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Obiezioni contro l'Antico Testamento

Ultimo Aggiornamento: 02/09/2009 08:35
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02/09/2009 08:27

Alla prima difficoltà alcuni risposero mettendo l'attività di Sisara, ricorre) Vedi la tavola cronologica di questi periodi in Ricei-III, Storia d'Israele. I. Dalle orìgini all'esilio, Torino 1932, p. 38. Il problema della cronologia è stato discusso molto minutamente da M. H. Rowley, Israel's Sojotanin Egypt, Manchester, 1938. Egli crede che E faraone oppressore sia Ramses II e che gl'Israeliti abbiano lasciato l'Egitto verso il 1325, data dalla Bibbia, in relazione con quella degli eserciti egiziani; ma l'ipotesi ebbe poca fortuna. Secondo alcuni autori più recenti il famoso capitano sarebbe piuttosto il capo d'un'avanguardia dei popoli ittiti. Quindi è meglio dire che le tradizioni israelitiche registrate nel libro dei Giudici riguardano un periodo della storia israelitica in cui i figli d'Israele occuparono il centro della Palestina. La vita nazionale era concentrata attorno alla città e al santuario di Silo; le colonie israelitiche si distribuivano al centro del paese, dalla regione montana di Gerusalemme fino alle colline attorno alla piana d'Esdrelon. In queste condizioni, siccome gli Egiziani occuparono specialmente il litorale e la piana del nord, le operazioni dei loro eserciti non interessavano i narratori israelitici.

Più grave è la seconda difficoltà, che riguarda la costruzione delle città di Pithom e di Ramses. Dopo gli scavi cominciati dal Naville, la città di Pithom viene identificata con una località situata nel Wadi-Tumilat o terra di Goshen, e si aggiunge che sarebbe stata edificata sotto il regno di Ramses II da schiavi asiatici, tra i quali bisognerebbe riconoscere gli Ebrei. Però la teoria del Naville non è stata accolta in modo unanime e alcuni dissero perfino che essa riposa soltanto sopra una serie d'ipotesi, l'una più gratuita dell'altra; altri esegeti hanno espresso il parere che il ricordo delle due città nell'Esodo I, II, potrebbe essere opera d'un glossatore (18).

Infine, per una data più tardiva della rovina di Gerico, il Garstang deve certamente ammettere che le conclusioni d'ordine cronologico, desunte dal P. Vincent dallo studio della ceramica, specialmente da quella trovata nella necropoli, ci pongono innanzi ai vestigi del periodo del bronzo evoluto, per cui occorre discendere fin verso il 1250. Però il Garstang si sottrae alle conclusioni del P. Vincent limitando le apparizioni del Bronzo III a un ipotetico posto avanzato, che sarebbe stato tenuto da una guarnigione straniera sotto i Ramessidi. Al che il P. Vincent risponde: " E che cosa potevano custodire questi miliziani stranieri a vantaggio dei faraoni ramessidi sulle ceneri malinconiche e maledette d'una città distrutta fin dal 1400? " (19). Insomma res sub judice est. Abbiamo già accennato come molti autori recenti cerchino di conciliare i vari dati e suppongano che la conquista della Palestina debba essere ripartita in diverse penetrazioni degl'Israeliti nella terra di Canaan (20).

