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Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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Esegesi del Vangelo sulle Nozze di Cana e il valore della Famiglia

Ultimo Aggiornamento: 03/09/2009 11:43
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03/09/2009 11:38


Esegesi del Vangelo delle nozze di Cana

Sorelle care, questa mattina abbiamo cominciato a meditare sul primo miracolo che Gesù compì: il miracolo delle nozze di Cana col quale diede inizio ai suoi prodigi, e abbiamo detto anche che Gesù fece il suo primo miracolo in questo contesto di nozze, proprio perché chiama gli uomini da lui redenti ad uno stato sponsale, di uno sposalizio ovviamente soprannaturale, spirituale, divino, tramite l'amore della carità. San Tommaso dirà: caritas est vis unitiva, la carità è una forza di unione. Quindi, se l'anima umana ama Iddio, immediatamente sperimenta in sé una perfetta unione con Dio. Abbiamo poi sottolineato come l'amore di Dio, a differenza di una semplice amicizia umana, presenta questi tratti tipicamente sponsali, cioè il tratto dell'intimità, dell'esclusiva familiarità con Dio: appartenere noi tutti a Dio, senza eccezione alcuna, senza sottrarre qualcosa a Dio, ed appartenere a Dio solo, senza disperderci nelle creature, senza perdere di vista quello che è l'unum necessarium, l'unica realtà necessaria.

Questo pomeriggio, proseguendo nella lettura e nel commento del santo Vangelo, arriviamo al terzo versetto. L'evangelista dice così: "Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: Non hanno più vino". Sempre mi sorprende e mi commuove la concisione e la semplicità con cui la madre del Signore dice: "Non hanno più vino". Non gli fa un lungo discorso, un discorso articolato dove dovrebbe spiegare tutte le ragioni. No, dice semplicemente, attirando l'attenzione del Salvatore su questo semplice fatto, gli dice: "Non hanno più vino". Gesù capisce subito che sua madre gli chiede appunto di fare il miracolo, il prodigio, come risulta poi dalla sua risposta. In questo, care sorelle, c'è anzitutto da meditare, da pensare a quanto è importante l'intercessione di Maria presso il suo Figlio per ottenere da Lui un qualsiasi beneficio. Vedete, non a caso, proprio il primo prodigio - voi sapete che il primo è sempre in qualche modo emblematico, paradigmatico - il primo prodigio di Gesù è operato proprio per intercessione della sua Madre Santissima; si potrebbe quasi dire in modo straordinario, perché questo vangelo è davvero sorprendente: vedete, Maria ha ottenuto questo miracolo accelerando i tempi.

Infatti Gesù dice: "E che importa a me e a te, Donna? Non è ancora giunta la mia ora". Che cosa significa questo per noi? In quale modo questo ci riguarda? "Il mio tempo non è ancora venuto". Gesù dice chiaramente: "No, non farò il miracolo, il mio tempo non è ancora venuto". Maria, con pazienza straordinaria e soprattutto con fede incrollabile dice: "Fate tutto quello che vi dirà"; allora Gesù compie il miracolo e dice: "Attingete l'acqua", e l'acqua che attingono diventa vino.

Vedete, la beata Vergine ottiene proprio quello che è quasi l'impossibile. Ecco perché si diceva giustamente di Maria che Ella gode di una onnipotenza di intercessione presso Dio. Non c'è altra via al Padre se non quella via che il Padre stesso ha tracciato, e quella via è Gesù. Non ce ne sono altre. In questo contesto, sorelle care, succede molto spesso che ci siano dei mistici esagerati, che poi esagerando nello spirito cadono nella falsità, come dice appunto san Paolo: "Oh voi insensati Galati, cominciate dallo spirito e finite nella carne". Si comincia nella verità evangelica, la si esagera, poi si finisce al di fuori dell'ortodossia, al di fuori del dogma. Ora, ogni autentica vita di orazione, ogni autentica esperienza mistica, come sottolineano le due grandi anime mistiche della Chiesa cattolica che sono appunto le due dottoresse della Chiesa, e cioè santa Caterina da Siena, nostra consorella, e santa Teresa, entrambe (e non solo loro: tutti i mistici cattolici veramente degni di tal nome), sottolineano che in nessun momento della vita di orazione l'anima abbandona quella via maestra, quella via unica che è Gesù.

La via dell'ubbidienza, via umilissima, perché la natura umana di Gesù paragonata al Padre e allo stesso Verbo consustanziale al Padre e al Divino Spirito, paragonata alla natura divina, la natura umana è quello che è ogni natura creata, cioè un nulla. Però è un nulla che Iddio ha scelto: è questo che conta, non la grandezza delle realtà in sé, ma la grandezza che Dio dà ad ogni realtà. La vera vita di orazione non può mai dispensarsi da questa fondamentale umiltà ed obbedienza, che non vuole ottenere Dio, come dice sant'Anselmo, quasi per rapinam, quasi usurpando la divinità. Anche questa è una via, ma è la via che ha scelto il demonio, l'apostata fin dall'inizio, è la via dei nostri progenitori, è la via dei peccatori: cioè essere come Dio, ma senza Dio.

Bisogna invece essere come Dio secondo il dono di Dio, ecco che cosa avviene nelle anime buone e sante. La cosa interessante, che mi fa molto meditare, è la vicinanza della santità al peccato. Vedete, tanto i Santi quanto i peccatori vogliono essere come Dio: ciò vuol dire che amare Dio è una necessità; non si può non amarlo, tutti lo amano. Santi e peccatori, ma con un amore abissalmente diverso: per quella sola sfumatura che i Santi amano Dio con umiltà, i peccatori invece pensano di amare Dio a modo loro, cioè in modo orgoglioso. L'umiltà o l'orgoglio, distingue gli angeli buoni e quelli cattivi, distingue i Santi e i peccatori. L'amore di Dio c'è negli uni e negli altri, l'umiltà c'è negli uni e non c'è negli altri; ecco perché l'amore è vero solo in chi è anche umile. Chi è umile si sottopone con obbedienza, non in quel modo suo di amare Dio, ma a quel modo in cui Dio stesso vuol essere amato. Care sorelle, vedete quanto è importante sottomettersi alla povertà, all'umiltà delle creature se sono innalzate da Dio a strumenti della sua divina rivelazione. Così non c'è altra via verso il Padre se non Gesù: e, notate bene, non c'è altra via verso Gesù, se non Maria. Perché questo?

Qualcuno potrebbe dire, anzi, sono i protestanti, a questo punto, che ci fanno questa obiezione quando dicono: "In fondo voi cattolici moltiplicate i mediatori". Allora perché non potrebbe esserci un'altra via che conduce a Maria ed un'altra via per quell'altra via ecc.?

Rispondiamo noi cattolici: "Per un semplice motivo, perché Iddio ha voluto in quel determinato modo, perché Iddio l'ha voluto. Ecco perché Gesù è l'unica via verso il Padre, ed ecco perché Maria è l'unica via verso Gesù".

Se il Padre Eterno voleva perdonarci, cancellare il nostro peccato, poteva farlo anche senza l'Incarnazione. Non sarebbe stata una redenzione così perfetta, così piena, però sarebbe sempre redenzione, perché Dio è onnipotente, Dio non è legato a nessuno schema prefisso. Dio poteva redimere anche senza l'Incarnazione, ha voluto invece che il suo Figlio si incarnasse; è volontà di Dio. Similmente Iddio avrebbe potuto benissimo far discendere dal cielo il Figlio suo incarnato, come uomo maturo, come uomo adulto, come vaneggiavano alcuni eretici nei primi secoli, che parlavano di Cristo come di anthropos epouranios, uomo celeste, che scende dalle stelle proprio come uomo completo, maturo, sulla nostra terra.

Dice san Paolo, nella sua semplicità straordinaria, con quella frase che è tutta un trattato di cristologia e di mariologia: "Egli è nato sotto la legge ed è nato da una donna". Perché noi diamo quel culto particolare a Maria considerandola come la nostra via a Gesù, per Mariam ad Iesum? Per un solo motivo, come dice san Bernardo: "Perché Iddio ha voluto che noi tutto avessimo per Maria".

