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Omelia su san Lorenzo Giustiniani (Stato Sacerdotale)

Ultimo Aggiornamento: 03/09/2009 00:10
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03/09/2009 00:10

Cari fratelli, quale è il mistero di Maria! Qualche cosa di analogico al sacerdozio, qualche cosa che sotto un certo aspetto è superiore allo stesso sacerdozio gerarchico, Maria, la madre del Signore, compie dei gesti sacerdotali, senza aver ricevuto la grazia capitale di Cristo. Maria è anzitutto Colei che rende presente il Cristo, quando lo concepì nel suo grembo verginale per opera dello Spirito Santo e quando con l’esultanza di tutte le schiere angeliche del Cielo, partorì il Figlio di Dio, incarnatosi per la nostra salvezza, nella grotta di Betlemme. Maria è Colei che rende presente il Cristo, la luce del mondo. Maria è colei che porta il Cristo ai fratelli, ricordatevi delle nozze di Cana, quando dice ai servitori: "Fate tutto quello che Egli vi dirà", Maria è colei che ci conduce a Cristo e infine Maria è colei che offre il Figlio suo, assieme alla sua offerta, offre Gesù, il Figlio suo, lo offre al Padre, secondo la volontà del Padre, nel momento della Croce, nel momento della sofferenza, nel momento della morte di Cristo.

Ecco, cari fratelli, tale deve essere anche il sacerdote secondo il Cuore di Cristo, l’uomo di Dio, l’uomo che ha l’ineffabile potere (sì, si tratta di un potere, ma di un potere così soprannaturale che nessun potere su questa terra lo eguaglia), il potere di rendere presente sostanzialmente, realmente, fisicamente presente il Figlio del Dio vivo nell’Ostia santa!! La presenza reale. Vedete, cari fratelli, come il sacerdozio cattolico si definisce tramite la divina Eucarestia. Rendere presente il Cristo, offrire il Cristo, ecco il carattere sacrificale della Santa Messa, offrire il Cristo al Padre, per l’espiazione dei nostri peccati, come un vero sacrificio di propiziazione. E infine, cari fratelli, portare il Cristo agli uomini, perché il Cristo sia il cibo delle anime nostre, perché sia davvero per noi il Pane disceso dal cielo per la vita dell’uomo.

Come è grande il sacerdozio cattolico, cari fratelli! Voi laici non pensate di essere lontani da questo problema del sacerdozio, perché se i sacerdoti non sono più sé stessi, anche i laici cessano di esserlo! (Sia pure oggi si dica il contrario, oggi c’è una certa laicolatria, una adulazione dei laici, tutto fanno i laici, come se dei preti non ce ne fosse più bisogno). Ma, cari fratelli, i laici sono i primi se sono veramente tali, se non sono laici alla maniera di Spadolini, Craxi e via dicendo, ma laici come laudes Deum, come popolo del Signore, i laici per primi allora si accorgono di aver bisogno della sacra gerarchia.

Meditiamo un pochino su questo mistero del sacerdozio, il dono dell’episcopato, il dono gerarchico di essere Presule, come lo realizzò San Lorenzo Giustiniani.

San Lorenzo è nato nel 1381, morì nel 1456. Nacque a Venezia da una nobile ricca famiglia, ebbe un’ottima cultura, una cultura umanistica, perché già in quel tempo cominciava il rinascimento, San Lorenzo approfondì molto gli studi letterari e gli studi classici. Lui stesso candidamente confessa il suo cammino verso il Signore. Dice: "Anche io cercavo la pace" sembra di leggere certe pagine delle Confessioni di San Agostino: "anche io cercavo la pace nelle cose esterne, cercavo la pace nelle cose mondane, ma non mi davo tregua". C’è poco da fare, cari fratelli, la nostra anima è fatta per Dio, è fatta per aver la pace dentro di sé, mediante la presenza di nostro Signore, divenendo tempio dello Spirito Santo, non per cercare la pace fuori di sé, in quelle cose che danno più turbamento che pace.