(18) G. Ricciotti (0. e, pp. 224-238) riconoscendoli carattere incerto delle due ipo tesi cronologiche, a titolo d'informazione riporta un'altra spiegazione : " E' vero che questo appellativo (Pi-Ramses) a rigore potrebbe essere spiegato con un'anticipazione cronologica, come nel caso della terra di Ramses ".
(19) Reuue biblique, 1935, t. XIV, pp. 583-605.
(20) Crediamo di non dover cambiare le nostre opinioni sulla data dell'Esodo, pur restando la questione sempre incerta : lis sub judice est. Veramente dobbiamo aggiungere che in quest'ultimi anni l'ipotesi d'una data più recente, posta nel secolo XIII, guadagna terreno, potendosi appellare a nuovi argomenti: 1) il fatto che la data di Hammurabi aggiornata di due secoli invita ad aggiornare nella stessa misura la cronologia d'Israele, il che per l'Esodo dal secolo XV ci conduce al XIII ; 2) le tradizioni sull'Esodo suppongono la presenza di Edom, Moab e Ammon in Transgiordania ; ora, secondo i risultati delle esplorazioni di M. N. Glueck in Transgiordania, questi popoli fissarono quivi la loro dimora non prima del secolo XIII ; 3) tra le città distrutte da Israele nel suo ingresso nella terra di Canaan figura certamente Lachish (Teli ed Duweir) ; ora gli scavi iniziati sul posto dalla Welcome-expedition, sotto la guida del compianto Starkey, hanno accertato che la città fu distrutta e saccheggiata verso il 1930; 4) infine gli scavi del Montet nel delta egiziano, soprattutto a Tanis (P. Montet, Tanis. Douze années de fouilles dans une capitai oubliée a Delta Egyplien, Parigi 1942) hanno anch'essi confermato la cronologia recente. D'altronde i sostenitori d'una data più antica della distruzione di Gerico convengono che ormai si possa discendere al 1300 per situare il saccheggio della città. Ma neppure quest'ultima data non permette ancora di pensare a Ramses II (Rowley) e tanto meno a Memeptha come faraone dell'Esodo, come propongono abitualmente i sostenitori dell'ipotesi d'una cronologia più recente.
Sul problema dell'Esodo si veda : H. Rowley, The Exodus and thè Settlement in Canaan, in Bull. Am. Or. Soc, n. 85, 1942, pp. 27-34; G- E. Wrioht, The Misunderslood Item in thè Exodus-Conquest Cycle, n. 86, 1942, pp. 38-35; H. Rowley, TheRe-Discovery oj thè Olà Testament, Londra, s. d. 1945 ; G. E. Wrioht, Fl. V. Filson, W. F. Albright, The Westmin-star Historìcal Alias to thè Bible, First British Edition, Londra 1946.

Dal regno di Davide e di Salomone in poi si possono fissare i principali elementi della cronologia biblica. Il parere autorevole emesso un tempo da Mons. Ruffini, attuale cardinale arcivescovo di Palermo, riassume bene la questione: " Per gli anni dell'età regia si deve dire:
l.o sono vere tutte le date che vanno dalla divisione del regno fino ad Ocozia nel regno di Giuda, e a Gioram nel regno d'Israele;
2.o tutte le date da Ocozia e Gioram fino alla distruzione di Samaria si spiegano abbastanza facilmente, eccetto due sincronismi, quello di Facea e soprattutto quello d'Azaria che però non ripugnano completamente alla verità;
3.o le date del regno di Giuda, dopo la distruzione del regno d'Israele, non vanno soggette a nessuna difficoltà " (21).

Per uno studio più particolareggiato della cronologia dei re di Giuda e d'Israele rimandiamo al nostro opuscolo: En marge de l'histoire sainte (22), dove esponiamo le speciali difficoltà relative e giustifichiamo il sistema che ci sembra preferibile.

10. La presa di Gerico per opera di Giosuè. - II racconto della presa di Gerico è una delle più belle narrazioni del libro di Giosuè, ma gli scavi eseguiti sul luogo, dove sorgeva l'antica città cananea, mettono in dubbio la storicità del miracolo fatto da Dio su richiesta del conquistatore ebraico.

I dubbi vennero formulati per la prima volta dopo gli scavi iniziati da Ernst Sellin nel 1908-1909. Com'è noto, l'esploratore tedesco esumò una doppia cerchia di mura, costruite sopra il piano d'un ovale con la punta a sud. La parte orientale delle mura era certamente scomparsa, ma Sellin pensa che la demolizione di questa sezione dei bastioni risalga all'epoca bizantina. Dagli scavi pare quindi risultare che le trombe dell'esercito vittorioso di Giosuè non fecero crollare le mura della città cananea.

