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Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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San Giovanni Crisostomo

Ultimo Aggiornamento: 13/09/2009 08:03
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13/09/2009 07:59

XLII. Dell'umiltà di Paolo

 

1. Egli non ha detto infatti: esprimo un parere perché mi è stato affidato il messaggio evangelico, perché sono stato ritenuto degno di essere il predicatore dei popoli, perché sono stato incaricato di dirigervi, perché sono il vostro maestro e la vostra guida. Che cosa dice invece? "Perché devo alla misericordia del Signore la mia fede in lui": in tal modo, adduce un motivo meno importante. L'essere semplicemente un fedele è infatti meno importante dell'essere il maestro dei fedeli. Ma anche ad un altro modo di umiliarsi egli ha pensato. A quale? Non ha detto: perché sono divenuto un fedele di Cristo, ma perché "devo alla misericordia del Signore la mia fede". Non ritenere doni di Dio solo l'apostolato, la predicazione e l'insegnamento: anche la mia fede in lui viene dalla sua misericordia. Sono stato ritenuto degno della fede non perché ne fossi degno, ma solo perché sono stato commiserato; e la misericordia è frutto della grazia, non del merito.

 

2. Di conseguenza, se Dio non fosse stato tanto misericordioso, non avrei potuto essere chiamato non solo "apostolo", ma neanche "fedele". Hai notato la buona disposizione d'animo del servitore, e la contrizione del suo cuore? Non si attribuisce nulla in piú degli altri, e quello che ha in comune con i suoi discepoli deriva, a suo dire, non da lui stesso ma dalla misericordia e dalla grazia di Dio usando queste parole, come se volesse dire: non rifiutatevi di accogliere il mio consiglio, giacché Dio non mi ha rifiutato la sua misericordia. Non rifiutatevi, anche perché si tratta di un parere, non di un ordine: dò un consiglio, non una legge. Nessuna legge ci proibisce di rivelare le cose utili che vengono in mente ad ognuno di noi, specie poi quando ciò avviene in seguito ad una richiesta degli ascoltatori, come nel vostro caso. "Penso — dice — che questa sia una buona cosa. Non vedi che il suo discorso si fa di nuovo umile, e si priva di ogni autorita? Avrebbe anche potuto dire: poiché il Signore non ha comandato la verginità, neanch'io la comando; visto che sono il vostro apostolo, mi limito a consigliarla e vi esorto ad imitarla.

 

3. Piú avanti, infatti, rivolgendosi a loro, dice: "Se per gli altri non sono l'apostolo, lo sono però per voi". Qui, invece, non dice nulla di tutto questo, ma usa le sue parole con molta circospezione: invece di "consiglio" dice "esprimo un parere", invece di "come maestro" dice "perché devo alla misericordia del Signore la mia fede im lui". E come se tutto ciò non bastasse a rendere dimesso il suo discorso, nel momento in cui comincia a dare i consigli ne diminuisce ancor piú l'autorità, in quanto non si limita ad enunciarli, ma ne spiega il motivo. "Penso che ciò sia una buona cosa — dice — a causa delle necessità presenti". Eppure, parlando della continenza, non aveva detto "penso", né aveva fornito spiegazioni, ma aveva detto soltanto "per loro è bene rimanere come me"; qui, invece, dice: "Penso che sia una buona cosa, a causa delle necessità presenti". Dicendo questo, non nutre dubbi sull'argomento — non sia mai! — ma intende rimettere tutto al giudizio degli ascoltatori. Il consigliere non pronunzia il verdetto con le sue parole, ma lascia dipendere tutto dalla decisione dell'uditorio.

 

 

 

XLIII. Quali sono le necessità presenti di cui parla Paolo

 

Quali sono le necessità presenti di cui parla qui? I bisogni naturali? Niente affatto. Innanzitutto, se avesse voluto alludere a questi, ricordandoli avrebbe prodotto un effetto contrario alle sue intenzioni, giacché chi vuole sposarsi intende soddisfarli sempre. In secondo luogo, non li avrebbe chiamati "presenti", giacché sono stati piantati nel genere umano non ora, ma da molto tempo; e mentre prima erano molto forti ed indomabili, ora invece, dopo la venuta del Signore e la crescita della virtú, possono essere vinti piú facilmente. Di conseguenza, non di essi parla l’apostolo, ma di un altro bisogno, che assume molte forme e molti aspetti. Di quale si tratta? Della perversione che regna nelle vicende della vita. Tale è la confusione, tale è la tirannia esercitata dalle preoccupazioni, tale è il numero delle difficoltà, che spesso chi si sposa è costretto anche suo malgrado a commettere peccati ed azioni cattive.

