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I 7 Vizi Capitali: Superbia, avarizia, lussuria. ira, gola, invidia e accidia

Ultimo Aggiornamento: 03/09/2009 19:14
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03/09/2009 19:04



Dal Catechismo Maggiore:

959. Che cosa è il vizio?

Il vizio è una cattiva disposizione dell'animo a fuggire il bene e a fare il male, causata dal frequente ripetersi degli atti cattivi.

960. Che differenza v'è tra peccato e vizio?

Tra peccato e vizio v'è questa differenza, che il peccato è un atto che passa, mentre il vizio è la cattiva abitudine contratta di cadere in qualche peccato.

961. Quali sono i vizi che si chiamano capitali?

I vizi che si chiamano capitali sono sette:

1.Superbia;
2.Avarizia;
3.Lussuria;
4.Ira;
5.Gola;
6.Invidia;
7.Accidia.

962. I vizi capitali come si vincono?

I vizi capitali si vincono con l'esercizio delle virtù opposte. Cosi la superbia si vince con l'umiltà; l'avarizia con la liberalità; la lussuria con la castità; l'ira con la pazienza; la gola con l'astinenza; l'invidia con l'amor fraterno; l'accidia con la diligenza e col fervore nel servizio di Dio.

963. Perché questi vizi si chiamano capitali?

Questi vizi si chiamano capitali, perché sono la sorgente e la cagione di molti altri vizi e peccati.


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I VIZI CAPITALI

Di don Giuseppe Tomaselli




INTRODUZIONE

Uno scritto sui « Vizi capitali » è di grande utilità. Ordinariamente quando si scrive, si rivolge la parola a qualche categoria di anime. Il presente lavoro invece riguarda tutti, perché non c'è per­sona che possa dire: Io sono esente da ogni miseria morale! ... Non sento gli incentivi al male!

Benedica il buon Dio questo umile scritto!



PRELUDIO

Nell'anima umana, per effetto della colpa originale, ci sono i germi dell'i­niquità.

Tra i vizi che albergano nel cuore, i più importanti sono quelli chiamati capitali. Essi sono sette e cioè: super­bia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia ed accidia. Si dicono capitali perché danno origine a tutti gli altri vizi.

Si rileva il male che producono nell'a­nima e si suggeriscono i mezzi per com­batterli con le virtù opposte.

E’ bene notare che le mancanze che si commettono in forza dei vizi capitali, non sempre sono peccati gravi o mortali; ma lo possono essere, purtroppo non ra­ramente.



SUPERBIA

Dicesi superbia il desiderio disordi­nato della propria eccellenza. È un vizio molto radicato in noi, il quale è causa di una grande quantità di peccati.

Iddio odia la superbia e la punisce. Il primo peccato di superbia fu com­messo dagli Angeli in Cielo, allorché si ribellarono a Dio con a capo Lucifero. La punizione fu tremenda, poiché subito fu creato l'inferno e vi precipitarono tutti i ribelli, per starvi eternamente. Un altro grave peccato di superbia fecero i nostri progenitori Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre, quando fu­rono tentati dal demonio a mangiare il frutto proibito da Dio. - Perché non mangiate di questo frutto? – domandò il tentatore. - Non possiamo, risposero, perché Iddio ce l'ha proibito! - Se lo mangerete, continuò il demonio, diven­terete simili a Dio! - Adamo ed Eva prestarono fede e, mossi dal desiderio di diventare simili al Creatore, colsero il frutto e lo mangiarono. Il peccato fu grave, non solo per la disubbidienza, ma anche per la superbia. Iddio, fortemente sdegnato, tolse ai due peccatori i doni soprannaturali, già dati gratuitamente, li condannò a morire e li cacciò dal Pa­radiso Terrestre.



Il Redentore.