Che cosa pensare di questa difficoltà?

È un fatto che la storia della città di Gerico, come dovrebb'essere descritta dopo gli scavi, appare sempre più complicata; dopo le ultime ricerche per opera di Garstang, sorsero nuove difficoltà, ma io credo che non impediscano d'inserire nella storia archeologica della città una caduta delle mura, sopraggiunta per esempio a causa d'un terremoto.

 

 

(21) E. Ruffini, Chrtmologìa V. et JV. Testamenti in aeram nostram collata, Roma 1924, P- 37
(22) Bruges Bayaert 1936.

In attesa che si conosca meglio la storia archeologica di Gerico, pare che si possa segnalare l'ingegnosa interpretazione del libro 6 di Giosuè data dal can. Van Hoonacker, secondo il quale il testo ebraico attesterebbe non la caduta delle mura della città, ma la caduta delle truppe della guarnigione, e parecchi elementi del racconto appoggiano quest'interpretazione (23).

11. II miracolo compiuto da Giosuè nella valle di Gabaon. - Ormai nessuno, che abbia capito le spiegazioni date sopra sulla Bibbia e le scienze naturali, prenderà sul serio l'obiezione dei vecchi razionalisti che accusavano la Bibbia, Giosuè e lo Spirito Santo d'essere in contraddizione con le teorie astronomiche di Galileo. Rimane però la difficoltà: un miracolo grandioso: terra che si arresta e quindi arresto del moto degli altri corpi celesti, il che sembra sproporzionato con il fine relativamente modesto che si proponeva la Provvidenza, e cioè la disfatta d'una banda armata di Cananei.

È noto come il can. Van Hoonacker, sviluppando ingegnosamente le congetture di alcuni autori anglicani e cattolici, girò la difficoltà dicendo che il testo, il quale parla dell'arresto del sole, non si dovrebbe intendere come un arresto del moto, ma dello splendore. Dal punto di vista filologico e letterario la spiegazione è plausibile, né vi si oppone l'inerranza biblica (24).

12. Le storie di Sansone, Tobia e Giona. . Vogliamo segnalare questi tre cicli di narrazione perché sono tra le più difficili a spiegarsi, e perché da tempo quasi immemorabile hanno offerto agli esegeti indipendenti materia a molteplici obiezioni.

a) Sansone. " Prima di Samuele e di Saul non c'è personaggio cui l'antica storia giudaica dedichi più attenzione che a Sansone, della tribù di Dan " (25). La sua leggenda, aggiunge Loisy (26), è meravigliosa, ma la storia ne ritiene ben poco, trattandosi soprattutto d'un eroe leggendario.

Risposta. - La storia delle gesta di Sansone non è affatto banale e ne] 1903 il P. Lagrange ne dava questo giudizio: " La cornice storica è perfettamente determinata e nulla autorizza a dubitare della lotta che l'eroe danita sostenne contro i suoi nemici. Dallo stesso testo pare risulti chiaramente che la verve popolare si esercitò a proposilo di Sansone " (27). Nel 1935 L. Dennefeld riprende l'ultima frase, la corrobora con l'autorità di Lesètre, Zapletal, Desnoy-ers e Feldmann, ma esita a farla totalmente propria (28). Qualunque sia il senso generale della storia, le tradizioni riguardo alla capigliatura di Sansone (Hum-melauer diceva che questa è la cosa più stupefacente nella vita dell'eroe danita) sono bene spiegate dal commento del P. Lagrange: ali portare la capigliatura intatta indicava la consecrazione perpetua a Jahvé, probabilmente in vista di combattimenti. A questa consecrazione esteriore Jahvé rispondeva dando all'eroe una forza straordinaria " (p. 262).

