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S.Kolbe con l'Immacolata contro i Massoni e i nemici della Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 03/09/2009 17:53
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03/09/2009 17:33

Cap. V

COME E DOVE COMBATTERE


Se combattere è un dovere per tutti e ideale per tanti, è necessario, allora, chiedersi come combattere, non solo per adempiere fedelmente tale dovere, ma anche al fine di conseguire successo nella lotta. Si combatte, infatti, per vincere, per annientare o togliere all'avversario ogni capacità e possibilità di nuocere. Chiedersi, quindi, come combattere, è chiedersi quali sono i metodi, i fronti, le armi da impiegare, ecc. nella battaglia. Naturalmente, nella lotta per le idee, accade un po' come nelle battaglie cruente degli uomini: si ricercano, cioè, e si adoperano, a seconda anche di più o meno felici intuizioni o di più o meno provvidenziali illuminazioni e circostanze, le armi che siano più micidiali per l'avversario da vincere o più idonee al fine da raggiungere.

P. Kolbe come intende portare avanti la sua battaglia per la conquista del mondo all'Immacolata?... La risposta potrebbe riassumersi in poche parole: con una prepara­zione meticolosa fino allo scrupolo, e con un'azione decisa e irruente fin quasi alla temerarietà.



1. Necessità di una accurata preparazione. [SM=g28002]

P. Kolbe esige, nel combattente le battaglie di Dio e per ogni azione singola di battaglia, una preparazione meticolosa: un'accurata preparazione intellettuale e morale, psicologica e spirituale.

a) La preparazione intellettuale e morale. Il Concilio Vaticano II, a proposito della formazione sacerdotale, ha insistito affinché il futuro sacerdote conosca, tra l'altro, anche, sufficientemente le «correnti filosofiche moderne, specialmente quelle che esercitano maggiore influsso nel loro paese... Così i seminaristi, provvisti di una adeguata conoscenza della mentalità moderna, potranno opportuna­mente prepararsi al dialogo con gli uomini del loro tempo». P. Kolbe, già nel 1920, scrivendo appunto a dei chierici che si preparavano al sacerdozio e, perciò, alle lotte per Dio e la verità, li metteva in guardia a non trasformare la Milizia dell'Immacolata in un'associa­zione o accademia letteraria o artistica, ma a prepararsi alla lotta con una profonda conoscenza degli avversari, e facendo ricorso a tutte le armi più efficaci naturali e soprannaturali: «I membri (della M. I.) procurino di conoscere bene le odierne correnti antireligiose, i fonda­menti della fede, il socialismo, il bolscevismo, la masso­neria, il protestantesimo, ecc. e imparino ad agire contro di essi». E aggiungeva: «Credo che la M. I. si debba mantenere su una strada difficile e dura, ma vantaggiosa, nello sforzo di conoscere gli errori, i pregiudizi antireli­giosi - oggi così largamente disseminati - la loro natura, le conseguenze deleterie, i metodi di propaganda, i loro rappresentanti e nel modo di agire contro di essi, nel modo di salvare tante anime che si perdono; e non si trasformi in un'associazione letteraria o artistica, perché fallirebbe lo scopo. Il periodo del chiericato è breve e la materia da apprendere è abbondante, occorre quindi utilizzare bene il tempo. Per esperienza personale so che non è lo stesso imparare qualche cosa per la scuola ed essere preparati ad esporre un problema in modo convin­cente ad ogni persona, di qualunque ceto sociale. Perciò, che Iddio non permetta - concludeva - che un membro della M. I., trovandosi in qualsiasi luogo, in società o in treno, possa rispondere a qualche obiezione contro la religione solamente con una risposta superficiale tale da indebolire la fede degli ascoltatori. E casi simili sono suc­cesssi e proprio tra i sacerdoti». Dettagliando ancora di più P. Kolbe dirà: coloro che vogliono combattere devono prepararsi studiando la causa dell'Immacolata (...);

b) studiando contemporaneamente i movimenti anti­religiosi del nostro tempo, le loro fonti, i loro metodi, gli effetti, ecc. distinguendo in tali movimenti quanto v'è di bene e quanto v'è di male in essi: non vi è altro modo più efficace per estirpare un movimento cattivo che conoscere quanto contiene di bene e applicarlo subito alla nostra causa. L'aver trascurato un tale metodo, ha provocato i deplorevoli avvenimenti del Messico e della Spagna;

c) esercitandosi fin d'ora secondo le proprie pos­sibilità (preghiere, mortificazioni, ecc.) per questa causa;

d) preparando un piano d'azione per il futuro.

Preparazione spirituale. Appartiene alla preparazione spirituale quell'esercizio di umiltà che è, insieme, convin­cimento della propria miseria e sconfinato abbandono nelle braccia di Dio. Chi combatte, cioè, deve prima di tutto essere per­suaso che non è niente e non è capace di fare nulla con le proprie forze. P. Kolbe lo sottolinea in una bella pagina, dove si evidenzia appunto il profondo contrasto tra la potenza dei nemici e la nostra debolezza e insuffi­cienza: «Da noi (...) non siamo capaci di far nulla, ad eccezione soltanto del male, il quale è appunto mancanza di bene, di ordine, di forza. Se riconoscessimo questa verità e volgessimo lo sguardo a Dio, del Quale rice­viamo in ogni istante tutto ciò che abbiamo, vedremmo subito che Egli, Dio, può darci anche di più e che Egli, quale ottimo Padre, desidera darci tutto quello di cui abbiamo bisogno».

In un altro testo, P. Kolbe, da esperto maestro di spirito, fa vedere come questa persuasione sia difficile ad aversi, giacché una falsa umiltà potrebbe camuffare otti­mamente questa deficienza: «Come opporsi a ciò? (= alle mene isidiose della massoneria). In simili circostanze potrebbe sembrare indice di umiltà il riconoscimento della propria impotenza, sul tipo della frase: «Non sono capace di correggermi». Invece vi si annida una superbia velata. E in che modo? Ebbene, in molti casi, tali persone rico­noscono di essere capaci di fare una cosa o l'altra, mentre non sono in grado di dominare questo o quel difetto, queste o quelle circostanze. Tutto ciò dimostra soltanto che essi contano unicamente sulle proprie forze e credono di esser capaci di fare una cosa o l'altra unicamente entro i limiti delle proprie forze. Ma questo non è vero, è una menzogna, poiché con le nostre proprie forze, da noi soli, senza l'aiuto divino, non siamo capaci di far nulla, assolutamente nulla (cf. Gv. 15, 5). Tutto ciò che siamo e qualunque cosa abbiamo o possiamo fare, l'ab­biamo da Dio, e lo riceviamo da Lui in ogni istante della vita, poiché il permanere nell'esistenza non è altro che ricevere continuamente tale esistenza. Se riconoscessimo questa verità (...), vedremmo subito che Egli, Dio (...) desidera darci tutto quello di cui abbiamo bisogno. Ma quando un'anima attribuisce a se stessa ciò che è dono divino, può forse Dio ricolmarla di grazie? In tal caso Egli la confermerebbe nella sua opinione falsa ed arrogante».

