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I Nostri Fratelli Defunti (Storia, Devozione, Preghiera) Fr.Pasquale Lorenzin

Ultimo Aggiornamento: 03/09/2009 18:28
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03/09/2009 18:20

IL CULTO DEI MORTI NELLA RIVELAZIONE DIVINA

Una fruttuosa e cristiana visita al camposanto deve tener presente l'insegnamento della sacra Scrittura, rettamente inteso. Il comando di Dio al suo popolo, più volte ribadi­to, era perentorio: Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto terra (Es. 20,4). Fedele a un rigoroso «monoteismo», il popolo ebreo escluse ogni forma di culto che non avesse per oggetto l'unico vero Dio: quindi anche il culto dei morti.

La sacra Scrittura, fin dall'origine, ricorda il dovere della sepoltura per qualsiasi defunto: parente, nemi­co, pellegrino o forestiero che fosse. Vi si legge che lo stesso patriarca Abramo comperò un pezzo di terra in Ebron per la sepoltura della moglie, della propria e di quella dei suoi discendenti: Isacco e Giacobbe (Gn. 23,3ss.). Il libro del Siracide sottolinea l'obbligo della sepol­tura con queste parole: Figlio, versa lacrime sul morto ..., poi seppelliscine il corpo secondo il suo rito e non trascurare la sua tomba (Sir. 38,16). Il dovere della sepoltura era così radicato nel po­polo ebreo, che il pio Tobia interruppe il pranzo quando seppe che il corpo di un uomo strangolato giaceva insepolto sulla pubblica piazza. Andò a prele­varlo e lo portò sul suo letto per seppellirlo al tra­monto del sole. L'arcangelo Raffaele ebbe a lodare la pietosa opera di Tobia (Tb. 12,13), come il re David, qualche seco­lo prima, aveva lodato coloro che avevano dato se­poltura al re Saul, sebbene fosse stato il suo persecu­tore (2 Sam. 2,5). Per queste ragioni la Chiesa considera la sepoltura dei morti una delle «opere di misericordia corporali».

Dai testi dell'Antico Testamento che abbiamo ora ricordato, si deve dedurre un importante insegna­mento: la formula «culto dei morti» si presenta come ambigua e anche pericolosa. Pericolosa lo era spe­cialmente per il popolo ebreo, costretto a vivere fra popoli politeisti e pagani, che spesso deificavano i loro morti, specie se «eroi», attribuendo loro un culto divino, con sacrifici e cerimonie corrispondenti. Da qui ebbero origine notevoli deviazioni di carattere religioso e cultuale, come dimostra la storia delle religioni. Dio, quindi, opportunamente, dissuase il suo po­polo da ogni pratica cultuale verso i defunti, allo scopo di preservarlo da simili deviazioni e, nello stes­so tempo, preservare la purezza del culto dovuto al solo e vero Dio.



Rapporto tra morte e peccato

Per avere un concetto adeguato della morte secon­do l'insegnamento della Scrittura, è necessario evi­denziare due verità da tener presenti nelle seguenti riflessioni. La prima verità, affermata con forza dalla parola di Dio, è questa: la causa della morte biologica non è Dio, ma il peccato dei progenitori. Infatti il secondo capitolo della Genesi mette in luce che Dio aveva creato l'uomo per la vita, e solo se avesse trasgredito il suo comando, sarebbe stato sottoposto alla legge della morte. Molto più tardi, il libro della Sapienza sintetizza questa importantissima verità con le seguenti parole: Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece ad immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza tutti coloro che gli appartengono (Sap. 2,23s.). Anche l'apostolo Paolo, scrivendo ai fedeli di Ro­ma, dichiara: Come a causa di un solo uomo il pecca­to è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato (Rm. 5,12).

La seconda verità, molto importante, riguarda la morte in rapporto al peccato attuale o personale. Da alcuni testi del libro sacro sembra che la vita lunga e felice sia il premio di una vita virtuosa; e, al contrario, la morte precoce sia la conseguenza di una vita dissoluta e peccaminosa. Ma l'autore del libro della Sapienza sottrae dal predetto giudizio alcuni casi concreti, per i quali vede la morte precoce come un provvidenziale intervento del Signore. Ascoltia­mo le sue, parole: Divenuto caro a Dio, fu amato da lui e poiché viveva fra peccatori, fu trasferito. Fu rapito, perché la malizia non ne mutasse i senti­menti o l'inganno non ne traviasse l'animo, poiché il fascino del vizio deturpa anche il bene e il turbine della passione travolge una mente semplice. Giunto in breve alla perfezione, ha compiuto una lunga carriera. La sua anima fu gradita al Signore; perciò egli lo tolse in fretta da un ambiente malvagio (Sap. 4,10-14). Questa parola di Dio è certamente di grande con­forto a quanti piangono la morte immatura dei loro cari, a volte rapiti tragicamente senza loro colpa.