Dio, giusto punitore della colpa, non tralascia però di compatire l'uomo im­pastato di debolezza e gli dà un rimedio efficace contro la superbia. Infatti la se­conda Persona della Santissima Trinità, il Figlio Eterno di Dio, lascia lo splen­dore del Cielo e si riveste di umana car­ne. Lo scopo dell'Incarnazione è di ria­prire il Paradiso agli uomini e di dare un meraviglioso esempio di umiltà, in opposizione all'innata superbia.

La vita terrena di Gesù Cristo fu una lotta continua al vizio della super­bia. Avrebbe egli potuto nascere in un palazzo reale e farsi ricoprire di gloria dagli uomini; ed invece nacque in una stalla, visse in una bottega facendo il fa­legname e mori ignudo sulla Croce, tra due ladroni, come un malfattore.



Gl'insegnamenti di Gesù.

Il Vangelo è ricco di massime e di parabole, che hanno per scopo di abbat­tere la superbia e d'insegnare l'umiltà. Gli Apostoli domandarono a Gesù: Maestro, chi è il più grande nel regno dei Cieli? -

Egli prese un bambino, lo pose in mezzo a loro e poi disse: Chi si umilie­rà, facendosi piccolo come questo bam­bino, costui sarà il più grande nel re­gno dei Cieli. -

E vedendo che gli Apostoli tende­vano alla superiorità, disse loro: I prin­cipi di questo mondo signoreggiano i loro sudditi; per voi non sia così. Chi di voi vuole essere il primo, sia l'ul­timo. -

Trovandosi in un convito Gesù ed osservando che gl'invitati brigavano per avere i primi posti, parlò in questo mo­do: Quando tu sei invitato a pranzo, non andare a metterti al primo posto, poiché potrà darsi che sia stato invi­tato uno superiore a te ed allora il pa­drone dovrà dirti: Amico, lascia questo posto e mettiti in fondo! - Allora ne avrai vergogna presso tutti i commen­sali. Quando invece sei invitato a tavola, mettiti nell'ultimo posto, affinché chi ti ha invitato abbia a dirti: Amico, vieni avanti! Così ne avrai onore presso tutti i convitati. Poichè chi s'innalza sarà u­miliato e chi si umilia sarà esaltato. -

Essendo la superbia come una feb­bre che spossa ed anche il motivo dell'in­quietudine del cuore umano, Gesù Cristo si dà quale modello a tutti, dicen­do: Imparate da me che sono mite ed umile di cuore e troverete il riposo per le anime vostre! -

Fortunati coloro che vivono in con­formità a questi divini insegnamenti!



Lo spirito di superbia.

L'amor proprio, o l'alta stima che cia­scuno sente di sé, fa sempre capolino e bisogna vigilare per non restarne vit­tima.

S. Giovanni Bosco confessa lui stesso di aver sentito nell'animo fin dalla fan­ciullezza una forte inclinazione allo spi­rito di superbia. Subito però si mise all'opera e riuscì vittorioso. Una volta potè dire in maniera lepida: Ho dovuto propormi di prendere per il collo la mia superbia, metterla sotto i piedi e cal­pestarla. -

Lo spirito di superbia porta ad es­sere ambiziosi, presuntuosi, vanitosi e rende ribelli all'autorità, per cui non si sopporta di stare soggetti ad altri e, quando lo si è costretti, internamente ci si rode. Veniamo ora alle particolari manife­stazioni della superbia.



I pensieri.

Il superbo nella sua mente ingran­disce i propri meriti e si gonfia come un pallone. Crede di essere qualche cosa di grande e perciò guarda dall'alto in basso, studiando i mezzi per eccellere sempre.

Se il superbo riceve un'offesa o una mancanza di riguardo, non sa darsi pace. Pensa e ripensa il torto ricevuto e con­cepisce desideri di vendetta. - A me fare questo affronto? ... Trattare in tal modo me, che ho tanti meriti? ... Ah! questo è troppo! - In preda a tali sen­timenti, perde la pace del cuore.



Le parole.