Senso della propria nullità, dunque, accompagnato da sconfinata fiducia in Dio: «Noi abbiamo fiducia che, se ci preoccuperemo solo di compiere la sua volontà, non ci potrà capitare alcun vero male, anche se dovessimo vivere in tempi mille volte più difficili di quelli attuali». Certo, aggiunge: «per quanto dipende da noi bisogna fare tutto ciò che è possibile per eliminare le difficoltà sul cammino della nostra vita, ma senza inquietudine, senza angoscia e, più ancora, senza disperata incertezza. Questi stati d'animo, infatti, non solo non aiutano a sciogliere le difficoltà, ma ci rendono incapaci di una saggia, pru­dente e rapida operosità». P. Kolbe, certo parla, prin­cipalmene e direttamente, di stati d'animo di ogni cri­stiano, ma le parole suddette non valgono meno per quelli che sono impegnati nella lotta.

Ma, parlando di preparazione spirituale, bisogna dire che alla lotta ci si prepara soprattutto imparando a vivere una intensa vita interiore di grazia. L'azione, infatti, o è sovrabbondanza di cuore o è chiasso che batte l'aria e presto si dilegua. P. Kolbe lo sottolineerà con forza, scrivendo a dei chierici impegnati, in qualche modo, nel­l'apostolato: Il periodo di lavoro attuale costituisce solo un tempo di preparazione alla lotta futura sotto lo stendardo dell'Immacolata. È una missione di altissimo valore e non è facile. Nella vostra attività, pertanto, dovete porre la massima attenzione anzitutto alla vostra vita inte­riore. Invano potreste esercitare i vostri intelletti, invano riempireste la mente con innumerevoli, belle e indispensa­bili nozioni, qualora vi dovesse mancare un interiore, filiale rapporto con l'Immacolata, Madre, Regina, Con­dottiera e speranza nostra». E ancora: «L'attività esterna è buona, ma, ovviamente, è di secondaria impor­tanza e ancora meno in confronto con la vita interiore, con la vita di raccoglimento, di preghiera, con la vita del nostro personale amore verso Dio». Vita interiore o vita di grazia, che è «interiore, filiale rapporto». Non meravigli che, parlando di vita interiore, si parli di Dio e dell'Immacolata pure. Il rapporto di Maria con la storia della nostra salvezza non si esaurisce in puro rapporto esterno: Maria entra, con Dio, nell'intimo del nostro cuore, per vivificarlo e salvarlo. D'altra parte, come poter lottare per l'Immacolata, senza un profondis­simo legame affettivo di cui l'azione è, appunto, espres­sione ed irradiazione?

Preparazione psicologica. È evidente che ogni animo preparato, intellettualmente e affettivamente, possiede già la preparazione psicologica. E, cioè, l'animo, illuminato e pieno di entusiasmo, è già pronto... E, tuttavia, se ne diciamo una parola a parte, è precisamente per sottoli­neare che la preparazione consiste anche nel disporsi a volere, nell'inclinare la volontà al fine. Che se a fare questo servono ottimamente la conoscenza e la vita interiore, ecc., non sono inutili anche gli inviti e le spinte dal di fuori. Era per questo che P. Kolbe non perdeva occasione per ripetere: «Prepariamoci alla lotta - scriveva al fratello P. Alfonso - per salvare e santificare la nostra anima e il maggior numero di altre anime; prepariamoci a soffrire e a lavorare; ci riposeremo dopo la morte». Che se il disporsi con la volontà è importante per ogni impresa da affrontare, non è meno importante arrivare alle profonde convinzioni. L'uomo si muove secondo le persuasioni o convinzioni che possiede, e cioè secondo le idee più o meno incarnate, e perciò più o meno capaci di spingere all'azione. Più l'idea, infatti, si radica, impa­dronendosi dell'essere, e più l'azione diviene non solo possibile, ma anche irruente irresistibile. Gli apostoli o i lottatori della tempra di P. Kolbe si comprendono bene quando si leggono queste parole: «Sappiamo degli ossessi, indemoniati, per i quali il diavolo pensava, par­lava, agiva. Noi vogliamo essere così e più ancora, illimi­tatamente ossessi da Essa, che Essa stessa pensi, parli, agisca per mezzo di noialtri. (...) Essa è di Dio fino a diventare sua Madre e noi vogliamo diventare la madre che partorisca, in tutti i cuori che sono e saranno l'Imma­colata». Senza questa «ossessione», e cioè con uomini che credono e non credono in quello che fanno, si con­clude ben poco. L'esperienza di secoli ci dice quanta ragione ha P. Kolbe di insistere su questo elemento psi­cologico che, sotto certi aspetti, è più importante delle stesse armi da impiegare nella lotta.

