QUESTO FORUM E' CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO... A LUI OGNI ONORE E GLORIA NEI SECOLI DEI SECOLI, AMEN!
 
Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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San Cipriano

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 07:48
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04/09/2009 21:47

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 6 giugno 2007

 

San Cipriano

Cari fratelli e sorelle,

nella serie delle nostre catechesi su grandi personalità della Chiesa antica, arriviamo oggi a un eccellente Vescovo africano del III secolo, san Cipriano, che «fu il primo Vescovo che in Africa conseguì la corona del martirio». In pari grado la sua fama – come attesta il diacono Ponzio, che per primo ne scrisse la vita – è legata alla produzione letteraria e all’attività pastorale dei tredici anni che intercorrono fra la sua conversione e il martirio (cfr Vita 19,1; 1,1). Nato a Cartagine da ricca famiglia pagana, dopo una giovinezza dissipata Cipriano si converte al cristianesimo all’età di 35 anni. Egli stesso racconta il suo itinerario spirituale: «Quando ancora giacevo come in una notte oscura», scrive alcuni mesi dopo il Battesimo, «mi appariva estremamente difficile e faticoso compiere quello che la misericordia di Dio mi proponeva ... Ero legato dai moltissimi errori della mia vita passata, e non credevo di potermene liberare, tanto assecondavo i vizi e favorivo i miei cattivi desideri ... Ma poi, con l’aiuto dell’acqua rigeneratrice, fu lavata la miseria della mia vita precedente; una luce sovrana si diffuse nel mio cuore; una seconda nascita mi restaurò in un essere interamente nuovo. In modo meraviglioso cominciò allora a dissiparsi ogni dubbio ... Comprendevo chiaramente che era terreno quello che prima viveva in me, nella schiavitù dei vizi della carne, ed era invece divino e celeste ciò che lo Spirito Santo in me aveva ormai generato» (A Donato 3-4).

Subito dopo la conversione, Cipriano – non senza invidie e resistenze – viene eletto all’ufficio sacerdotale e alla dignità di Vescovo. Nel breve periodo del suo episcopato affronta le prime due persecuzioni sancite da un editto imperiale, quella di Decio (250) e quella di Valeriano (257-258). Dopo la persecuzione particolarmente crudele di Decio, il Vescovo dovette impegnarsi strenuamente per riportare la disciplina nella comunità cristiana. Molti fedeli, infatti, avevano abiurato, o comunque non avevano tenuto un contegno corretto dinanzi alla prova. Erano i cosiddetti lapsi – cioè i «caduti» –, che desideravano ardentemente rientrare nella comunità. Il dibattito sulla loro riammissione giunse a dividere i cristiani di Cartagine in lassisti e rigoristi. A queste difficoltà occorre aggiungere una grave pestilenza che sconvolse l’Africa e pose interrogativi teologici angosciosi sia all’interno della comunità sia nel confronto con i pagani. Bisogna ricordare, infine, la controversia fra Cipriano e il Vescovo di Roma, Stefano, circa la validità del Battesimo amministrato ai pagani da cristiani eretici.

In queste circostanze realmente difficili Cipriano rivelò elette doti di governo: fu severo, ma non inflessibile con i lapsi, accordando loro la possibilità del perdono dopo una penitenza esemplare; davanti a Roma fu fermo nel difendere le sane tradizioni della Chiesa africana; fu umanissimo e pervaso dal più autentico spirito evangelico nell’esortare i cristiani all’aiuto fraterno dei pagani durante la pestilenza; seppe tenere la giusta misura nel ricordare ai fedeli – troppo timorosi di perdere la vita e i beni terreni – che per loro la vera vita e i veri beni non sono quelli di questo mondo; fu irremovibile nel combattere i costumi corrotti e i peccati che devastavano la vita morale, soprattutto l’avarizia. «Passava così le sue giornate», racconta a questo punto il diacono Ponzio, «quand’ecco che – per ordine del proconsole – giunse improvvisamente alla sua villa il capo della polizia» (Vita 15,1). In quel giorno il santo Vescovo fu arrestato, e dopo un breve interrogatorio affrontò coraggiosamente il martirio in mezzo al suo popolo.