Anche San Lorenzo ha fatto questa esperienza della caducità delle cose, le cose di questo mondo, ad un certo tratto, gli apparvero, alla luce di Dio, per quello che sono, cioè delle cose vili, abiette e tali da abbrutire l’anima piuttosto che sollevarla. In quel momento, molto agostinianamente, San Lorenzo Giustiniani dice di sé stesso che è entrato in sé ed ebbe (grazia singolare che il Signore concesse a questa santa anima) ebbe una grande visione, una stupenda visione, gli apparve una bellissima fanciulla, la quale gli diceva: "Io sono la Sapienza, la Sapienza del nostro Signore Gesù Cristo" e voi sapete che il Cristo è la stessa sapienza del Padre. Tanto è vero che la stessa sacra scrittura, alludendo profeticamente alla venuta di Cristo e alla sua incarnazione, la scrittura dell’antica alleanza, sopra tutto i libri detti sapienziali, ci presentano la Sapienza come personificata, come ipostatizzata, come una persona. Anche San Lorenzo ebbe questa visione della Sapienza che in quel modo, allegoricamente, misticamente, gli diceva soavissime parole e che lo invitava a sposarla, a divenire suo sposo.

Come San Francesco divenne lo sposo della povertà, così San Lorenzo Giustiniani divenne lo sposo della Sapienza di Dio. E fu fedele in questo casto matrimonio soprannaturale, fu sempre fedele alla sua sposa, la divina Sapienza. Tanto è vero che sua madre, che non era molto contenta della scelta del figliolo suo, cercava di procurargli una fidanzata su questa terra, tanto per distoglierlo da pensieri troppo soprannaturali. San Lorenzo rimase imperturbabile nella sua scelta, si mantenne fedele al servizio della divina sapienza, al servizio della verità.

Scrisse un’opera molto bella intitolata appunto "De Casto Connubio", sul casto matrimonio, alludendo appunto a quel matrimonio dell’anima, alle nozze mistiche dell’anima con Dio tramite la divina sapienza, che poggia sull’esperienza della carità. E’ molto bello quello che dice in quel libro: "Dobbiamo parlare della nostra stessa esperienza, perché sarebbe temerario parlare degli effetti della carità, senza aver gustato la carità stessa". Vedete che cosa gli premeva: gustare la soavità e la dolcezza del Signore nella divina carità, la quale ci dà la sapienza, cioè l’esperienza mistica, soprannaturale, della presenza di Dio nella nostra anima. Questo era per lui l’alfa e l’omega di tutta la sua vita, l’essenza della sua stessa esistenza.

Una volta convertitosi al Signore con tanto slancio di amore verso la divina Sapienza sua sposa, San Lorenzo Giustiniani si diede ad opere di ascetismo, ad opere di rinuncia di sé, alla mortificazione. Cari fratelli, già altre volte abbiamo avuto occasione di vedere come queste due cose si appartengono a vicenda, l’amore del Signore è una vera e propria estasi mentale, un uscire da sé per collegarsi, per unirsi con il Signore. Ma se così fa la nostra mente, il nostro spirito, esso per uscire da sé, deve staccarsi da sé. Vedete la morte spirituale, vedete come nell’amore soprannaturale, nell’amicizia con Dio, è iscritta la Croce del Salvatore. La Croce non è un’opzione, la Croce è l’essenza dell’amore di Dio. Non si può essere amici di Dio e discepoli di Cristo, senza la Croce, senza la penitenza, anche la penitenza ricercata, quella che è follia per il mondo di oggi, in particolare per gli psicologi di oggi, i quali dicono che è tutto masochismo "ricerca del dolore per compiacersi del dolore", non hanno capito nulla. San Lorenzo certamente non si compiaceva del dolore per il dolore stesso, ma si sottoponeva al dolore per purificare l’anima sua, per abbracciare con più forza, con più veemenza la Croce di Cristo, sua salvezza! Vedete che cosa significa lo spirito di penitenza.