Maria, dandoci Gesù, ci ha dato il dono perfetto dell'Eterno Padre: perché il Padre, il dono del Verbo e del suo Spirito, che è dono del Padre e del Figlio, nel dono del Verbo, Iddio ci dà se stesso.

Vedete, Gesù Redentore, vero Dio e vero uomo, il dono perfetto del Padre, il Padre ce lo ha dato tramite Maria, per mezzo di Maria. Ecco allora come Colei che ci ha dato Gesù, è anche Colei che ci conduce a Gesù. È davvero ardita, ma molto giusta e profonda quella parola che dice che la beata Vergine est quasi forma Dei, è quasi la forma di Dio. La forma è come il modello, come quando si fa una statua, si fa prima un modello di quella statua e poi vi si fonde dentro il metallo, bronzo o qualcosa del genere.

Giustamente san Luigi Maria Grignion de Montfort, prendendo questa idea di Maria forma Dei - è antichissima questa idea, mi pare che lo stesso sant'Agostino fosse il primo ad accennarla - dice che nessuno può essere plasmato, modellato dallo Spirito Santo in modo cristiforme, cioè in modo tale da crescere, come dice l'apostolo, fino alla piena maturità dell'uomo adulto in Cristo, se non tramite quel modello che è appunto Maria.

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03/09/2009 11:39

Vedete, care sorelle, che noi abbiamo l'accesso a Gesù e tramite Gesù al Padre, solo se percorriamo la via semplice, umile di Maria, tramite la quale noi arriviamo a Gesù. Orbene, anche qui, nel primo prodigio di Gesù c'è l'intercessione di Maria, Maria onnipotente quanto alla sua intercessione presso Dio. C'è l'intercessione di Maria e c'è anche la guida di Maria che dice: "Tutto quello che Egli vi dirà, fatelo". Vedete Maria, ci dice sempre così, Maria è limpida, come si dice sempre nelle litanie, speculum iustitiae: mi piace tanto questa invocazione! Tutte queste espressioni delle litanie in onore della Vergine sono così belle e così mistiche, anche poetiche, proprio splendide. Speculum iustitiae, cioè lo specchio che rispecchia in sé per la sua limpidità, per la sua purezza, per la sua umiltà - perché lo specchio riceve la luce, quindi purezza ed umiltà, due virtù eccelse in Maria - questo specchio terso che è Maria, rispecchia perfettamente per la sua purezza, per la sua recettività, per la sua umiltà, rispecchia perfettamente i raggi di Colui che è il Sol iustitiae, il Sole di Giustizia, il Cristo. Maria rispecchia perfettamente l'immagine di suo figlio, l'immagine di Gesù, perciò non c'è altro modo di avvicinarsi a Gesù, se non proprio tramite l'intercessione e tramite la guida di Maria.

I protestanti ancora dicono - ma, capite, è un guaio, perché i protestanti non ci sono ormai solo in Svezia, Norvegia, Finlandia, in Germania dove il Santo Padre ha fatto tanta fatica per il suo ministero difficile, faticoso, ma proprio per questo benedetto dal Signore - i protestanti non stanno solo là vicino ai paesi nordici, no: i protestanti ahimé ormai si insinuano anche nella santa romana Chiesa, con questa mentalità di dire: "Ma, se noi onoriamo troppo Maria, non sottraiamo qualcosa a Gesù?".

San Bernardo non aveva dubbi, vedete, de Maria numquam satis, di Maria mai si dirà abbastanza. Perché? Chi loda Maria, chi prega Maria, chi medita Maria loda, prega, medita Gesù stesso. Perché? Perché Maria è speculum iustitiae, rispecchia la giustizia. Il primo miracolo di Gesù, è impetrato dall'intercessione insistente e difficile della sua Madre SS., perché per Gesù, di per sé, non è venuto il suo momento, non è venuta la sua ora e la madre sua accelera i tempi, fa venire l'ora, prima ancora che dovesse venire, certo intendiamoci bene, non che Maria possa qualcosa contro Dio, questo sicuramente no, ma può tutto in quanto Ella intercede per quello che Dio già vuole concedere, ma precisamente per la sua intercessione. Vedete care sorelle, senza la sua intercessione Dio non avrebbe concesso, ecco perché non è l'ora di Gesù; l'ora è venuta perché Maria ha pregato per quegli sposi. È così.

Allora subentra in qualche modo il mistero della predestinazione. Il fatto che Iddio stabilisce i momenti, i tempi e fissa l'ora, come l'ha fissata al nostro Salvatore e non toglie che ci sia un contributo umano di opere e di preghiera. Ci sono alcuni che dicono: "Ma, se Dio prevede già tutto, se Dio ha già predeterminato tutto, è inutile che io faccia delle opere buone, è inutile che io preghi". Invece no! Tutt'altro che inutile! Perché Dio ha previsto le nostre opere buone, ha previsto le preghiere per ottenere quella determinata grazia, e se non bastano, come non bastano generalmente le nostre povere preghiere personali, allora bisogna propiziare a nostro favore l'intercessione dei Santi, in particolare di Colei che di tutti i Santi è la regina, Maria Santissima, la Madre gloriosa del Signore.

San Tommaso, nel suo commento del Vangelo di san Giovanni, ci fa vedere tre aspetti che l'evangelista mette in rilievo e che sono molto importanti, per la nostra vita spirituale, nell'atteggiamento di Maria; anzitutto la sua pietà e la sua misericordia. Il che ci fa sperare bene, perché sapendo che Maria è piena di misericordia, noi ci facciamo coraggio perché sappiamo che Ella nutre dei sentimenti veramente materni nei nostri riguardi, conosce, comprende le nostre difficoltà e le nostre pene, e non solo, fa suoi i nostri dolori, come fece sua l'apprensione di quegli sposi nelle nozze di Cana. Infatti, spetta alla misericordia considerare i difetti, i mali, le necessità altrui, come se fossero dei mali propri. Voi capite come la misericordia e la pietà nascono dall'amore, da quella vis unitiva della quale abbiamo parlato. Un'anima che veramente ama il prossimo diventa un tutt'uno con il prossimo: quindi considera il bene del prossimo come il suo bene proprio, e ne gode; ma considera anche il male del prossimo come male suo proprio e se ne rattrista. Come uno quando è nella tristezza, quando è afflitto da un male, cerca di toglierlo di mezzo, così il misericordioso si muove subito a togliere di mezzo il male altrui, ad aiutare il prossimo.

L'amore diventa immediatamente misericordia. San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi dice: "Chi è debole che anche io non lo sia? Chi riceve scandalo, che anch'io non ne frema?". Vedete, san Paolo esprime questo atteggiamento di misericordia tutto in chiave apostolica: se un cristiano soffre, l'apostolo soffre ancora di più. Vedete, così similmente la beata Vergine ha avuto anzitutto sentimenti di misericordia. Poi per quanto concerne Gesù, Maria rivela tutta la sua riverenza verso di lui, proprio per la semplicità della sua preghiera.

Come già vi dissi, Maria gli espone una preghiera semplicissima, non dice a Gesù come deve esaudirla, quando deve esaudirla, in che modo deve esaudirla; gli dice solo: "Non hanno più vino". Tutto il resto lo lascia a Gesù, ricorre a Lui con una preghiera semplicissima, ma proprio per questo fu una preghiera estremamente pia e riverente.

Noi, care sorelle, veramente non meritiamo di essere ascoltati da Dio se non rispettiamo Dio. Bisogna rispettare Dio. È la pietà che rispetta, perché tratta Dio per quello che è, cioè Dio, il Signore e Sovrano di tutte le cose.

