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Obiezioni contro l'Antico Testamento

Ultimo Aggiornamento: 02/09/2009 08:35
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02/09/2009 08:25

Obiezioni desunte dai pretesti errori storici della Bibbia

CAPITOLO II - OBIEZIONI DESUNTE DAI PRETESI ERRORI STORICI DELLA BIBBIA

§ 1. - Considerazioni generali.

a) Caratteri di queste obiezioni. - Le obiezioni desunte dai pretesi errori storici della Bibbia sono infinitamente più complesse di quelle che abbiamo analizzato poco fa, perché qui non si può più credere che gli agiografi si siano espressi secondo le apparenze. Alcuni esegeti proposero una spiegazione, che fu violentemente combattuta fin dal suo primo apparire, spiegazione che non è contenuta nell'enciclica leonina sulla Sacra Scrittura e che l'enciclica di Benedetto XV, più severa, segnala per condannare.

b) Principi di soluzione. - Veramente l'espressione " apparenze storiche a è poco felice, è equivoca e, secondo me, anche inesatta, perché non ci sono apparenze storiche nel senso in cui intendevano i proponitori della formula. Ci sono invece modi difettosi di percepire, registrare, conservare, trasmettere, consegnare i fatti per scritto, e soprattutto vi sono diversi modi, egualmente legittimi, di concepire e scrivere la storia. Così il nostro modo d'intendere la storiografia, p. es. al modo del Duchesne o di Cauchie (per fermarci ai due più illustri rappresentanti della storiografia cattolica moderna) non è quello degli annalisti o dei cronisti dell'antico Oriente, che ignoravano, sia quanto a documentazione sia quanto ad analisi critica, le regole del moderno metodo critico, i processi redazionali e sintetici. Dimenticare questa cosa significa condannarsi in anticipo a non comprendere nulla dell'Antico Testamento.

Quindi non si deve dire che gli autori antichi sbagliano perché s'esprimono secondo le " apparenze storiche " erronee, il che, ripetiamo, è inesatto; occorre anzi riconoscere che essi procedono col metodo storico della loro epoca e con la larghezza che esso comportava, senza preoccuparsi d'avere una documentazione esauriente, non esigendo un'analisi rigorosamente critica delle fonti, ricorrendo a processi oratori, talvolta perfino a libere combinazioni, p. es., delle circostanze, amando tradurre in discorsi i pensieri dei principali attori, essendo in definitiva più preoccupati di fare una bella presentazione letteraria, che una rappresentazione materialmente esatta e, direi, fotografica dei fatti (1).

 

Gli autori dell'Antico Testamento non filmano i fatti, ma ne tratteggiano larghi quadri, seguendo i gusti estetici dei contemporanei, senza mai perdere di vista lo scopo d'istruire ed edificare i lettori. Essi sono, nella maggior parte, altrettanto filosofi della storia quanto annalisti o cronisti propriamente detti. Per questo molti critici credono di poter parlare di più storie delle origini religiose d'Israele, che chiamano la storia jahvista, elohistica, deuteronimista e sacerdotale. Un punto di vista particolare caratterizzerebbe ad un tempo e l'insieme ed i particolari dei racconti che compongono ogni ciclo storico cosi distinto.

Quindi ogni qualvolta sembrano sorgere gravi difficoltà, non si tratta di ricorrere subito ai generi letterari infrastorici, come la tradizione popolare, la storia idealizzata, il midrash aggadico, i favolari, i racconti fantastici, ecc, ma bisogna prima considerare che anche la storia vera e propria nell'Antico Testamento non era scritta come la concepiamo noi moderni, come incominciano a riconoscere apertamente i recenti manuali d'introduzione alla Sacra Scrittura (2), che in questo modo non compromettono affatto l'inerranza biblica. Infatti il carisma dell'ispirazione esercita tutta la sua causalità fino a escludere ogni errore soltanto nell'ambito del genere letterario al quale appartiene il libro ispirato (3).

D'altronde, come notano molto giustamente Lusseau e Collomb (4), il fatto che le affermazioni della Bibbia non contengono nessun errore, non comporta che esse esauriscano la verità del loro oggetto, poiché altrimenti sarebbe necessaria una serie di rivelazioni che farebbero dello storiografo un essere a parte e gli darebbero una mentalità e una cultura totalmente estranee a quelle del suo ambiente; i suoi discorsi e i suoi scritti sarebbero incomprensibili ai suoi contemporanei e perfino a lui stesso, senza uno speciale aiuto di Dio.

Ammessi questi pochi principi, la storia sacra non si presta a serie obiezioni e quelle che, ciononostante, le si oppongono derivano soprattutto dall'ostinazione a voler misurare l'esattezza biblica con le regole del metodo critico moderno. Ora questo è semplicemente grottesco.