Cipriano compose numerosi trattati e lettere, sempre legati al suo ministero pastorale. Poco incline alla speculazione teologica, scriveva soprattutto per l’edificazione della comunità e per il buon comportamento dei fedeli. Di fatto, la Chiesa è il tema che gli è di gran lunga più caro. Distingue tra Chiesa visibile, gerarchica, e Chiesa invisibile, mistica, ma afferma con forza che la Chiesa è una sola, fondata su Pietro. Non si stanca di ripetere che «chi abbandona la cattedra di Pietro, su cui è fondata la Chiesa, si illude di restare nella Chiesa» (L’unità della Chiesa cattolica 4). Cipriano è convinto, e lo ha formulato con parole forti, che «fuori della Chiesa non c'è salvezza» (Epistola 4,4 e 73,21), e che «non può avere Dio come Padre chi non ha la Chiesa come Madre» (L’unità della Chiesa cattolica 4). Caratteristica irrinunciabile della Chiesa è l’unità, simboleggiata dalla tunica di Cristo senza cuciture (ibid., 7): unità della quale dice che trova il suo fondamento in Pietro (ibid., 4) e la sua perfetta realizzazione nell’Eucaristia (Epistola 63,13). «Vi è un solo Dio, un solo Cristo», ammonisce Cipriano, «una sola è la sua Chiesa, una sola fede, un solo popolo cristiano, stretto in salda unità dal cemento della concordia: e non si può separare ciò che è uno per natura» (L’unità della Chiesa cattolica 23).

Abbiamo parlato del suo pensiero riguardante la Chiesa, ma non si deve trascurare, infine, l’insegnamento di Cipriano sulla preghiera. Io amo particolarmente il suo libro sul Padre Nostro, che mi ha aiutato molto a capire e a recitare meglio la «preghiera del Signore»: Cipriano insegna come proprio nel Padre Nostro è donato al cristiano il retto modo di pregare, e sottolinea che tale preghiera è al plurale, «affinché colui che prega non preghi unicamente per sé. La nostra preghiera – scrive – è pubblica e comunitaria e, quando noi preghiamo, non preghiamo per uno solo, ma per tutto il popolo, perché con tutto il popolo noi siamo una cosa sola» (L’orazione del Signore 8). Così preghiera personale e liturgica appaiono robustamente legate tra loro. La loro unità proviene dal fatto che esse rispondono alla medesima Parola di Dio. Il cristiano non dice «Padre mio», ma «Padre nostro», fin nel segreto della camera chiusa, perché sa che in ogni luogo, in ogni circostanza, egli è membro di uno stesso Corpo.

«Preghiamo dunque, fratelli amatissimi», scrive il Vescovo di Cartagine, «come Dio, il Maestro, ci ha insegnato. E’ preghiera confidenziale e intima pregare Dio con ciò che è suo, far salire alle sue orecchie la preghiera di Cristo. Riconosca il Padre le parole del suo Figlio, quando diciamo una preghiera: Colui che abita interiormente nell’animo sia presente anche nella voce ... Quando si prega, inoltre, si abbia un modo di parlare e di pregare che, con disciplina, mantenga calma e riservatezza. Pensiamo che siamo davanti allo sguardo di Dio. Bisogna essere graditi agli occhi divini sia con l’atteggiamento del corpo che col tono della voce ... E quando ci riuniamo insieme con i fratelli e celebriamo i sacrifici divini con il sacerdote di Dio, dobbiamo ricordarci del timore reverenziale e della disciplina, non dare al vento qua e là le nostre preghiere con voci scomposte, né scagliare con tumultuosa verbosità una richiesta che va raccomandata a Dio con moderazione, perché Dio è ascoltatore non della voce, ma del cuore (non vocis sed cordis auditor est (3-4). Si tratta di parole che restano valide anche oggi e ci aiutano a celebrare bene la Santa Liturgia.

In definitiva, Cipriano si colloca alle origini di quella feconda tradizione teologico-spirituale che vede nel «cuore» il luogo privilegiato della preghiera. Stando alla Bibbia e ai Padri, infatti, il cuore è l’intimo dell’uomo, il luogo dove abita Dio. In esso si compie quell’incontro nel quale Dio parla all’uomo, e l’uomo ascolta Dio; l’uomo parla a Dio, e Dio ascolta l’uomo: il tutto attraverso l’unica Parola divina. Precisamente in questo senso – riecheggiando Cipriano – Smaragdo, abate di San Michele alla Mosa nei primi anni del nono secolo, attesta che la preghiera «è opera del cuore, non delle labbra, perché Dio guarda non alle parole, ma al cuore dell’orante» (Il diadema dei monaci l).

