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Omelia su san Giosafat vescovo

Ultimo Aggiornamento: 03/09/2009 07:49
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03/09/2009 07:48



Omelia su san Giosafat - Vescovo del XVII secolo
12 novembre

Chiesa Cattolica, Uniate ed Ortodossa. Primato di Pietro e Tradizioni Particolari.

Sabato scorso con tristezza, con vero lutto spirituale nel cuore, ricordammo il trionfo della rivoluzione bolscevìca nella santa Russia, che è ora diventata, secondo l’Apocalissi, la sede della bestia. Oggi celebriamo un martire, patrono di una regione vicina alla Russia, l’Ucraìna.

San Giosafat dette tutta la sua vita, fino alla morte, spargendo il suo sangue, per questa unica intenzione: ricondurre all’ovile di Cristo tutte le anime, riconciliare con la Sede Romana del Vicario di Cristo, principio dell’unità della Chiesa, le chiese scismatiche

San Giòsafat Kuncewicz [pron.: o y r + x w I z m x ‘], inviato giovanissimo a Vilna per impratichirsi nel commercio, assisté alle lotte fra Ruteni uniti e dissidenti, orientandosi ben presto verso la Chiesa unita, allora poco numerosa e perseguitata. Ritiratosi nell’antico monastero basiliano della SS. Trinità, mutò il nome da Giovanni in quello di Giosafat e visse per alcuni anni da eremita. Scrisse anche alcune opere per dimostrare l’origine cattolica della Chiesa rutena e la sua dipendenza primitiva dalla Santa Sede e per propugnare la riforma dei monasteri di rito bizantino e il celibato del clero. Il suo esempio ripopolò di monaci "uniati" il monastero e Giosafat dovette fondarne altri a Byten e a Zyrowice (1613). Creato vescovo titolare di Vitebsk e poi di Polock, ristabilì l’ordine nella diocesi, restaurò chiese, riformò il clero. Ma ben presto sorsero violente opposizioni da parte dei dissidenti: nell’autunno del 1623, mentre usciva dalla chiesa dove aveva celebrato le sacre funzioni, Giosafat fu ucciso e buttato nella Dvina. Vent’anni dopo la sua morte fu beatificato (1643). Fu canonizzato nel 1867.

Meditando sul martirio del santo, alla luce degli eventi ultimi possiamo ben dire quanta ragione avesse san Giosafat ad agire così, ragione non già umana, ma divina. Cari fratelli, certamente non ignorate la situazione attuale in Russia, là dove la chiesa ortodossa, divisa in sé stessa, non ha il capo voluto da Cristo, quel capo al quale furono date le chiavi del regno dei cieli. Mancando di tale capo, i patriarchi, i metropoliti ecc. (non tutti, per fortuna, ma molti di loro) sono divenuti strumenti della propaganda atea più sfacciata. Leggete le opere di quel cristiano ortodosso sincero e buono, scismatico purtroppo anche lui, che è Solgenicyn; leggete soprattutto la lettera che scrisse una decina di anni fa al patriarca Pimen, in cui lo scongiurò, lui laico, di non farsi strumento della propaganda atea.

Il sacerdozio, strumento di Dio per la salvezza, per la santificazione delle anime, per la diffusione del regno di Cristo nel mondo, può diventare strumento di Satana quando si fa propagatore di ateismo. È proprio quello che accade nella Russia di oggi. Quando leggo certe interviste al patriarca Pimen (in Jesus e altrove), mi sbalordiscono sempre l’ingenuità, la superficialità e l’ignoranza della cristianità occidentale davanti agli eventi russi. Le nostre intenzioni sono buone, non v’è dubbio; tutti noi sentiamo compassione per i fratelli russi che soffrono (bisogna essere davvero maligni per non sentire e provare gli stessi dolori di loro). Però, cari fratelli, le intenzioni buone non bastano. Bisogna anche avere la ragione pronta, la ragione prudente, la ragione dotata di sapienza e d’intelligenza come vuole il Signore, per sapere quale sia il bene, onde potere realizzarlo anche a costo di sacrifici! Quindi non basta solo un generico amore. L’amore vero è sempre fondato sulla verità e sulla conoscenza del bene.