 

 

 

XLIV. E' piú facile raggiungere il regno dei cieli con la verginità che con il matrimonio

 

1. Anticamente, in effetti, non ci veniva proposto un così alto grado di virtú: potevamo difenderci dalle offese, rispondere a chi ci biasimava, preoccuparci delle ricchezze, impegnarci con un giuramento, applicare la norma "occhio per occhio", odiare i nemici: non ci era proibito né vivere nel lusso, né adirarci, né scacciare una moglie e prenderne un'altra. Non solo, ma la legge ci consentiva di avere due mogli nello stesso tempo, e mostrava una grande indulgenza sia in queste cose che in tutte le altre. Dopo la venuta di Cristo, la strada si è fatta invece molto piú stretta: non solo è stata sottratta al nostro potere l'indescrivibile, enorme licenza che regnava in tutte le cose che ho enumerato, ma dobbiamo anche tenerci in casa la moglie, che spesso c'induce e ci costringe a peccare nostro malgrado; nel caso in cui volessimo scacciarla saremmo infatti rei di adulterio.

 

2. Non solo per questo motivo ci è difficile raggiungere la virtú, ma anche perché, pur ammettendo che la donna che abita con noi abbia un carattere sopportabile, il gran numero di pensieri che ci circonda, causato da lei e dai suoi figli, non ci lascia alzare lo sguardo verso il cielo neanche un momento: a guisa di un turbine, scuote da ogni parte la nostra anima e la sommerge. L'uomo, anche se vuole condurre una vita senza rischi e quieta come un privato cittadino, quando si vede intorno i figli e la moglie che ha bisogno di molto danaro, suo malgrado si tuffa nell'onda degli affari pubblici. Una volta cadutovi, non si possono descrivere i peccati che è costretto a commettere adirandosi, usando modi violenti, giurando, rimproverando, comportandosi da ipocrita e compiendo molte azioni per compiacere o perché spinto dall'odio. Quando è sbattuto da tale tempesta e vuole diventare famoso, come può evitare di tirarsi addosso la grande sporcizia dei peccati? Se poi si considerano le faccende domestiche, si vede che il marito, a causa della moglie, è sommerso dalle stesse difficoltà, e anche da altre maggiori, giacché deve preoccuparsi di tante cose di cui non avrebbe bisogno se fosse solo. Questo succede quando la moglie è buona e mite. Se invece è cattiva, odiosa ed insopportabile, non si può piú parlare di bisogni, ma di supplizi e punizioni. Come potrà percorrere la strada che porta in cielo, che richiede piedi liberi e leggeri ed un'anima agile e spedita, se su di lui incombe il peso di tante faccende, se è legato a ceppi cosí forti, se è sempre trascinato verso il basso da tale catena, rappresentata dalla malvagità della moglie?

 

 

 

XLV. Per coloro che escogitano delle difficoltà superflue non c'è nessuna ricompensa

 

1. Ma qual è il saggio discorso che la gente comune fa per rispondere a tutte le difficoltà che abbiamo enumerato? Si dice: "Chi realizza la virtú pur tra così grandi costrizioni, non merita forse un onore maggiore?". "Per quale motivo, o mio caro?". "Perché sposandosi si è sobbarcato ad una fatica piú forte". E chi l'ha costretto a portare un tale carico? Se, sposandosi, avesse ubbidito ad un comandamento e non sposandosi avesse trasgredito la legge, questo discorso sarebbe accettabile. Ma se, pur essendo libero di non sottoporsi al giogo del matrimonio, preferisce mettersi in mezzo a così gravi difficoltà senza esservi costretto da nessuno, in modo da rendersi piú aspra la lotta per la virtú, tutto questo non riguarda l'arbitro della gara. Quest'ultimo, infatti, ha comandato una cosa sola: di condurre una guerra contro il diavolo fino al conseguimento della vittoria sulla malvagità. A lui non interessa affatto se questo fine viene raggiunto con il matrimonio, con i piaceri e con le molte preoccupazioni, oppure con l'ascesi, la mortificazione e la noncuranza per tutto il resto. Egli dice che il mezzo per ottenere la vittoria e la strada che conduce al trofeo sono rappresentati dal distacco da tutte le cose mondane.

 

2. Poiché tu, pur avendo la moglie, i figli e le preoccupazioni che questi si trascinano dietro, vuoi fare una campagna e combattere per raggiungere gli stessi risultati conseguiti da coloro che non si trovano impigliati in nessuna di queste cose e per conquistarti quindi una piú grande ammirazione, forse ci tacceresti ora di presunzione, se ti dicessimo che non puoi arrivare alla loro vetta. Alla fine però il momento della premiazione ti farà capire che la sicurezza è di gran lunga preferibile alla vuota ambizione, e che è meglio ubbidire a Cristo che alla vanità dei propri pensieri. Cristo dice infatti che per raggiungere la virtu non basta che ci stacchiamo dalle nostre cose, se non odiamo noi stessi. Tu invece, pur essendo sporcato da esse, dici di poterle superare. Ma, come ho detto, in quel momento capirai bene quale ostacolo rappresentino per la virtú la moglie e le preoccupazioni relative.