Oltre il fatto suaccennato, che la storia sacra è scritta alla maniera degli antichi, avviene pure che per alcune sezioni dei libri detti storici, e forse anche per alcuni interi libri, gli autori ispirati s'allontanano deliberatamente dal genere storico per adottare questo o quel genere letterario, che Lusseau e Collomb chiamano " infrastorico ".

(1) Del resto, sebbene in misura minore, queste riflessioni valgono anche per i libri storici del Nuovo Testamento, come ammettono i migliori esegeti cattolici moderni. Si pensi particolarmente a certe varianti della tradizione evangelica. L'opera del P. Thibaut, Le sens des paralei du Christ, Bruxelles-Parigi, 1940, al riguardo contiene molte giudiziose osservazioni, che in materia segnano un progresso sulle posizioni che direi medie.
(2) Lusseau-Collomb, Manuil d'Éludes bibliques, t. I, Parigi 1936, p. 254, n. 3 e pp.
218-219. Vedi p. 218, lett. C: "È evidentissimo che il metodo storico degli antichi non
era il nostro ".
(3) Ivi, pi 176I
(4) Ivi, p. 177.

Come vuole prudentemente e giustamente la Chiesa, in ogni caso particolare bisognerà certamente dimostrare con solidi argomenti che l'agiografo usa simile genere letterario, e inoltre che s'allontana coscientemente dalla storia in senso stretto. Fatta questa dimostrazione, perché rifiutare agli storici sacri quei diritti che concediamo agli scrittori di tutti i tempi? Tanto più che si ammette che l'ispirazione non cambia le abitudini letterarie di chi ne beneficia, in quanto Dio, adattandosi a servirsi di strumenti, li sceglie quali la cultura profana del loro ambiente li ha preparati per svolgere il loro compito di scrittori. Non ci dobbiamo lamentare se la Chiesa esige esegeti prudenti e circospetti, ma in questo campo nessuno ha diritto di essere più esigente del Papa o della Commissione biblica.

A noi sembra die alcuni autori, preoccupati di non allontanarsi dalle direttive pontificie, sì servano con troppe riserve e quasi con il contagocce di certi principi di buona esegesi, sembrando talvolta di voler ricorrervi solo nei casi d'estrema necessità, quando è permesso appropriarsi dei beni altrui e, in questo caso, dei beni della critica. Tale posizione, anche se ispirata dalla lodevole intenzione di non scandalizzare mai il pubblico cattolico, ahimè troppo poco versato e istruito in materia, è inopportuna.

Queste poche considerazioni generali dovrebbero bastare e spero che risolvano più facilmente le difficoltà cui crediamo dover rispondere più diffusamente (5).

§ 2. - Esposizione delle principali obiezioni.

1. I primi undici capitoli della Genesi. - Enunciazione. - I primi undici capitoli della Genesi, servendosi dei ricordi conservati dalla generazione di Mosè, espongono le origini dell'universo e la storia dell'umanità primitiva. In questa storia predomina il punto di vista religioso. Non solo, ma si tratta soltanto di un semplice compendio di storia, che descrive lo sviluppo culturale dell'umanità primitiva attraverso le tappe più salienti, scegliendo i quadri, tracciandoli e raggnippandoli attorno ad alcuni personaggi rappresentativi della loro epoca o attorno ad alcuni grandi eventi che segnano il corso dell'evoluzione: Adamo ed Èva, Abele e Caino, Seth e la sua discendenza, Noè con i tre Egli Sem, Cani e Jafet, Abramo, la creazione dell'universo e della prima coppia umana, il peccato dei progenitori, l'uccisione d'Abele da parte del fratello, la decadenza morale dei contemporanei di Noè, il diluvio, la costruzione della torre di Babele e la dispersione dei popoli.

(5) Se non esagero, le considerazioni da noi esposte sono ormai appoggiate dall'autorità della più recente enciclica biblica, documento tutto impregnato d'ottimismo e che da notevole fiducia alla scienza che s'applica a scrutare il senso della Parola divina. Soprattutto riguardo all'Antico Testamento l'enciclica non esita a raccomandare alcuni metodi e a spiegare certi principi che una volta alcuni ambienti, chiusi al progresso della scienza, guardavano con sospetto e diffidenza, quasi fossero più o meno inquinati di razionalismo. Però, come abbiamo osservato altrove, non bisogna abusare del documento pontificio per applicare alla leggera le eccellenti direttive che contiene; quindi si proceda solo dopo aver studiato i problemi a fondo.-Vedi F. M. Braun, O.P., Les études bibliques d'après feneydique de S. S. Pie XII " Divino afflante Spirito ", in Discours wtiversitaires, nuova serie, n. 3, Friburgo in Sv. 1946. - J. Levtb, S. J., Vencyclique sur tes études bibliques. Texte et commentaires (estratto dalla Nauseile Renne théologique, ott.-nov., 1946), Tournai-Parigi 1946.