Spesso invece succede che le preghiere impetrative sono quasi dei comandi impartiti al Signore, questa è davvero una presunzione notevolissima. Ci sono delle povere anime che sono da trattare davvero con molta carità, bisogna fasciargli quelle ferite, cercare di cambiargli mentalità a quelle povere anime. Ci sono delle anime che si danno alla preghiera tanto per provare, perché provare non nuoce, potrebbe anche funzionare; queste si danno alla preghiera dicendo: "Se Dio mi esaudisce, io continuo a pregare, se non mi esaudisce, chi me lo fa fare?". Questa non è una preghiera pia, non è una preghiera devota, non è una preghiera riverente; queste sono esagerazioni. Ci sono delle irriverenze più sottili, quando uno dice: "Signore, dammi quella grazia, però io la vorrei in quel determinato modo... ". Invece proprio Maria, con questa sua semplicissima preghiera, "non hanno più vino", ha detto tutto. Cosi anche noi dobbiamo sì presentare le nostre necessità, ma dobbiamo sapere che prima ancora che gliele presentiamo, Lui le sa già, le conosce già. Non nuoce però presentargliele, perché ci sono anime che esagerano dall'altra parte. Ci sono anime angosciate che dicono: "Io prego sempre Dio per avere qualche grazia... ". Non c'è dubbio, la preghiera dell'adorazione è la preghiera suprema, però anche nell'impetrazione c'è tutta una fiducia riposta in Dio. Vedete, se non ci fidassimo di Dio, se non ci fidassimo nel Signore, certamente non ricorreremmo a Lui nelle nostre necessità; quindi è cosa buona e santa presentare a Dio le nostre necessità, come fece Maria: "Non hanno più vino". Però nel contempo farlo con semplicità e lasciando a Dio di esaudirci come lui vuole. Dice sant'Agostino: "Se Dio dovesse esaudirci come vogliamo noi, ci sarebbe un grande turbamento nel governo delle cose umane, proprio perché noi stessi, con la nostra sapienza davvero limitata, non riusciremmo a capire quello che veramente ci giova".

È interessante che persino gli antichi sapienti abbiano scoperto questo fatto. Dice infatti Socrate: "Ci sono alcune preghiere che è meglio non siano esaudite". È vero. Qualcuno chiede qualcosa e poi, a distanza di qualche anno, quello che ha chiesto gli appare una grande stoltezza e dice: "Signore, ti ringrazio che non mi hai esaudito in quel momento", questo succede molto spesso... Allora, in tutto, bisogna avere una grande, incondizionata fiducia in Dio, perché il Signore quella fiducia se la merita. Noi, allora, dobbiamo presentargli le nostre preghiere con semplicità, come fece Maria (dice il salmo: "Signore, davanti a te ogni mio desiderio ed ogni mio gemito a te non è nascosto"). Poi, in Maria, sorprende anche la sua premura, la sua sollecitudine e diligenza, che appare dal fatto che non ha aspettato che il vino venisse meno, ma prevedendone la ristrettezza, subito si rivolse a Gesù.

Essere attenti, essere solleciti, premurosi, prevenire quasi le situazioni, è importantissimo; notate bene, come la virtù della prudenza guida, non comanda, guida la virtù della carità. La carità è la suprema di tutte le virtù, però è guidata dalla prudenza: cosi anche la carità di Maria è stata interamente guidata dalla prudenza. Solo che la prudenza, contrariamente a quello che generalmente si pensa, non consiste nell'essere continuamente in esitazione, nel dubbio, nel non decidersi mai; oggi si ha l'idea del prudente come di una persona che è indecisa, una persona che mai agisce. Invece il prudente, nel vero senso della parola, significa una persona saggia, che certo è lenta nel deliberare, nel consultarsi, certo non agisce in modo spavaldo, però quando viene il momento di agire, dopo aver riflettuto sulle proprie azioni, sul da farsi, agisce con estrema decisione. Ecco perché la prudenza regola il nostro agire, illumina il nostro agire; ed ad essa spetta anche l'aspetto decisivo, che è quello della sollecitudine (o solerzia, la chiamavano anche gli antichi): la solerzia è una caratteristica propria della prudenza. Il prudente non è quello che subisce gli eventi, che è passivo di fronte agli eventi, il prudente è colui che si fa un'idea, un pensiero davanti agli eventi prossimi futuri, quasi anticipandoli. Così anche Maria Santissima è stata prudente, solerte, sollecita, non ha aspettato che il vino mancasse, ma ha per tempo avvertito Gesù.

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03/09/2009 11:40

Ora che cosa significa quel vino che mancava alle nozze di Cana? Naturalmente significava anzitutto il vino vero e proprio, ed è inutile che vi dica come è bella questa premura della Madre Santissima del Signore, in vista della gioia di questo banchetto nuziale; questi sposi veramente dovevano vivere un giorno di gioia come si addice ad un giorno di nozze. Però, al di là di questo motivo umano, che pure è bellissimo e commovente, vi è il significato mistico del vino. Quale significato? Dice san Tommaso rifacendosi alla lettura dei Santi Padri: "Il vino è soprattutto stato usato nell'antichità come medicina, però come medicina amara ed aspra sulle piaghe". Ai nostri giorni non si adopera più il vino per disinfettare le piaghe, ma si adopera un disinfettante che solitamente brucia. Così il vino significa anzitutto l'austerità, persino l'asprezza della giustizia. Ma il vino è anche dolce al nostro palato e così significa la sapienza, che è senza amarezza. Ed infine il vino è inebriante, sotto questo aspetto, raffigura allegoricamente la carità, poiché la carità porta l'anima alla sobria ebrietas, la sobria ebbrezza.

La carità è virtù sovrumana, cioè fa sì che la nostra volontà in modo incondizionato, infinito, smisurato, sia tutta di Dio. Ecco come la carità è una ebrietas, è una ebbrezza; una carità che non sia inebriante non è carità. Vedete, la carità tende sempre all'eccesso, tende sempre all'infinito.

Pensate a quello che ci dice Gesù sulla necessità di amare non solo chi ci fa del bene, non solo ad amare le persone che noi ben volentieri accettiamo; no, dobbiamo amare chiunque: chi ci fa del male, chi ci è ostile, i peccatori. Gesù aveva una predilezione per i peccatori, vedete questa infinità dell'amore, quindi una ebrietas, perché l'ebbrezza è qualcosa che sconfina, che va al di là della norma. Però una sobria ebrietas, che a differenza dell'ebbrezza comune, che non è per niente sobria, anzi annulla la ragione, quella sobria ebrietas della carità certo fa eccedere l'uomo (ecco perché si dice ebrietas), ma nel contempo lo fa eccedere in modo sobrio. Perché nella carità è quasi come se la ragionevolezza divina, la sapienza divina, facesse le veci della povera sapienza umana. C'è un eccesso, ma è un eccesso misurato e moderato da quella misura, che è misura in se stessa, cioè dalla misura della bontà e della verità divina. Dice san Tommaso che le nozze di Cana, con le quali Gesù diede inizio ai suoi miracoli, significano l'avvicendarsi delle due alleanze, il cambiamento dall'Alleanza antica a quella nuova. Nell'Alleanza antica il vino era una promessa, il vino mancava ancora. Venne il vino della giustizia, della sapienza, della carità, venne appunto con la nuova legge, la legge della grazia del Signore. Infatti la giustizia antica è imperfetta. Dice Gesù: "Se la vostra giustizia non sarà più abbondante di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei Cieli", giustizia e carità. Una sapienza che è ancora tutta figurale, non è ancora la realtà, è un adombrare la realtà: san Paolo, prima ai Corinzi cap. 10, "Tutte queste cose accaddero a loro come un esempio", come un esempio delle cose future, sapienza figurata.

Infine la carità mancava agli antichi, che hanno ricevuto soltanto lo spirito della schiavitù nel timore, mentre il Cristo mutò l'acqua del timore nel vino della carità. Non dico che tutti gli antichi abbiano ricevuto solo la schiavitù del timore, questo certamente no, ma l'antica Alleanza è un'alleanza di timore; la nuova Alleanza di carità ha un cuore nuovo, rinnovato nell'amore. Vedete, sorelle, certo gli uomini dell'antica Alleanza, singolarmente presi, potevano benissimo avere la carità. Molto spesso si fa questo errore: o si esalta l'antica Alleanza mettendola quasi alla pari dell'Alleanza nuova, altre volte invece la si svaluta del tutto come se gli antichi non potessero accedere alla santità, invece i profeti, i sovrani dell'antichità, i patriarchi erano certamente santi; però, in quanto santi, appartenevano già alla nuova Alleanza, dove già c'era il vino della perfetta giustizia, della sapienza che viene dall'alto della realtà di Cristo: la perfetta carità, non più uno spirito di schiavitù. Ecco allora il significato mistico del vino. E Gesù, alla Madre sua Santissima che gli chiede implicitamente il miracolo, risponde: "Che ho da fare con te, o donna? Non è giunta ancora la mia ora".