(23) Si legga in J. Coppens, Le chanoine Albin Van Hoonacker, pp. ao-30 l'esposizione degli aigomenti del professore di Lovanio, la cui ipotesi è stata recentemente ripresa e ap poggiata in parte su nuove considerazioni dal R. P. Tournay, A propos des Murailles di Jérìcho, in Vivre et Penser (Restie Biblique 1940-1945), 3 serie, 1945, pp. 304-306.
(24)Si legga l'esposizione dell'ipotesi e delle prove di sostegno in J. Coppens, Li chanoine Albin Van Hoonacker pp. 30-32. - F. Ceotpens, O. P., (Lemirade de Josué, in Eluda religieuses, n. 448,1-24, Liegi, La Pensée Catholique, 1944) propose di modificare l'ipotesi di Van Hoonacker, basandosi sulla descrizione d'una pioggia di meteoriti caduta in Siberia nel 1908, e pubblicata nel 1930 e 1934, volendo sostituire i meteoriti alla grandine e spiegare il prolungarsi del giorno per analogia con la luminosità anormale osservata la sera e la notte successiva alla pioggia dei meteoriti. Da parte nostra non vediamo come si possa trarre molto profitto da questa congettura.
(25) M. Vernes, Précis d'hisloire juive Parigi, 1889, p. 233.
(26) A. Loisy, La religion d'Jsrael, 3 ed., Parigi 1933, p. 83.
(27) Le Lime des Juges, in Études bibliques, Parigi 1923, p. 258.
(28) Hisioire d'Israel et de l'Ancìen Orìent, Parigi 1935.

b) Il libro di Tobia. - Le linee generali della storia narrata dal libro di Tobia non suscitano difficoltà insormontabili. I fatti poterono accadere in Assiria nella cornice degli eventi successivi alla deportazione degli abitanti di Samaria (722 a. C. ); né obiezioni molto gravi si possono trarre dal fatto che dell'Assiria l'autore sembra ignorare la geografia (si dice che confonda la città di Ecbatana nella Media con quella di Ragès, costruita da Seleuco I, e che colloca Ninìve sulla sponda occidentale del Tigri), come pure la storia (ignora Sargon e quindi attribuisce la presa di Samaria a Salmanasar, cui attribuisce come figlio Sennacherib). In pratica, di fronte a una tradizione manoscritta molto incerta, è impossibile discutere tali particolari. Così, ad es., riguardo alla crux interpreium Tb 3,7 : " In Rages civitate Medorum " lo studio dei manoscritti della Volgata ha dimostrato che questo dato mancava in parecchi testimoni importanti: il Cod. Amiatinus e Toletanus, la Bibbia di Huesca, ecc Le difficoltà più serie riguardano la demonologia che l'autore sacro pare inculcare. Io credo che il miglior studio cattolico pubblicato sulla questione sia il commento del P. M. M. Schumpp, O. P., Dos Buch Tobias ubersetzet una erklàrt (Munster in West., 1933), secondo il quale l'agiografo non intende insegnare formalmente la sua demonologia, ma la prende dalle credenze popolari del suo tempo e la presuppone, e in ordine ad esse, per combattere il terrore popolare riguardo agli spiriti, insegna l'onnipotenza di Dio e la fiducia che i fedeli devono avere in lui.

Oltre la demonologia bisogna anche segnalare, in quanto offrono il fianco alla critica, i riti usati per guarire, che il libro di Tobia presenta come rivelati dall'arcangelo Raffaele (6,5): a Sventra questo pesce e conservane il cuore, il fegato e il fiele, perché sono usati come rimedi utili ". Infatti Tobia gettò il cuore e il fegato nel fuoco per cacciare i demoni (6,8-19) e il fiele servi per ungere e guarire gli occhi d'un cieco (6,9; 11,13). Queste pratiche sono certamente bizzarre e molti esegeti non cattolici non esitano a classificarle tra i riti magici.