L'immortalità dell'anima

Dio creò l'uomo biologicamente immortale, ma il peccato limitò la durata della sua vita e la riempì di dolori e angosce come progressiva preparazione alla morte stessa. È impressionante vedere come gli autori sacri pre­sentino la vita umana: una «goccia» nel mare, un «gra­nello» di sabbia, un «sogno» che svanisce, un'«om­bra» che passa, un «fiore» che marcisce, una «spola» che corre veloce... All'esperienza della vita fisica così presentata dalla Scrittura, fa luminoso contrasto l'alito di vita (Gen. 2,7) che, uscito dalla bocca di Dio, assicura l'immortalità all'uomo.

L'immortalità dell'anima, intesa come sopravvi­venza nell'aldilà, è affermata con forza già nei più antichi libri della Scrittura. La Genesi ricorda che il patriarca Abramo si riunì ai suoi antenati (Gen. 25,8), le quali parole non si riferiscono alla tomba di famiglia, ma al regno dei morti dove le anime dei defunti si trovano riunite. Il Qoelet, uno degli ultimi libri dell'Antico Testamento, attesta che l'uomo se ne va nella dimora eterna per due strade: la polvere (il corpo) alla terra, come era prima, e lo spirito... a Dio che lo ha dato (Qo. 12,5.7). L'autore sacro del secondo libro dei Maccabei, af­ferma l'immortalità dell'anima e la sua sopravvivenza nel mondo futuro, quando insegna che Dio, giusto giudice, darà una degna ricompensa a quanti fanno il bene e un meritato castigo a coloro che fanno il male. Giuda Maccabeo mandò i suoi uomini a raccoglie­re i cadaveri dei caduti in battaglia contro Gorgia. Nota il testo sacro: Ma trovarono sotto la tunica di ciascun morto oggetti sacri agli idoli di Iamnia, che la legge proibisce ai Giudei; fu perciò a tutti chiaro il motivo per cui costoro erano caduti. Allora Giuda, dopo aver esortato il popolo a man­tenersi senza peccato, fece una colletta e raccolte circa duemila dramme d'argento, le inviò a Gerusa­lemme perché fosse offerto un sacrificio espiato­rio... suggerito dal pensiero della risurrezione. Per­ché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e va­no pregare per i morti (2 Mac. 12,40-44).

Nello stesso libro sacro si racconta il martirio di sette fratelli uniti alla loro madre. Il fatto è certamen­te storico e le affermazioni dei protagonisti, davanti al feroce tiranno, testimoniano non solo le loro per­sonali convinzioni, ma anche quelle di tutto il popo­lo ebreo in mezzo al quale vivevano ed erano stati educati. Il secondogenito rispose al re: Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re del mondo, do­po che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a una vita nuova ed eterna. Dello stesso tenore sono le affermazioni del quarto giovane: È bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l'adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati... Meravigliose, poi, sono le parole con le quali la coraggiosa madre esortava i suoi figli: Senza dubbio il Creatore del mondo che ha plasmato all'origine l'uomo ed ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita... Rivolgendosi, poi, al più giovane dei figli, diceva: Non temere questo carnefice, ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la mor­te, perché io ti possa riavere, insieme con i tuoi fratelli, nel giorno della sua misericordia (2 Mac. 7).

L'immortalità dell 'anima, la conseguente felicità dei giusti e il castigo dei cattivi, sono cantati dall'au­tore del libro della Sapienza: Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, e nessun tormento le tocche­rà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza una rovina, ma essi sono in pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro spe­ranza è piena d'immortalità. Per una breve pena riceveranno grandi benefici perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé: li ha saggiati come oro nel crogiolo e li ha graditi come un olocausto. Nel gior­no del giudizio risplenderanno; come scintille nella stoppia, correranno qua e là. Governeranno le na­zioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà sempre su di loro (Sap. 3,1-8).

La rivelazione divina dell'Antico Testamento che abbiamo ora ricordato, proclama a una voce che il peccato ha condannato l'uomo alla morte biologica, ma non a una totale distruzione o un ritorno nel nulla. L'alito di vita che vivifica il corpo durante il suo pellegrinaggio terreno, è la «scintilla divina» che gli assicura una nuova vita nel regno di Dio, quando la redenzione di Gesù rinnoverà tutto il creato. Così davanti al mistero della morte e soprattutto del dopo-morte, la parola di Dio è preziosa, conforta­trice e ricca di speranza per noi pellegrini verso il camposanto.