Il superbo non si contenta di pen­sare altamente di se, ma sente il biso­gno di esternare con le parole i suoi sentimenti. Si loda facilmente, metten­do in mostra i titoli di onore, dicendo di appartenere a nobile famiglia, par­lando con entusiasmo delle proprie cose e mettendo sempre avanti il proprio « io ». - Io faccio così ... Io in quel­l'occasione mi comportai in tal modo ... Io sono salutato sempre ... Io sono sti­mato assai ... Io porto abiti di lusso ...

Insomma s'incensa di continuo e non ricorda il proverbio: Chi si loda, s'im­broda! -

Chi ha il vizio della superbia, non si limita a lodarsi; è anche portato natu­ralmente a disprezzare gli altri.

Il parlare del superbo suole essere impastato di critica, di mormorazione e di bugia.

Coloro che assistono a simili conver­sazioni, esternamente dimostrano di approvare, per non irritare il superbo, ma appena questi si allontana, cominciano a ridere alle sue spalle, dicendo: Che superba persona! . .. Oh, quanto è scioc­ca! ... Ma cosa crede di essere?... -

E così si avvera il detto di Gesù: Chi s'innalza, sarà umiliato! -



Il volere comparire.

Il superbo è smanioso di comparire e fa di tutto per apparire in società qualche cosa di più degli altri. Se è ric­co, spende grosse somme per avere un'a­bitazione più bella degli altri ricchi, compra gioielli di grande valore ed in­dossa abiti lussuosi.

Se il superbo non è ricco, fa grande economia pur di comparire davanti agli altri; perciò limita le spese giornaliere, va forse in prestito di denaro e tutto spende in abiti eleganti ed in pro­fumi.

La persona superba e vanitosa ama di stare lungamente davanti allo specchio e studia la conciatura dei capelli e l'abbellimento del volto; studia anche il sorriso ed i movimenti del corpo, per apparire sempre più attraente. Esce di casa, non tanto per sbrigare faccende, quanto per mettersi in mostra. Lungo le vie cammina con affettazione e pare voglia dire a tutti: Guardatemi! ... Chi c'è simile a me? ... Desidera ricevere saluti e gode nel suo cuore ad ogni pic­cola dimostrazione di stima.

Poveri superbi vanitosi! ... Ma credete che tutti abbiano a pensare a voi?... Ognuno ha i propri fastidi e tira per la sua strada! ... Vale dunque la pena sprecare tanto tempo e denaro per la voglia di comparire? ... Cosa ne resta a voi di utile? Vanità della vanità!…



Le opere del superbo.

Le nostre opere devono essere diret­te alla gloria di Dio ed al bene del pros­simo; soltanto così sono meritorie per l'altra vita. Ma il superbo non bada a ciò, anzi agisce in senso contrario; il fi­ne del suo operare è l'appagamento del­l'orgoglio, con la ricerca della stima e dell'approvazione altrui.

È bene qui ricordare gli Scribi ed i Farisei, uomini superbi, i quali fu­rono riprovati da Gesù Cristo. Costoro facevano elemosina, pregavano a lungo, digiunavano ed erano osservanti scru­polosi della legge di Mosè. Tuttavia non erano accetti a Dio, perchè le loro opere erano fatte per riscuotere la lode degli uomini. Gesù perciò disse ai suoi disce­poli: Se la vostra giustizia non sarà più abbondante di quella degli Scribi e dei Farisei, non entrerete nel regno dei Cieli. -

Il superbo, quando non è visto, si astiene dal far la carità o ne fa assai poca; se invece sa di essere osservato, fa elemosina ed anche abbondante­mente, affinché possa sentirsi dire: Oh, com'è caritatevole e di buon cuore! -

Quello che si dice per la carità, si dica per tutto il resto.

Quale ricompensa può sperare il su­perbo da Dio in questa o nell'altra vita? Nessuna!



La superbia spirituale.