Carissimi, facciamo nostro questo «cuore in ascolto», di cui ci parlano la Bibbia (cfr 1 Re 3,9) e i Padri: ne abbiamo tanto bisogno! Solo così potremo sperimentare in pienezza che Dio è il nostro Padre, e che la Chiesa, la santa Sposa di Cristo, è veramente la nostra Madre.

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05/09/2009 06:44

Per i soldati di Cristo non c'è morte, ma la corona della gloria

Dalle " Lettere " di san Cipriano, vescovo e martire
(Lett. 80; CSEL 3,839-840)
Per i soldati di Cristo non c'è morte, ma la corona della gloria

 

Mio caro fratello, non ho potuto inviarti subito un mio scritto perché nessuno dei chierici di questa chiesa poteva muoversi, trovandosi tutti sotto la bufera della persecuzione, che però, grazie a Dio, li ha trovati interiormente dispostissimi a passare subito al cielo.Ti comunico ora le notizie in mio possesso. Sono ritornati i messi che io avevo spedito a Roma perché appurassero e riferissero la decisione presa dalle autorità a mio riguardo, di qualsiasi genere essa potesse essere e metter fine, così, a tutte le illazioni e ipotesi incontrollate che circolavano. Ed ecco ora qual è la verità debitamente accertata. L'imperatore Valeriano ha spedito al senato il suo rescritto col quale ha deciso che vescovi, sacerdoti e diaconi siano subito messi a morte. I senatori, i notabili e quelli che hanno il titolo di cavalieri romani siano privati di ogni dignità ed anche dei beni. Se poi, anche in seguito alla confisca, dovessero irrigidirsi nella professione cristiana, devono essere condannati alla pena capitale. Le matrone cristiane subiscano la confisca di tutti i beni e poi siano mandate in esilio. A tutti i funzionari imperiali, che hanno già confessato la fede cristiana o dovessero confessarla al presente, siano parimenti confiscati tutti i beni. Siano poi arrestati e immatricolati fra gli addetti ai possedimenti imperiali. Al rescritto Valeriano aggiunse anche copia di una sua lettera inviata ai governatori delle province e che riguarda la mia persona. Di questa lettera sono in attesa di giorno in giorno, anzi l'affretto con la speranza, saldo e forte nella fede. La mia decisione di fronte al martirio è netta. Lo attendo, pieno di fiducia, come sono, di ricevere la corona della vita eterna dalla bontà e generosità di Dio. Vi comunico che Sisto ha subìto il martirio con quattro diaconi il 6 agosto, mentre si trovava nella zona del cimitero. Le autorità di Roma hanno come norma che quanti vengono denunciati quali cristiani debbano essere giustiziati e subire la confisca dei beni a beneficio dell'erario imperiale. Chiedo che quanto ho riferito sia portato a conoscenza anche degli altri nostri colleghi nell'episcopato, perché dalle loro esortazioni la nostra comunità possa venir incoraggiata e predisposta sempre meglio al combattimento spirituale. Ciò sarà di stimolo a considerare più il bene dell'immortalità che la morte, e a consacrarsi al Signore con fede ardente e fortezza eroica, a godere più che temere al pensiero di dover confessare la propria fede. I soldati di Dio e di Cristo sanno benissimo che la loro immolazione non è tanto una morte, quanto una corona di gloria. A te, fratello carissimo, il mio saluto nel Signore.

[Modificato da (Gino61) 05/09/2009 06:44]
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05/09/2009 07:46

Dal trattato "Sul "Padre nostro" di San Cipriano

Dal trattato "Sul "Padre nostro" di San Cipriano

 

 

 