Ovviamente, tale preparazione psicologica suppone un insieme di fattori e di elementi che non è qui il caso neanche di accennare. Ci basti averne sottolineata l'im­portanza.

b) Il piano d azione. Importante è la preparazione del combattente, ma non meno importante quella per un piano d'azione, il progetto, cioè, o disegno di quello che si intende fare in un determinato momento storico o in certo settore e circostanza, per la causa dell'Immacolata. È evidente che un piano di azione, per essere vera­mente valido, più che concepirlo a tavolino, deducendolo quasi da principi e verità eterne - pur se da questi non si può e non si deve mai prescindere! -, deve scaturire dalle stesse esigenze o situazioni nelle quali o per le quali si intende lottare. Un valido piano d'azione, detto in breve, deve perciò saper rispondere, adeguatamente, per quanto possibile, alle più impellenti instanze e attese; sapersi opporre e neutralizzare le mossse avversarie, boi­cottare il male e appoggiare il bene e tutte le iniziative buone. Il che è possibile, in più o meno grande misura, se ci si attiene a quanto lo stesso P. Kolbe ha insegnato nei due testi citati. La bontà di un piano d'azione, debitamente attuato, sarà innegabile se porterà alla salvezza e, per quanto possibile, anche alla santifica­zione delle anime, attraverso l'Immacolata. Sarà compito dello stratega scegliere, tra le tante possibili vie, quella che più facilmente e più sicuramente, porta alla vittoria.

c) II «modo» di combattere. Un piano di battaglia - anche il più geniale e fascinoso - potrebbe fallire senza un conveniente modo di combattere. Quale deve essere il «modo», nella battaglia di Dio?... È quello con­trassegnato, tra l'altro, da prudenza e amore, umiltà e docilità.

E, cioè, bisogna saper combattere sempre con: prudenza. La prudenza, discernendo «nemico» da «nemico», situazione da situazione, suggerirà questo o quel metodo, questa o quell'arma, spingerà all'azione o consiglierà l'attesa, ecc. La prudenza è, senza dubbio, ele­mento determinante della lotta. P. Kolbe vi accennerà non una volta sola. Così, per es., a proposito degli Ebrei: «Quanto agli Ebrei, io sono del parere che sia necessario darsi da fare seriamente anche per convertirli, però con prudenza, con molta prudenza». Prudenza che consi­sterà, tra l'altro, nel non fomentare mai rancori o nel ravvivare e incentivare quelli che già esistono a loro riguardo: «Io farei molta attenzione a non suscitare per caso o a non approfondire maggiormente contro di essi l'odio nei lettori, che sono già tanto maldisposti o talvolta addirittura ostili nei loro confronti. In via generale, mi darei da fare maggiormente per lo sviluppo del commer­cio e dell'industria polacchi, piuttosto che scagliarsi con­tro gli ebrei. Evidentemente, in certi casi essi si fanno guidare dalla malafede, allora sarà necessario procedere con maggiore energia, senza mai dimenticare, tuttavia, che il nostro principalissimo scopo è sempre la conver­sione e la santificazione delle anime, vale a dire la conqui­sta di esse all'Immacolata, l'amore verso qualsiasi anima, compresi gli ebrei, i massoni, gli eretici e così via». La prudenza, magari, suggerirà, a volte, di conten­tarsi di piccoli passi o approcci invece di spiegare un'azione aperta, ma controproducente in quel caso. Così sarà la prudenza, oltre che la fede e l'amore, a suggerire, all'occasione, di aprire anche solo una piccola breccia negli animi più restii. E ciò tanto più che, conoscendo la sconfinata bontà dell'Immacolata, anche un piccolis­simo passo di buona volontà potrà mettere in moto la di Lei misericordia. Così, egli esorta a che i «nemici» facciano o sopportino qualcosa per l'Immacolata, anche la cosa più piccola, come portare una medaglia, e la brec­cia è già fatta.

Con la prudenza deve accompagnarsi soprattutto una sconfinata carità che, all'occorrenza, è dolcezza e fer­mezza, bontà e chiarezza di verità. La carità non toglie affatto vigore all'apostolato e alla lotta, ma piuttosto cen­tuplica le forze di opposizione al male. P. Kolbe ha, in merito, testi molto belli e significativi. Eccone solo qual­cuno: «Occorre lottare con (...) una grande dolcezza e bontà, quale riflesso della bontà dell'Immacolata. Quelle persone che cercano la felicità fuori di Dio, sono degli infelici che, avvolti nel peccato e nei vizi, inseguono la felicità cercandola dove non c'è e dove non la possono trovare». «Il tono della rivista (Rycerz Niepokalaneja) sarà sempre amichevole verso tutti, senza badare alle diversità di fede e di nazionalità. La sua nota caratteristica sarà l'amore, quello insegnato da Cristo. E proprio con questo amore verso le anime smarrite, ma che pure sono alla ricerca della felicità, essa farà di tutto per stigmatiz­zare la menzogna, per mettere in luce la verità e per indicare la vera strada verso la felicità». Un amore che non toglie affatto vigore, anzi lo rende più bruciante, contro l'errore e il peccato: «Per amore verso i malvagi perseguitiamo, con tutta l'energia di cui siamo capaci, tutte le loro scellerate iniziative, indirizziamo questi cuori verso l'Immacolata».

L'amore significherà, possibilmente, tatto delicato che non esaspera e inasprisce le ferite e la sofferenza: «Quando si presenta l'occasione di richiamare l'attenzione della società o delle autorità su qualche male, farlo con amore verso la persona che lo ha compiuto e con delica­tezza. Non esagerare, non entrare nei dettagli del male più di quanto è necessario allo scopo di porvi rimedio».

I motivi che giustificano questo comportamento sono tanti. Non si tratta solo del rispetto per la persona, già così determinante, è anche pietà sincera per chi, molto spesso, è nell'errore solo per fattori ambientali, storici, ecc. ecc., e quindi in buona fede. Molti di quelli, infatti, che combattono la verità, non sono affatto milintenzionati e perversi, ma solo anime che hanno bisogno di com­prensione. A proposito, ancora una volta, degli Ebrei e di certi loro inaccettabili comportamenti, P. Kolbe così si esprime: «Ciò non vuol dire che anche tra gli Ebrei non si possano trovare persone dabbene, e neppure che tra gli iscritti nella lista degli atei vi siano soltanto per­sone rimbecillite e tanto meno che tra i fautori dell'insen­sata moda del pugno alzato contro il prossimo o contro il Creatore, non vi siano altro che arrivisti (...). Insomma - conclude P. Kolbe - i meri mascalzoni, i malintenzio­nati che peccano con piena consapevolezza, sono relativa­mente pochi (...). Queste povere persone, pertanto, hanno bisogno di luce, di molta luce, di molta energia sopranna­turale; sono degli infelici, degli scontenti». Assoluta disponibilità e conformità alla volontà di Dio. Prudenza, carità sono già disposizioni e comporta­menti di vittoria. Ma chi combatte le battaglie di Dio deve soprattutto sapersi adeguare, in perfettissima umiltà e pazienza, alla volontà di Dio che conduce gli eventi. Di fronte al male dilagante e ai successi dei perversi, la tentazione dell'impazienza o del ricorso ai mezzi non ortodossi, è facile; come è facile la tentazione di ritenere troppo lenta la condotta di Dio, che, a giudizio del­l'uomo, dovrebbe schiacciare tutti i prepotenti e i perse­cutori. Logica ristretta e umana, afferma P. Kolbe: «La Sapienza eterna (...) giudica in modo diverso. Le persecu­zioni purificano le anime come il fuoco purifica l'oro, le mani dei carnefici creano le schiere dei martiri, mentre più di una volta, alla fine di tutto, i persecutori sperimen­tano la grazia della conversione. Da ciò - aggiunge subito P. Kolbe - non consegue affatto che noi dob­biamo incrociare le braccia e permettere ai nemici delle anime degli uomini di ballare liberamente. Niente affatto.