LA RESURREZIONE DEI MORTI NEL NUOVO TESTAMENTO

Se l'immortalità dell'anima e la sua sopravvivenza dopo la morte, è affermata, direttamente o indiretta­mente, in tutti i libri dell'Antico Testamento, la risur­rezione dei corpi è una verità che solo la pienezza della rivelazione di Gesù presenta con chiarezza e certezza assolute. Dell'Antico Testamento, oltre le affermazioni del libro dei Maccabei già riferite, è opportuno ricordare le parole del profeta Daniele, forse le più chiare di tutte. Eccole: Molti di quelli che dormono nella pol­vere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eter­na. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come stelle per sempre (Dn. 12,2-3). Vi sono anche altri testi, ma oscuri e di dubbio significato; da ciò si comprende perché i Sadducei, ricordati nel Vangelo, non credessero alla risurrezio­ne dei morti (Mt. 22,23).

In polemica con i Sadducei sul problema della ri­surrezione dei morti, Gesù sentenzia: Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Ora, non è il Dio dei morti, ma dei vivi (Mt. 22,31-32). Dio è il Vivente (Ap. 1,18) per eccellenza, e se dà la vita allo spirito non può tralasciare il corpo che forma, con lo spirito, il composto umano. L'affermazione più solenne della risurrezione dei morti è riportata dal Vangelo di Giovanni. Gesù di­stingue la morte spirituale da quella fisica, e attesta che quanti ascoltano la sua parola e credono al Padre che lo ha mandato, hanno la vita eterna. Questa risurrezione spirituale, è opera del Figlio che ha la vita in se stesso, e che il Padre ha mandato come salvatore di tutto l'uomo: corpo e anima. Pro­prio questa risurrezione spirituale è la caparra della risurrezione anche del corpo che Gesù annuncia con fermezza, prevenendo ogni difficoltà: Non vi mera­vigliate di questo perché verrà l'ora che tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usci­ranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna (Gv. 5,28-29).

La consolante verità della risurrezione dei morti, affermata da Gesù, è ripresa dall'apostolo Paolo, il quale non solo la conferma, ma la illustra e ne dà le ragioni teologiche. Paolo è chiamato in giudizio davanti al Sinedrio a motivo della risurrezione dei morti (At. 24,21). Quando, poi, fu giudicato dal governatore Felice, dichiarò davanti a tutti: ... nutrendo in Dio la speran­za, condivisa pure da costoro, che ci sarà una risur­rezione dei giusti e degli ingiusti (At. 24,15). Per san Paolo, quindi, non vi è alcun dubbio: tutti gli uomini, giusti ed ingiusti, risorgeranno da morte nel tempo stabilito da Dio, cioè alla fine dei tempi.



Lo Spirito Santo e la risurrezione dei morti

La risurrezione dei morti ha la sua causa in Colui che ha risuscitato Gesù: lo Spirito Santo che abita nei nostri cuori. Le parole dell'Apostolo sono sicure e trasparenti: E se lo Spirito di Colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del sue Spirito che abita in voi (Rm. 8,11). Scrivendo ai fedeli di Corinto ritorna sullo stesso argomento: Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza (1 Cor. 6,14). E con più forza, facendo un confronto tra il corpo mortale e quello celeste, aggiunge: Noi credia­mo e perciò parliamo, convinti che Colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ciporrà accanto a Lui insieme con voi... Sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione in terra, riceveremo una abitazione da Dio, una dimora eterna, non costrui­ta da mano d'uomo, nei cieli. Perciò sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del no­stro corpo celeste... In realtà quanti siamo in questo corpo, sospiriamo come sotto un peso, non volendo venire spogliati ma sopravvestiti, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla Vita (2 Cor. 4,13-14; 5,1-4). In realtà la risurrezione dei morti è un evento che anche il corpo desidera ed aspetta, sospinto da quella misteriosa unione in cui lo spirito, unito al corpo, forma l'unico e inscindibile composto umano, prote­so verso l'immortalità.



La risurrezione del morti al centro della fede cristiana

La risurrezione dei morti è una verità difficile da accettare per la terribile esperienza che si prova quando si riapre una bara dopo pochi anni dalla se­poltura. Per questo l'apostolo Paolo, affermata la ve­rità e datane la ragione, al fine di convincere mag­giormente i fedeli, li porta a considerare le conse­guenze che deriverebbero dal rifiuto di tale verità. Dopo aver asserito che la risurrezione di Gesù, testimoniata da numerose apparizioni agli Apostoli, a più di cinquecento fratelli in una sola volta e infine a lui stesso, Paolo continua: Ora se si predica che Gesù è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dei morti, neanche Cristo è risu­scitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede... Se infatti i morti non risorgono, neanche Cri­sto è risorto; ma se Cristo non è risorto è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se noi poi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primi­zia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoio­no in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno, però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il Regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. L 'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte (1 Cor. 15,12-25).