San Giòsafat Kuncewicz, pur essendo nato in una famiglia ortodossa scismatica, fu incrollabilmente fedele alla sede di Pietro grazie all’esempio di tutti i Padri della Chiesa, anche quelli della Chiesa orientale, che non ruppero l’unità della Chiesa cattolica (= "universale"). Giosafat intuì che la Chiesa non può che essere universale. La Chiesa cattolica ha questa bellezza spirituale e ciò che è spirituale è sempre universale. L’universalità della Chiesa cattolica è segno della sua spiritualità e la spiritualità è a sua volta fonte di universalità. Per capire questo concetto, occorre rifarsi all’istituzione del sacerdozio. Nella Lettera agli Ebrei Cristo è proclamato sommo sacerdote, alla maniera di Melchìsedek (Eb 5, 10), non più secondo l’ordine di Aronne. Certo anche Aronne fu chiamato al sacerdozio dal Signore. Però quello di Aronne era un sacerdozio imperfetto. Perché imperfetto? Perché si trattava di un sacerdozio carnale, materiale, legato alla tribù di Levi, tribù certamente benemerita, perché nella contesa fra il Signore e il suo popolo, essa s’era schierata attorno al Signore (per questa fedeltà la tribù di Levi aveva meritato il sacerdozio). Qui si scontrano due principî: il principio del farisaismo e il principio della spiritualità cristiana, dunque cattolica. Ve lo dico francamente, cari fratelli: non c’è cristianesimo se non cattolico. La mia opinione vi apparirà poco ecumenica, ma non posso dire diversamente. Non c’è cristianesimo se non quello cattolico, universale ovvero spirituale. Ogni altra affermazione è una ricaduta nell’antico farisaismo. Che tragedia, cari fratelli, vedere Gesù scontrarsi con le anime ottuse e orgogliose dei farisei, anime piene di carnalità e di materialismo. I quali farisei proclamano: " Noi siamo il popolo eletto e guai a chi ci toglie questa elezione! Noi siamo figli di Abramo! ". Non conta essere figli di Abramo secondo la carne, bisogna esserlo secondo la fede! Ecco perché l’unica vera Chiesa è la Chiesa cristiana ovvero cattolica. C’è un’identità assoluta tra cristianesimo e cattolicesimo.

Scusate, cari fratelli, se vi dico queste cose ovvie, ma viviamo in tempi talmente confusi e pericolosi, che persino queste verità basilari potrebbero crollare. Che cosa dobbiamo fare allora? Facciamo quello che fece san Giosafat, il quale si rese conto che la Chiesa non può essere che cattolica, non tribale. Non si deve dire: qui è stanziata la tribù dei ruteni, lì la tribù dei russi, là quella degli armeni, ognuna con un suo capo. No, la chiesa è universale: un solo ovile, un solo pastore, un solo vicario di Cristo, un solo detentore delle chiavi del regno dei cieli, un solo detentore del potere supremo spirituale e temporale. Ecco qual è l’insegnamento cattolico sulla Chiesa!

Stringiamoci perciò attorno al papa, mostriamo fedeltà incrollabile verso la Santa Sede. Ex inde oritur unitas sacerdotii, da lì scaturisce l’unità del sacerdozio. Dalla sede apostolica, dalla sede di Pietro nasce l’unità della Chiesa. L’unità si fa attorno al papa o non si fa.

Certo siamo tutti angosciati dalla divisione della Chiesa, ma al Vangelo non si può derogare. La parola del Signore non è suscettibile di alterazioni e rimane in eterno. È meglio essere pochi ma fedeli, piuttosto che esseri molti ma talvolta infedeli. La vera unità è non già sociologica o orizzontale, bensì verticale, con Dio. Se ci fosse solo un cristiano su questa terra (sarebbe il pontefice, perché lui solo non può venire meno), se il papa fosse il solo fedele a Cristo, sarebbe lui la Chiesa. Quando il Verbo s’incarnò nel grembo della Vergine purissima per l’onnipotente azione dello Spirito Santo, la Chiesa non aveva bisogno di consensi sociologici. In Maria, ostensorio vivente del Dio di Israele e foederis arca in cui s’era incarnato il Cristo, c’era la Chiesa, perché in Maria c’era il Cristo. Cari fratelli, dobbiamo pensare soprannaturalmente, non in base a statistiche umane o a categorie sociologiche.