Dice ancora san Tommaso che tre sette ereticali hanno preso occasione di errare, di deviare dalla retta via. Anzitutto i manichei, in particolare lo gnostico Valentino, che sostiene che Gesù non avrebbe per nulla ricevuto un corpo terreno dalla Vergine; loro, gnostici e manichei, sostenevano la tesi che vi dicevo dell'anthropos epouranios, dell'uomo celeste, non l'uomo terreno e negavano la realtà della corporeità di Gesù, negavano la fisicità del suo corpo e dicevano: "Gesù non ha ricevuto nulla da Maria". Questo gnostico Valentino, diceva che Gesù avrebbe detto a Maria: "Che ho a fare con te, o Donna?". Come dire, da te nulla ho ricevuto. Questa è un'eresia spaventosa, capite, ed è smentita dallo stesso testo evangelico, infatti, dice appunto l'evangelista san Giovanni, che vi era la Madre di Gesù e se Maria è chiamata dall'evangelista madre, indubbiamente è Lei, che ha dato a Gesù la sua vita umana, la sua natura umana. Lo Spirito Santo ha tratto la natura umana di Gesù dal grembo verginale di Maria; Maria ha dato a Gesù la sua umanità.

Invece gli ebioniti fanno leva sulla parola donna: "Che cosa ho a che fare con te, o Donna?". Fanno leva sulla parola donna per negare, ahimè - succede anche ai nostri tristi tempi - per negare la verginità di Maria, per dire appunto: "Se Maria è chiamata da Gesù donna, non poteva essere vergine". Invece, osserva giustamente san Tommaso che anche Adamo ha chiamato Eva vergine, perché come vergine Eva è stata creata da Dio, è stata condotta ad Adamo, Adamo ha chiamato Eva la prima vergine, l'ha chiamata pure donna. Quindi, vedete, pure questo argomento non regge.

Nella denominazione "donna", alcuni pensano ad una espressione poco riverente, che non tiene del tutto conto della grandezza della Vergine Santissima. Invece quella espressione è proprio la più grande e la più bella esaltazione della Madre Santissima del Signore. Quando Gesù dice "Donna", chiamando cosi la sua Madre, ebbene, intende dire: nuova Eva. Cioè non è una tra tante donne, ma è la donna per eccellenza.

Maria è la donna per eccellenza, in lei veramente mutano le sorti di Eva. Tramite Eva venne la maledizione: quella maledizione, quella morte, morale prima e fisica poi, quella morte è cancellata in Maria. È interessante come sant'Agostino giustamente sottolinea che in fondo Eva non meriterebbe essere chiamata "madre dei viventi" ma piuttosto "madre dei morienti": effettivamente è così.

Noi veniamo in questo mondo nascendo peccatori, "nel peccato mi ha concepito mia madre", vedete proprio io sono non solo nato, ma proprio concepito nel peccato. Solo Maria è stata preservata dal peccato delle origini. Vedete il contagio della colpa: noi nasciamo peccatori, anzi siamo concepiti come peccatori; quindi Eva, la vita che ci viene da Eva, è una vita di morte, una vita segnata dalla morte. Ecco allora perché quell'altra Eva, la Donna per eccellenza, la Madre dei viventi, doveva restituire all'uomo ciò che gli è stato tolto dalla prima Eva, cioè doveva ridargli la vita, doveva veramente adempiere a quella promessa che Dio diede alla prima Eva e che nella prima Eva non si è adempiuta, cioè di dare vita. Solo in Maria abbiamo una vita che non è più segnata dalla morte, cioè abbiamo la vita in Cristo; lo dice san Paolo che da Gesù ha la sua vita: "Non sono più io che vivo, ma in Cristo figlio di Dio".

Vedete come Maria è realmente nostra madre. È Madre di Gesù, ma è madre nostra e, in questo senso, madre dei viventi, madre di tutta la Chiesa. Infine i priscillianisti, un'altra setta, prendevano l'occasione dell'errore da quell'affermazione di Gesù che dice: "Non è ancora giunta la mia ora". Come se Gesù dipendesse da una specie di fatalità, dagli astri (anche al giorno d'oggi, sorelle, l'astrologia è una piaga vera e propria, vedere quanta gente, che pure frequenta la chiesa, però crede nel contempo agli influssi astrali; è un combattimento duro quello contro ogni sorta di superstizione, d'altra parte non può essere diverso perché ogni epoca di incredulità è anche un'epoca di crescente superstizione). Costoro, quelli che pensano che Gesù fosse sottomesso agli astri, alla fatalità, non sanno chi era Gesù, il Creatore, il Signore dell'universo, quindi a Gesù gli astri sono sottomessi, non Lui agli astri, né Lui alla fatalità, ma ogni corso degli eventi del mondo è prestabilito da Lui, è predeterminato da Lui.

Gesù, dunque, non soggiace a nessuna fatalità, tanto è vero che anche noi stessi non dovremmo, come cristiani, come liberi, cioè dotati della libertà di figli, non dovremmo mai considerarci ancora assoggettati ai tempi, alla fatalità, addirittura agli astri. San Tommaso dice (mi piace tanto): "Può anche darsi che la parte esterna, corporea dell'uomo dipenda dagli astri, ma non certo la parte razionale". Quindi bisogna rinnegare la razionalità e la spiritualità dell'uomo per credere che l'uomo sia sottomesso agli astri.

Che cosa voleva invece dire questa parola di Gesù: "Non è ancora giunta la mia ora"? Non che egli fosse sottomesso a qualche fatalità, ma che non era giunta ancora l'ora predeterminata, prevista dal Padre suo, come l'ora della sua passione. Tutta la vita di Gesù è un'ora perfetta, quella che i greci chiamano kairos (è tanto bella questa espressione che è quasi intraducibile, perché noi diciamo tempo, questo in greco si dice kronos; quando i greci dicono kairos intendono dire che il tempo è un momento di grazia: così tutta la vita di Gesù è un'ora, cioè un kairos, perfetto). È un attimo, una durata perfetta, quel tempo è il tempo della pienezza, il tempo privilegiato, il tempo della riconciliazione. Ecco che cosa significa la venuta dell'ora. La vita di Gesù, il servo perfettamente ubbidiente di Dio: nella vita di Gesù tutto è prestabilito da Dio, l'ora della sua passione, ma anche l'ora del suo primo miracolo. La domanda del Salvatore: "Che ho da fare con te o donna?", viene interpretata da sant'Agostino alla luce delle due nature di Cristo.

È interessante questa interpretazione agostiniana che rivela la dualità divina ed umana di Gesù; dice infatti sant'Agostino: "Fare i miracoli, fare i prodigi conviene a Gesù secondo la natura divina che egli ricevette dal Padre; invece soffrire, patire, morire per noi, gli conviene secondo la natura umana che Egli ha ricevuto dalla madre". Ecco perché sant'Agostino dice che nel momento del suo primo prodigio Gesù sembra non riconoscere sua madre: non perché non la riconosca come madre sua, ma proprio perché Gesù vuol dire: "il potere di fare dei miracoli e l'ora in cui devo compiere dei miracoli, anzi il primo miracolo, è un'ora ed è un potere che non dipendono da nessuno, se non dal Padre mio, che è nei Cieli".

