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Obiezioni contro l'Antico Testamento

Ultimo Aggiornamento: 02/09/2009 08:35
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02/09/2009 08:29

§ 4. - II Messianesimo.

Difficoltà. - A chi lo intraprende impreparato, lo studio delle credenze messianiche riserva molte sorprese e delusioni. La maggior parte dei manuali di storia sacra abitua i lettori a credere che tra le predizioni dell'Antico Testamento e la loro realizzazione nel Vangelo e nella Chiesa ci sia una corrispondenza lampante come in un'equazione matematica; invece ci si avvede ben presto che cosi non è. Chi non ricorda lo sbalordimento degli studenti di teologia o dei laici colti che cominciano a leggere la Bibbia e prendono il primo contatto personale con i vecchi e oscuri testi? Hanno l'impressione che gli unici elementi chiari mirino alla restaurazione temporale della dinastia davidica, alla ricostruzione della città regale di Gerusalemme e del suo santuario e, alle volte, ma in sottordine, a ristabilire il sacerdozio levitico; però nessuno di questi elementi si è realizzato.

Princìpi per una soluzione. - Le difficoltà che ci vengono opposte sono reali e i commentatori che si rifiutassero di attenuare l'esegesi delle profezie messianiche rivendicando ai testi, che le contengono, un avveramento matematicamente esatto, falserebbero il senso delle predizioni e imporrebbero all'apologetica un compito impossibile.

Nei nostri studi sui profeti israeliti ci siamo proposti di apportare alcuni schiarimenti allo sconcertante problema in pagine che vennero accolte favorevolmente. Quindi ci permettiamo di rimandarvi il lettore che vuole avere un'esposizione completa della questione. Qui bastino alcune spiegazioni generali (16).

1. - Prima di tutto e soprattutto teniamo sempre presente che il compimento delle profezie messianiche riguarda la loro sostanza, non quello che abbiamo chiamato l'involucro contingente. Non è sempre facile distinguere tra il fondo del messaggio profetico e l'involucro letterario convenzionale che lo ricopre; ma non ci venga rivolto il rimprovero di procedere arbitrariamente e aprioristicamente, solo alla luce degli eventi dell'economia cristiana, moven doci in un ampio circolo vizioso; proprio l'Antico Testamento a chi lo sa leggere offre i criteri necessari al discernimento.

(15) Si leggano anche le conclusioni di W. L. Wardijj, The OriginsofHebrewMonotheism, in £"ite:Ar. Alti. Wiss., 1925, t. n, pp. 193-209; e Fa. X. Kortleitner, Quaestiones de Velcri Testamento et comparativa rdigionum historia recentiorc aitati proposito:, Averbode (Belgio) 1925; Formai cullus mosaici cum ceterìs religionibus orientis antiqui comparatae, 3 ed., Inosbruck 1933. Th. H. Meek, autore non sospettabile di pregiudizi pretesamente dominatici, rigetta anch'egli le spiegazioni religionistiche del monoteismo ebraico: Hebrew Orìgins, New-York 1936, pp. 176-191.
(16) Les prophètes d'Israll. I. Le prophétisme en Israll. Les prophètis orateurs, 2 ed., Dessain, Malines 1933. Uscirà presto un nuovo volume sul Messianismo.

2. - In secondo luogo il carattere frammentario delle profezie messianiche è un fatto evidente, essendo l'economia della Legge antica come un prisma cristallino, che divide e diffonde i raggi luminosi della rivelazione. Nei vecchi testi il Messia appariva sotto vari lineamenti; sono aspetti diversi che si tratta di far convergere in una stessa immagine. Come le plance a colori, i lineamenti del Messia non furono stampati tutti insieme e certe visioni furono riscritte varie volte, tanto che la considerazione del loro insieme urta contro le inevitabili difficoltà create dalla lettura d'un palinsesto. Però un'esegesi sobria e severa dei principali testi messianici permette di tracciare un quadro con lineamenti d'incomparabile grandezza, di cui il cristianesimo è l'immagine fedele. Nella sintesi delle profezie si tratta prima di tutto dell'avvento d'un regno spirituale di Dio, che si compirà attraverso la pacifica predicazione del monoteismo ai gentili e assicurerà il perfezionamento del giudaismo, dandogli un irraggiamento religioso mondiale e definitivo; in secondo luogo si tratta del compito missionario, che nella conquista del mondo pagano spetterà a un luogotenente di Jahvé: l'unto, l'eletto, il prediletto, il figlio di Dio: il Messia. Inoltre pare che almeno uno dei veggenti d'Israele, riflettendo sulle sofferenze che erano divenute e dovevano divenire la proprietà dei suoi compatrioti, sul calco del suo popolo concepì l'eletto di Jahvè come un martire e quindi autore della miracolosa e pacifica conversione del mondo pagano, mediante la predicazione e l'efficacia della sua passione e della sua espiazione vicaria.