Nulla è più istruttivo che ricordare la storia dell'esegesi cattolica in quest'ultimo mezzo secolo. A questo riguardo vi sono parecchie monografie: J. Coppens, Le chanoine Al-bin Vari Hoonacksr. San enseignement, son oeuvre, sa mélhode exégélique, Bruges-Parigi, 19355 L'tewre exégétique et histmqui du R. P. Lagrange, Parigi, Bloud et Gay 1935; J. Coppens, Paulin Ladiuze orientalist en exegtet (1870-1940), in Meied. Kon. VI. Acadim'.e, Bruxelles, Palais des Académies, 1940; J. Gonw"", Portrait de M. Pouget, 2 ed., Parigi 1941; F. M. Braoti, O. P., Vornare du P. Lagrange. Etnie et bibliographie, Friburgo in Sv. 1945; trad. it, presso Morcelliana, Brescia.

Molti esegeti razionalisti cercano di convincerci che i racconti dei primi undici capitoli della Genesi sono completamente privi di valore storico, avendo al massimo qualche reliquia delle tradizioni antiche, cui forse corrisponde un fondo di verità filosofica. Perciò bisognerebbe interpretare questi vecchi dati come prodotti dello spirito mitologico o, meglio ancora, della fantasia popolare mescolante generi letterari disparati: leggende tribali, racconti popolari, fa-bliaux, canti epici, ecc. In qualsiasi ipotesi, la Chiesa ha torto nel basare la storia del mondo sopra questa confusa mescolanza di racconti e tradizioni e di trame alcuni dei suoi dommi fondamentali.

Risposta. - Ammettiamo senza difficoltà che l'interpretazione dei primi undici capitoli della Genesi è di natura delicata. La questione è stata trattata con molta dottrina, buon senso e spirito ecclesiastico dal rev. H. Junker nell'opera Die biblische Urgeschichte in ihrer Bedeutung als Grundlage der alt-testamenllichen Offenbarung. (Bonn, 1932), con alcune affermazioni che occorrerebbe chiarire, e alcune furono chiarite dall'autore nella rivista dell'Istituto Biblico, Biblica (6). In complesso l'opuscolo del professore tedesco da buone direttive alle quali facciamo volentieri eco.

I primi capitoli della Genesi non sono racconti mitologici o sviluppi puramente simbolici, non sono allegorie o leggende in cui s'inseriscono forse alcune briciole delle antiche tradizioni storiche. Assieme alla Commissione biblica, dobbiamo affermare proprio l'opposto e dire che i primi undici capitoli cercano di elaborare una storia oggettiva dell'umanità, ma (occorre capire e ricordare bene questo una volta per tutte) una storia compendiosa, preceduta da una pagina filosofica-religiosa sulla creazione; storia che narra i fatti ora con un linguaggio figurato e convenzionale, ora in una redazione popolare in cui sono inserite, sotto forma di citazioni abbastanza esplicite per un lettore avveduto, alcune tradizioni che l'autore si limita a riportare, senza garantirne la storicità. Faremmo torto all'agiografo se, anche quando manifesta più o meno chiaramente l'intenzione di fare la relazione obiettiva dei fatti, gli chiedessimo la precisione e l'esattezza che convengono solo a un metodo storico critico di cui egli non ebbe certamente l'idea e che quindi non fu nelle sue intenzioni. D'altronde questa storia è un'opera geniale, con valore letterario " soprattutto dottrinale unico, che non trova assolutamente nulla di simile in tutte le altre letterature dell'Oriente antico.

Ciò significa che nei capitoli I-XI della Genesi, accanto all'esposizione storica con valore oggettivo garantito dall'agiografo, conviene distinguere un certo numero d'elementi da lui riferiti sia a titolo di documentazione (prima categoria di tradizioni), sia con un punto di vista meramente letterario, estetico, per drammatizzare e ornare l'esposizione (seconda categoria di tradizioni).

(6) Zur Erklàrung voti Gai. 6, 1-4, in Bìblica, 1935, t. XVI, pp. 205-312.

 

Nel primo gruppo di tradizioni si possono collocare gli elementi presi tanto dalle tradizioni popolari d'Israele, orali o scritte, quanto da quelle dei popoli vicini agli Ebrei, facendo così posto alle citazioni esplicite e implicite. Vi entrano cosi lo schema cronologico generale di Gn. I-XI, le liste genealogiche dei Sethiti (Gn. V) e dei Semiti (Gn. 11, 10-32), l'elenco delle nazioni (Gn. X), importanti sezioni del racconto del diluvio (Gn. VII-IX), il racconto delle unioni contratte dai figli di Dio con le figlie degli uomini (Gn. 6, 1-4).

