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Obiezioni contro l'Antico Testamento

Ultimo Aggiornamento: 02/09/2009 08:35
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02/09/2009 08:26

2. La scienza del bene e del male in Gn. II-III.

- Una delle più classiche obiezioni alla Genesi I-XI riguarda il senso preciso della r scienza del bene e del male ", esca della tentazione dei nostri progenitori. Alcuni esegeti razionalisti vogliono vedervi la scienza della vita sessuale, specialmente quella dei rapporti coniugali; altri invece ci vedono il risveglio della coscienza morale.

La prima di queste due ipotesi razionaliste non deve trattenere a lungo la nostra attenzione. Anche se si suppone dimostrabile che le fonti da cui dipende Gn. II-III considerino la scienza del bene e del male d'ordine sessuale, non ne seguirebbe che sia ancora cosi nella presente redazione del racconto, il cui contesto esclude simile interpretazione, specialmente le parole che si crede Adamo abbia rivolto alla sua compagna nello stesso momento in cui gli venne presentata la prima volta (Gn. 2, 23-24).

È meno facile confutare la seconda interpretazione, come tentò con successo Ad. Lods. Un'analisi oggettiva del racconto, da una parte ci permette di affermare che la trasgressione viene presentata come una mancanza morale, e questo significa che i nostri progenitori avevano già la coscienza morale prima della caduta e, dall'altra parte, che l'oggetto della scienza del bene e del male è prima di tutto d'ordine intellettuale, e se occorre aggiungervi un elemento d'ordine morale, si tratta d'un aspetto diverso da quello proposto dagli autori indipendenti, ai quali ci riferivamo. Ecco, d'altronde, gli elementi di cui ci si può servive e che noi sviluppiamo in stretta dipendenza da un articolo pubblicato nella Theologische Blaiter dal professor A. Lods, che nessuno potrà sospettare di parzialità in materia (9).

(7) J. Coppens, Le chanoine Albin Van Hoonacker, ecc., Parigi, Deaclée de Br. 1935.
(8) Si legga Y. Laurent, A. A., Le caracike hisimque de Gn. II-III, dans l'exégiit franfaisi au tournant du XIX siede, in Ephcm. Theol. Lovanienses, 1947, t. XXIII, pp. 36-69,
(9) K. Dubbe-A. Lods, Ein Aiutatiseli zur Paradise geschichte, in Theol. BlStter, 1933,
t. X, coli.1-10.

a) L'enunciazione delle accuse da parte di Dio (3, 14.17) e la descrizione delle condanne che infligge ai nostri progenitori (3, 16.17-19) suppongono la loro colpevolezza e quindi una disobbedienza formale. Se l'uomo e la donna avessero agito pienamente innocenti, oppure come animali che pascolano nel campo del vicino o nell'orto del loro proprietario, sarebbe comprensibile che Jahvé li avesse espulsi dal giardino, onde impedire una nuova invasione (3, 22), ma non si spiegherebbero le amare pene che furono infitte.

A questo venne risposto che qui si tratta d'una disobbedienza di grado inferiore, come la trasgressione d'un'ordinanza di polizia: " Cosi un individuo può essere colpevole, nota per esempio Carlo Budde, anche a prescindere totalmente dalla questione morale, di fronte a una qualsiasi ordinanza di polizia ". Al paragone del bestiame l'esegeta tedesco oppone il cane, cui si fanno proibizioni estranee all'ordine morale, semplicemente perché è più intelligente. Il Budde fa anche notare che non si può concludere esservi stata una mancanza morale dalla sola gravita dei castighi, che il narratore doveva cercare d'accettare anticipatamente e necessariamente, dovendo spiegare il presente stato della condizione umana con le pene e le sofferenze che essa comporta.

La prima difficoltà è molto debole, poiché nell'esempio del cane c'è disobbedienza solo in senso improprio della parola, e nella trasgressione delle ordinanze di polizia c'è trasgressione formale che non è pensabile come grave, com'è -evidente nel caso della narrazione biblica. D'altronde la nozione di legge penale per opposizione implica già quella delle leggi morali propriamente dette.

La seconda difficoltà è più seria, ma non resta meno vero che soltanto l'ipotesi d'una mancanza morale conduce naturalmente alla spiegazione dei castighi.

b) Confrontando il racconto biblico con il mito di Adapa o con il racconto della perdita dell'albero della vita (è il secondo argomento di Lods) appare maggiormente il carattere morale della trasgressione biblica, poiché nel racconto ebraico c'è mancanza e l'uomo viene punito, mentre nei due racconti babilonesi c'è la sfortuna dell'uomo che gioca una cattiva carta e perde la partita.