Tuttavia... tuttavia... noi non vogliamo correggere la Sapienza infinita, dirigere lo Spirito Santo, ma ci lasciamo condurre da Lui». È tutta qui la strategia infallibile di P. Kolbe: la battaglia contro il male la conduce Dio stesso, e noi siamo, non possiamo essere che gli strumenti e i cooperatori. È proprio il lasciarsi condurre dall'alto che porta infallibilmente alla vittoria. La logica di P. Kolbe è semplice, ma irrefutabile: «Immaginiamo di essere un pennello nella mano di un pittore infinitamente per­fetto. Che cosa deve fare il pennello affinché il quadro riesca il più bello possibile? Deve lasciarsi dirigere nel modo più perfetto. Un pennello potrebbe ancora avanzare delle pretese di miglioramento da parte di un pittore ter­reno, limitato, fallibile, ma quando Dio, la Sapienza eterna, si serve di noi quali strumenti, allora saremo il massimo, nel modo più perfetto, purché ci lasciamo gui­dare in modo perfettissimo e totale». Come si vede P. Kolbe non ha dubbi: lasciarsi guidare, e cioè, pratica­mente, la via dell'obbedienza all'autorità, rappresentante di Dio, è la via sicura anche della vittoria, rivelataci da Dio stesso. «Qual'è - scrive a suo fratello Fr. Alfonso - il modo migliore per rendere a Dio la maggior gloria possibile e guidare alla santità più eccelsa il maggior numero di anime? Senza dubbio Dio stesso conosce meglio di noi un «tale modo» perché onnisciente, infinita­mente sapiente. Lui, e Lui solo, Dio onniscente, sa che cosa possiamo fare in ogni momento per rendergli la maggior gloria possibile. Da Lui, pertanto, e solamente da Lui possiamo e dobbiamo imparare «tale modo». Ma come rivela Dio la propria volontà? Per mezzo dei suoi rappresentanti qui sulla terra. L'obbedienza, quindi, e solo la santa obbedienza ci manifesta con certezza la volontà di Dio». Il lasciarsi guidare da Dio, a mezzo dei superiori legittimi, porta alla vittoria e cioè alla sicura sconfitta dei nemici, perché, praticamente, innalza la nostra pochezza e debolezza alla sapienza stessa e fortezza di Dio. «Per mezzo dell'obbedienza noi ci innalziamo al di sopra della nostra pochezza e possiamo agire conforme a una sapienza infinita (senza esagerazione), alla sapienza divina... Iddio ci offre la propria infinita sapienza e pru­denza, affinché esse guidino le nostre azioni: questa è grandezza... Non è vero che così noi santifichiamo nel migliore dei modi il più gran numero di anime?».

Il combattente, che si lascia guidare, arriva alla vitto­ria perché, oltre a partecipare alla sapienza divina, riu­scendo a capire quindi la via da seguire per conseguire la vittoria, partecipa anche alla stessa onnipotenza di Dio al Quale niente e nessuno può resistere: «E questo non è tutto; per mezzo dell'obbedienza diventiamo infinita­mente potenti: chi, infatti, può resistere alla Volontà di Dio?». P. Kolbe può, quindi, concludere: «questa e solo questa è la via della sapienza, della prudenza e della potenza infinita, e il modo di rendere a Dio la maggior gloria possibile. Se esistesse una strada diversa, migliore, Gesù con la parola e con l'esempio ce l'avrebbe indicata. I trent'anni della sua vita nascosta sono descritti semplice­mente così nella sacra Scrittura: «E stava loro sottomesso» (Lc 2, 51); ugualmente, per quanto riguarda l'intera vita di Gesù, leggiamo spesso nella sacra Scrittura che Egli era venuto in terra per adempiere la volontà del Padre Celeste (Gv 4, 34; 5, 30; Ebr 10, 9)».



2. I mezzi e le armi da impiegare.

Quali i mezzi e quali le armi, secondo P. Kolbe, da impiegarsi, per una lotta vittoriosa al male? Evidente­mente, trattandosi di guerra spirituale, sono da impie­garsi, prima di tutto, non le armi carnali o materiali, ma:

a) Armi spirituali soprannaturali: «La nostra battaglia, infatti, - avverte San Paolo - non è con creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti». E necessaria l'«armatura di Dio» dell'ordine dello spi­rito, non solo, ma anche dell'ordine soprannaturale. Armi soprannaturali richieste, oltre tutto, dalle particolari con­tingenze storiche in cui viviamo: «I tempi presenti - afferma P. Kolbe - sono eccezionalmente dominati da satana... E la lotta con satana non la può affrontare l'uomo, nemmeno il più geniale...». Ciò equivale a dire, in pratica, che solo con la grazia di Dio si può efficacemente combattere e sperare di ottenere vittoria. P. Kolbe è, in proposito, più che mai esplicito: «La con­versione e la santificazione di un'anima» - a questo si riduce, in effetti, tutta la lotta contro il peccato e i nemici! - «è stata, è e rimarrà sempre opera della grazia divina. Senza la grazia di Dio non si può operare nulla in questo campo, né con la parola viva, né con la stampa, né con nessun altro mezzo esteriore». E perciò: «Se si facesse affidamento solo sull'energia, sull'attività e sullo sforzo provenienti dalla natura, si dovrebbe giustamente dubitare della possibilità di raggiungerlo (= lo scopo della vittoria). L'esperienza quotidiana, infatti, insegna che i nemici della Chiesa hanno mezzi naturali più abbondanti e sovente, anche, secondo le parole del Cristo, sono più scaltri dei figli della luce (...). Inoltre, per ottenere la conversione e la santificazione è necessaria la grazia, men­tre la natura corrotta è incline, già di pe sé stessa, verso il peccato. Di conseguenza si può contare soltanto su un aiuto dall'alto».