Quindi, Gesù, nel suo fare miracoli, rivela la sua natura divina. Mentre gli altri Santi fanno i miracoli solo intercedendo presso Dio, cioè invocando Dio, Gesù fa i miracoli - certo invocando pure il Padre suo - ma li fa anche per autorità propria, essendo lui il Verbo consustanziale. Allora il potere di fare miracoli deriva dal Padre; invece nell'ora della passione (perché quel corpo che Gesù ha assunto per la nostra salvezza gli viene dalla Vergine: ricordate la Lettera agli Ebrei, nella quale san Paolo fa dire appunto al Salvatore venendo nel mondo: "Tu non mi hai chiesto sacrificio, né olocausto, ma un corpo mi hai preparato") quel corpo preparato al Verbo nel grembo verginale di Maria dallo Spirito Santo, quel corpo è destinato ad essere la Vittima pasquale, ad essere appunto la Vittima dell'espiazione. Ecco allora perché Gesù avrebbe chiamato Maria sua Madre dall'alto della Croce. Dice sant'Agostino, in una interessante interpretazione che qui Gesù sembra quasi non voler riconoscere sua Madre, perché dice: "Non da te, bensì dal Padre mio viene il potere di fare i miracoli". Nel momento però della Croce Gesù dirà al suo discepolo prediletto: "Ecco la tua madre", conoscendo veramente Maria come la Madre sua nell'ora dell'agonia, nell'ora della morte e della passione redentrice.

San Giovanni Crisostomo, invece, dà l'interpretazione più comune, dicendo appunto che la Vergine Santa, piena di zelo per l'onore di suo Figlio, voleva che il Cristo facesse i miracoli prima del tempo prestabilito; il Signore invece ha atteso ancora un po'. Vedete la premura di Maria, Gesù asseconda la richiesta di Maria, però non subito, Gesù attese che fosse avvertito dagli sposi il difetto del vino, affinché il miracolo fosse più opportuno, più evidente, spronasse l'uomo maggiormente alla riconoscenza. Questo rientra nella logica di Dio: è bella la premura di Maria, che ha anticipato gli eventi, ma è molto, molto fondata l'attesa di Gesù, anche per un motivo proprio apologetico. Vedete, care sorelle, come siamo fatti noialtri: non siamo facili a credere, allora Gesù per convincere gli sposi che veramente quel vino viene da Dio, non da accorgimenti umani, attende un attimo perché si rendano conto veramente di aver bisogno dell'aiuto di Dio.

Talvolta la pedagogia divina procede così anche con noi, e noi ci lamentiamo e non siamo contenti, perché diciamo: "Signore, esaudiscimi, dammi quella grazia, aiutami in quella determinata circostanza", e il Signore sembra essere lontano, sembra essere in silenzio, sembra non fare nulla a nostro favore mentre noi lo imploriamo. Perché fa cosi il Signore? Perché ci conosce troppo bene. Se subito ci accontentasse, noi ce lo dimenticheremmo nel momento immediatamente seguente. Quindi, anche l'esperienza il dolore, della sofferenza, della mancanza di qualche cosa di cui abbiamo bisogno, aumenta nell'uomo il ricordo del beneficio divino e della riconoscenza che deve avere verso il suo Creatore e Salvatore.

Un'ultima riflessione ancora: quella che riguarda il mutamento dell'acqua in vino. Gesù non ha creato del vino, perché poteva fare anche così; poteva fare così il miracolo, poteva creare del vino nuovo. Invece Gesù si serve di quelle sei idrie di pietra che erano lì pronte, preparate, ciascuna colma fino all'orlo, con i servi in attesa… "E che riporta a me e a te, Donna? Non è ancora giunta la mia ora" e Maria, con pazienza straordinaria e soprattutto con fede incrollabile dice ai servi: "Fate tutto quello che vi dirà"; allora Gesù compie il miracolo e dice: "Adesso attingete", e i servi attingono del vino. È Maria che ha ottenuto questo miracolo accelerando i tempi, perché Maria gode di una onnipotente intercessione presso Dio e non c'è altra via al Padre se non quella via che il Padre stesso ha tracciato, e quella via è Gesù che per chiamare gli uomini da lui redenti ad uno stato sponsale, soprannaturale, spirituale, divino, tramite l'amore della carità, compie il suo primo miracolo; e così sia.

da: La Beata Sempre Vergine Maria Madre di Dio. Omelie mariane di padre Tomáš Tyn, O. P.,
s.l. [Bologna], Associazione Figli Spirituali di Padre Tomáš Tyn, s.a., p. 111-121



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03/09/2009 11:42


Istruzione sul tema della famiglia

Questo inimicus homo che secondo il vangelo semina la zizzania e che addirittura entra nello spazio sacro della chiesa per seminare appunto la confusione — giacché il suo nome "diabolus" significa proprio questo, il confusionario per eccellenza — guardandoci attorno e vedendo la confusione strabiliante delle idee, dei pensieri, ("tot capita, tot sententiae"), ebbene possiamo veramente dire che il suo lavoro purtroppo sia largamente riuscito; ebbene questo inimicus homo ha cercato di seminare zizzania soprattutto anche in quel baluardo che ogni singolo uomo ha dinanzi alle prevaricazioni della grande società, della società civile, baluardo di difesa contro ogni forma di collettivismo.

Questo baluardo contro la società che subisce un collasso dialettico per la sua esasperazione e per il suo passaggio appunto tramite l’esasperazione dello Stato che tende ad invadere il singolo ed assorbirlo a sé, ebbene per difendersi da questa invadenza della società, invadenza collettivistica, vi è il baluardo della famiglia, famiglia vera società domestica, famiglia, la grande speranza in vista della futura restaurazione della società secondo i dettami e delle esigenze della regalità sociale del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo.

Cari fratelli, non c’è altra via, la società potrà essere restaurata in Cristo, secondo il motto evangelico, che ha fatto suo anche il Papa S. Pio X, "instaurare omnia in Christo", ebbene la società potrà essere restaurata nella regalità di Cristo solo tramite la famiglia, non c’è altra via. Questo è uno strumento potentissimo nelle nostre mani e bisogna adoperarlo, concretamente, come ci è stato suggerito. Dice infatti S. Tommaso che l’uomo prudente è colui che delibera a lungo, pondera, cerca di informarsi per farsi un giudizio pratico corretto, però quando poi si tratta di agire, agisce con grande decisione. E dice appunto che la prudenza non sarebbe virtù perfetta e che si peccherebbe gravemente di omissione se non ci fosse quel momento applicativo della prudenza, cioè il momento pratico, il momento di passaggio all’azione. Ora qualche cosa lo possiamo e lo dobbiamo fare tutti noi, cominciando da noi stessi, dalla nostra persona e cominciando socialmente dalle nostre famiglie. Un’altra via per la restaurazione della nostra società non esiste.

Orbene la famiglia "società domestica". Voi ben sapete che la famiglia si fonda sul matrimonio e il matrimonio a sua volta getta le basi di una vera e propria societas domestica, società della casa, società che vive in una casa. Società non perfetta, perché società che ha bisogno della grande società per la sua serena sopravvivenza, però società naturale, cosa estremamente importante da sottolineare, la famiglia è una società naturale, nella famiglia noi nasciamo dentro, non abbiamo scelto noi la nostra famiglia, non abbiamo scelto i nostri genitori, ci siamo nati nella nostra famiglia. Quindi la nostra famiglia ci è stata data dalla natura e la natura ci è stata data dal Creatore, quindi la famiglia è una societas naturalis, è una società naturale.

Due dunque sono le società naturali: una perfetta ed una imperfetta, nel senso che vi ho esposto la volta scorsa, vi ricordate bene, al giorno di oggi quando si dice: la Chiesa è una società perfetta, c’è subito un’agitazione fra coloro che non capiscono che societas perfecta non vuol dire una società di santi, capite, ma vuol dire semplicemente una società che ha a sua disposizione tutti i mezzi per il conseguimento del suo fine. La Chiesa, società soprannaturale, ha ricevuto dal suo fondatore divino tutti i mezzi, i sacramenti, la dottrina, la Santa Messa, le grazie necessarie per conseguire il suo fine che è la salvezza delle anime. Ecco quindi la Chiesa è società soprannaturale perfetta, società, per così dire, sufficiente a sé stessa. Lo Stato, società civile è società non soprannaturale ovviamente, perché ciò che specifica le nostre azioni è sempre il fine, la ratio formalis obiecti, l’oggetto del nostro agire, lo stato ovviamente non si propone un fine soprannaturale, almeno non immediatamente, quindi si tratta di una società naturale, però si tratta di una società perfetta, perché lo stato sovrano come è dispone di tutti i mezzi per promuovere quella pace sociale che è il suo fine prossimo e quel progresso della virtù che è il suo fine remoto. Quindi anche lo Stato dovrebbe contribuire, è proprio il suo dovere connaturale, dovrebbe contribuire alla crescita personale, morale dell’uomo e così almeno indirettamente condurlo a quella stessa salvezza soprannaturale che è il fine della Chiesa. Lo stato ha tutti i mezzi per farlo.