Abbiamo riportato integralmente il testo dell'apo­stolo Paolo per le meravigliose verità che racchiu­de, e per la forza dialettica della sua argomenta­zione: a) la vitalità della predicazione e il valore della fede dipendono dalla risurrezione di Gesù, senza la quale l'edificio del suo Vangelo è vano e crolla; b) la risurrezione di Gesù e la nostra sono verità correlative e reversibili: negare la nostra risurrezione equivale negare quella di Gesù e viceversa; c) Gesù è la primizia dei risorti, primizia che ri­chiede necessariamente l'intero raccolto: la risurre­zione di tutti gli uomini, buoni e cattivi; d) la risurrezione dei morti è una verità correlativa a quella del peccato originale: Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo, il nuovo Adamo. e) dopo il peccato, la morte è il più grande nemico di Dio, il Vivente per natura. Ebbene Gesù ha distrut­to il peccato con la sua morte redentrice e ha distrut­to la morte con la sua risurrezione, che egli, come primizia, estenderà a tutte le creature. Solo così si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov 'è, o morte, la tua vitto­ria? Dov 'è, o morte, il tuo pungiglione? (1 Cor. 15,54-55).

Anche l'Apocalisse, ultimo libro della rivelazione divina, conferma la risurrezione dei morti e il conse­guente giudizio universale. Ecco le parole dell'apo­stolo Giovanni: Poi vidi i morti, piccoli e grandi, ritti davanti al trono. Furono aperti i libri. Fu aper­to anche un altro libro: quello della vita. I morti vennero giudicati in base a ciò che era scritto in quei libri ciascuno secondo le sue opere. Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli Inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere. Poi la morte e gli Inferi furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco (Ap. 20,12-14). Questa visione profetica di Giovanni è chiara nel suo contenuto e molto efficace. Essa attesta che la morte verrà distrutta per sempre e non avrà più pote­re sull'uomo e sul creato.



Il corpo risorto

Per completare il quadro della verità annunciata, l'apostolo Paolo, su richiesta dei cristiani, ci fa intra­vedere «come» risorgeranno i nostri corpi. È eviden­te che non è possibile dare una definizione scientifica dei corpi risorti. Noi, infatti, non abbiamo alcuna esperienza diretta delle realtà spirituali! Possiamo sol­tanto servirci di «analogie» che ci facciano intravede­re quanto Dio ha preparato per i suoi eletti. L'analogia che usa l'Apostolo è quella del «seme». Spetta a Dio dare a ciascun seme il corpo che gli conviene. Certamente la natura del corpo risorto è uguale per tutti, ma le qualità saranno assai diverse. La bellezza ha le sue esigenze: come stella differisce da stella, fiore da fiore, splendore da splendore, così le qualità dei corpi risorti saranno più o meno lumi­nose perché Dio, giusto rimuneratore, deve tener con­to dei sacrifici, delle penitenze e delle virtù esercitate mediante il corpo, quale docile strumento dell'ani­ma. Ecco le parole dell'Apostolo che realmente apro­no un panorama impressionante alla nostra riflessio­ne: Si semina corruttibile e risorge incorruttibile: si semina ignobile e risorge glorioso; si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale e risorge un corpo spirituale (1 Cor. 15,42-44).

L'analogia del seme può far nascere il dubbio di una lenta evoluzione dei corpi risorti. Ma non è così! Infatti: In un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba, suonerà infatti la tromba, e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasfor­mati. È necessario infatti che questo nostro corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo no­stro corpo mortale si vesta di immortalità (1 Cor. 15,52-53). Abbiamo voluto presentare il pensiero dell'aposto­lo Paolo con le sue stesse parole, perché la stupenda verità della risurrezione dei morti sia compresa in tutta la sua profonda realtà. È infatti così sublime che perfino molti cristiani ne dubitano o di essa non han­no che vaghe e distorte idee. Ma la parola di Dio, così chiara, profonda e convincente nella presentazione dell'Apostolo, dovrebbe togliere ogni dubbio e illu­minarne il contenuto. Inoltre la risurrezione dei morti, così esposta dal­l'Apostolo, ci fa intravedere la radicalità e l'estensio­ne della redenzione di Gesù, e ci fa capire come il mistero pasquale di morte e di risurrezione del Figlio di Dio si rinnovi in ogni cristiano, anzi in tutto il creato.



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