Siccome la Commissione biblica permette di ricorrere alle citazioni esplicite o implicite solo quando la citazione stessa è dimostrata da solide prove, riguardo allo schema cronologico generale della Genesi si fanno valere i dati certi della preistoria: per le liste genealogiche dei Sethiti e dei Semiti -si fa valere l'accettazione e il contesto di questi documenti, per il racconto del diluvio i duplicati che vi si trovano e i paralleli non biblici, per l'episodio dei giganti il carattere frammentario del racconto.

Le tradizioni del secondo gruppo hanno un carattere storico direttamente stabilito, perché l'autore sacro, riprendendoli per suo conto, se ne fa garante. Però qui la forma è più convenzionale, consistendo ora in una libera descrizione, figurazione simbolica, rappresentazione viva e drammatica dei fatti, ora utilizzando certi temi letterari molto diffusi nell'Oriente antico, ora idealizzando i fatti, riportati e garantiti dall'autore ispirato quanto alla sostanza.

Alle tradizioni di questo secondo gruppo o categoria si riferiscono l'esamerone (Gn. 1,1-2,3), i racconti della creazione d'Adamo e di Èva (Gn. 2, 4-25), il racconto del paradiso (Gn. 3, 1-24) e anche quello della costruzione della torre di Babele (Gn. 11, 1-9). Quest'ultimo però, secondo lo Junker, vi si riferisce in modo speciale. Mentre in tutte le altre parti i dati storici sarebbero trasmessi fedelmente quanto alla sostanza, ma in qualche modo rivestiti con una rappresentazione simbolica o drammatica, qui invece lo stesso fatto storico, cioè la costruzione della torre - santuario di E-temen-an-aki nella città di Babilonia (monumento restaurato più tardi da Nabucodonosor e che sarà descritto da Erodoto) viene idealizzato, fino a perdere i suoi contorni storici e diventare la semplice figurazione simbolica dell'opposizione dei regni terreni al regno di Dio. Tra gli elementi figurativi o tematici delle tradizioni della seconda categoria si citano il soffio di Jahvé, che crea l'anima umana, gli alberi e la figura del serpente del paradiso, nonché la costa d'Adamo nel racconto della creazione della donna. Gli esegeti cattolici non sono ancora concordi sull'estensione semplicemente simbolica di tutti questi elementi. Cosi per quanto riguarda il serpente, l'interpretazione simbolica venne difesa dal P. Beda Rigaux (L'An-tichrist et l'opposition au royame messianique dans l'Ancien et le Nouveau Testament, Duculot, Gembloux 1933) e pare guadagni partigiani, anche se a dire il vero, il testo della Commissione biblica non è direttamente favorevole, ma, a mio parere, non vi si oppone formalmente. Nell'inciso " diabolo sub ser-pentis specie suasore " l'accento cade sulla menzione del demonio; il resto della frase è aggiunto solo onde precisare di quale personaggio del racconto si tratta, e siccome il demonio viene presentato solo sotto la forma di serpente, bisognava nominare anche questo. Per la creazione di Èva la stessa Commissione biblica sembra aprire la via a un'interpretazione larga, che è tanta più plausibile quanto più il termine che noi traduciamo u costa " è uno dei vocaboli ebraici più oscuri nella Genesi, e siamo convinti che la Chiesa non sarà indotta a tagliare netto con la sua autorità riguardo all'esegesi d'un testo difficile, davanti al quale i Padri confessavano la loro ignoranza.

Per l'interpretazione del racconto della torre di Babele, riconosciamo innanzitutto che la narrazione non ha un senso molto chiaro, non essendo facile precisare il fatto storico al quale si riferisce. Per questo si possono consultare gl'ingegnosi punti di vista svolti dal can. Van Hoonacker (7).

Per appoggiare l'interpretazione più o meno simbolica dei racconti della seconda categoria, si possono addurre come argomento i frequenti antropomorfismi, l'insistenza occasionale dello stesso autore sacro sul carattere simbolico di parecchi elementi, il carattere evidentemente tematico di altri elementi, il ricorso al linguaggio o allo stile convenzionale, ecc.

Ispirandosi a questi principi l'esegesi cattolica si sentirà ormai a suo agio nell'interpretare Gen. I-XI, non avrà più da temere obiezioni che avrà prevenute con la giustezza, la ricchezza, la duttilità di queste considerazioni, che tendono tutte a farci comprendere la psicologia dell'autore ispirato e le minime varianti del suo stile (8).

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