Carlo Budde rifiuta il paragone, perché le due tradizioni avrebbero presupposti totalmente diversi, poiché nei racconti babilonesi l'infelicità è connaturale all'uomo, mentre in quello ebraico l'infelicità non è alle origini dell'umanità, quando l'uomo aveva l'immortalità assicurata (Gn. 2, 17; 3, 19b).

Concediamo pure tutto questo, ma ciò non toglie che in entrambi i casi l'uomo non possiede né la felicità né l'immortalità, la cui mancanza dalle tradizioni babilonesi è imputata all'insuccesso, mentre nella Bibbia è imputata a una mancanza che comporterà un castigo.

c) Lods aggiunge che la proibizione di mangiare il frutto dell'albero della scienza in quanto intellettuale concorda perfettamente con il pensiero ebraico, ostile alla saggezza umana, che considera come un'usurpazione dell'abilità dell'uomo sul dominio di Dio, mentre è difficile credere che, secondo il jahvista, Dio abbia rifiutato il discernimento del bene morale.

d) Del resto l'espressione " conoscere il bene e il male " venne interpretata in senso intellettuale dallo stesso autore di Gn. 3, 22 che, in conseguenza dell'acquisto della conoscenza fatto dall'uomo, prevede che coglierà il frutto dell'albero della vita. Secondo alcuni autori il versetto 22 del capo 3 non è certamente autentico, perché sarebbe derivato da 3, 3 e da 3, 24b. Ma anche se cosi fosse, resterebbe il fatto che 3, 22, che sarebbe in tal modo una delle interpretazioni più antiche, ha adottato la interpretazione intellettualista, confermata anche dall'interpretazione delle parole (3, 5) che il serpente suggerisce per sedurre la sua vittima. Il fatto della seduzione non prova che il serpente abbia mentito, poiché il mentitore non dice soltanto menzogne.

È vero che si obietta che se così fosse il serpente non avrebbe mai spinto l'uomo a gustare il frutto, per non suscitare un concorrente; ma anche qui, che ne sappiamo noi? E perché l'uomo, divenuto intelligente, sarebbe diventato necessariamente il concorrente del serpente, mentre avrebbe potuto egualmente divenire un alleato utile contro Jahvé?

Infine il senso dell'espressione nei testi più antichi è nettamente intellettuale, come Dt 1, 39 (parallelo solo testuale), 2 Re 19, 35 e Is 7, 15. Attesti precedenti Budde oppose Am 5, 14s, interpretando anche Is 7, 15 in ordine morale, che crede essere almeno connotato anche in Dt 1, 39. Però questi ultimi testi non sembra debbano prevalere su quelli della prima serie.

e) Dobbiamo ancora rispondere a due difficoltà sollevate contro la spiegazione intellettualista. Prima di tutto'se è difficile negare ai nostri progenitori il discernimento morale, non lo è meno negare loro una certa facoltà di discernere il buono dal cattivo, l'utile dal nocivo, prima di mangiare il frutto. D'accordo, ma secondo il narratore non si tratta dell'acquisto della scienza pura e semplice, ma d'una conoscenza del bene e del male eguale a quella degli Elohim (3, 5 e 3, 22). A chi osserva che in Gn II l'uomo possiede già questa conoscenza, Lods risponde che Gn II rappresenta una tradizione indipendente, che apprezza in modo diverso il lavoro agricolo e la maternità.

La seconda difficoltà è capitale. Ci si obietta che in Gn III la conoscena della nudità viene descritta come conseguenza dell'aver mangiato il frutto; ma confrontando Gn 3, 7 con Gn 2, 25, appare che questa coscienza deriva formalmente dall'ordine morale.

Per rispondere a questa difficoltà Lods attribuisce Gn 2, 25 a un'altra tradizione, ma questo peggiora la situazione, poiché resta sempre il fatto che l'interpretazione morale è più antica, o almeno egualmente antica di quella di Gn 3, 22, su cui si basa Lods, e questo significa che le due interpretazioni si sarebbero trovate di fronte quasi fin dalle origini.

Molto più giustamente Lods fa notare che nemmeno l'interpretazione contraria spiega la portata dei testi. Come si può riconoscere nella coscienza della nudità il primo risveglio della coscienza morale, se lo stato di nudità senza il sentimento di vergogna non è descritto come immorale in se stesso?