Ammettiamo la difficoltà d'interpretare simili testi oscuri. Nel commento citato il P. Schumpp utilizza meglio che può le spiegazioni dei commentatori credenti e nota due fatti: da una parte le pratiche descritte esternamente s'avvicinano a certi riti della magia, degli esorcismi, della medicina popolare in uso nell'Oriente antico; dall'altra parte il sacro autore evita ogni nozione magica attribuendo la guarigione e quindi l'efficacia dei rimedi unicamente a Dio.

È possibile conciliare questi due dati? Il P. Schumpp crede di si. L'angelo s'appropriò d'un rimedio popolare, che comunemente era interpretato come un rito d'esorcismo, per far più facilmente comprendere che si trattava di combattere realmente un influsso demoniaco; d'altronde mettendolo al servizio dell'onnipotenza divina intendeva spogliarlo di qualsiasi riferimento all'errore. Tanto più legittimamente il Signore poteva servirsi dei riti della medicina o della superstizione popolare quanto più, usandoli, mostrava che solo la potenza divina poteva rendere efficaci pratiche le quali, nonostante le credenze popolari, generalmente si rivelavano del tutto inefficaci.

Se queste spiegazioni sembrano troppo artificiali, si ricorra all'ipotesi di un genere letterario popolare, infrastorico, soluzione che per i libri di Giuditta, Ester e Tobia venne adottata da J. Fischer nella Theologische Revue, 1929, p. 350, che è convinto esservi le gravi ragioni volute dalla Commissione biblica e crede che in questo caso siano realizzate. La maggioranza degli esegeti cattolici esita a far propria questa soluzione, di fronte alla quale solo gli esegeti tedeschi (cfr. J. Fischer, H. Junker e altri) si dimostrano più progressisti.

c) La storia di Giona. - Questa storia con le difficoltà che provoca non ci deve intrattenere a lungo. La spiegazione di Van Hoonacker, che propone di non trattare la profezia di Giona come un libro storico, sopprime tutte le difficoltà (29). Certamente non tutta l'esegesi cattolica segue quest'ipotesi ma, secondo autori seri e indiscutibilmente ortodossi, questa spiegazione è accordabile con i principi cattolici dell'ispirazione e i dati della tradizione, e basta questo perché l'apologetica possa continuare ad appellarsi al commento del professore di Lovanio.

13. Il libro di Daniele. - In un esame delle principali difficoltà storiche sollevate contro l'Antico Testamento, non possiamo omettere quelle desunte dal libro di Daniele riguardo alla follia di Nabuchodonosor, alla pretesa successione di Baltasar e all'identificazione di Dario il Medo.

a) La follia di Nabuchodonosor. - II quarto capitolo di Daniele (w. 25-34) racconta che il re Nabuchodonosor fu colpito dalla follia e che visse in questo stato per sette " tempi " o anni. Ora i documenti babilonesi non alludono affatto a questa malattia del re; anzi, riferiscono che, l'ultimo re di Babilonia, Nabonide, venne relegato nell'oasi di Tema, probabilmente l'anno settimo del suo regno, verso il 548. Secondo parecchie fonti la causa del soggiorno misterioso di Nabonide a Tema fu una malattia, e il quarto capitolo di Daniele si riferirebbe proprio a questo fatto (cfr. E. Dhorme, J. G6ttesberger). Cosi stando le cose, la Bibbia attribuirebbe a Nabuchodonosor un fatto che si deve riferire al suo successore.