La preghiera prorompa da un cuore umile


Per coloro che pregano, le parole e la preghiera siano fatte in modo da racchiudere in sé silenzio e timore Pensiamo di trovarci al cospetto di Dio. Occorre essere graditi agli occhi divini sia con la posizione del corpo, sia con il tono della voce. Infatti è da monelli fare fracasso con schiamazzi, così al contrario è confacente a chi è ben educato pregare con riserbo e raccoglimento. Del resto, il Signore ci ha comandato e insegnato a pregare in segreto, in luoghi appartati e lontani, nelle stesse , abitazioni. E'infatti proprio della fede sapere che Dio è presente ovunque, che ascolta e vede tutti, e che con la pienezza della sua maestà penetra anche i 1uoghi nascosti e segreti, come sta scritto: Io sono il Dio che sta vicino, e non il Dio che è lontano. Se l’uomo si sarà nascosto in luoghi segreti, forse per questo io non lo vedrò? Forse che io non riempie il cielo e la terra? (cfr. Ger 23, 23-24). Ed ancora: In ogni luogo gli occhi del Signore osservano attentamente i buoni e i cattivi (cfr. Pro 15, 3). E allorché ci raduniamo con i fratelli e celebriamo con il sacerdote di Dio i divini misteri dobbiamo rammentarci del rispetto e della buona educazione: non sventolare da ogni parte le nostre preghiere con veci disordinate, né pronunziare con rumorosa loquacità una supplica che deve essere affidata a Dio in umIle e devoto contegno. Dio non è uno che ascolta la voce, ma il cuore. Non è necessario gridare per  richiamare l’attenzione di Dio, perché egli  vede i nostri pensieri. Lo dimostra molto bene quando dice: "Perché mai pensate cose malvage nel vostro cuore?" Mt 9, 4). E in altro luogo dice: « E tutte Q chiese sapranno che io sono colui che scruta gli affetti e i pensieri » (Ap 2, 23). Per questo nel primo libro dei Re, Anna, che conteneva in sé la figura della Chiesa, custodiva e conservava quelle cose che chiedeva a Dio, non domandava  a gran voce, ma sommessamente e con discrezione anzi, nel segreto stesso del cuore. Parlava con preghiera nascosta, ma con fede manifesta. Parlava non con la voce ma con il cuore, poiché sapeva che così Dio ascolta. Ottenne efficacemente ciò che chiese, perché domandò con fiducia. Lo afferma chiaramente la divina Scrittura: Pregava in cuor suo e muoveva soltanto le sue ma la voce non si udiva, e l’ascoltò il Signore (cfr. i Sam 1, 13). Allo stesso modo leggiamo nei salmi: Parlate nei vostri cuori, e pentitevi sul giaciglio (cfr. Sal 4, 5). Per mezzo dello stesso Geremia lo Spirito Santo consiglia e insegna dicendo Tu, o Signore, devi essere adorato nella coscienza (cfr. Bar 6, 5). Pertanto, fratelli dilettissimi, chi prega non in quale modo il pubblicano abbia pregato al fariseo nel tempio. Non teneva gli occhi cielo con impudenza, non sollevava smodatamente le mani, ma picchiandosi il petto e condannai peccati racchiusi nel suo intimo, implorava della divina misericordia. E mentre il fariseo si piaceva di se stesso, fu piuttosto il pubblicano meritò di essere giustificato, perché pregava nel modo giusto, perché non aveva riposto la speranza salvezza nella fiducia della sua innocenza, dai mento che nessuno è innocente. Pregava dono confessato umilmente i suoi peccati. E così e perdona agli umili ascoltò la sua preghiera.