Allora, in questo spirito di penitenza San Lorenzo anzitutto cominciava (lui che veniva da una famiglia piuttosto benestante) a chiedere l’elemosina per provvedere al suo sostentamento, cioè voleva anzi tutto a fare la penitenza della povertà e dell’umiltà e si dice che quando è arrivato a casa sua per fare la questua, la mamma voleva riempirlo di ogni bene di Dio, perché lui non facesse la questua in altre case. San Lorenzo non accettava mai più di due pani dai suoi, proprio perché cercava l’umiliazione, cercava l’umiltà della mendicità, per raccogliere poi tanti beni da distribuire poi anche ai poveri.

Vedete, miei cari, anzitutto questo ascetismo della mendicità. Entrò nell’ordine dei canonici regolari di San Agostino, di cui fu anche un grande riformatore. Una cosa molto bella, questo suo attaccamento a Dio, questa volontà di consacrarsi, di essere solo del Signore. Divenne frate agostiniano, canonico regolare di San Agostino con questo intento di servire Dio e Dio solo e fece tanto bene ai suoi fratelli. A Venezia sorsero diverse comunità di questi canonici regolari, che si formarono come una vera e propria congregazione di frati, il cui capo era San Lorenzo Giustiniani, che governava con tanta bontà e nel contempo con tanta severità questi frati che meritò di essere rieletto diverse volte in questo incarico così delicato e così difficile.

San Lorenzo non solo era chiamato a dirigere, a riformare queste comunità dei religiosi, che riformava in un duplice senso: le riformava sia attingendo alla tradizione monastica del passato sia anticipando quasi le splendide riforme future del concilio di Trento. La Santa Chiesa di Dio è sempre così, le vere riforme attingono sempre al passato, le vere riforme non sono rivoluzioni, sempre sono restaurazioni. San Lorenzo di questo era un grande esempio.

San Lorenzo non solo era chiamato a riformare i canonici regolari, ma anche a dirigere questa vasta diocesi di Venezia, che allora non era ancora patriarcato, il patriarcato era legato alla città di Grado. Di lui si dicono cose meravigliose. Che cosa deve anzitutto fare un buon presule? Deve essere sé stesso, cioè deve essere anzi tutto Vescovo. Sembra una tautologia questa, (tautologia vuol dire ripetere due volte la stessa cosa) il vescovo deve essere vescovo, sembra una cosa banale, invece è una cosa importantissima. Se è preso da patemi di ordine populistico o qualche cosa d’altro, allora vive come un frate francescano, ma non fa più il Vescovo. Dice San Francesco di Sales che è una devozione indiscreta e sbagliata quella di chi vuole santificarsi in uno stato, seguendo le regole di un altro stato. Il frate francescano si santifica come frate francescano e il Vescovo come vescovo, cioè il Vescovo esercitando la sua autorità.

Al giorno di oggi ci sono tanti equivoci, cioè si dice: "i Vescovi sono al servizio del popolo di Dio, l’autorità è servizio", è vero, ma il loro servizio particolare è quello di esercitare l’autorità, guai se desistessero dall’esercitare l’autorità, non potrebbero allora adempiere né quel servizio particolare, né nessun altro, perché a quel servizio Dio li ha chiamati, non ad un altro. Vedete come spesso ci sono delle umiltà apparenti, che non umiliano l’uomo ma piuttosto il suo ufficio, con grande detrimento del popolo del Signore.

Sembrerebbe una cosa molto bella, uno dice: "Sono un presule, ma mi faccio semplice, non governo più la diocesi, se mai supplico i fedeli di stare buoni, mai con autorità". Allora un uomo così è umile o no? Apparentemente sì, ma in realtà, affatto, perché l’umile è obbediente alla volontà del Signore e se il Signore, nonostante la mia indegnità, vuole che io comandi, ebbene devo comandare, anche se non mi piace. Ecco allora come è importante che ci sia la vera umiltà, l’umiltà dell’obbedienza.

