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San Cromazio di Aquileia

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 07:52
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04/09/2009 22:02

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 5 dicembre 2007

 

San Cromazio di Aquileia

Cari fratelli e sorelle,

nelle ultime due catechesi abbiamo fatto un’escursione attraverso le Chiese d’Oriente di lingua semitica, meditando su Afraate persiano e su sant’Efrem siro; oggi ritorniamo nel mondo latino, al Nord dell’Impero romano, con san Cromazio di Aquileia. Questo Vescovo svolse il suo ministero nell’antica Chiesa di Aquileia, fervente centro di vita cristiana situato nella Decima regioneVenetia et Histria. Nel 388, quando Cromazio salì sulla cattedra episcopale della città, la comunità cristiana locale aveva già maturato una storia gloriosa di fedeltà al Vangelo. Tra la metà del terzo e i primi anni del quarto secolo le persecuzioni di Decio, di Valeriano e di Diocleziano avevano mietuto un gran numero di martiri. Inoltre, la Chiesa di Aquileia si era misurata, come tante altre Chiese del tempo, con la minaccia dell’eresia ariana. Lo stesso Atanasio – l’alfiere dell’ortodossia nicena, che gli ariani avevano cacciato in esilio –, per qualche tempo trovò rifugio ad Aquileia. Sotto la guida dei suoi Vescovi, la comunità cristiana resistette alle insidie dell’eresia e rinsaldò la propria adesione alla fede cattolica. dell’Impero romano, la

Nel settembre del 381 Aquileia fu sede di un Sinodo, che vide convenire circa 35 Vescovi dalle coste dell’Africa, dalla valle del Rodano e da tutta la Decima regione. Il Sinodo si proponeva di debellare gli ultimi residui dell’arianesimo in Occidente. Al Concilio prese parte anche il presbitero Cromazio, in qualità di esperto del Vescovo di Aquileia, Valeriano (370-388 ca.). Gli anni intorno al Sinodo del 381 rappresentano «l’età d’oro» della comunità aquileiese. San Girolamo, che era nativo della Dalmazia, e Rufino di Concordia parlano con nostalgia del loro soggiorno ad Aquileia (370-373), in quella specie di cenacolo teologico, che Girolamo non esita a definire quasi chorus beatorum, «come un coro di beati» (Chronache 11). In questo cenacolo – che ricorda per alcuni aspetti le esperienze comunitarie condotte da Eusebio di Vercelli e da Agostino – si formarono le più notevoli personalità delle Chiese dell’Alto Adriatico.

Ma già nella sua famiglia Cromazio aveva imparato a conoscere e ad amare Cristo. Ce ne parla, con termini pieni di ammirazione, lo stesso Girolamo, che paragona la madre di Cromazio alla profetessa Anna, le sue due sorelle alle vergini prudenti della parabola evangelica, Cromazio stesso e il suo fratello Eusebio al giovane Samuele (cfr Ep. VII,4). Di Cromazio e di Eusebio Girolamo scrive ancora: «Il beato Cromazio e il santo Eusebio erano fratelli per il vincolo del sangue, non meno che per l’identità degli ideali» (Ep. VIII).

Cromazio era nato ad Aquileia verso il 345. Venne ordinato diacono e poi presbitero; infine fu eletto Pastore di quella Chiesa (a. 388). Ricevuta la consacrazione episcopale dal Vescovo Ambrogio, si dedicò con coraggio ed energia a un compito immane per la vastità del territorio affidato alle sue cure pastorali: la giurisdizione ecclesiastica di Aquileia, infatti, si estendeva dai territori attuali della Svizzera, della Baviera, dell’Austria e della Slovenia fino all’Ungheria. Quanto Cromazio fosse conosciuto e stimato nella Chiesa del suo tempo, lo si può arguire da un episodio della vita di san Giovanni Crisostomo. Quando il Vescovo di Costantinopoli fu esiliato dalla sua sede, scrisse tre lettere a quelli che egli riteneva i più importanti Vescovi d’Occidente, per ottenerne l’appoggio presso gli imperatori: una lettera la scrisse al Vescovo di Roma, la seconda al Vescovo di Milano, la terza al Vescovo di Aquileia, Cromazio appunto (Ep. CLV). Quest’ultimo, però, si trovava pure lui in grande difficoltà a motivo della precaria situazione politica: molto probabilmente nello stesso anno 407, in cui Crisostomo soccombette ai travagli della sua deportazione, anche Cromazio morì in esilio, a Grado, mentre cercava di scampare alle scorrerie dei barbari.