Il messianismo, come la fede monoteistica, concepito sopra un piano spirituale e morale, si presenta come un fatto unico nella storia religiosa dell'Oriente antico, con un'unicità cosi notevole da postulare un'origine specificamente israelitica. Come da un lato le risorse dell'anima israelitica o quelle della terra di Canaan non offrono alcuna spiegazione naturale e, dall'altro lato, siccome la storia ha autenticato le visioni apponendo il sigillo del compimento, l'unicità del messianismo trova tuttora la sua migliore spiegazione nella natura divina del fatto che lo provocò, cioè nel carisma della vera profezia, nel soffio dello Spirito Santo.

Abbiamo detto che il messianismo nella storia religiosa dell'Oriente antico è un fatto unico e trascendente, e l'insufficienza delle spiegazioni puramente razionali è ancor più evidente che nel caso del monoteismo. Le speculazioni iraniche, alle quali un tempo s'appellavano i wellhausiani, non sono più seguite nemmeno dalla critica indipendente, poiché si vide che esse furono importate troppo recentemente nella terra d'Israele. Le visioni assiro-babilonesi sul futuro, recentemente analizzate dalla scuola Gunkel-Gressmann, o le speranze di salute attestate nella letteratura dell'antico Egitto, sulle quali volle insistere Ed. Meyer, sono anch'esse troppo distanti dalle credenze d'Israele e anche troppo politiche e materiali, perché vi si possa scorgere una mutua dipendenza. Siccome la sostanza dell'escatologia israelitica ha l'impronta del sigillo jahvistico, bisogna trovarne la spiegazione nello stesso Israele e nella religione di Jahvé. La necessità d'un'interpretazione jahvistica in questi ultimi anni è stata riconosciuta da esegeti di buona fama, come E. Sellin, L. K. Bleeker, S. Movinkel. Per giungere a concludere che occorre una spiegazione soprannaturale c'è ancora da fare molta strada, che però è accessibile. La spiegazione

 

soprannaturale si può valere d'una serie di verosimiglianze convergenti, che sembrano darci una certezza morale (17).

§ 5. - L'origine del decalogo.

Opinione di Loisy. - Nella sua storia de La religion d'israèl (3 ed., Parigi, 1983, pp. 210-212) Alfredo Loisy afferma: "Anche se la data è molto discussa, il decalogo tradizionale, che venne raccolto nel documento elohistico dell'Esateuco e riprodotto nel Deuteronomio, non pare anteriore all'esilio. Contro i superstiti difensori dell'origine mosaica di questi precetti, si fece giustamente valere che il divieto delle immagini non conviene assolutamente all'epoca del deserto, in quanto superfluo nonché il fatto che i Giudei prima della cattività pare abbiano ignorato il sabato ebdomadario. Tolte le glosse che lo sovraccaricarono, il nostro decalogo era concepito in questi termini:

"Io sono Jahvè, tuo Dio,

che ti ha tratto dal paese d'Egitto,

dalla casa degli schiavi.

Non avrai altri dèi fuori di me.

Non farai immagine scolpita.

Non pronuncerai colpevolmente il nome di Jahvé, tuo Dio.

Pensa al sabato per santificarlo.

Onora tuo padre e tua madre.

Non ucciderai.

Non sarai punto adultero.

Non ruberai affatto.

Non porterai affatto la tua testimonianza contro il tuo prossimo.

Non bramerai affatto la casa del tuo prossimo".

Cinque precetti sono religiosi, essendo anche il rispetto dei genitori parte della religione; cinque sono di morale sociale. Le proibizioni religiose riguardano la superstizione delle immagini e l'uso magico del nome divino. Non ci sono prescrizioni rituali, eccetto che si prenda come tale quella del sabato. E non si parla d'altro, perché nel corso ordinario della vita il giudeo comune poteva non avere altro obbligo rituale esteriore oltre quello del riposo sabatico. Ma questo punto di vista non conviene ai tempi anteriori all'esilio ".