E’ bellissimo quello che dicevano i veneziani di lui. I veneziani dicevano (non lo ripeto in dialetto veneto, perché non l’ho mai imparato bene), che non fu mai pesante. Questa breve frase, quanto mai significativa, indicava un uomo che non desisteva dall’autorità, governava, visitava la diocesi, dava dei consigli, dava degli ordini, però nel contempo non fu mai pesante. Diceva San Tommaso che nei santi presuli c’è una certa imitazione di quel governo per eccellenza che è il governo di Dio sull’uomo. Qualunque governo umano, sia quello ecclesiastico che civile, dovrebbe imitare il governo di Dio, il quale è sommamente forte e perciò stesso sommamente soave.

E’ cosa molto importante che i presuli capiscano che non sono scelti dal popolo di Dio, che non sono rappresentanti del popolo o della volontà popolare, debbono sì annullare la loro volontà umana, ma annullarla non davanti alle voglie del popolo, bensì davanti alla volontà di Dio, per il suo popolo! Ecco cari fratelli, lì ci giochiamo tutto, ma davvero tutto. In passato c’era questa triade: Dio, il presule e il popolo. Oggi da quella triade è escluso Colui che è il più grande di tutti, cioè Dio. Sembra che ci sia solo una dialettica del popolo con i presuli e non è così, cari fratelli, né mai potrà essere. San Lorenzo Giustiniani ci dà un grande esempio di questo, lui non si è mai considerato alla stregua di un Roussou, non si è mai considerato rappresentante della volontà del popolo, no, perché la volontà del popolo, di quel dragone rosso che è il marxismo. L’inganno consiste nel fatto che ci si serve del popolo per ingannare il popolo. Si dice: "io sono rappresentante della volontà del popolo", ma di fatto poi, con molta facilità, sono rappresentante della volontà mia. Invece se sono rappresentante della volontà del Signore, non posso mai strumentalizzare Dio a me, perché i dieci comandamenti sono quelli, non cambiano.

Se uno dice: "Io rappresento il Signore", poi non osserva nessuno dei dieci comandamenti, gli si può obbiettare: "Allora la tua pretesa non è del tutto fondata". Quindi, cari fratelli, notate come è bello questo: nel passato c’era più autorità, ma meno autoritarismo. Perché? Perché quegli uomini, quei sovrani, quei presuli si annientavano, non davanti al popolo, ma davanti a Dio, per amore del popolo. Come dice San Agostino: "Per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano". Ma San Agostino non avrebbe potuto essere cristiano con noi, se non avesse voluto essere Vescovo per noi.

Ecco come è importante chiedere al Cuore Immacolato di Maria che ci dia ancora dei presuli che annientino la loro volontà, non davanti alla volontà del popolo, che si muove come un’ameba capricciosa, nella quale si rivela questa volontà democratica alquanto perniciosa, alquanto persecutoria dei veri valori. E’ questo il guaio, cari fratelli, questa desistenza dell’autorità ha fatto sì che coloro che rivestono l’autorità anziché educare il popolo, (che è un lavoro difficilissimo), educalo a capire, a fare loro, ad appropriarsi dei veri valori, molto democraticamente cedono alla bruttura anzi che alla bellezza, al male anzi che al bene, perché il male, il brutto, il menzognero è sempre più facile del vero, del buono e del bello. Invece colui che è rivestito dalla autorità davanti a Dio e davanti a Lui annienta la sua volontà, per amore del popolo, allora insegna al popolo come elevarsi, faticosamente, verso Dio.

Il popolo non glie ne sarà sempre grato, sapete, come dice Platone del mito della caverna, quell’uomo che, illuminato dalla luce del sole, che scende nella caverna per estrarre fuori anche i suoi compagni di prigionia, è malmenato, poverino, perché quelli sono abituati alle tenebre. Che grande compito è quello, che già l’antico filosofo ha scoperto e che è compito di ogni sacerdote, soprattutto di ogni Vescovo cristiano, quello non già di abbassare Dio alle voglie del popolo, ma elevare la volontà del popolo santo del Signore alla volontà di Dio che lo ha chiamato. Con questo voi capite che ogni buon presule deve poi continuare la tradizione della Chiesa, sposa di Cristo, fondata da Cristo.




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