La nostra preghiera deve essere pubblica e universale

Innanzitutto il dottore della pace e maestri l’unità non volle che la preghiera fosse mente individuale e privata, cioè egoistica quando uno prega soltanto per sé. Non « Padre mio, che sei nei cieli », nè: « Dammi oggi il mio pane », né ciascuno chiede che sia rimesso soltanto il suo debito, o implora per sé solo di essere indotto in tentazione o di essere liberato male. Per noi la preghiera è pubblica e universale quando preghiamo, non imploriamo per un ma per tutto il popolo, poiché tutto il popolo una cosa sola. Il Dio della pace e maestro della concordia, ha insegnato l’unità, volle che ciascuno tutti, così come egli portò tutti nella per uno solo. Osservarono questa legge della preghiera fanciulli rinchiusi nella fornace di fuoco, quando accordarono all’unisono nella preghiera e unanimi nell’accordo dello spirito. Lo afferma la divina Scrittura. Dicendoci che hanno pregato uniti, ci  dà un modello da seguire, perché facciamo così anche noi. Allora, dice, quei tre a una sola voce cantavano un inno e benedicevano Dio (cfr. Dn 3, 51). parlavano come a una sola voce, e Cristo non aveva ancora insegnato loro a pregare.Proprio perché pregavano così, le loro parole furono efficaci ed esaudite: la preghiera ispirata alla pace semplice e interiore si guadagna la benevolenza di Dio. Troviamo scritto che gli apostoli pregavano così assieme ai discepoli dopo l’ascensione del Signore. « Erano », si dice, « tutti assidui e concordi nella preghiera insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui (At 1, 14). Erano assidui e concordi nella preghiera, manifestando sia con l’assiduità della loro preghiera sia con la concordia, che Dio, il quale fa abitare unanimi (cfr. Sai 67, 7) nella casa, non ammette nella divina ed eterna dimora se non coloro che pregano in fusione di cuori. Quali e quante poi sono, fratelli carissimi, le rivelazioni della preghiera del Signore! Esse si trovano raccolte in una invocazione brevissima, ma carica di spirituale potenza. Non c’è assolutamente nulla che non si trovi racchiuso in questa nostra preghiera di lode e di domanda. Essa, perciò, forma un vero compendio di dottrina celeste.L’uomo nuovo, rinato e rifatto dal suo Dio per mezzo della sua grazia, in primo luogo dice "Padre ", perché ha già incominciato ad essergli figlio. "Venne tra la sua gente », è scritto, « ma i suoi non l’hanno accolto A quanti però l’hanno accolto, ha dato il Potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo  nome)" (Gv 1, 11-12).Chi, dunque, ha creduto nel suo nome ed è diventato figlio di Dio, deve cominciare di qui, dal rendere grazie e professarsi figlio di Dio allorché indica che Dio gli è Padre nei cieli.

Sia santificato il tuo nome  

Quanto è preziosa la grazia del Signore, alta la sua degnazione e magnifica la sua bontà verso di noi! Egli ha voluto che noi celebrassimo la preghiera davanti a lui e lo invocassimo col di Padre, e come Cristo è Figlio di Dio, così noi ci chiamassimo figli di Dio. Questo nome nessuno di oserebbe pronunziarlo nella preghiera, stesso non ci avesse permesso di pregare cosi. Dobbiamo dunque ricordare e sapere, fratelli carissimi  che, se diciamo Dio nostro Padre, dobbiamo portarci come figli di Dio perché allo stesso con cui noi ci compiacciamo di Dio Padre, ch’egli si compiaccia di noi. Comportiamoci come tempio di Dio, perché si veda che Dio abita in noi. E il nostro agire in contrasto con lo spirito, perché, dal abbiamo incominciato ad essere creature spirituali e celesti  non abbiamo a pensare e compiere se non se spirituali e celesti, giacché lo stesso Signore dice: «Chi mi onorerà, anch’io lo onorerò; chi mi disprezzerà sarà oggetto di disprezzo » (1 Sam 2, 30). Anche il beato Apostolo in una sua lettera ha scritto:Non appartenete a voi stessi; infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo! » (1 Cor 6, 20). Dopo questo diciamo: Sia santificato il tuo nome », non perché auguriamo a Dio che sia santificato dalle nostre preghiere, ma perché chiediamo al Signore che in noi sia santificato il suo nome. D’altronde da chi può essere santificato Dio, quando è lui stesso che santifica? Egli disse: « Siate santi, perché anch’io sono santo » (Lv 11, 45). Perciò noi chiediamo e imploriamo che, santificati dal battesimo, perseveriamo in ciò che abbiamo incominciato ad essere. E questo lo chiediamo ogni giorno. Infatti abbiamo bisogno di una quotidiana santificazione. Siccome pecchiamo ogni giorno, dobbiamo purificarci dai nostri delitti con una ininterrotta santificazione. Quale sia poi la santificazione che viene operata in noi dalla misericordia di Dio lo annunzia l’Apostolo dicendo: « Né immorali, né idolatri, né adulteri, nè effeminati, né sodomiti, nè ladri, nè avari, nè ubriaconi, nè maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete Stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spi­rito del nostro Dio! » (1 Cor 6, 9-11). Ci dice santificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio. Noi preghiamo perché rimanga in noi questa santificazione E poiché il Signore e giudice nostro impone a chi è stato da lui guarito o risuscitato di mai più peccare, perché non abbia ad accadergli qualcosa di peggio, chiediamogli giorno e flotte di custodire in noi quella santità e quella vita, che viene dalla sua grazia.  