Naturalmente, come già si è avuto occasione di notare, sottolineare l'essenzialità e l'assoluta importanza della grazia, non significa rinunzia, del tutto, ai mezzi e armi naturali. Si vuol dire, semplicemente, che non bisogna sopravalutare quello che è solo secondario, e che diviene efficace solo per aiuto dall'alto; e, anche, che, tra i mezzi più adatti allo scopo, occupano il primo posto, non tanto l'azione o l'organizzazione o il danaro per es., quanto la preghiera, la penitenza, ecc., e cioè tutte quelle realtà che dispongono o ottengono abbondanza di grazia dal cielo. Così egli può affermare, in sintonia perfetta con tutta la tradizione ascetica cristiana: «(La grazia) per noi stessi e per gli altri (...) noi l'acquistiamo con l'umile preghiera, con la mortificazione e con la fedeltà nel com­pimento dei nostri doveri ordinari, compresi quelli più semplici. Quanto più l'anima stessa è vicina a Dio tanto più è gradita a Dio; quanto più ella Lo ama ed è amata da Lui, tanto più efficacemente ella è in grado di aiutare anche altri ad ottenere la grazia divina, tanto più facil­mente e pienamente la sua preghiera è esaudita».

E infatti: la preghiera, prima di tutto, è espressione di un'a­nima bella. In effetti, tra le tante azioni materiali, l'uomo solo nella preghiera eleva «il cuore verso il paradiso ed entra in conversazione con il Creatore dell'universo, con la causa prima di tutto, con Dio». [SM=g28002]

Con la preghiera l'uomo ottiene la grazia, perché, allo stesso tempo che confessa la sua pochezza, esprime fiducia e speranza in Dio che è onnipotente. La preghiera che è, per così dire, la forza stessa di Dio nelle mani dell'uomo, ottiene praticamente tutto:

Si penetra nei misteri di Dio e si approfondisce il mistero dell'Immacolata: «L'umile fiduciosa ed amorosa preghiera infonde lume all'intelletto e dà forza alla volontà». Mentre «chi non è capace di piegare le ginocchia e di implorare da Lei, in un'umile preghiera, la grazia di conoscere chi Ella sia realmente, non speri di apprendere qualcosa di più su di Lei».

Si ottiene la grazia che infiamma i cuori e piega le volontà, determinandone la conversione: «La preghiera è un elemento principale nel lavoro per le conversioni delle anime, perché la conversione è una grazia, la quale biso­gna ottenere colla preghiera».

Si ottengono gli aiuti necessari a risolvere tutte le situazioni, anche le più incresciose e difficili, della vita: «Per tutte le preoccupazioni e i guai (...) forse il rimedio più efficace sarà la preghiera».

Si ottiene la forza per opporsi vittoriosamente a satana e a tutti i nemici dell'anima: «Occorre pregare affinché egli (= il diavolo) non riesca a ingannare le anime, particolarmente quelle religiose...». Come sarà necessaria la preghiera per sapere come muoversi contro i nemici e quali piani efficaci elaborare contro di essi: «La (= l'Immacolata) pregheremo spesso di illuminarci su ciò che dobbiamo intraprendere e come dobbiamo operare; inoltre ci rivolgeremo a Lei per impetrare l'ener­gia necessaria per compiere, per Lei, anche le azioni più difficili ed eroiche».

In pratica, dunque, «... Soprattutto la preghiera è l'arma più efficace nella lotta per la libertà e la felicità delle anime»; molto più efficace di qualsiasi azione, anche la più illuminata e geniale, anche se diversa, pur­troppo, è la persuasione del mondo e degli stessi cattolici meno illuminati. «Ai cattolici meno istruiti - dice lui - circa l'opera di perfezionamento dell'anima, purtroppo, molto spesso sembra il contrario. Il lavoro, l'azione: ecco, secondo la loro idea, il fulcro dell'attività. Tuttavia non è così. La preghiera, soprattutto la preghiera è l'arma efficace nella lotta per la libertà e per la felicità delle anime». E perché?... Perché solamente i mezzi soprannaturali conducono ad un fine soprannaturale. Il paradiso, vale a dire, se è lecito esprimersi così, la divi­nizzazione dell'anima, è una realtà soprannaturale nel pieno significato del termine. Di conseguenza, non lo si può raggiungere con forze naturali. E questa la si ottiene con la preghiera umile e fiduciosa. La grazia, solamente la grazia che illumina l'intelletto e che rafforza la volontà è la causa della conversione ossia della liberazione dell'a­nima dai legami del male».

Che se la preghiera ottiene ogni grazia e risolve, praticamente, ogni problema, vuol dire che essa «è la più grande potenza dell'universo, capace di trasformare e di cambiare la faccia del mondo». Purtroppo «I nostri contemporanei, eccessivamente presi da problemi materiali, si dimenticano della preghiera. Dal mattino alla sera, come in un esorcismo, essi sono ossessionati solo dalla brama del guadagno...»; mentre «in tutti i santi la preghiera occupa un posto di primo piano». Un mezzo o un'arma sconosciuta, e tuttavia «il più efficace per ristabilire la pace nelle anime, per dare ad esse la felicità, poiché serve per avvicinarle all'amore di Dio. La preghiera fa rinascere il mondo. La preghiera è la condi­zione indispensabile per la rigenerazione di ogni anima».