 

 

 

XLVI. Come mai la Scrittura chiama la donna "aiuto dell'uomo" se gli è di ostacolo nella vita perfetta

 

1. "Come mai dunque — si dirà — la Scrittura chiama aiuto colei che è di ostacolo? E' detto infatti: facciamo un aiuto simile a lui". Ed io ti chiederò: come può essere un aiuto colei che ha privato l'uomo di tanta sicurezza, e che l’ha scacciato da quel meraviglioso soggiorno nel paradiso, gettandolo nel tumulto della vita presente? Tutto ciò può fare non chi aiuta, ma chi insidia. "La donna — è detto — è il principio del peccato, ed a causa sua noi tutti moriamo". Ed il beato Paolo dice: "Adamo non fu ingannato; fu la donna che, ingannata, commise la trasgressione.

 

2. Come può dunque essere un aiuto colei che ha messo l'uomo in balia della morte? Come può essere un aiuto colei a causa della quale i figli di Dio, o per meglio dire tutti gli abitanti della terra, morirono sommersi assieme alle bestie, agli uccelli ed a tutti gli altri animali? Non sarebbe stata la donna la causa della perdizione del giusto Giobbe, se questi non fosse stato veramente uomo. Non fu la donna a provocare la rovina di Sansone? Non fece la donna del suo meglio, perché tutto il popolo Ebreo fosse iniziato al culto di Beelfegor e venisse trucidato per mano dei suoi fratelli? E chi piú di ogni altro consegnò al diavolo Acaab, e prima di lui Salomone, nonostante la sua grande sapienza e fama? Anche ora, non inducono spesso le donne i loro mariti ad offendere Dio? Non ha forse detto per questo il saggio "Qualsiasi cattiveria è piccola, se paragonata alla cattiveria della donna"?

 

3 "Come mai dunque — mi si chiede — Dio ha detto: "Facciamogli un aiuto simile a lui"? Dio non mente". Neanch'io lo dico — non sia mai! la donna fu fatta a tale scopo e per questo motivo, ma, al pari del suo compagno, non volle rimanere nella dignità che le era propria. L'uomo era stato creato da Dio a sua immagine e somiglianza: "Facciamo — disse infatti Dio — l'uomo a nostra immagine e somiglianza", cosí come disse "facciamogli un aiuto". Una volta creato però l'uomo perse subito entrambe queste prerogative. Non seppe conservare né l'immagine né la somiglianza — e come avrebbe potuto, se si consegnò all'assurdo desiderio, se divenne preda dell'inganno, e se non riuscí a vincere il piacere? L'immagine, suo malgrado, gli fu tolta per tutto il tempo successivo.

 

4. Dio lo privò di una non piccola parte del suo potere, del privilegio cioè di essere temuto da tutti come un padrone: allo stesso modo, il padrone fa sì che il servo ingrato che l'ha offeso venga disprezzato dagli altri servi. All'inizio, infatti, l'uomo incuteva paura a tutti gli animali. Dio li aveva condotti tutti da lui, e nessuno osava fargli del male o insidiarlo, perché si vedeva risplendere in lui l'immagine regale. Ma dopo che oscurò con il suo peccato questo carattere, Dio lo privò del potere.

 

5. Il fatto che egli non comanda su tutti gli animali della terra, ma trema di fronte ad alcuni di essi e li teme, non fa apparire falsa l'affermazione di Dio "Comandino sugli animali della terra": la mutilazione del potere dipese non da chi l'aveva concesso, ma da chi l'aveva ricevuto. Allo stesso modo, le insidie che le donne tendono agli uomini non rendono vana la frase "Facciamogli un aiuto simile a lui". La donna fu fatta a tale scopo, ma non vi restò fedele. A parte questo, si può anche obiettare che la donna dà il suo aiuto nel tipo di vita presente, per quanto riguarda la procreazione dei figli ed il desiderio fisico; ma quando questa vita era fuori questione e non esistevano né la procreazione né il desiderio, perché si parla di "aiuto" senza ragione? L'uomo, se nelle cose importanti ricorre all'aiuto di colei che è capace di assisterlo solo in quelle di pochissimo conto si accorge che non solo non gli è utile, ma l'incatena con le sue preoccupazioni.

 

 

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