Infine Lods propone positivamente di vedere nella coscienza della nuditi un effetto dell'illumuiazione intellettuale, che i nostri progenitori acquistarono indebitamente e questo potrebbe segnare il passaggio dall'infanzia alla pubertà e forse anche, come pensava Wellhausen, da uno stato selvaggio a un rudimento di civiltà. L'autore rimanda poi al mito di Enkidu.

Che pensare della controversia tra Budde e Lods? Secondo noi il critico francese dimostra luminosamente che i nostri progenitori prima della caduta ebbero indiscutibilmente la coscienza morale, senza la quale l'intero racconto è privo di senso; però a causa di Gn 2,25 e 3,7 il senso morale non manca nell'espressione " conoscere il bene e il male ".

Per soddisfare a tutti i dati del racconto, preferiamo dire che l'uomo e la donna aspirarono a una specialissima conoscenza d'ordine morale, che credevano riservata a Elohim, pretendendo cioè un privilegio morale di Dio. Tenendo conto del senso pratico connotato dal verbo ebraico Yadà, non si potrebbe tradurre " la scienza sperimentale del bene e del male "? Viene naturalmente da pensare alle credenze d'alcuni popoli pagani, come nel caso della mitologia greco-romana, che concepivano le loro divinità esenti dalla legge morale. Dio sarebbe cosi sottratto all'obbligazione, senz'essere tenuto a piegarsi alle prescrizioni date agli uomini, essendo privilegio degli dèi permettersi qual-siasi cosa e sperimentare in tutta la loro estensione il bene e il male. Tale pres-s'a poco sarebbe il contenuto delle parole del serpente seduttore, cui prestarono fede i progenitori, ma mentre desiderarono acquistare un preteso privilegio morale riservato a Elohim essi perderono l'unico reale privilegio di ordine morale che già possedevano, cioè la immunità dalla concupiscenza. Erano nudi e non sentivano vergogna; dopo invece si aprono loro gli occhi e sorge la concupiscenza.

Questa spiegazione ha il vantaggio di giustificare tutti gli elementi del racconto conservando all'uomo e alla donna il possesso della coscienza morale prima della caduta. Nell'oggetto della tentazione vede un preteso privilegio divino e lo interpreta come derivante dall'ordine morale, conforme a Gn 2, 25, a Gn 3, 7 e al senso di altri passi biblici; assegna al serpente il compito di seduttore, che gli è proprio e spiega perfettamente il risveglio della concupiscenza (10).

3. Il peccato del Paradiso. - La teologia cattolica accorda un'importanza fondamentale al racconto del Paradiso e della caduta, andando evidentemente oltre il pensiero di Cristo e degli scrittori ecclesiastici, che sono particolarmente sobrii nell'alludere a Gn II-III, e che almeno vigilano per non costruire la dottrina cristiana sopra una base tanto contestabile. Del resto pare che la teologia cattolica ignori di che si tratti nel racconto, perché se lo sapesse si mostrerebbe assai prudente. Infatti leggendo i migliori esegeti della nostra epoca, pare accertato che l'agiografo fa consistere il peccato del paradiso nell'opera della carne, considerando l'atto coniugale come inquinato di peccato in quanto tale, anche se contenuto entro i limiti del matrimonio. Simile dottrina è formalmente opposta a quanto insegna non solo la ragione umana, ma anche alla dottrina della Chiesa, che riconosce essa pure la santità del matrimonio e ha fatto di quest'istituzione un sacramento. Pertanto Gn II-III ci mette di fronte a speculazioni impregnate di vero e proprio encratismo avanti lettera, che la teologia cattolica farebbe bene a ripudiare.

(10) È noto che il can. Van Hoonacker intendeva l'espressione "conoscere il bene e il male " come la scienza particolare agli Elohim, esseri divini, cherubini, che popolavano il paradiso: v. J. Coppens, Le chanoine Albin Van Hoonacker, ecc, p. 15. Però tale esegesi non s'impone. Tuttavia, volendola adottare, è facilmente accordabile con quella proposta da noi. Su tutto l'appassionante e complesso problema della conoscenza del bene e del male, si può consultare: La cotutaissance du Bien et du Mal et le peché du Paiadis. Contribution à tinterprètation de Gn. II-III, in Analecla Lovaniensia Biblica et Oriintalia, fase: 3, Bruges-Pariji, Desclée de Br; 1957.

