nostra predicazione è, a nostro avviso, appunto il difetto di tale studio profondo e bene assimilato, a cui si deve aggiungere la mancanza di esercizio e abilità a tradurre in linguaggio popolare i termini tecnici e i modi astratti di concepire propri della teologia scientifica. Tali lacune, che si ravvisano negli studenti di teologia, provengono bene spessodai loro stessi docenti, i quali non hanno trasfuso in loro ciò ch'essi stessi non possedevano, non sapendo indicare e mettere in risalto gli aspetti cherigmatici del domma s F. M. Bauducco in Civiltà Cattolica 1952, IV, p. 547.

Conclusioni. - Nelle pagine precedenti abbiamo cercato di esporre ed esaminare lealmente le principali obiezioni sollevate contro la teologia domma-tica e, nel nostro esame critico, non abbiamo mai perso di vista la distinzione (che ci sembra essenziale) tra la teologia con la sua vera natura e i suoi metodi ben intesi da una parte, e il lavoro e le opere di certi teologi dall'altra. Alla luce di questa distinzione enunceremo le nostre conclusioni generali.

La prima e la più importante è che nessuna accusa tocca la teologia stessa: nessun attacco colpisce la sua possibilità, la sua necessità, i suoi metodi, il suo valore scientifico o pratico.

Tuttavia, ed è questa la seconda conclusione, molte obiezioni contengono una parte di verità, che però riguarda unicamente certi teologi, le imperfezioni o gli errori in cui essi sono caduti nel loro lavoro.

Ci siamo sforzati di ridurre le accuse alle giuste proporzioni e talvolta abbiamo recato a difesa delle circostanze attenuanti; tuttavia ci pare di aver sempre riconosciuto e condannato con franchezza i difetti reali. Certo, perché scienza trattata dall'uomo, la teologia non sarà mai perfetta, ma è e rimarrà sempre suscettibile di maggiore perfezione. Condizione une qua non del progresso, è una netta concezione della natura propria della teologia e delle esigenze d'ordine metodologico derivanti da questa essenza. Se le pagine del nostro lavoro potessero aiutare il teologo ad acquistare una più chiara coscienza del suo compito, avrebbero non solo un carattere difensivo, ma anche, e soprattutto, la portata costruttiva che abbiamo voluto dare loro.

W. G.

BIBLIOGRAFIA. - 1. In generale. Giova consultare le opere di introduzione alla teologia tra le quali segnaliamo le seguenti : G. Rabeau, Introduction à l'elude de la théologie, Bloud et Gay, Paris 1926. J. Bilz, EinfSkmng in die Théologie, Herder, Friburgo in Br. 1935. Ch. Journet, Introduction à la théologie, Desclée de Brouwer, Paris 1947. B. M. Xiberta, Introducilo in sacram theologiam, Consejo Superior de investigationes Cientificas, Madrid 1949. C. Colombo, La metodologia e sistemazione teologica, in Probi, et Orìent. di Teol. Dogm., ed. cit., I. pp. 1-56.

Sui metodi positivo e speculativo. M. J. Congar, Théologie, in D. T. C, XV, particolarmente le coli. 462-483. C. Colombo, L'elemento storico nell'insegnamento della teologia, in La Scuola Cattolica, 1952, pp. 3-25. F. Cavallera, La teologia positiva, ivi, pp.48-68. J. Beumer, Théologie als Glaubensverstàndnis, Echter-Verlag, Wilrzburg 1953.
Teologia e vita spirituale. Autori Vari, Teologia e spiritualità, Vita e Pensiero, Milano 1952. F. Olgiati, Sillabario della teologia, Vita e Pensiero, Milano 1953. L. De Coninck, La théologie Kerigmatique, in Lumen Vitae, 1948, pp. 103-115. La rivista La Scuola Cattolica ha dedicato tutto un fascicolo (luglio-ottobre 1950) alla teologia della predicazione. Particolarmente notevoli gli articoli di G. Guzzetti, La controversia sulla teologia della predicazione; di C. Colombo, Teologia ed evangelizzazione; di G. Corti, Alla radice della
controversia Kerigmatica
. F. Arnold, Il ministero della fede, Ed. Paoline, Alba 1954. T. Soiros, La condition du théologien, Plon, Paris 1953. J. A. Jdnomann, Catechetica, Edizioni Paoline, Alba 1956.

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