Attorno al papa ahimè (anche questo è un segno dei pessimi tempi in cui viviamo) gli animi si scindono. Molti sono già virtualmente scismatici ed è peggio esserlo virtualmente che attualmente. Come ebbe già a dire san Pio X, le eresie e gli scismi dei tempi moderni hanno questo di pericoloso, che non sono lacerazioni evidenti, ma nascoste. Il Santo Padre, quando andò negli Stati Uniti, propose la dottrina morale che da secoli è sempre quella. Se egli la rinnegasse, rinnegherebbe sé stesso, rinnegherebbe le chiavi di Pietro, che deve amministrare secondo la volontà non sua, ma del Signore. Il papa propone parole non sue, ma di Cristo, cioè di colui di cui egli è il vicario. Che cosa è successo? C’è stata una grande levata di scudi. Si è discusso a lungo su ciò che il papa aveva detto o non detto, si sono avanzate le interpretazioni più disparate, si sono proposte scappatoie per sfuggire a questa o a quella norma morale o addirittura si è criticato apertamente il pontefice. Basta leggere le varie interviste fatte a pseudoteologi che ne hanno dette di tutti i colori, spinti da astio antiromano. Tale astio è un segno dell’anticristo, perché Roma, nonostante tutte le sue difficoltà e deficienze umane, è la sola sede del vicario di Cristo.

Ci sono anche cristiani, che hanno un attaccamento al papa un po’ strano, per così dire "sentimentale", e ne apprezzano soprattutto la persona. Anche a me il santo padre come persona umana è simpaticissimo, ma la mia fedeltà a Roma non si basa su questa simpatia. Nel pontefice si deve cogliere, più che l’uomo, il vicario di Cristo. Tutti i pontefici della storia lo sapevano bene; lo sapevano anche gli orientali. Pensate: quando il papa san Leone Magno (440-461) inviò i suoi legati al concilio di Calcedonia (451), i padri conciliari si alzarono in piedi e, dopo che i legati ebbero letto la dottrina del vicario di Cristo (la cosiddetta Lettera dogmatica), proclamarono: " Per Leonem Petrus locutus est ", tramite Leone, Pietro ha parlato.

Questa è la fedeltà alla Santa Sede, fedeltà spesso sofferta. Quello che rimproveriamo a Lutero è di non essere stato fedele al papa. Egli si scandalizzò dell’uomo, si scandalizzò di Giovanni de’ Medici (Leone X) e delle sue debolezze. Non seppe vedere in lui il successore di Pietro, che, al di là di ogni debolezza, è l’incrollabile fondamento della Chiesa, perché, anche se le porte degl’inferi si scateneranno contro di lei, essa rimarrà per sempre, basandosi sulla parola di Gesù che salva.

Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), con il suo solito acume, fa notare che il Signore non scelse come suo vicario né il mistico Giovanni, né il dotto Paolo, bensì Pietro, che era rozzo e debole (tradì il Cristo!). Pietro, l’uomo più incostante del collegio apostolico, incapace di tenere sotto controllo le sue passioni, una volta rinnegò Gesù, un’altra volta oscillò tra entusiasmo e scetticismo, tanto da camminare sulle acque per andare incontro al Cristo e da sprofondare di lì a poco. Gesù, tendendogli la mano, lo rimproverò: " Perché hai dubitato, uomo di poca fede? ". Ecco la logica di Dio: egli fonda il sacerdozio e la Chiesa non sull’apostolo più dotto o più spirituale o più forte o più coraggioso, ma sul più fragile. Perciò non dobbiamo scandalizzarci dell’uomo.

Questo genere di problemi va trattato con prudenza. In politica è difficile veder chiaro. Oggi con grande sicumera tutti parlano di politica, come se avessero la responsabilità del governo della cosa pubblica. Vi dico sinceramente, l’attuale politica della Chiesa romana verso l’est mi amareggia molto e amareggia anche i nostri fratelli ucraini, il cui patrono era appunto san Giosafat. Vi invito a pregare per questi nostri fratelli, affinché non si scandalizzino e rimangano fedeli a Roma, nonostante un apparente disinteresse della Santa Sede per la loro causa.

La cosiddetta Ucraina Subcarpatica, che prima faceva parte della Cecoslovacchia, fu annessa dall’Unione Sovietica dopo la seconda guerra mondiale. La Chiesa fedele a Roma fu perseguitata; così la Chiesa uniate dovette sottomettersi al patriarcato di Mosca. La cosa peggiore è che questi nostri fratelli cattolici di rito orientale, questi figli spirituali di san Giosafat (nato proprio da quelle parti), non ebbero nemmeno una parola di solidarietà da parte nostra, né la magra consolazione di sentirci dire: " Stiamo dalla vostra parte ".

continua..........
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