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Omelia su san Giosafat vescovo

Ultimo Aggiornamento: 03/09/2009 07:49
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03/09/2009 07:49

Cosa successe? In un incontro ecumenico di Chiese il patriarca di Mosca baldanzosamente dichiarò che aveva finalmente accolto nel grande patriarcato quei figli prodighi, i quali se ne erano andati e finalmente erano ritornati all’ovile. Il legato cattolico romano non oppose neanche una parola. Cari fratelli, questi silenzi fanno soffrire crudelmente. Finché si soffre a causa dei nemici di Dio, pazienza; ma se si soffre a causa della Chiesa, è terrificante. Ebbene i nostri fratelli ucraini sanno soffrire non solo per la Chiesa, ma spesse volte anche dalla Chiesa, senza scandalizzarsi.

Preghiamo per loro, perché san Giosafat Kuncewicz li aiuti con il suo esempio, la sua parola, il suo insegnamento, la sua celeste intercessione, affinché rimangano sempre fedeli a Roma e non si scandalizzino mai di nulla.

Un’ultima riflessione su un altro fatto che mi commuove nella vita di san Giosafat: pur avendo intuito che la Chiesa non può essere cristiana se non è cattolica e quindi legata a Roma, egli capì anche che bisognava salvaguardare le tradizioni dei padri. Da un lato l’unità, dall’altro il rispetto delle proprie tradizioni. Oggi, se uno pronuncia una parola in latino, è considerato eretico o scismatico! Questo è uccidere la nostra anima, cari fratelli! Gli ortodossi, che hanno un grande senso della ritualità e della lingua sacra, allibiti assistono all’iconoclastia della nostra chiesa romana occidentale.

Il sano e vero pluralismo (non quello vantato dai democratici a oltranza, che poi di fatto sono dei violenti) si fonda sul principio aristotelico Quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur, tutto ciò che si percepisce, viene percepito secondo il modo di colui che percepisce. Quindi la realtà percepita deve essere una sola, la fede cattolica; il modo di percepirla deve essere plurimo, con rispetto della tradizione dei padri. San Giosafat non passò alla liturgia latina, che pure stimava, ma mantenne la liturgia paleoslava, che si serviva di una venerabile lingua antica (quella slava) e di solenni riti. Egli capì che la grazia del Signore non toglie nulla di ciò che c’è di buono a livello naturale e cioè alla tradizione dei nostri padri. Guai a noi, cari fratelli, se pensiamo di poter servire il Padre che è nei cieli rinnegando i padri che egli ci ha dato su questa terra! Ecco i due insegnamenti di san Giosafat: la fedeltà alla sede di Pietro e al papa, vicario di Cristo, deve essere vera (e qualche volta anche sofferta), non superficiale e sentimentale; bisogna inoltre non lasciarsi uccidere l’anima, ma stimare la tradizione dei nostri padri su questa terra. Così sia.



Nota

Poiché in questa omelia si parla di Ucraìna e di Rutenia, è doveroso fornire alcune notizie in proposito. L’Ucraìna Subcarpatica (o Transcarpàzia o Rutènia) confina a nord con la Polonia, a ovest con l’Ungheria e a sud con la Romania. Prima della seconda guerra mondiale costituiva una regione autonoma della Cecoslovacchia e non confinava con l’Unione Sovietica, ma con Polonia, Romania e Ungheria. Era abitata da Ucraìni (o Ruteni [la parola "ruteno" è la forma latinizzata di "russo"]), con minoranze di Ungheresi, Tedeschi, Ebrei, Slovacchi e Romeni. La regione manifestò sempre forti tendenze autonomistiche, che parvero concretarsi nell’ottobre del 1938, sotto la pressione tedesca, con la creazione a U” gorod di un governo ruteno. Ma già il 2 novembre 1938 la parte pianeggiante del Paese, in séguito all’arbitrato italo-tedesco di Vienna, fu ceduta all’Ungheria, che nel marzo del 1939 si annetté l’intero territorio. Occupata dalle truppe sovietiche nell’ottobre del 1944, l’Ucraina Subcarpatica il 26 giugno 1945 fu ceduta all’Unione Sovietica mediante un accordo firmato a Mosca tra il cecoslovacco Fierlinger e Molotov. Fisicamente la regione è costituita dal versante sudoccidentale dei Carpazi e da una fascia della pianura ungherese. I maggiori centri abitati si trovano ai piedi delle montagne. Il capoluogo è U” gorod. Altro centro importante è Muka‚ evo. A nord della Rutenia, una volta valicati i Carpazi Boscosi, si stende la Galizia, una regione che per metà fa parte della Polonia e per l’altra metà fa parte dell’Ucraina. Dopo un primo atto di sottomissione al papa (dicembre 1595) le Chiese rutene di Galizia e Transcarpazia proclamarono quasi unanimi l’unione con Roma nel sinodo di Brest-Litovsk del 6-10 ottobre 1596. Ci fu una fase di espansione esterna e di consolidamento interno. Tali Chiese affermarono la propria identità contro i tentativi di assorbimento messi in atto da parte sia latina (senza l’approvazione del papa) sia ortodossa. Con le spartizioni della Polonia (1772, 1793, 1795), la Chiesa rutena cattolica passata sotto il dominio russo scomparve; quella invece rimasta sotto l’Austria ebbe un periodo di ulteriore sviluppo. Con il sinodo di Leopoli (1891), infine, essa adottò quasi tutte le decisioni tridentine. Rimase irrisolta però la questione del celibato del clero. Nel 1895 il metropolita Sembratovi‚ fu creato cardinale. Dopo la prima guerra mondiale la Chiesa rutena cattolica compresa nello stato polacco continuò a svilupparsi, tant’è che la metropolìa galiziana contò più di tre milioni e mezzo di fedeli con più di 2000 parrocchie e altrettanti sacerdoti. Con la fine della seconda guerra mondiale però, sotto la pressione del governo sovietico, essa — come già s’è detto — si unì alla Chiesa patriarcale di Mosca, mentre tutti i resistenti furono deportati o dispersi. La stessa fine ebbe anche la Chiesa rutena transcarpatica. Oggi solo i ruteni emigrati in tutto il mondo possono liberamente continuare le loro antiche tradizioni canoniche, liturgiche e spirituali, pur rimanendo in comunione con la Sede Apostolica. Questa è la prova palpabile che la Chiesa cattolica è universale non solo de iure, ma anche de facto. Le antiche sedi vescovili di Galizia e di Rutenia sono usurpate da vescovi dissidenti, mentre i vescovi, i sacerdoti e i laici, fedeli all’unione con Roma, sono perseguitati, esiliati e incarcerati.

Il rito ruteno è una variante, accanto al rito russo, romeno e serbo, del comune rito bizantino. Rispetto alla variante moscovita del rito bizantino, quella rutena, adottata oggi solo dai cattolici, rappresenta una lezione più antica dei testi liturgici, mentre riguardo alle cerimonie ha seguìto l’evoluzione dei Greci e alcune pratiche latine, conservando le particolarità locali.

In generale, tutte le Chiese orientali cristiane con rito proprio, che, dopo la separazione conseguente allo scisma d’Oriente (1054), ristabilirono la comunione con Roma, sono dette "uniati". Questo aggettivo deriva dal russo unijat, derivato da unija "unione (delle Chiese)". I fedeli appartenenti a queste Chiese sono detti "uniati".
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