Venga il tuo regno. Sia fatta la tua volontà

«Venga il tuo regno ». Domandiamo che venga a noi il regno di Dio, così come chiediamo che sia santificato in noi il suo nome. Ma ci può essere un tempo in cui Dio non regna? O quando presso di lui può cominciare ciò che sempre fu e mai cessò di esistere? Non è questo che noi chiediamo, ma piuttosto che venga il nostro regno, quello che Dio ci ha promesso, e che ci è stato acquistato dal sangue e dalla passione di Cristo, perché noi, che prima siamo stati schiavi del mondo, possiamo in seguito regnare sotto la signoria di Cristo. Così egli stesso promette, dicendo: « Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo » (Mt 25, 34). In verità, fratelli carissimi, lo stesso Cristo può essere il regno di Dio di cui ogni giorno chiediamo la venuta, di cui desideriamo vedere, al più presto, l’arrivo per noi. Egli infatti è la risurrezione, poiché in lui risorgiamo. Per questo egli può essere inteso come il regno di Dio, giacché in lui regneremo. Giustamente dunque chiediamo il regno di Dio, cioè il regno celeste, poiché vi è anche un regno terrestre. Ma chi ha ormai rinunziato al mondo del male, è superiore tanto ai suoi onori quanto al suo regno. Proseguendo nella preghiera diciamo: « Sia fatta la tua volontà in cielo e in terra », non tanto perché faccia Dio ciò che vuole, ma perché possiamo fare noi ciò che Dio vuole. Infatti chi è capace di impedire a Dio di fare ciò che vuole? Siamo noi che non facciamo ciò che Dio vuole, perché di noi si alza il diavolo ad impedirci di orientare il nostro cuore e le nostre azioni secondo il divino. Per questo preghiamo e chiediamo faccia in noi la volontà di Dio. E perché faccia in noi abbiamo bisogno della volontà cioè della sua potenza e protezione, poiché è forte per le proprie forze, ma lo diviene per la benevolenza e la misericordia di Dio. Infine anche Signore, mostrando che anche in lui c’era la debolezza propria dell’uomo, disse: « Padre mio, possibile, passi da me questo calice! » (Mt 26,39) E offrendo l’esempio ai suoi discepoli perché  facessero la volontà loro, ma quella di Dio, aggiunse :" Però non come voglio io, ma come vuoi tu ». La volontà di Dio dunque è quella che Crisi eseguito e ha insegnato. E' umiltà nella conversazione, fermezza nella fede, discrezione nelle parole,  nelle azioni giustizia, nelle opere misericordia, nei  costumi severità. Volontà di Dio è non fare torti e tollerare il torto subito, mantenere la pace con i fratelli, amare Dio con tutto il cuore, in quanto è Padre, temerlo in quanto è Dio, assolutamente anteporre a Cristo, poiché ne lui ha preferito qualcosa a noi. Volontà di stare inseparabilmente uniti al suo amore, rimanere accanto alla sua croce con coraggio e dargli ferma testimonianza quando è in discussione il suo nome e il suo onore, mostrare sicurezza della buona causa, quando ci battiamo per accettare con lieto animo la morte quando essa verrà per portarci al premio.Questo significa voler essere coeredi di  questo è fare il comando di Dio, questo è compiere la volontà del Padre.