Risposta. -. Non è facile interpretare Gn II-III, perché il racconto è complesso e ricco di contenuto; l'agiografo al momento buono sa essere sottile e maneggia l'ironia e forse ha pure un po' di umorismo. La redazione è molto lontana nel tempo e quindi ci sfuggono necessariamente molte sfumature del pensiero dell'autore. Tuttavia d pare assurdo e blasfemo voler presentare l'atto coniugale come inquinato dal peccato, o addirittura come costitutivo formale del peccato del paradiso. Tutta la Bibbia, compreso Gn II-III, sia nel documento J come in P, presenta o suppone la procreazione come un'opera voluta e benedetta da Dio, e la fecondità come la benedizione per eccellenza. È vero che alcuni autori cattolici vollero salvare la teoria sessuale radicale supponendo che Dio avesse interdetto temporaneamente l'atto coniugale ai progenitori, che quindi avrebbero peccato anticipando indebitamente l'unione coniugale. Però tale ipotesi non ha alcun fondamento nel testo e perciò è inutile fermarvisi anche per un solo momento, poiché la teoria sessuale radicale è inutile, dal momento che ci appare falsa.

Con questo si vuoi forse dire che nella trasgressione dei progenitori non c'è alcun elemento sessuale e che nessuna mancanza sessuale abbia accompagnato o aggravato la mancanza principale, cioè la disobbedienza ispirata dall'orgoglio? Noi abbiamo tentato di risolvere il problema dell'opera La conno." sance du Bien et du Mal et le péché du Paradis (Parigi-Bruges, Desclée de Bt, 1947) sforzandoci di dimostrare che il redattore finale o, se si vuole le fonti utilizzate, hanno verosimilmente intravisto una mancanza grave contro la castità concomitante al peccato d'orgoglio, non certo nell'attuare l'atto coniugale come tale, ma nell'empio tentativo di mettere l'opera della carne sotto la tutela delle divinità della vegetazione e della fecondità, che nel racconto sarebbero presentate sotto l'emblema del serpente. Per le prove e le particolariià, con cui occorrerebbe sviluppare questi punti di vista, rimandiamo allo studio suddetto.

4. La longevità dei patriarchi. - L'Histoire sainte par un professeur de seminane (Parigi, 1924, p. 82), nota che " secondo le cifre, per quanto diverse, trasmesse dal testo biblico, pare risulti che i patriarchi ebbero i loro figli a un'età eccezionalmente avanzata e che la loro vita ebbe una durata assolutamente fuori delle proporzioni della vita umana nelle epoche storiche ".

La difficoltà è classica. Forse è possibile far ricorso alla teoria, che abbiamo spiegato, delle citazioni esplicite, o a quella dei dati popolari, ripresi semplicemente da un punto di vista tematico e simbolico. A me pare che il P. Bea. Rettore del Pontificio Istituto Biblico di Roma e autore assai prudente, propenda momentaneamente a tale esegesi quando scrive (De Pentateucho, 2 ed.. Roma, 1933, p. 184): "Addizionando l'età in cui i patriarchi ebbero i loro figli e il numero di anni da essi raggiunto... sembra si voglia indicare die essi furono i capi e le guide delle loro famiglie per un tempo abbastanza lungo, onde assicurare la continuazione e la conservazione della tradizione ". Più innanzi (p. 186) lo stesso autore considera come fatto storico la longevità patriarcale: a Non -ci sono solide ragioni che ci obbligano a metterla in dubbio ".

Secondo me il partito più prudente è quello dell'Histoire sainte par un professeur de seminane, che si rassegna a ignorare la vera spiegazione, secondo il consiglio di Sant'Agostino : " Su tale questione e molte altre simili si possono ignorare molte cose, senza pericolo per la fede cristiana" (11). Del resto si può anche credere di trovare la vera soluzione ricorrendo ai generi letterari, come caldamente raccomanda di fare l'ultima enciclica pontificia, essendo difficile dimostrare che l'agiografo intendesse comunicarci dati certi e garantiti dalla rivelazione e quindi da credersi con fede divina, quando inseri questi dati cronologici, che forse sono l'opera d'un autore relativamente recente, che cercò di elaborare alla meglio e con beneficio d'inventario un sistema di date. In realtà fece del suo meglio, cosciente com'era delle imperfezioni della sua opera e lavorando entro lo schema dei generi letterari noti e praticati al suo tempo.

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