Assieme alla preghiera: l'amore di Dio. I favori dei potenti sono ottenuti soprattutto da coloro che più stanno loro vicino: un prin­cipio che ha valenza non meno con Dio. Il grande dono della grazia la ottiene chi più Gli si avvicina con l'amore, chi più Gli diviene amico. E, infatti, cosa non fa Dio per i suoi amici, i santi! Non è Egli sempre pronto a soddisfare le loro richieste ed ogni loro desiderio, per glorificarli? P. Kolbe si muove proprio nella logica di questo principio, che poi, in fondo, è convalidato da comunissima e provatissima esperienza: «Quanto più l'anima stessa è vicina a Dio tanto più è gradita; quanto più ella Lo ama ed è riamata da Lui, tanto più efficace­mente ella è in grado di aiutare anche altri ad ottenere la grazia divina, tanto più facilmente e pienamente la sua preghiera è esaudita». Essendo, infatti, l'amore osser­vanza della legge, donazione, santità, possessione di Dio, è perciò perfezione, vicinanza e intimità con Dio, che tutto ottiene. Amore di Dio che, se genuino, è anche e sempre pure amore al prossimo. L'amore di Dio, cioè, si riversa, per sua natura e per volere di Dio, in tutti gli uomini, per essere loro grazia e salvezza. Un amore che si riversa sul prossimo per motivi ben diversi da quelli comuni e interessati. «Amare il prossimo, ma non per il fatto che esso è "simpatico", utile, ricco, influente o solo perché riconoscente. Sono motivi troppo meschini, indegni di un milite o di una milite dell'Immacolata. L'amore autentico si eleva al di sopra delle creature e si immerge in Dio: in Lui, per Lui e per mezzo di Lui ama tutti, buoni e cattivi, amici e nemici. A tutti tende una mano piena d'amore, per tutti prega, per tutti soffre, a tutti augura il bene, per tutti desidera la felicità, poiché è Dio che lo vuole!... Colui che, con la preghiera all'Im­macolata (...), purificato dalla sofferenza e infiammato di un ardente fuoco d'amore verso Dio, spinto da questo stesso amore, fa quel che è nelle proprie possibilità per guadagnare il maggiore numero di anime a Dio (...), costui e solo costui celebrerà il trionfo».

Altro mezzo e arma: il lavoro.

Il lavoro è necessario per guadagnare sempre nuovi aderenti alla lotta per il bene, per far conoscere 1'Immacolata, per confutare gli avversari, per conquistare quante più anime è possibile all'ideale. Un lavoro dalle forme più diverse e dai modi più umili, ma sempre enorme­mente efficace.

E ancora: i sacrifici e le sofferenze. Un'altra «potente leva» di lotta e di vittoria è costituita dal sacrificio e dalle sofferenze, accettati e santificati dall'amore. E, infatti, la sofferenza gioiosa se, da una parte, evidenzia i limiti e la miseria dell'uomo, è anche espressione di fiducia «non nelle proprie ingannevoli forze, ma unicamente nell'Im­macolata».

Essa, poi, è la migliore e più concreta prova d'amore, perché «l'amore vive, si nutre di sacrifici (...). Senza sacri­ficio non c'è amore». Il sacrificio, anzi, è un po' il vertice dell'uomo, così come lo fu, in qualche modo, per Cristo, il sacrificio sulla croce: «Il vertice dell'amore è lo stato nel quale è venuto a trovarsi Gesù sulla croce (...). Ma, al di sopra di tutto, il sacrificio della ragione e della volontà nella santa obbedienza. Quando l'amore a Lei ci avrà afferrato e compenetrato, allora i sacrifici diverranno una necessità per la nostra anima». E Dio non resiste all'amore che si immola, sicché esso è arma potente per ottenere la grazia. P. Kolbe può dire, stando ammalato: «Si opera moltissimo anche attraverso la stessa malattia». Le sofferenze, cioè, e i sacrifici, visti e rice­vuti come «doni» e «caramelle», dalle mani di Dio, divengono, oltre che magnifiche spinte sulla via della santifica­zione personale, anche fonte di meriti e, perciò, di grazie innumerevoli per sé e per gli altri: «Per facilitare in noi l'attività volta al bene delle anime - dice P. Kolbe - Dio permette piccole croci di vario genere, dipendenti o indipendenti dalla volontà altrui, provenienti meno da una volontà retta. Questo è un campo immenso di innu­merevoli sorgenti di grazie che deve essere utilizzato. Sono fonti di meriti, tra gli altri, i dispiaceri provocati da altre persone. (...) Per essere sinceri, la natura inorridi­sce di fronte alla sofferenza e all'umiliazione, ma alla luce della fede quanto sono necessarie per purificare la nostra anima e, perciò, quanto debbono esserci gradite! Quanto contribuiscono ad avvicinare maggiormente a Dio, e quindi ad una maggiore efficacia, ad una più valida azione missionaria!». Perciò P. Kolbe può concludere: «Chi lavora per l'Immacolata, bisogna che soffra molto», per­ché sono proprio le sofferenze, e specialmente i sacrifici dell'obbedienza, ad ottenere «più sicuramente lo scopo della preghiera», e cioè le vittorie che trasformano i cuori e le volontà.

Penitenza e mortificazione. Ad ottenere la grazia ser­vono, non meno, le armi della mortificazione e della penitenza. P. Kolbe ne spiega bellamente il perché: «La mortificazione è una potenza la quale, insieme con la pre­ghiera, ottiene le grazie divine, purifica l'anima, la infam­mia di amore verso Dio e verso il prossimo e sottomette le anime a Dio attraverso l'Immacolata». Infatti que­ste disposizioni e atti avvicinano sempre più a Dio, ren­dono l'anima sempre più accetta al suo occhio: tutte cose indispensabili ad ottenere la grazia che salva e vince e rende degna dei favori di Dio: «La mortificazione è necessaria e indispensabile per tutti noi, poiché è anche per mezzo di essa che noi ci procuriamo la grazia divina.