Dopo il il cibo si chiede il perdono dei peccati

Dicendo la preghiera del Signore noi chiediamo: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano". Ciò può essere inteso sia in senso spirituale, che in senso materiale, poiché l'uno e l'altro significato, nell'economia divina, serve per la salvezza. Infatti il pane di vita è Cristo, e questo pane non è di tutti, ma certo nostro non lo è. E come diciamo "padre nostro", perché è Padre di coloro che intendono e credono così invochiamo anche il pane nostro ", poiché Cristo è  pane di coloro che come noi assumono il suo corpo. Chiediamo quindi che ogni giorno ci sia dato questo pane. Noi viviamo in Cristo e riceviamo ogni ­giorno la sua Eucaristia come cibo di salvezza Non  accada che, a causa di peccati gravi, ci venga negato,  il pane celeste, e così, privati della comunione veniamo anche separati dal corpo di Cristo. Egli  ha proclamato infatti: Io sono il pane di  vita, che sono disceso dal cielo. Se uno mangerà del mio pane, vivrà in eterno. E il pane che io vi darò è la mia carne per la vita del mondo (cfr. Gv  6, 51). Dice che se qualcuno mangerà del suo pane vivrà in eterno.  E' evidente dunque che vivono coloro che gustano il suo corpo e ricevono l’Eucaristia per diritto di comunione. Da ciò si deduce che se qualcuno si astiene dall’Eucaristia si separa dal corpo di Cristo, e rimane lontano dalla salvezza. E' un fatto di cui preoccuparsi. Preghiamo il Signor che non avvenga. È lui stesso che pronunzia questa ,dicendo minaccia, dicendo: Se non mangerete la carne del  Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete la vita in voi (cfr. Gv 6, 53). Per questo  chiediamo che ci sia dato ogni giorno il nostro ; cioè Cristo, perché noi che rimaniamo e viviamo in Cristo, non ci allontaniamo dalla sua vita divina. Dopo queste cose preghiamo anche per i nostri peccati, dicendo: « E rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori »Dopo aver chiesto il sussidio del cibo, chiediamo pure perdono delle colpe. Come è davvero necessario, e come è prudente e salutare essere avvertiti che siamo peccatori, ed  essere spinti a pregare per i nostri peccati! In tal modo, mentre chiediamo il perdono a Dio, l’animo fa riemergere la consapevolezza di sé. E perché non avvenga che qualcuno si compiaccia come se fosse senza colpe e, salendo in alto, non abbia a cadere più rovinosamente, viene istruito e ammaestrato che egli pecca ogni giorno, e perciò gli si comanda di pregare ogni giorno per i nostri peccati. Così ammonisce anche Giovanni nella sua lettera, dicendo: Se diremo che non abbiamo alcun peccato, ci inganniamo da noi stessi, e non c'è in noi la verità (cfr. 1 Gv 1,8). Nella sua lettera ha unito assieme l'una e l'altra cosa: che noi dobbiamo pregare peri nostri peccati e che otteniamo l'indulgenza quando preghiamo. Con questo. Ha anche chiamato fedele il Signore perché mantiene fede alla sua promessa di rimetterci i peccati. Colui infatti che ci ha insegnato a pregare per i debiti e le colpe, ha promesso la sua paterna misericordia e il suo perdono.

Noi che siamo figli di Dio, rimaniamo nella pace di Dio

Cristo vuole che noi chiediamo a Dio il peri dei nostri peccati, ma ha condizionato il perdono divino al condono dei debiti che gli altri hanno con noi. Dobbiamo dunque ricordare che non è possiamo ottenere ciò che chiediamo per i nostri peccati, anche noi non avremo fatto altrettanto verso chi ha peccato contro di noi. Per questo in un passo del vangelo si dice: Con la stessa misura con la avrete misurato, sarete misurati anche voi (cf: Mt 7, 22). Quel servo che, pur avendo avuto il con di tutto il suo debito dal padrone, non volle usare la medesima bontà con il servo suo compagno venne chiuso in prigione. Non volle essere indulgente col suo compagno di servitù, e perse ciò che era stato regalato dal padrone. Questo dovere viene ribadito fortemente da Cristo e confermato con tutto il peso della sua autorità. Egli dice: « Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli, perdoni a voi i vostri peccati » (Mc 11, 25). Nessuna scusa ti rimarrà nel giorno del giudizio, quando sarai giudicato secondo  il criterio che tu stesso hai usato con gli altri e ciò che avrai fatto agli altri lo riceverai a tua volta. Dio infatti ha prescritto che siamo operatori di pace, concordi e unanimi nella sua casa. Quali ci fece con la seconda nascita, tali egli vuole che perseveriamo, cioè nella condizione di rinati. Se siamo figli di Dio, rimaniamo nella pace di Dio, e coloro che hanno un solo spirito, abbiano pure un’unica anima ed un unico sentimento. Dio non accoglie il sacrificio di chi è in discordia, anzi comanda di ritornare indietro dall’altare e di riconciliarsi prima col fratello. Solo così le nostre preghiere saranno ispi­rate alla pace e Dio le gradirà. Il sacrificio più grande da offrire a Dio è la nostra pace e la fra­terna concordia, è il popolo radunato dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Anche nei sacrifici che per primi Abele e Caino offrirono, Dio non guardava ai loro doni, ma ai loro cuori, sicché nell’offerta gli era accetto chi gli era gradito nel cuore. Abele, uomo di pace e di giustizia, offre un sacrificio a Dio nell’innocenza, e così in­segna che anche gli altri quando fanno un’offerta all’altare devono accostarsi con il timore di Dio, con il cuore semplice, con la legge della giustizia, con la pace e la concordia. Abele è tale nel sacrificio che offre a Dio, in seguito si è fatto egli stesso sacrificio a Dio. In tal modo, divenuto il primo dei martiri poté iniziare, con la gloria del suo sangue la passione Signore, perché aveva posseduto la giustizia e la pace del Signore. Solo coloro che agiranno così saranno coronati dal Signore. Solo costoro nel giorno del giudizio condivideranno la gloria del Signore. Al contrario chi vive in discordia, chi è in disunione e non ha pace con i fratelli, secondo quanto attestano il beato Apostolo e la Sacra Scrittura, non potrà sfuggire alle pene riservate ai fautori della discordia fraterna, neppure se sarà ucciso per il nome di Cristo, poiché sta scritto: "Colui che odia il proprio fratello è omicida" (Gv 1 Gv 3,15), e l'omicida non raggiunge il regno dei cieli e non vive con Dio. Non può essere con Cristo chi ha preferito essere imitatore di Giuda piuttosto che di Cristo    