Come si vede, i rilievi riguardano l'origine posteriore all'esilio del decalogo, anche se formulati con molta esitazione e molte riserve, mentre appare riconosciuta la grandezza del codice morale.

Nuove posizioni dell'esegesi non cattolica del Vecchio Testamento. -

Noi crediamo die anche sul capitolo delle origini del decalogo l'esegesi non cattolica del Vecchio Testamento tenda a riavvicinarsi alle posizioni tradizionali, come prova un recente articolo dedicato a questo proposito da W. E. Barnes, di cui vogliamo riprodurre l'essenziale, che apre nuove vedute sulla questione e prova che ci si va liberando sempre più dall'ortodossia wellhausiana (18). Riportando il problema delle origini del decalogo nel suo contesto storico tradizionale, cioè nell'opera legislativa di Mosè, Barnes formula due domande: Lo Sotto il cumulo dei testi che formano l'attuale Pentateuco, possiamo trovare gli antichi codici delle leggi che risalgono allo stesso Mosè. 2.0 In caso affermativo, come si spiega che qest’opera di Mosè ci venne conservata, malgrado il pericolo dei giudici, che segna la decadenza religiosa del popolo d'Israele? In altre parole: per quali vie si conservò il mosaismo e si trasmise di generazione in generazione da Mosè fino ad Elia tesbite? Si può trovare nel mosaismo un principio di vita, d'una forza immanente, che rese possibile questa prodigiosa conservazione? Barnes pensa di poter così rispondere: A Mosè risalgono almeno entrambe le due sezioni del Pentateuco, che vengono presentate come emanate da Jahvé e scritte dal Signore stesso sopra tavole di pietra, cioè il decalogo morale ed elohistico di Es. XXIII, e il decalogo rituale e jahvistico di Es. 34, 10-27, documento questo che, come si ricorderà, venne segnalato per la prima volta verso il 1800 all'attenzione degli esegeti dal poeta Goethe.

(17) E' il famoso argomento della convergenza, al quale il Card. Newman s'appella in An Essay ut Aid ofa Grommarof Assali, nuova ed., Londra 1903, pp. 293, 319-330,410-412. Esiste una trad. it. dal titolo Filosofia della religione, Guanda, Modena 1943.

 

Barnes conclude che i due documenti hanno origine mosaica. L'attuale redazione non rappresenta più con esattezza quella ricevuta dal legislatore degli Ebrei; ma la forma primitiva è ancora discernibile e si scopre non appena tolgono dal testo attuale alcune addizioni e amplificazioni evidenti, specialmente i passi che presuppongono la vita sedentaria e agricola degli Israeliti. La recensione primitiva concepita unicamente per un popolo di nomadi e di pastori, poiché il tenore primitivo del decalogo morale non tien presente il possesso dei campi coltivati, né quindi i lavori agricoli. A prima vista il decalogo cultuale pare avere un'altra origine, ma le rare allusioni al lavoro agricolo ivi contenute si spiegano in funzione delle abitudini d'un popolo seminomade, come possiamo pensare il popolo d'Israele al tempo dell'Esodo. D'altronde il secondo comandamento, che proibisce di fabbricare idoli, e il quarto, che prescrive di osservare il sabato, quadrano bene col contesto storico dell'opera di Mosè. Se si ammette, com'è necessario e doveroso, che tutto lo sforzo di Mosè consistette nel separare Jahvé dalle divinità della terra di Canaan, si capisce perché abbia rifiutato al Dio degli Ebrei ogni forma corporea e sensibile. L'istituzione del sabato è anteriore non solo a Neemia, ma anche ad Ezechiele, Geremia, Amos e può servirle come cornice storica la reazione contro l'oppressione egiziana.

È vero che molti autori pensano che la predicazione dei profeti escluda l'origine antica del decalogo morale, ma i testi profetici, giustapposti dai well-hausiani ai precetti del decalogo, sono più un'eco che un primo abbozzo di essi.