La famiglia non è una società perfetta, perché non può sopravvivere da sola, nel contempo però è una società naturale, non è cioè radunata per volontà di uomini, che trovano qualche interesse particolare per incontrarsi, per parlarsi, per fondare un’associazione, la famiglia è una società fondata da Dio stesso ed insita nella stessa natura dell’uomo. Società naturale alla quale si applicano perfettamente tutti i connotati e tutte le esigenze della società. Ritorniamo a quella definizione che abbiamo già annunciato, perché repetita iuvant, è molto importante rendersi conto di che cosa sia ciò di cui si parla.

Che cosa è la società? Quale ne è la definizione? Ebbene, societas est moltitudo hominum, è una moltitudine di uomini, ad aliquid unum perficiendum adunata, radunata per fare qualcosa di uno, cioè per formare qualche cosa di uno, ma anche per realizzare una qualche finalità precisa. Così è anche della famiglia, una società, perché è una adunatio moltitudinis, nella famiglia ci sono almeno i due coniugi, moltitudine molto particolare perché sessualmente differenziata, quindi una moltitudine diversa da quella che fonda la società civile. Moltitudine di uomini radunata per formare qualche cosa di uno, questa è appunto la societas domestica, la società della casa, che vive nella casa, ma anche per realizzare qualcosa di uno, che è quella prole che Dio vuole che ogni famiglia cerchi da Lui.

Pensate al profeta Malachia: quando parla dell’unità degli sposi, l’unità dei coniugi, si rifà a quanto dice il libro della genesi, "i due non sono più due, ma sono una sola carne", e che cosa cerca quella una cosa sola da Dio se non la prole? Vedete, la finalità naturale trascendente della famiglia, del coniugium, il matrimonio ha una precisa finalità trascendente che è dare la vita. Quindi il bonum prolis, il bene della prole. Quindi vedete come la famiglia è perfettamente definibile nei termini di società: moltitudine di uomini radunata per natura, non per volere di uomini, per formare qualche cosa di uno, la convivenza pacifica in una casa e per accogliere in quella casa ciò che è il fine specifico della famiglia, cioè una vita umana che nasce.

Quindi società naturale, alla quale si applicano perfettamente tutti i requisiti della socialità. Dice S. Tommaso: siccome tramite il matrimonio gli uomini sono ordinati ad una generazione ed educazione della prole, e così pure ad una sola vita domestica, è evidente che nel matrimonio si verifica una certa congiunzione, una certa associazione. Tale unione o congiunzione matrimoniale è di natura sua stabile, indelebile ed indissolubile. Cosa estremamente importante da sottolineare, voi cari amici che siete buoni cristiani, non ne dubitate, però bisogna saper proclamare questa verità messa in dubbio un po’ da per tutto, bisogna saperla proclamare con argomenti buoni e fondati sì anche nell’ordine soprannaturale della sacramentalità del matrimonio, ma prima ancora che in questo nella stessa natura della famiglia. Vedete, la ragione per cui il fatto di insorgere, come è nostro dovere, contro una politica divorzista dello stato, contro delle leggi divorziste, questo nostro insorgere contro simili leggi è un nostro preciso dovere non solo di cattolici, ma di uomini, di cives, di cittadini viventi in quella data società. Perché possiamo dire questo? Perché il matrimonio prima di essere consacrato dal suo carattere sacramentale, dal vincolo che si istituisce tramite la grazia di Cristo, il matrimonio è un istituto naturale, che poggia sulla lex naturalis Dei, sulla legge naturale di Dio.

È cosa bellissima e commovente, miei cari, leggere nel vangelo come il Signore Gesù dice appunto agli Ebrei: all’origine, prima che Mosè vi desse il libello di ripudio, prima di questo non era così, perché all’origine, all’inizio Dio creò l’uomo e la donna e ha detto che i due non sono più due, ma una cosa sola, ciò che Dio ha legato, l’uomo non osi sciogliere. Vedete, cari fratelli, quindi vedete quel legame della famiglia è fondato non già sulla proclamazione di qualche diritto soprannaturale da parte di nostro Signore e Salvatore, Gesù quando proclama le beatitudini o quando proclama lo spirito del Vangelo, carta magna del vangelo, capitoli 5 e seguenti in S. Matteo, Gesù dice: voi avete udito dagli antichi che fu detto così, ma Io però vi dico, vedete cari fratelli come cambia la legislazione, la legislazione antica non c’è più il Signore ha mandato il suo Spirito ed ecco, tutte le cose sono diventate nuove. Invece per quanto concerne il matrimonio, il Signore non dice: Mosè vi ha dato il libello di ripudio, ma io Cristo che non debba essere più così. Allora sì che il matrimonio come istituto indissolubile obbligherebbe solo i cattolici. Invece no, il matrimonio nella sua indissolubilità obbliga tutti gli uomini di buona volontà, in quanto uomini creature di Dio. Anche se non battezzati, anche se non, ahimè, redenti concretamente da Cristo tramite i sacramenti, anche se non appartenenti visibilmente alla Chiesa.

continua..........


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03/09/2009 11:43

Vedete, l’uomo in virtù della sua natura è stato creato da Dio in un modo tale da vivere in una famiglia indissolubile, nemmeno per diritto divino soprannaturale, né tanto meno ecclesiastico positivo, ma per diritto naturale di Dio, sancito dal Creatore stesso e promulgato nella posizione dell’essere della stessa natura umana. Orbene perché noi sosteniamo che il matrimonio sia un istituto indissolubile? Per un motivo molto importante, per la sua connaturale finalità. Il matrimonio, lo abbiamo già visto in base alla divina scrittura, ma lo sappiamo anche in base all’umana ragione, ebbene il matrimonio è specificamente proteso verso la donazione della vita, è proteso alla procreazione, alla generazione della prole. Ora voi ben sapete, fratelli cari, che la natura dell’uomo è diversa dalla natura degli animali inferiori. Certo quel darvinismo attuale cerca in qualche modo di cancellare queste sottili differenze, ma a me modestamente, non c’è bisogno di avere la fede nel Vangelo per capirlo, a me modestamente pare che la differenza fra essenza ed essenza, tra idea e idea, fra sostanza e sostanza, tra forma e forma è una differenza abissale. Quindi capite fra l’uomo ed ogni altro essere non dotato di razionalità, non dotato di un’anima immateriale, spirituale e per conseguenza immortale, la differenza fra l’uomo e ogni altro animale è una differenza abissale, una differenza che non si può superare semplicemente tramite l’evoluzione della materia per adattamento, per selezione, per mutazione e via dicendo.

Quindi solo l’intervento del Creatore stabilisce la differenza tra l’uomo creato, come dice la scrittura ad immagine e somiglianza di Lui, e tutto il resto del creato. La razionalità della nostra natura umana, la nostra spiritualità, la nostra libertà, il fatto che noi siamo soggetto di diritto e di dovere, cari fratelli, è cosa assolutamente essenziale e imprescindibile. Perciò oserei dire, ciò che c’è di paradossale nell’uomo, ma molto bello, consiste nel fatto che l’uomo è per natura sua, per natura creata da Dio, di natura tale da essere un essere culturale. Cioè l’uomo ha una cultura per natura, per natura è proteso verso una cultura. Non è determinato per natura ad unum, ad un’unica operazione determinata, per esempio non è determinato soltanto a procurarsi il cibo e a trasmettere la vita, l’uomo vive anche spiritualmente. Ecco perché tutti gli antropologi non possono fare a meno di constatare che nell’uomo, data la sua razionalità, gli istinti non sono determinati. Mentre gli animali imparano dai genitori pochi accorgimenti per sopravvivere e poi dopo si rendono indipendenti, l’uomo, essendo per natura un essere spirituale, che trascende cioè la natura non di ciò che è, cioè dell’essere, ma la natura dell’uomo materiale, l’uomo trascendendo la phisis, la fisicità delle cose materiali, l’uomo per la sua indole spirituale è un essere sempre da perfezionare. O in altre parole l’uomo è un essere sempre da educare. Ecco la ragione per cui l’uomo ha il diritto sovrano, santo diritto stabilito e sancito da Dio Creatore, ha il diritto ad avere i suoi genitori come punto di riferimento per tutta la sua via, i suoi genitori non devono mai mancare all’uomo se non proprio tramite la morte, allora è volontà del Signore. Altrimenti i genitori finché la morte non li separi, come si dice appunto, devono vivere uniti formando una sola famiglia per rispettare appunto il diritto della prole ad avere una famiglia.