Quanto a prestigio e importanza, Aquileia era la quarta città della penisola italiana, e la nona dell’Impero romano: anche per questo motivo essa attirava le mire dei Goti e degli Unni. Oltre a causare gravi lutti e distruzioni, le invasioni di questi popoli compromisero gravemente la trasmissione delle opere dei Padri conservate nella biblioteca episcopale, ricca di codici. Andarono dispersi anche gli scritti di san Cromazio, che finirono qua e là, e furono spesso attribuiti ad altri autori: a Giovanni Crisostomo (anche per l’equivalente inizio dei due nomi, Chromatius – Chrysostomus); oppure ad Ambrogio e ad Agostino, come anche a Girolamo, che Cromazio aveva aiutato molto nella revisione del testo e nella traduzione latina della Bibbia. La riscoperta di gran parte dell’opera di Cromazio è dovuta a felici e fortunose vicende, che hanno consentito solo in anni recenti di ricostruire un corpus di scritti abbastanza consistente: più di una quarantina di sermoni, dei quali una decina frammentari, e oltre sessanta trattati di commento al Vangelo di Matteo.

Cromazio fu sapiente maestro e zelante Pastore. Il suo primo e principale impegno fu quello di porsi in ascolto della Parola, per essere capace di farsene poi annunciatore: nel suo insegnamento egli parte sempre dalla Parola di Dio e ad essa sempre ritorna. Alcune tematiche gli sono particolarmente care: anzitutto il mistero trinitario, che egli contempla nella sua rivelazione lungo tutta la storia della salvezza. Poi il tema dello Spirito Santo: Cromazio richiama costantemente i fedeli alla presenza e all’azione della terza Persona della Santissima Trinità nella vita della Chiesa. Ma con particolare insistenza il santo Vescovo ritorna sul mistero di Cristo. Il Verbo incarnato è vero Dio e vero uomo: ha assunto integralmente l’umanità, per farle dono della propria divinità. Queste verità, ribadite con insistenza anche in funzione antiariana, approderanno una cinquantina di anni più tardi alla definizione del Concilio di Calcedonia. La forte sottolineatura della natura umana di Cristo conduce Cromazio a parlare della Vergine Maria. La sua dottrina mariologica è tersa e precisa. A lui dobbiamo alcune suggestive descrizioni della Vergine Santissima: Maria è la «vergine evangelica capace di accogliere Dio»; è la «pecorella immacolata e inviolata», che ha generato l’«agnello ammantato di porpora» (cfr Sermone XXIII,3). Il Vescovo di Aquileia mette spesso la Vergine in relazione con la Chiesa: entrambe, infatti, sono «vergini» e «madri». L’ecclesiologia di Cromazio è sviluppata soprattutto nel commento a Matteo. Ecco alcuni concetti ricorrenti: la Chiesa è unica, è nata dal sangue di Cristo; è veste preziosa intessuta dallo Spirito Santo; la Chiesa è là dove si annuncia che Cristo è nato dalla Vergine, dove fiorisce la fraternità e la concordia. Un’immagine a cui Cromazio è particolarmente affezionato è quella della nave sul mare in tempesta – e i suoi erano tempi di tempesta, come abbiamo sentito –: «Non c’è dubbio», afferma il santo Vescovo, «che questa nave rappresenta la Chiesa» (cfr Trattato XLII,5).

Da zelante Pastore qual è, Cromazio sa parlare alla sua gente con linguaggio fresco, colorito e incisivo. Pur non ignorando il perfetto cursus latino, preferisce ricorrere al linguaggio popolare, ricco di immagini facilmente comprensibili. Così, ad esempio, prendendo spunto dal mare, egli mette a confronto, da una parte, la pesca naturale di pesci che, tirati a riva, muoiono e, dall’altra, la predicazione evangelica, grazie alla quale gli uomini vengono tratti in salvo dalle acque limacciose della morte, e introdotti alla vita vera (cfr Trattato XVI,3). Sempre nell’ottica del buon Pastore, in un periodo burrascoso come il suo, funestato dalle scorrerie dei barbari, egli sa mettersi a fianco dei fedeli per confortarli e per aprirne l’animo alla fiducia in Dio, che non abbandona mai i suoi figli.