La religione enunciata in germe nei due codici mosaici è quella magnifica e trascendente dei profeti scrittori del secolo VIII, che inculca l'unicità di Jahvé, come pure il suo carattere morale e trascendente. Sul piano secondario dell'organizzazione questa religione si concreta in una serie di precetti, che inculcano sia la purezza rituale e sia il sentimento della dipendenza assoluta dei fedeli da Dio: proibizione di offrire pane lievitato, ordine di votare a Jahvé i primogeniti e le primizie, di osservare il sabato e di fare i tre pellegrinaggi annuali.

(18) The Mosaic Religion, in Theobgy, 1935, t. set, pp. 6-17.

 

Ma se l'opera di Mosè s'impose al popolo coll'insegnamento elevato, il valore unico della sua morale e con l'imponente insieme delle prescrizioni religiose, come spiegare da una parte l'eclissi di quest'opera dopo la conquista di Canaan, e d'altra parte la sua conservazione in una nazione che aveva traviato? Prima di tutto il fatto della sua conservazione è forse meno straordinàrio di quanto sembri a prima vista, oppure, se prodigio c'è, il miracolo dipende proprio dal carattere prodigioso dell'opera mosaica stessa. Il contenuto della rivelazione mosaica era tanto trascendente (" Jahvé è il tuo Dio, è un Dio unico, egli solo è Dio ") e cosi meravigliosa era la liberazione d'Israele operata da questo stesso Dio, che il ricordo della rivelazione e dei suoi contorni storici non si potè cancellare dalla memoria degli Ebrei, ai quali restò presente e vivo tale ricordo che, come un'idea forza, non cessò di suscitare la fiducia in Jahvé, di assicurare a Jahvé la fedeltà del suo popolo, di far sbocciare le più grandiose visioni sull'avvenire.

Non possiamo poi identificare tutto Israele con alcune bande guerriere e selvagge, che diedero l'ultima mano alla conquista definitiva della Palestina, guidate da Ehud, Gedeone, Abimelec, Jefte e Sansone. Il Barnes dice che vi furono it due corridoi oscuri " per i quali il mosaismo da Mosè giunse fino a Elia, sfociando nella magnifica chiarezza della predicazione dei profeti dei secoli vili e vii: le persone 0 classi di persone esistenti dopo Mosè, che si dedicavano a conservare e trasmettere le credenze e le istituzioni jahvistiche, cioè le comunità religiose dei Recabiti e le corporazioni dei profeti di professione. Parecchie di tali comunità s'erano stabilite nella Transgiordania, nella terra di Basan, di Gilead e di Moab, e ci rivelano il corridoio che il Barnes chiama territoriale, dove il mosaismo si rifugiò nel tempo della decadenza religiosa. Ex oriente lux, conclude in modo certo originale l'articolo di Barnes. Le migliori forze jahvistiche e i più coraggiosi rappresentanti del jahvismo si rifugiarono in Transgiordania, dove il mosaismo costituì le sue riserve e donde, sulle tracce d'Elia, d'Eliseo e dei loro discepoli, si lanciò alla conquista della Palestina cisgiordanica, rinnovando nell'ordine spirituale, e dopo parecchi secoli, il piano conquistatore già attuato da Giosuè e dai Giudici d'Israele nell'ordine politico. Per confermare la sua ipotesi l'autore richiama l'attenzione sulle tradizioni deuterocanoniche, le quali tutte conservarono il ricordo dell'importanza spettante alla Transgiordania nell'elaborare e conservare l'opera mosaica: Dt. 1,5; 4,41-42. 44. 46.

Queste vedute del Barnes sull'opera di Mosè pensiamo possano interessare l'apologetica cristiana. D'altronde rispondiamo volentieri all'appello di quest'autore, onde accordare maggior importanza alla Transgiordania nella storia d'Israele.

L'influsso che più tardi esercitarono le capitali dei due regni cisgiordanici, cioè Samaria e Gerusalemme, e il fatto che la maggior parte delle tradizioni letterarie proviene da questi ambienti, ci nascondono la parte avuta dalle regioni d'oltre Giordano, e forse è bene rettificare il punto di vista storico, contemplando la storia degli Ebrei non soltanto dalle colline della Giudea o di Efraim (19).

(19) V. la posizione della critica riguardo alle leggi di Mosè in: J. Coppens, Histoire crìtique des Lìares de l'Ancien Testoment, 3 ed., Bruges-Parigi, Desclée de Br. 1948 ; nuova ed. 1948.

 

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