E’ superbia spirituale il credersi buono, anzi più buono degli altri ed il disprezzare il prossimo perchè peccatore. Questo ge­nere di superbia dispiace moltissimo a Dio, il quale conosce la miseria di ciascu­no e sa che senza il suo aiuto non può farsi niente di buono.

Il Signore suole abbandonare questi superbi, lasciandoli in balia di se stessi, permette che poco per cadano in nei peccati e specialmente in quelli più ver­gognosi, affinchè imparino a conoscere la propria miseria spirituale.

Bisogna perciò guardarsi da un vizio così funesto; e per riuscirvi, ci si umili tanto più, quanto maggiore è il progresso che si fa nella via della perfezione.



UMILTA

L'umiltà è la virtù opposta alla su­perbia e consiste nello stimarci per quello che siamo, cioè un impasto di miseria, e nell'attribuire a Dio l'onore di qualche bene che in noi riscontria­mo. Non dovremmo faticare molto a praticare l'umiltà, se fossimo davvero convinti di ciò che siamo.

Facciamo delle brevi considerazioni sopra l'umana miseria, per invogliarci sempre più dell'umiltà.



Il corpo umano.

Quanti vanno superbi del proprio corpo! C'è chi va orgoglioso per la bel­lezza del volto, chi per il colore dei capelli, chi per la freschezza della carna­gione, chi per la robustezza delle mem­bra, chi per la voce, ecc. Eppure, che cosa è il corpo umano, anche il più bello? E’ un pugno di fango.

Basta un po' di febbre per abbattere una forte corporatura; un foruncolo può deturpare in breve il viso più avve­nente; da ogni parte del corpo umano emanano odori nauseanti, per cui si ha da ricorrere alle ciprie ed ai profumi.

Appena avvenuta la morte, il corpo diventa freddo cadavere e presto ha principio la putrefazione. Si è costretti a chiuderlo in una cassa, ben saldata, e dopo lo si affida alla terra. Guai a tro­varsi vicino al corpo umano quando la dissoluzione è avanzata! La carne puru­lenta si stacca dallo scheletro e serve di pasto ai rettili più schifosi del sotto­suolo.

O uomini, o donne, che tanto vanto menate del vostro corpo e tanta cura ponete nel comparire, pensate a ciò che vi ridurrà presto o tardi la morte!



I beni di fortuna.

Cosa sono le ricchezze e la nobiltà del casato? Sono delle semplici vanità. Che merito ne hai tu, o uomo, se sei nato da nobili genitori e ne hai ereditato il nome, il denaro, il palazzo e le altre proprietà? Il merito, al massimo, sarebbe di chi ha faticato per procurar­ti tali beni. Quale differenza c'è tra te nobile e l'ultimo dei poveri? Tutti e due siete figli di Adamo e soggetti en­trambi ad un cumulo di miserie. Come tu non hai avuto merito a nascere ricco, così l'altro non ha avuto colpa a nascere povero. E dunque, perché disprezzare il povero, aver vergogna di stargli vicino e pretendere da lui atti di umiliazio­ne? ...

Si pensi che i beni di fortuna oggi ci sono e domani potrebbero non esser­ci. Un terremoto, un'inondazione, un furto, un fallimento... e scompaiono le ricchezze! Quanti nobili decaduti ricor­da la storia! Vale dunque la pena d'insuperbirsi per i beni di fortuna? ...



Le doti mentali.

Taluni hanno sortito da natura una memoria prodigiosa, oppure una intel­ligenza superiore, per cui ritengono quanto vedono e sentono e con facilità riescono in diversi rami della scienza. Altri, pur non avendo memoria ed in­telligenza straordinaria, hanno tuttavia un'attitudine particolare alla musica, alla poesia, alla pittura o ad altra arte bella.

Costoro hanno diritto d'insuperbir­si? Niente affatto! Le doti intellettuali sono doni di natura e si possono perde­re o in parte o completamente. Basta visitare un manicomio, per convincersi di ciò. Quanti professori valenti, medici di grido, avvocati celebri, ecc.... hanno perduto l'uso della ragione e sono rico­verati tra gli scemi!