Vedete appunto l’indissolubilità del matrimonio si fonda sul fine connaturale del matrimonio che è questa: dare una vita e non già una vita animale, ma una vita umana, una vita spirituale, una vita sempre educabile e sempre da educare, quindi una vita che ha sempre il diritto ad avere i propri genitori, finché la morte non li separi. Vedete, cari fratelli, come in qualche modo l’indissolubilità del matrimonio non è solo un capriccio della Santa romana Chiesa, ma è uno ius naturae, un diritto di natura fondato appunto nell’essenza stessa dell’uomo.

Ora la Santa Chiesa di Dio è consueta distinguere nelle finalità sociali del matrimonio, della famiglia un duplice fine. Per la verità il fine è triplice, ma quello del "remedium concupiscentiae" è un fine negativo. I fini positivi sono due: il fine primario è appunto il bonum prolis, cioè la trasmissione della vita, la famiglia è anzitutto finalizzata a questo, dare la vita. C’è un altro fine, detto fine secondario, ma a scanso di equivoci bisogna dire che quando la Chiesa usa la parola finis secundarius, non vuol dire un fine accidentale, un fine marginale, un fine che potrebbe anche non esserci, no, è un fine sempre essenziale, un fine sempre necessario, ma secondario, perché meno specifico quale fine, è mutuum adiutorium, il reciproco aiuto che gli sposi si danno. Ovviamente nel reciproco amore, quindi l’amicizia coniugale subentra in questo secondo posto. Quindi vedete due sono le finalità del matrimonio, una più specificamente biologica, procreazione, donazione della vita, il bene della prole. L’altra per così dire a servizio di questa, è la buona intesa dei coniugi, la pace della societas domestica, la pace della casa che accoglie la vita nascente. Vedete fine secondario, ma necessario, perché l’amicizia dell’umano genere può verificarsi anche senza la famiglia, senza il matrimonio. Invece ciò che il matrimonio ha di particolare, di peculiare, di specifico, ciò che lo definisce come matrimonio, come amicizia coniugale e quindi lo distingue da tutti gli altri tipi di amicizia è proprio questo suo essere proteso a donare la vita, a trasmettere la vita. Ecco dunque la ragione per cui S. Tommaso adopera una parola molto bella rispetto al matrimonio, all’amicizia coniugale, cioè dice: matrimonium est maximum quid in genere coniunctionis, il matrimonio è qualche cosa di supremo, qualche cosa di massimo, qualche cosa di eccellente nel genere della congiunzione e coniunctio significa nel contesto anche socialità. Quindi vedete il matrimonio è la società più alta che ci possa essere, vedete la società più umana, più connaturale all’uomo che ci possa essere. Perché la società, come diceva già Aristotele, deve essere animata più che da rapporti di giustizia, anche questo certamente, questi rapporti di giustizia come vedremo in seguito sono assolutamente fondamentali, il campo della vita sociale è anzitutto il campo in cui si esercita la virtù cardinale della giustizia, con tutte le virtù che le appartengono, tuttavia, prima ancora della giustizia, la società deve essere animata da quella che abbiamo già definito la volta scorsa come amicizia sociale, la filia degli antichi greci. Ora nel matrimonio la coniunctio est maxima, cioè la congiunzione è massima e perciò massima è nel matrimonio anche l’amicizia. Occorre sottolinearlo molto questo punto. Vedete, il matrimonio, ripetiamolo, è cosa importantissima ed oggi del tutto inconsueta, il matrimonio anzitutto è una società che poggia su una amicizia e siccome la congiunzione in quella società è la congiunzione massima, massima è anche l’amicizia che la fonda. Matrimonio è un che supremo nel genere della congiunzione e quindi dell’amicizia. Cosa interessante notare come l’amor benevolentiae, che quello che si esprime appunto nell’amicizia se è reciproco, vedete l’amicizia non è altro che un amor benevolentiae reciproco e di cui si è reciprocamente consapevoli. Così si definisce l’amicizia. Ora questo amor benevolentiae è una vis unitiva, una virtù, una forza di unione e dato che nel matrimonio quell’unione è connaturalmente l’unione somma, suprema, necessariamente anche l’amicizia matrimoniale è la somma di tutte le amicizie, la suprema di tutte le amicizie. Perché? Perché nel matrimonio, come sottolinea appunto S. Tommaso, nel matrimonio data la sua finalità procreativa, non c’è solo la congiunzione degli animi, ma anche la congiunzione individuante dei corpi. Vedete tutto l’uomo, questo non ha luogo in un’altra amicizia, solo nell’amicizia coniugale, data la specificità del suo fine procreativo, solo nell’amicizia coniugale avviene una unione completa, di tutto l’uomo sul piano spirituale e fisico e somatico. Vedete e questa unione a sua volta è individunte, nel senso dell’individuo che è come di un ché indiviso in sé e diviso da tutte le altre realtà. L’unità consiste in questa individualità se l’unità si porta all’estremo, vedete la perfetta unità è un’unità individuata, cioè un’unità che è indivisa in sé e divisa da ogni altra realtà.

Così deve essere, miei cari, secondo la volontà di Dio anche il matrimonio, tale deve essere la societas domestica. Ora siccome la famiglia secondo il diritto di Dio, secondo il diritto sancito dal Creatore, è ordinata connaturalmente alla procreazione, ebbene essa è regolata non solo, anche ma non solo, dal diritto positivo umano, ma prima di tutto ha già in sé alcuni dettami della lex naturalis Dei e questo differenzia la famiglia dalle altre società, associazioni, da altre forme della vita sociale umana che però non è vita sociale naturale, bensì artificiale. Vedete quindi la famiglia, e in questo lo stato moderno è estremamente inadempiente rispetto a questa realtà, la famiglia porta in sé determinate esigenze contro le quali lo stato non può prevaricare, compie un’ingiustizia se prevarica, diventa come abbiamo visto la volta scorsa, un corruttore della legge, non uno che promulga delle leggi, ma uno che corrompe le leggi in quanto tramite leggi positive si oppone al diritto naturale fondato da Dio.

Quindi manteniamo questo punto data la finalità naturale della famiglia, la famiglia forma una società altrettanto naturale, dotata di leggi che precedono (questo concetto di precedenza lo vedremo adesso molto spesso nel magistero della Chiesa, la famiglia ha delle leggi che precedono le leggi positive dello Stato. Ci sono determinate leggi che lo Stato non dà alla famiglia, lo Stato non può far altro e non deve fare altro che riconoscere queste leggi e promuoverle ulteriormente. Purtroppo non sempre questo succede).