Risposta. - Alcuni esegeti cattolici credono senz'altro che Dn. 4, 25-34 si riferisca realmente a Nabonide, uno dei successori di Nabuchodonosor, come per esempio J. Gottesberger, Das Buch Daniel (Bonn, 1928). Essi osservano tuttavia che non si tratta d'un errore biblico, ma d'un'alterazione del testo primitivo, essendo il testo del libro di Daniele incerto in molte parti e sembrando molto.rimaneggiato. È quindi possibile che in Dn. 4, 25-34 e anche altrovt (Dn. 5, 1-2) un copista abbia sostituito il nome di Nabuchodonosor a quello di Nabonide, ignorato quasi completamente (cfr. Hommel, Rieseler).

b) Baltasar, re dei Caldei. - II capitolo quinto di Daniele ricorda Baltasar come figlio di Nabuchodonosor e ultimo re di Babilonia, che avrebbe regnato almeno tre anni (Dn. 7, 1-2; 8,1) e col suo regno sarebbe finito l'impero babilonese. Ma il fatto è che fu dimostrata la seguente successione dei re babilone si: Nabuchodonosor (605-562), Amil-Marduk o Evilmerodach (561-559), Nir-galsarussur (559-556), Labasi-Marduk (556), Nabonide (555-539), che ebbe un figlio di nome Baltasar, ma nulla prova che sia salito al potere.

(29) A. Van Hoonacker, Les dotta petìts prophìts, in Études bibliques, Parigi 1908,

 

Risposta. - Bisogna ammettere che il racconto biblico suppone una situazione confusa, ma che molte difficoltà si chiariscono se, con Rieseler, s'ammette (e J. Gottesberger non rifiuta alla congettura una certa verosimiglianza) che anche in Dn. V a Nabuchodonosor bisogna sostituire il nome di Nabonide, e questa ci sembra la migliore soluzione, fintanto che la documentazione assiro-babilonese non abbia apportato maggior luce.

c) La personalità di Dario il Medo. - II libro di Daniele ricorda varie volte un re molto enimmatico, Dario il Medo che, secondo Dn. 5, 30-31, sembra impadronirsi del potere in Babilonia nel 539, all'età di sessantadue anni, succedendo a Baltasar. Quest'affermazione risponde alla linea storica del libro di Daniele, che fa occupare Babilonia prima dai Medi e poi dai Persiani. Dn. 11, 1 precisa il problema presentando Dario come figlio di Serse. Ma la storia si svolse in modo del tutto diverso:a) Se c'è priorità dei Medi sui Persiani, essa risale al 612 e non al 53°, quando cioè, assieme agli Sciti, soggiogarono Ninive e l'Assiria; b) Babilonia fu presa per opera di Ciro e tra il suo regno e quello di Baltasar non c'è posto per un regno intermedio di Dario il Medo; e) la storia persiana conosce Dario I, figlio d'Istaspe (521-485) e padre di Serse (485465), ma ignora completamente un Dario figlio di Serse; d) dopo il 539 nessun re medo regnò su Babilonia, mentre il Dario in questione viene varie volte qualificato come medo.

Risposta. - La difficoltà è seria e all'autore dell'ultima monografia sul sog-_ getto pare insolubile (H. H. Rowley, Darius thè Mede and thè Four Empires ' in thè Book of Daniel, Cardiff, 1935). Rowley conclude che Dario il Medo non può venir identificato né con Cambise, successore di Ciro e, in alcuni testi, associato con lui; né con Astiage, figlio di Ciassare I conquistatore di Ninive; né con Ciassare II, figlio d'Astiage e ultimo re dei Medi, che venne detronizzato da Ciro; né con Gobrias, un ufficiale di Ciro. Del resto riguardo all'ultimo personaggio la maggior parte degli autori, come aveva già fatto Senofonte, confonde Ugbaru, l'ufficiale di Ciro che conquistò Babilonia, con uno chiamato Gubaru, posto da Ciro come governatore della città e, a quanto sembra, vissuto sotto il regno di Cambise e di Serse. Però né in Ugbaru, né in Gubaru si verificano i dati riportati dall'agiografo riguardo all'enimmatico Dario. In queste condizioni occorre o rassegnarsi a ignorare finché non faccia nuova luce qualche scoperta di nuovi documenti cuneiformi, oppure a dire con Göttesberger che anche qui l'inesattezza è imputabile non all'autore sacro, ma al testo tramandato che, servendosi d'elementi disparati, inventò la persona di Darfo il Medo, confondendolo con Dario I d'Istaspe. Anche Rowley si attiene a simile spiegazione. Una terza e più radicale soluzione, già proposta nel 1904 dal P. Lagrange e ripresa nel 1932 da H. Junker (Untersuckungen uber Meralische und exegetische Probleme des Buches Daniel, Bonn, 1932, p. 28, nota 1) afferma che le sezioni storiche del libro di Daniele derivano dal genere delle tradizioni popolari e quindi non si può esigere un'esattezza rigorosamente "torica (30).