Il bene spirituale.

Oltre alla memoria ed all'intelligen­za, noi abbiamo la volontà, che é la fa­coltà più nobile dell'anima nostra. La volontà è fatta per il bene e tende ad esso.

Molti vanno in cerca di beni falsi e passeggeri e trascurano i veri beni, che si acquistano con l'esercizio delle virtù cristiane.

Ci sono invece anime ricche di beni spirituali, che moltiplicano gli sforzi quotidiani e che hanno già raggiunto un buon grado di perfezione. Possono que­ste insuperbirsi della propria virtù? No! L'anima può fare il bene, perchè è sorretta dalla grazia di Dio; se manca quest'aiuto, la volontà non può fare niente. La volontà umana è tanto de­bole: oggi vuole il bene e domani si ap­piglia al male; oggi ama e domani odia.

Come possono insuperbirsi i virtuosi, pensando alla debolezza della loro volontà? Basta pensare al principe degli Apostoli, S. Pietro, che disse a Gesù Cristo: Io sono pronto a morire con Te! Non ti abbandonerò! - La stessa notte invece Lo rinnegò tre volte.

Quanti, che prima erano virtuosi e modello agli altri di vita cristiana, si pervertirono e divennero di scandalo! Dunque, si stia sempre umili e diffidenti di sè.



La parabola dei talenti.

Un tempo noi non esístevamo; quin­di eravamo nulla. Il Signore per sua in­finita bontà ci ha creati, dotandoci di beni nell'anima e nel corpo. Nel fare ciò, ha avuto dei fini particolari. Ascol­tiamo la parabola dei talenti, che Gesù narrò per il nostro ammaestramento:

« Un uomo, dovendo andare lontano, chiamò i suoi servi e diede loro i suoi beni. Ad uno consegnò cinque talenti, ad un altro due e ad un altro uno solo, a ciascuno secondo la propria capacità; e subito dopo partì.

Colui che aveva ricevuto cinque ta­lenti, andò a trafficarli e ne guadagnò altri cinque. Similmente colui che ne aveva ricevuto due. Il servo però che ne aveva ricevuto uno, andò a scavare in terra e nascose il denaro del suo pa­drone.

Dopo molto tempo venne il padrone di quei servi e fece i conti con essi. E fattosi avanti chi aveva ricevuto cinque talenti, ne consegnò altri cinque di­cendo: Padrone, mi hai dato cinque ta­lenti; ecco ne ho guadagnati altri cin­que. - Gli rispose il padrone: Ben ti sta, servo buono e fedele; poichè sei stato fedele nel poco, ti costituirò a capo di molto; entra nel gaudio del tuo pa­drone! -

Si fece avanti poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: Padrone, mi hai dato due talenti; ecco ne ho gua­dagnati altri due. Gli disse il padrone: Ben ti sta, servo buono e fedele, poiché sei stato fedele nel poco, ti costituirò a capo di molto; entra nel gaudio del tuo padrone. -

Dopo venne avanti anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: Padrone, so che sei uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; avendo io timore, sono andato a nascondere sotto terra il tuo talento. Eccoti ciò che è tuo! - Gli ri­spose il padrone: Servo cattivo e infin­gardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e che raccolgo dove non ho sparso; bisognava dunque che tu affi­dassi il mio denaro alle banche e così ritornando io avrei percepito il mio de­naro con il frutto. Perciò, sia tolto a lui il talento e sia dato a chi ne ha dieci; imperocché a chi ha, sarà dato ed ab­bonderà; a colui che non ha, sarà tolto anche quello che crede di avere. E que­sto servo inutile sia gettato nelle tene­bre esteriori; ivi sarà pianto a stridor di denti».