Come l'oro nel fuoco, così nella mortificazione l'anima si purifica e irradia il proprio amore, diventa più simile a Dio, più gradita a Lui e per ciò stesso più capace di accogliere abbondantissime grazie per sé e per gli altri suoi poveri fratelli. Che cosa si ottiene, infatti, per un amore a Dio senza sofferenza?!... Ma - si domanda P. Kolbe, prevenendo sgomenti e paure di anime pusillanimi - quale penitenza, quale mortificazione?... Forse quella eccezionale ed eroica dei santi, a cui non tutti son chia­mati?... No, no, ma per lo meno, quella penitenza che è accessibile a tutti, la penitenza e mortificazione, cioè, dei propri doveri quotidiani, dell'osservanza della legge, ecc.: «La salute e gli obblighi del proprio stato non per­mettono a tutti il rigore della penitenza, anche se tutti riconoscono che il percorso della propria vita è coperto di piccole croci. L'accettazione di tali croci in spirito di penitenza: ecco un vasto campo per l'esercizio della peni­tenza. Oltre a ciò, l'adempimento dei propri doveri, l'adempimento della volontà di Dio in ogni istante della vita, un adempimento perfetto nelle azioni, nelle parole e nei pensieri, esige molte rinuncie a quelle cose che ci potrebbero sembrare più gradevoli in un dato momento: ed ecco una fonte copiosissima di penitenza», perché si «ha la possibilità di dare una prova di amore disinte­ressato».

b) I mezzi e le armi naturali. Se, come tutti i santi, P. Kolbe dà preminenza assoluta e incondizionata ai mezzi che ottengono la grazia, non per questo trascura o disprezza i mezzi naturali. Non è del vero cristianesimo lasciar fare tutto a Dio, attendendo passivamente che tutto si faccia dall'alto. La cooperazione umana e, perciò, i mezzi ordinari e alla portata di tutti, assumono in P. Kolbe un'importanza particolare, anche se subordinata e secondaria. Si può anche dire, come meglio evidenzie­ranno le pagine seguenti, che pochi, come P. Kolbe, sono stati così aperti e sensibili a tutti i «segni dei tempi».

Quali sono questi mezzi e armi naturali? Da notare, prima di tutto - come è più ovvio - l'esclusione di ogni arma materiale, vera e propria, come si intende con questa parola. Oltre tutto «un'arma materiale non sta bene tra le mani del milite dell'Immacolata, in quanto tale» Quali allora? ...Prima di tutto: L'organizzazione, intesa nel senso più largo della parola, quella cioè che reperisce personale adatto e pre­para progetti, che studia piani e cerca modi per reperire i necessari fondi, ecc. ecc. «L'organizzazione è (...) uno dei mezzi leciti e utili per raggiungere più efficacemente lo scopo».

Un certo collegamento di forze, sicché le energie e le iniziative non si perdano in mille rivoli inefficaci, quando potrebbero, assieme, formare dei poderosi corsi d'acqua. «Una certa armonizzazione degli sforzi è di aiuto per raggiungere meglio lo scopo». Anzi, «Un mezzo formidabile è il collegamento delle energie dei singoli, di anime isolate tra loro»;

La conoscenza personale: un mezzo forse, in tanti casi, addirittura insostituibile. Ecco come ne parla P. Kolbe: «Io sono del parere che sia bene avvicinarsi alle sfere governative, conoscere più esattamente i loro orien­tamenti, per poter influire talvolta anche in direzione dei problemi religiosi. Si può fare molto di più con la cono­scenza personale, che con violente critiche scagliate da lontano. Sono convinto che in questo modo è possibile rintracciare molte persone di buona volontà, le quali pos­sono essere perfino nocive, ma più per ignoranza che per malafede. L'accostarsi personalmente ad un altro toglie di mezzo numerosi preconcetti reciproci»;

L'uso di tattiche, le più accorte e diverse, come quella, per es., di tendere a conquistare gli stessi caporioni avversari, nell'ovvia persuasione che, mancando il capo, anche i gregari si disorientano e più facilmente ven­gono vinti;

Il ricorso, poi, a qualsiasi mezzo, purché lecito. Il ricorso soprattutto ai mass media e alla stampa, in particolare. P. Kolbe annette, e non a torto, grandis­sima importanza alla stampa. Abbiamo già accennato ad una sua conferenza degli anni 1919-1921. È in questa stessa conferenza che egli poneva già, in tutta lucidità e larghezza di mente, il problema della stampa cattolica e della stampa buona, in genere. E, infatti, dopo aver elencato un po' quanto attuato dai «nemici», e riferite le parole del socialista Lassalle che denuncia, allarmato, l'immanità del male perpetrato chiedendo un urgente cambiamento di rotta, così si esprime P. Kolbe: «È tempo ormai, e il più opportuno, che si attui questo cambia­mento. Purtroppo - annota qui P. Kolbe - le carenze della stampa cattolica sono molteplici e gravi, una ragione di più perché il dovere dei cattolici, evidenziato anche da molti preoccupati interventi pontifici, sia compiuto e assolto in tutte le sue molteplici ramificazioni e implica­zioni». Ed egli, dopo aver enucleato, abbastanza chiara­mente, i necessari passi da fare in merito, così conclude: «Piaccia a Dio che nell'imminente avvenire non ci siano, città, non ci siano villaggi in cui non si trovino bibliote­che che e sale di lettura per libri buoni e riviste, in conve­niente numero, a bassissimo costo e magari gratuite. Sor­gano ovunque dei circoli che si assumano l'impegno di distribuire e di diffondere la buona stampa, e in breve tempo la faccia della terra si trasformerà. Inoltre, coloro ai quali Dio ha concesso una certa scorrevolezza nell'uso della penna e una propensione in qualsiasi settore della letteratura, si uniscano possibilmente in circoli particolari e si servano di questi doni di Dio per produrre la mag­giore quantità possibile di buona stampa in ogni campo della pubblicistica. Evidentemente non ci si dovrebbe restringere ai soli fedeli, ma scrivere anche per gli acatto­lici e offrire loro un buon alimento spirituale. Questi sono pure gli scopi attuali della "Milizia dell'Immacolata" e con questo mezzo si e già verificata più di una con­versione».

Che dire delle armi e dei mezzi suggeriti da P. Kolbe?... Senza dubbio c'è qui già tutto il genio dello stratega e del lottatore nato, che ha intuito ed enunciato, profeticamente, e con grande precisione, la provvidenzia­lità, per l'azione apostolica, dei mezzi tecnici approntati dal progresso, in crescendo prodigioso. È vero, non siamo ancora al «segreto» ultimo della sua «strategia» vit­toriosa, come subito vedremo, ma si è già davanti ad un enorme stimolo ad un apostolato, aderente agli uomini e ai «segni dei tempi» attuali. Chi vuole veramente com­battere per l'Immacolata, non può non tenerne conto.