Nella sua enciclica Casti Connubi il Papa Pio XI dichiara in base al catechismo romano ed anche in base al catechismo del concilio di Trento, dichiara che l’amore coniugale detiene, nell’ambito della famiglia, un certo primato di nobiltà. Questo contro l’accusa del fisicismo, perché spesso la morale cattolica viene accusata di fisicismo, voi cattolici vi fondate sulla legge naturale ed intendono per natura appunto la fisis, qualche cosa di materiale, mentre ovviamente non si tratta di questo, la natura nel contesto è piuttosto essenza, cioè natura come materia. Comunque questi tali accusano i cristiani di essere dei biologisti, dei fisicisti, che si fondono su cose materiali e che hanno perso la capacità di intravedere la elevatezza della vocazione umana al matrimonio, come un ché di spirituale. Ora Pio XI ribadisce che da un lato il primato di fondazione spetta ancora alla procreazione. Quindi indubbiamente il fine procreativo continua ad essere il fine primario in ordine di fondazione. Dall’altro lato però, per quanto concerne l’ordine di nobiltà, cioè l’ordine di perfezione, ordo perfectionis, precede invece l’amore coniugale, quell’altro fine che abbiamo visto nell’altro ordine era secondario. Ora il Papa ribadisce la necessità che la famiglia e la vita coniugale sia veramente una vita amicale. Sottolinea che il matrimonio non è fondato né su considerazioni di tipo dilettevole, amore passionale, sentimentale e tanto meno ancora su considerazioni di tipo utile, ci si sposa perché conviene per qualche motivo, no, ci si sposa onestamente per un solo motivo, non per trasporto passionale, non per qualche capriccio di sentimento che qualche giorno c’è e un altro giorno non c’è più e nemmeno per qualche meschina utilità. Ci si sposa per amor benevolentiae mutus et mutuo cognitus, cioè ci si sposa ancora per amicizia coniugale. Questo dovrebbe essere il fondamento del matrimonio. Purtroppo siamo ben lontani nell’educazione dei giovani a così alti ideali.

L’amicizia coniugale, questa amicizia ultimamente deve essere protesa alla cultura soprannaturale della carità e al perfezionamento dei coniugi nella loro vita spirituale. Il sacramento del matrimonio dà ai coniugi tutte le grazie necessarie per vivere bene questo loro stato di vita e come tutti i sacramenti, anche quello del matrimonio è finalizzato ad accrescere la vita spirituale di coloro che lo hanno ricevuto. Quindi i coniugi devono santificarsi a vicenda nel loro vivere famigliare e coniugale. Quindi il loro amore naturale, notate bene, non bisogna confondere le due dimensioni, famiglia, istituto naturale, è ulteriormente santificato dall’amore soprannaturale della carità, dalla vita di grazia, dalla vita dunque della perfezione cristiana, che ogni famiglia dovrebbe sommamente promuovere. Ora nell’ambito della famiglia, istituto naturale, elevato però questo istituto ad essere sacramento di Cristo e della sua Chiesa, S. Paolo, l’avete ben presente nella lettera agli Efesini, ci dice chiaramente che quale è rapporto tra marito e moglie, tale è il rapporto per analogia tra il Cristo e la sua Chiesa, quindi c’è una sacramentalità del matrimonio che si riferisce all’unione del Cristo e la sua Chiesa. Ora come la Chiesa è sottomessa al Cristo e come il Cristo ama la Chiesa, così S. Paolo chiama le mogli ad essere sottomesse ai loro mariti e i mariti ad amare le mogli. Tema al giorno d’oggi alquanto difficile da trattare, voi ben lo sapete miei cari, perché quando uno osa in ambienti anche solo un po’ femministi sollevare qualche dubbio che per natura dovrebbe essere così come ci dice sua Santità Pio XI nell’enciclica Casti Connubi e cioè che la moglie dovrebbe essere sottomessa al marito e i figlioli ad entrambi i genitori, quando si sente dire questo si trova scarsa accettazione presso coloro che ascoltano simili principi.

Ebbene, io so bene che voi in queste cose ci credete, c’è comunque un profondo malinteso fondamentale. Il Papa si premura di chiarirlo: non si tratta, come il mondo di oggi continuamente sospetta (vedete il mondo di oggi è stato tutto turbato da quella che oserei chiamare l’invidia sociale, l’invidia sociale è il motore di tutte le rivoluzioni, non direi che ne è il motivo, i motivi sono forse diversi, ma ne è comunque il motore, ecco perché le rivoluzioni sono così seguite, perché questo vizietto, anzi vizio tremendo, dell’invidia sociale è estremamente, largamente diffuso, è difficile difendersi davanti ad esso) allora questo uomo contemporaneo invidioso e geloso come è delle sue prerogative sociali, che cosa fa? Sospetta sempre di essere ingannato, di essere oppresso, di essere messo in disparte, capite miei cari. Allora quando si sente: voi mogli sottomettetevi ai vostri mariti, allora ecco le femministe subito pensano che saranno schiavizzate, sottoposte ad una truce schiavitù e via dicendo. Non è questo, S. Paolo stesso nella lettera agli Efesini lo dice con estrema chiarezza, parla di un amore di amicizia, di un amore reciproco, nel quale però non è affatto escluso un ordine.

Vedete, miei cari, è questo il punto fondamentale. La mentalità contemporanea, come giustamente ci è stato ricordato da sua Santità Pio XII, è la mentalità luterana. È iniziato con questo, o la Chiesa o il Cristo, sei con il Cristo, sei contro la Chiesa, poi o con Dio o con Cristo, se sei con Dio dovevi essere contro il Cristo, perché il Cristo non permette ovviamente che tutte le religioni si incontrino nell’unica indifferenza relativistica, vedete. Allora si esclude anche il Cristo, poi si esclude infine Iddio, vedete la mentalità dialettica dell’aut- aut. Invece la mentalità cattolica è la mentalità analettica del "et-et", e una cosa e l’altra, e Cristo e Dio, e Cristo e la Chiesa, e amore e sottomissione. D’altra parte cardinal Caietano dice una cosa molto bella rispetto al rapporto che c’è fra l’uomo e Dio. Perché noi chiamiamo nella più bella preghiera che sia mai stata composta su questa terra, la preghiera che lo stesso Salvatore ci ha dato in eredità, in quella preghiera perché noi ci rivolgiamo a Dio chiamandolo: Pater noster, qui es in coelis? È nostro padre. Allora dice appunto il Gaetano, come tra padri e figli non c’è rapporto di schiavitù, perché appunto già gli antichi romani già distinguevano tra appunto servi e liberi, liberi equivalenti appunto a bambini, perché i bambini si chiamano liberi? Perché pur essendo appunto sotto la patria potestà, non sono però schiavi. Vedete quindi che la sottomissione non significa schiavitù, checché ne dicano tutte le ideologie rivoluzionarie? C’è una sottomissione santa che avviene nell’ambito dell’amore e proprio per realizzare perfettamente l’amore. Così un uomo che pretendesse di essere amico di Dio, senza essergli figlio, sarebbe un prevaricatore e cesserebbe di essere anche amico del Signore. Quindi è cosa estremamente importante che ci sia nel matrimonio da un lato una profonda reciproca amicizia, proprio quel volersi bene a vicenda, però nel contempo che ci sia anche la reciproca sottomissione. Reciproca perché anche gli uomini devono amare le mogli, le mogli devono sottomettersi nell’amore ai loro mariti e i figlioli devono essere sottomessi ad entrambi i genitori.

Ora dice appunto sua Santità Pio XI che questa sua affermazione che d’altronde non è altro che la stessa di S. Paolo agli Efesini, non toglie quella giusta libertà che spetta alla donna in virtù della sua intrinseca dignità e in virtù altresì dei suoi elevatissimi offici di sposa e di madre. Se le femministe fossero più attente alla lettura del compendio dei dogmi della Santa Romana Chiesa di Schent…. Si sarebbero rese conto che non c’era nemmeno bisogno della Mulieris Dignitatem, per dichiarare che la Chiesa ha dato da sempre alla donna un ruolo preminente nella famiglia, anche al di fuori della famiglia, ma soprattutto nella famiglia. Quindi dice appunto il Santo Padre Pio XI che tutto quel discorso della sottomissione non toglie per nulla la dignità intrinseca della donna, né tanto meno i suoi offici elevatissimi di sposa e di madre, vuole però togliere di mezzo illam licentiam, quae familae bonum non curat, quel modo licenzioso che trascura il bene della famiglia, vetat in hoc familiae corpore cor separari a capite, la nostra dottrina cattolica vieta che in questo corpo sociale della famiglia, società domestica, il cuore sia separato dal capo e il capo sia separato dal cuore. Vedete, cari fratelli, come il capo ha una preminenza per così dire di governo, così però il cuore ha una preminenza di fondazione, il cuore è più fondamentale per quanto concerne...

( finita la cassetta)



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