Questa parabola c'insegna che Iddio dà a ciascuno dei beni, ma a chi dà più ed a chi meno. Ad uno dà molta ric­chezza, ad un altro il puro necessario; a chi offre un corpo vigoroso e bello, a chi dà un corpo debole e difettoso; ad uno largisce un'intelligenza vasta e pro­fonda, ad un altro una mente mediocre oppure incapace.

Alla fine della vita, quando si ha da comparire davanti a Cristo Giudice, ciascuno dovrà dar conto dei doni rice­vuti e sarà domandato più a colui al quale più è stato dato.

Quando perciò si hanno doni parti­colari, materiali o spirituali, invece di montare in superbia, si pensi ad essere grati a Dio ed a corrispondere alle sue mire divine.

Per conservare l'umiltà, giova il con­siderare il seguente paragone.

Un ricco signore vuol cambiare di­mora e stabilisce di trasportare tutto alla nuova abitazione servendosi di al­cuni asini.

Sul primo asino mette la cassaforte, con il denaro ed i gioielli; sul secondo colloca dei quadri, capolavori di arte; sul terzo mette i drappi preziosi, sul quarto gli intensili di poco valore; sul quinto infine depone gli stracci ed altri oggetti di basso uso.

Supponiamo che questi asini possano parlare e lungo il tragitto tengano una conversazione:

- State lontani da me, dice il primo asino ai compagni; io sono il più nobile, perché ho tanta ricchezza; mi vergogno di stare accanto a voi! - Gli altri potreb­bero rispondere: Sciocco e superbo! So­no forse tuoi i tesori che porti? Non sono del padrone? Non avrebbe potuto metterli sulla nostra groppa? Del resto, appena arrivati alla nuova dimora, tutto ti sarà tolto e resterai un povero asino come noi! Pensa dunque che asino sei ed asino rimarrai! -

Quanto insegnamento dà questo pa­ragone! ... Dovrebbero tenerlo presente i superbi!

L'umiltà è verità; come tale, se ci fa riconoscere la nostra miseria, non c'im­pedisce di riconoscere quanto in noi ci sia di buono, purchè tutto si riferisca a Dio.

Perciò non manca d'umiltà chi ri­conosce di essere ricco o intelligente o di bell'aspetto o arricchito di doni spiri­tuali. Quando però si riceve qualche lode per le buone qualità, si dica in cuore: Non a me, o Signore, ma sia glo­ria a te, datore d'ogni bene! -

È tanto facile però rubare a Dio la gloria! Questo si fa quando volontaria­mente noi godiamo delle nostre belle doti, quasi fosse merito nostro l'averle.



L'insegnamento della Madonna.

Maria Santissima, scelta a diventare Madre del Figlio di Dio, si umiliò davanti all'Arcangelo Gabriele, che la salutava « Piena di grazia ». Quanta umiltà in que­ste parole: « Ecco la serva del Signore! Si faccia di me secondo la tua parola! »

Iddio la sceglieva per Madre e lei si di­chiarava serva! Quantunque umilissima, la Vergine sciolse un inno d'amore e di gratitudine al Signore riconoscendo la propria dignità.

Allorché S. Elisabetta le disse: E don­de a me quest'onore, che la Madre del mio Signore viene a me! - le rispose: L'anima mia magnifica il Signore ed esul­ta il mio spirito in Dio, mia salvezza! Poi­che Egli guardò l'umiltà della sua ser­va; da questo momento tutte le gene­razioni mi chiameranno beata! Impe­rocche ha fatto a me cose grandi Colui che è potente ed il cui nome è Santo! -

La Madonna c'insegna che anche nell'umiltà possiamo riconoscere in noi i doni di Dio e gioire di ciò, purché di tutto si dia gloria al Signore.



Umiltà davanti a Dio.

Non dobbiamo mai confidare in noi stessi, come se fossimo qualche cosa davanti a Dio, stimandoci giusti. Ecco la parabola che fa al caso nostro.