3. I fronti della battaglia.

Dove portare lo sforzo combattivo?... La battaglia, dice P. Kolbe, va affrontata e combattuta ovunque ope­rano i «nemici», e quindi praticamente in tutto il mondo, in tutti i settori dell'umana attività, perché ovunque ferve la lotta tra bene e male. Questo grandioso fronte di bat­taglia può, però, comodamente, distinguersi in tre distinti fronti, di più o meno grande importanza ed estensione: il fronte del proprio io, quello dell'ambiente in cui si vive e si opera, e quello del mondo intero.

a) Il fronte del proprio io: è, senza dubbio, il più importante e quello che condiziona, un po', anche l'anda­mento sugli altri fronti. Combattere sul fronte del pro­prio io equivale a lottare ad estirpare passioni e tendenze perverse; tendere a liberarsi dal peccato grave e da ogni altra forma di infrazione volontaria alla legge; significa sforzo di crescita e di vita interiore.

Il fronte del proprio io è quello che, evangelicamente, corrisponde alla conversione totale, base e fondamento di tutta la salvezza e santificazione, e presupposto, anche, per tutte le altre conquiste dello spirito. P. Kolbe, come tutti i santi, ha capito che è qui la soluzione di ogni problema spirituale, per sé e per gli altri, e perciò vi insiste in passi innumerevoli. Eccone solo qualcuno: «Chi desidera offrire il proprio contributo all'opera di santifica­zione degli altri deve cominciare, è ovvio, da se stesso.

Egli stesso, perciò, deve avvicinarsi sempre più all'Imma­colata (...). Non solo, ma, sperimentando quanta dolcezza dà nella vita l'avvicinamento all'Immacolata, quanta ener­gia nelle tentazioni, quanto conforto nelle difficoltà, cerca di partecipare anche a coloro che gli sono accanto la propria felicità...». E quando egli, bruciato dal deside­rio di vedere il mondo intero ai piedi di Maria Immaco­lata, si domanda: quando ogni cuore che batte sulla terra palpiterà per Lei, risponde: «Sono dell'avviso che non c'è mezzo migliore per affrettare quell'istante benedetto, del fatto che ognuno di noi si impegni ogni giorno di più ad approfondire in se stesso la propria consacrazione all'Immacolata. Infatti, quanto più perfettamente apparter­remo a Lei, tanto più liberamente Ella stessa ci potrà guidare; non si può immaginare un'azione più efficace di questa». E ancora: «La cosa più importante è potenziare sempre più il nostro personale amore verso l'Immacolata e pregarLa spesso per ottenere un amore verso di Lei sempre più profondo ed ardente. Questa è la sostanza della nostra vita, della nostra esistenza».

b) Il fronte della famiglia e dell'ambiente dove si vive e si opera.

Combattere qui equivale sia ad irradiare il profumo e l'esempio di una vita personale intemerata e tutta tesa alla santità; e sia adoperarsi con tutti i mezzi, a propria disposizione, per far conoscere l'Immacolata e lottando il peccato e l'indolenza, ecc. Chi cerca di vivere la sua consacrazione ed esperimenta la dolcezza del servizio all'Immacolata, «cerca di partecipare anche a coloro che gli vivono accanto la propria felicità, fa di tutto per avvicinare pure costoro all'Immacolata, per conquistare a Lei i loro cuori; cerca, cioè, di diventare un Suo vero milite». Perché, «in qualsiasi luogo si trovi, un'anima che ama di vero cuore l'Immacolata trasfonde nell'am­biente che la circonda il proprio amore verso di Lei, vale a dire conquista per Lei una schiera sempre più numerosa di anime e in un modo sempre più perfetto».

c) Il fronte del mondo. Sul fronte del mondo, la cui conquista, come si sa, costituisce lo scopo della M. I., l'anima vi lavora e vi influisce già indirettamente, bonificando e conquistando se stesso e quelli che gli vivono accanto. Nessuna bonifica, anche di un piccolo ambiente, è senza vantaggiose ripercussioni sull'insieme sociale. Ma l'anima che ama è chiamata ad operare anche direttamente quanto più lontano è possibile. Infatti «Il solo pensiero che tante anime ancora non conoscano nep­pure il nome di Maria, non gli dà pace. Bramerebbe conquistare il mondo intero a Lei, introdurre l'Immaco­lata in ogni cuore che batte e che batterà in ogni tempo sotto il sole». Si impegnerà perciò a tutte le iniziative possibili, soprattutto a quelle che hanno un vastissimo raggio di influenza. E soprattutto, rendendosi conto «di non essere in grado di far fronte ad un'opera così vasta, comprende che l'Immacolata stessa deve agire in lui e attraverso di lui in mezzo alle persone che gli vivono accanto e perciò si offre ancora più perfettamente in pro­prietà all'Immacolata, quale docile strumento nelle sue mani immacolate».

Volendo, a questo punto, tirare un po' le somme, potremmo riassumere così:

la strategia di P. Kolbe, essendo di respiro vasto come il mondo, ci si accorge che egli non trascura nulla di ciò che è nella tradizione classica della Chiesa: pre­ghiera, penitenza, impegno di virtù e di perfezionamento, ecc.;

che, di quanto creato da Dio o acquisito dalla tecnica e dall'intelligenza umana, in genere, tutto può e deve servire alla gloria di Dio. I frutti dell'intelligenza, prima che agli uomini e ai problemi della terra, appartengono a Dio e devono servire ai problemi spirituali e apostolici. Tale strategia ha un tono e caratteristiche modernis­sime. P. Kolbe invita ad aprirsi decisamente e a servirsi dei mezzi più avanzati della tecnica anche per evitare che di essi si impadroniscano le forze del male.

La strategia del P. Kolbe è anche squisitamente fran­cescana, sia perché è sempre concretezza di opera e di vita; e sia perché ci si sforza di guardare a tutte le crea­ture con lo stesso sguardo luminoso e ottimista di Frate Francesco. Caratteristica francescana che non è indiffe­rente ai fini della lotta vittoriosa: si sa, infatti, come e in quale proporzione ha saputo «sfondare» il metodo apo­stolico di Francesco d'Assisi.

Ma, soprattutto, la strategia di P. Kolbe è spiccata­mente soprannaturale. Egli non si contenta di affermare la necessità della grazia, nella lotta al male. Quale santo non ne è profondamente convinto?... Ma egli accentua questo aspetto in modo estremamente deciso e vigoroso, da poter dire veramente, che chi fa tutto è la preghiera, la grazia, l'Immacolata. Non è l'esclusione dell'elemento umano e naturale, ma solo l'accentuazione più forte del­l'elemento divino nella battaglia per il bene.



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