Bisogna pregare non soltanto con le parole, ma anche con i fatti

Quale meraviglia, fratelli dilettissimi, se il « Padre nostro» è la preghiera che ci ha insegnato Dio? Egli col suo insegnamento ha compendiato ogni nostra preghiera in queste parole di salvezza. Questo era già stato predetto tramite il profeta Isaia, quando di Santo aveva parlato della maestà e della misericordia di Dio e della parola che tutto contiene e tutto riassume in chiave di salvezza. Il Profeta aveva anche affermato che Dio si sarebbe rivolto a tutta la terra con piccole frasi pregnanti. E, in effetti, quando la Parola di Dio, cioè Nostro Signore Gesù Cristo, venne a tutti gli uomini, e quando radunati insieme i dotti e gli ignoranti, ebbe divulgato a ogni sesso e a ogni età i pre­cetti di salvezza, fece un grande compendio dei suoi precetti, perché la memoria dei discepoli non si affaticasse nella dottrina celeste, ma imparasse subito ciò che era necessario alla semplice fede. Così, insegnando che cosa sia la vita eterna, racchiuse con grande e divina brevità il mistero della vita dicendo: "Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico e vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo » (6v 17, 3). Similmente, volendo stralciare dall’insieme della legge e dei profeti i precetti principali e fondamentali, disse: Ascolta, Israele: il Signore tuo Dio è l’unico Dio; e ancora: Amerai Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta anima e con tutta la tua forza. Questo è il precetto, e il secondo è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. In questi due precetti è racchiusa tutta la legge e i profeti (cfr. Mc 12, 29-31) E di nuovo: Tutti quei beni che volete che gli  uomini facciano a voi, fatelo anche voi a loro. Questa fatti la legge e i profeti (cfr. Mt 7, 12). Dio ci ha insegnato a pregare non soltanto a parole, ma anche con i fatti, pregando e supplicando egli stesso frequentemente e dimostrando con la testimonianza del suo esempio che cosa dobbiamo fare anche noi, come sta scritto: Egli poi si ritirò in luoghi deserti e pregò (cfr. Lc 5, 16); e ancora salì sul monte a pregare, e passò la notte nella  preghiera a Dio (cfr. Le 6,12). Certo il Signore pregava e intercedeva non per  sé — che cosa infatti deve domandare per sé innocente? — ma per i nostri peccati. Lo dichiara egli stesso quando dice rivolto a Pietro: « Ecco satana, vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ho pregato per te, che non venga meno la tua fede (Lc 22, 3 1-32). E dopo questo supplica il Padre per  tutti, dicendo: « Non prego solo per questi,  ma anche per quelli che per la loro parola crederanno  in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi una cosa sola » (6v 17, 20-21). Grande fu la bontà di Dio per la nostra grande la sua misericordia! Egli non si accontentò di  redimerci col suo sangue, ma in più volle ancore pregare per noi. E guardate quale fu il suo desiderio mentre pregava: che come il Padre e il Figlio sono una cosa sola, così anche noi rimaniamo nella stessa unità.  

 

[Modificato da (Gino61) 05/09/2009 07:48]
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