(30) Chi vuole può documentarsi sulle posizioni recenti dell'esegesi protestante sul libro di Daniele con l'eccellente opuscolo di M. W. Baumoartner, Dos Buch Daniel una seine Botschaft von don letzen Dingen, Basilea 1944, secondo il quale bisogna distinguere i racconti dagli oracoli propriamente detti : i primi sviluppano in modo originale e veramente religioso una serie di temi leggendari, che si ritrovano sbriciolati nella letteratura dell'antico Oriente; gli oracoli riguardano tutta l'epoca maccabea e si potrebbero datare quasi perfino nel mese; tutti conterrebbero una sezione di storia sotto forma di profezia! vatùinium ex eventu; poi una previsione dell'avvenire propriamente detta. Quindi per fissare la data della composizione basterebbe determinare dove finisca la visione della storia e dove cominci l'aspettativa del futuro. Alcuni oracoli avrebbero anche subito correzioni cronologiche, ispirate dal desiderio di mettere a punto le profezìe, a mano a mano che gli eventi le smentivano. Per l'esegesi cattolica: G. Rinauji, Daniele, 3 ed., Marietti, Torino

14. Difficoltà generale contro l'antica storia d'Israele.

- a) Ultima obiezione d'ordine generale. Si obietta che la storia antica d'Israele, specialmente le narrazioni dell'Esodo e quelle della conquista di Canaan (supposto che siano ammesse come storiche le grandi linee) ha molti dati, come quello che concerne te circostanze di luogo e di tempo, le cifre, le statistiche, gl'itinerari, ecc, di cui pare difficile poter ammettere il valore. Un solo esempio: la cifra di seicentomila fanti, che l'Esodo attribuisce alle tribù d'Israele quando escono dall'Egitto, è fantastica. L. Dennefeld (Histoire d'Israel et de l'ancien Orient, Parigi, 1935) osserva a questo riguardo: "Una tale massa avrebbe formato una fila di centocinquanta chilometri, il che corrisponde a trenta giorni di marcia d'una carovana ". A proposito di Es. 12, 37-41 già Maurizio Vernes scriveva nel suo Précis d'histoire juive (Parigi, 1889, p. 95): " Cifre ridicolmente gonfiate, che tolgono ogni verosimiglianza alla storia successiva " (31).

b) Risposta. - Ammettiamo la difficoltà di spiegare molte sezioni dei libri storici e che non c'è una risposta generale da dare come valida per tutte le difficoltà; quindi ogni caso si deve esaminare a parte. Però, in quanto alle cifre, le località, le indicazioni cronologiche e geografiche e altri particolari delle narrazioni, pare possibile e doveroso tener conto di certe modifiche subite dal testo sacro per opera dei copisti e dei glossatori. Tutti gli esegeti ammettono concordi che certi elementi del testo sono alterati (v. A. Loisy, Histoire du texte et des versions de la Bible, 1.1, Amiens, 1892).