- Due uomini, dice Gesù Cristo, anda­rono al Tempio per pregare; uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così: Ti ringra­zio, o Dio, che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri; e nean­che sono come quel pubblicano. Io digiu­no due volte nel sabato; do decime di tutto ciò che possiedo.

Il pubblicano invece stando in fondo al Tempio, non osava neanche alzare gli occhi al cielo; ma batteva il petto dicendo: O Dio, siate propizio a me pec­catore! -

Io vi dico, conclude Gesù, che que­sto pubblicano ritornò a casa giustifica­to, a differenza dell'altro; perché chiun­que si esalta sarà umiliato e chiunque si umilia sarà esaltato. -

La parabola é molto eloquente. Se vogliamo che Iddio ci perdoni i peccati, umiliamoci sinceramente davanti a Lui, riconoscendo la nostra miseria.

Se fossimo realmente buoni, se cioè osservassimo bene la legge di Dio, non potremmo allora pensare altamente di noi? Neppure questo è lecito. Infatti Ge­sù ci dice: Quando voi avrete fatto tutto ciò che vi è stato comandato, dite: Sia­mo servi inutili! Abbiamo fatto ciò che dovevamo fare! -

Ora, se chi adempie bene i comanda­menti di Dio, deve dirsi servo inutile, che cosa pensare di chi ha fatto, oppure fa qualche peccato? ... E chi è sulla ter­ra che non pecca? ...



I patimenti.

Il Signore non lascia mancare la cro­ce ne’ ai cattivi ne’ ai buoni. Ai primi il soffrire serve a castigo dei peccati ed a mezzo di richiamo sulla buona via; ai secondi è fonte di merito per il Paradiso.

Il vero umile quando riceve una cro­ce, sia una malattia, sia una disgrazia o una contrarietà, non si ribella a Dio, ma tutto facilmente abbraccia, dicendo: Signore, ho peccato! ... Merito questa cro­ce, a motivo dei miei peccati! Abbiate pietà di me e datemi la forza di soffri­re! - Chi può dire quali tesori per il Cielo guadagna, facendo così l'anima umi­le?...

Il superbo invece, se si trova nella sofferenza, si arrabbia e dice: Ma che co­sa ho fatto a Dio, perché abbia a trattar­mi così? Ho fatto bene nella mia vita! - Povero superbo, come si sbaglia davan­ti a Dio! ...



Umiltà col prossimo.

L'umiltà con gli altri si pratica pen­sando bene di tutti e scusando quelli che sbagliano; non mormorando dei difetti altrui, anzi sopportandoli con pazienza; trattando con rispetto e cortesia tutti, anche i poveri, i rozzi e gl'ignoranti; non usando parole sprezzanti coi dipendenti e persone di servizio; non disprezzando la compagnia di chi è di bassa condizione; finalmente, aiutando i bisognosi.

Facendo così, si diventa amici di tut­ti e naturalmente si è stimati e lodati con disinteresse.



Umiltà con se stessi.

Si pratica l'umiltà con se stessi, non soltanto riconoscendo la propria miseria, ma anche accettando con calma le umilia­zioni. Un insulto, una mancanza di ri­guardo, un merito non riconosciuto, un favore ricambiato in male ... son cose che feriscono la superbia umana. L'u­miltà ci fa scoprire tutto ciò con corag­gio cristiano, pensando che per i nostri peccati siamo meritevoli di ogni umilia­zione.

L'umiltà c'insegna anche a pregare per chi ci ha umiliati.

Ma come avere la forza di praticare l'umiltà in tal guisa? Tenendo presen­te l'esempio di Gesù Cristo!

Nelle umiliazioni pensiamo a Gesù quando era insultato, ingiuriato, sputacchiato e preso a schiaffi dai perfidi Giu­dei. Se Gesù, Figlio di Dio, innocentis­simo, sopportò tante e sì gravi umilia­zioni, noi Cristiani, essendo suoi segua­ci, sforziamoci d'imitarlo come facevano i Santi e così troveremo il riposo per le anime nostre.



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