Raccogliamo infine, a conclusione di queste riflessioni, un’esortazione di Cromazio, ancor oggi perfettamente valida: «Preghiamo il Signore con tutto il cuore e con tutta la fede – raccomanda il Vescovo di Aquileia in un suo sermone –, preghiamolo di liberarci da ogni incursione dei nemici, da ogni timore degli avversari. Non guardi i nostri meriti, ma la sua misericordia, Lui che anche in passato si degnò di liberare i figli di Israele non per i loro meriti, ma per la sua misericordia. Ci protegga con il solito amore misericordioso e operi per noi ciò che il santo Mosè disse ai figli di Israele: “Il Signore combatterà in vostra difesa, e voi starete in silenzio” (cfr Es 14,14). È Lui che combatte, è Lui che riporta la vittoria … E affinché si degni di farlo, dobbiamo pregare il più possibile. Egli stesso infatti dice per bocca del profeta: “Invocami nel giorno della tribolazione; io ti libererò, e tu mi darai gloria” (cfr Sal 50,15)» (Sermone XVI,4).

Così, proprio all’inizio del tempo di Avvento, san Cromazio ci ricorda che l’Avvento è tempo di preghiera, in cui occorre entrare in contatto con Dio. Dio ci conosce, conosce me, conosce ognuno di noi, mi vuol bene, non mi abbandona. Andiamo avanti con questa fiducia nel tempo liturgico appena iniziato.

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05/09/2009 07:52

VOI SIETE LA LUCE DEL MONDO - san Cromazio

Dai "Trattati sul vangelo di Matteo" di san Cromazio, vescovo

 

VOI SIETE LA LUCE DEL MONDO

 

 

"Voi siete la luce del mondo. Non può restare nascosta un città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa" (Mt 5,14-15). Il Signore ha chiamato i suoi discepoli "sale della terra", perché hanno dato sapore, per mezzo della sapienza celeste, ai cuori degli uomini resi insipidi dal diavolo. Ora li chiama anche " luce del mondo" perché, illuminati da lui stesso che è la luce vera ed eterna, sono diventati, a loro volta, luce che splende nelle tenebre. Egli è il sole della giustizia. Molto giustamente quindi chiama luce del mondo anche i suoi discepoli, in quanto per mezzo loro, come attraverso raggi splendenti, ha illuminato tutta la terra, con la luce della verità. Diffondendo la luce della verità, essi hanno tolto le tenebre dell'errore dai cuori degli uomini. Anche noi siamo stati illuminati per mezzo di loro, così da trasformarci da tenebra in luce (Ef. 5,8) E ancora: Voi non siete figli della notte e delle tenebre, ma figli della luce del giorno (cfr. 1 Ts 5,5). Ben a ragione quindi anche  san Giacomo ha lasciato scritto nella sua lettera:" Dio è luce" ( 1 Gv 1,5) e chi rima ne in Dio si trova nella luce. Poiché dunque ci rallegriamo di essere stati liberati dalle tenebre dell'errore, è logico che quali figli della luce dobbiamo camminare sempre in essa. Per questo l'Apostolo dice ancora: Risplendete come astri in questo mondo, attenendovi fedelmente alla parola di vita (cfr. Fil 2,15-16). Se non faremo questo, noi nasconderemo e oscureremo con il velo della nostra infedeltà, a danno e degli altri, quella luce che splende a utilità di tutti. Sappiamo infatti, e lo abbiamo anche letto, che quel servo invece di portare in banca il talento ricevuto per guadagnarsi il cielo aveva preferito nasconderlo. E così fu colpito dal giusto castigo. Quella luce spirituale che è stata accesa perché ne usiamo a nostra salvezza, deve sempre risplendere in noi. Abbiamo a nostra disposizione la lucerna dei comandamenti di Dio e della grazia spirituale, di cui David dice: Il tuo comandamento è lucerna ai miei piedi e luce ai miei sentieri (cfr. Sal 118, 105). Di questa parola  parla anche Salomone quando afferma: Il comando della legge è come una lucerna (cfr. Pr 6,23). Non dobbiamo quindi tener nascosta questa lucerna della legge e della fede. Dobbiamo anzi tenerla alta nella Chiesa, come sopra un candelabro, affinché sia di salvezza a molti, perché noi stessi confortiamo alla luce della stessa verità  e tutti i credenti ne siano illuminati) Dai "Trattati sul vangelo di Matteo" di san Cromazio, vescovo).

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