Ultimamente Paolo Heinisch ha richiamato l'attenzione degli esegeti sul fatto di queste alterazioni testuali e se ne servi per spiegare passabilmente tratti difficili della Genesi, dell'Esodo, del Levitico, dei Numeri. Si veda per esempio Numeri (Bonn, 1936, pp. 12-13). Quest'autore volle giustificare criticamente il suo metodo di lavoro e armonizzarlo con la dottrina cattolica sull'ispirazione (v. p. es. il commento a Gn. 43, ed Es. 13).

Non converrebbe certamente postulare un'alterazione testuale dei libri sacri ogni qualvolta si sia davanti a un passo difficile, perché sarebbe un metodo esegetico arbitrario, inventato per il bisogno della causa. In ogni caso particolare solo ragioni oggettive e desunte dal testo possono autorizzare l'esegeta a considerare un passo difficile come effetto d'un'alterazione testuale per via d'addizione, di glossa, di correzione fallace, ecc. Mancando queste ragioni bisognerà risolversi a confessare la propria ignoranza (come potremmo pretendere di cogliere sempre e ovunque il senso completo dei testi antichi?), o cercare di capire i passi difficili alla luce della storiografia antica, come abbiamo spiegato.

(31) Molte difficoltà d'ordine storico sorgono, ad esempio, per la conquista di Canaan da parte degli Ebrei. Gios. X e Giud. I sembrano contraddirsi : da una parte le città di Debir e di Hebron sono prese da Giosuè; dall'altra pare che esse siano cadute in potere degl'Israeliti solo al tempo dei Giudici. Il saccheggio di Ai viene attribuito alle truppe di Giosuè; invece gli scavi fatti sul posto sembrano contraddire questa tradizione e invitarci ad attribuire agl'Israeliti il sacco di Bethel, cosa di cui la Bibbia non parla. Cosi Gerico, secondo gli archeologi venne distrutta prima della venuta degl'Israeliti, anche qui contrariamente ai dati biblici. Si potrebbe dare una soluzione radicale dicendo che l'agiografia non seppe né volle scrivere una storia perfettamente esatta e che s'accontentò, conforme ai generi letterali allora in uso, di scrivere una relazione più 0 meno approssimativa, presentando ora allineate l'una all'altra, ora combinate più o meno felicemente, tradizioni tal volta contrarie, talora già deformate. Ma questa soluzione, giustificabile forse albume della teoria dei generi letterari, e anche abbastanza conciliabile con la dottrina dell'ispirazione e dell'inerranza, è certo larga e facile. Importa che l'esegeta cattolico, e anche l'esegeta in genere, non si scoraggi troppo presto davanti a una contraddizione apparente, e nemmeno voglia, cadendo nell'altro estremo, tutto armonizzare, spesso a costo delle combinazioni più artificiose. Anziché salvare le Sacre Scritture, tale metodo riuscirebbe solo a screditarle di fronte a quelli che non condividono la nostra fede e che d'altronde vogliono studiare la Scrittura onestamente e senza partito preso contro la religione. Nulla delude di più l'incredulo quanto il vedere che lo si vuole circuire a forza di sottigliezze. E' infinitamente meglio riconoscere lealmente le difficoltà, quando ci sono, far intravvedere soluzione più larga come estrema e intanto continuare a studiare sempre più da vicino i dati apparentemente contraddittori, ricordando che molto spesso il progresso degli studi le ha dissipate. Basta ricordare i successi ottenuti dalla scienza dell'Oriente antico in questi ultimi cinquantanni per essere modesti e prudenti, non solo nella soluzione dei problemi, ma anche, e più ancora, nel proporre le difficoltà che ex eathedra verrebbero dichiarate tali da rovesciare per sempre le posizioni della teologia cattolica in fatto d'ispirazione biblica. Cosi, ad es., per il problema di Ai vedi il P. H. Vincent, Les fouilles d'Et-Tell = Ai, in Reaue biblique, 1937, t. xlvx, pp. 230-266, soprattutto pp. 258-266. Per tutti i problemi si veda D. Baldi, Giosuè, Marietti, Torino 1952.

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