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La Santa Messa: FONTE DELL'EUCARESTIA

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 12:23
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05/09/2009 12:22

CONTINUITA NELLA TRANSUSTANZIAZIONE

Giunti al culmine della celebrazione eucaristica ci mettiamo in un atteggiamento di raccoglimento. Il cele­brante pronuncia con attenzione e l'assemblea ascolta con devozione le parole della consacrazione: "Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo... Prendete e bevete, questo è il calice del mio Sangue... ".

Ma all'elevazione dell'ostia e del calice, continuia­mo a vedere quello che vedevamo prima.

È duro, è difficile per la nostra fede continuare a vedere la medesima cosa e dover affermare che quello che ora vediamo è assolutamente differente, è totalmen­te altro da quello che abbiamo portato all'altare.

Facciamo attenzione. Abbiamo portato pane, abbia­mo portato vino col desiderio di offrirli a Dio in nostra sostituzione. Ci rappresentano: "Frutto della terra e del lavoro dell'uomo ".

Agli occhi di Dio non solo è insignificante quello che abbiamo portato, ma lo sono anche i nostri cuori, che abbiamo inseriti nel nostro dono: sono anch'essi piccoli, poveri e meschini.

Orbene, nel momento della Consacrazione, quello che non valeva niente, quello che non era niente altro che un poco di pane e un poco di vino, diventa una realtà straordinariamente meravigliosa. Si converte nel Corpo e nel Sangue di Cristo.

La fede, basata sulla parola stessa di Gesù, ci assicu­ra questa transustanziazione, ma noi continuiamo a vedere pane e vino.

Il fatto che l'apparenza continui tale e quale, non è solo una croce per la nostra fede, ma ci presenta un'al­tra realtà meravigliosa.

È il segno, la garanzia della continuità.

Questo permanere delle specie, mentre la sostanza del pane e del vino viene sostituita dalla sostanza del Corpo e del Sangue di Cristo, ci manifesta la conti­nuità tra quello che abbiamo portato all'altare, tra quello che fu il nostro dono a Dio e quello che è il dono di Dio a noi.

In quell'apparenza del pane e del vino sappiamo vedere, sentire e vivere la continuità dell'invisibile ma reale scambio d'amore fra noi e il Padre nel Figlio per mezzo dello Spirito Santo.

Guardiamo, contempliamo l'Ostia. Per la vista è pane, per la fede è Cristo Gesù.

Vediamo del pane, ma sotto le sue apparenze credia­mo alla presenza reale di Gesù.

Consideriamo. È la sostanza che sostiene le specie, ma sono queste che manifestano la sostanza.

Per cui, come nell'ostia, dopo la Consacrazione, le apparenze del pane nascondono e, nello stesso tempo, manifestano la presenza eucaristica del Signore, così nel nostro corpo, dopo la Comunione, le sembianze della nostra persona contengono, nascondono la presen­za di Gesù ma, nello stesso tempo, devono manifestare la forza trasformatrice, santificatrice, divinizzatrice di questa presenza.

La continuità delle apparenze dell'Ostia deve ricor­darci che quelle apparenze siamo noi. Una realtà mera­vigliosa, ma molto impegnativa.



SCAMBIO DI DONI

Le parole della Consacrazione: "Prendete e mangia­te... Prendete e bevete...", invitano non solo a ricevere, ma anche a dare. Realizzano un misterioso scambio di doni fra Dio e noi e, in Gesù, fra noi.

L'iniziativa è sempre del Signore. Noi non facciamo altro che restituirgli ciò che Lui stesso ci ha donato: un po' di pane e un po' di vino.

Però al momento della Consacrazione, Egli si degna di trasformare questo nostro dono nel suo Figlio, e noi glie­lo offriamo come dono più gradito. E Dio, in cambio di questo dono, ci dà la sua amicizia, ci fa partecipi della sua vita divina.

Ma questo scambio di doni racchiude un significato ancor più misterioso. Il pane e il vino ci rappresentano, anzi siamo noi che, nell'atto della Consacrazione, diven­tiamo una cosa sola con Cristo Gesù. E Gesù, offrendo Se stesso al Padre, offre anche noi, e noi ci offriamo con Lui.

Questo scambio di doni fra noi e Dio in Cristo, si com­pleta, si perfeziona, si concretizza nel momento della comunione sacramentale.

A questo punto dobbiamo fare molta attenzione per non cadere in una possibile e deleteria illusione. Infatti se ci fermassimo in questo intimo scambio di amore con Gesù, non proseguiremmo in quel cammino nel quale Egli ci precede: "Come faccio io, fate anche voi... Io mi dono a voi, anche voi donatevi gli uni gli altri".

Gesù c'impone di spostare lo sguardo da Lui ai fratelli, da Lui-Capo ai fratelli-membra del suo Corpo Mistico. Se non realizziamo questo passaggio, siamo dei bugiardi. Infatti, diciamo di donarci ai fratelli, ma in realtà non ci doniamo.

Per convincerci che siamo veramente dei bugiardi, cer chiamo di penetrare nel mistero delle parole della Consacrazione: "Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo. Prendete e bevete, questo è il calice del mio Sangue... ".

È vero che nel celebrante è Gesù che pronuncia queste parole. Però non è più il Gesù del Cenacolo, ma il Gesù risorto, il Gesù che era morto ed ora vive per sempre. Questo Gesù è il "Cristo totale", Capo e corpo inscindi­bilmente uniti: Lui capo, noi membra.

Ora, se è questo "Cristo totale" che pronuncia le parole della Consacrazione, in Lui e con Lui le pronunciamo anche noi e ci diciamo l'un l'altro: "Prendete e mangia­te... Prendete e bevete... ".

Ci offriamo vicendevolmente il nostro corpo, la nostra vita, e nella misura in cui coscientemente abbiamo inseri­to nel pane e nel vino l'offerta di noi stessi, per cui nel fare la Comunione diventiamo riceventi e ricevuti. Riceviamo tutti coloro che, come noi, si sono inseriti nell'Ostia, e da loro siamo ricevuti.

Uno scambio veramente misterioso, ma reale, a cui purtroppo non pensiamo e, non pensandoci, non lo realiz­ziamo.

È questo il motivo per cui le nostre Comunioni sono morte, ci lasciano come siamo. Riceviamo Gesù vivo, ma in noi Lo rendiamo morto, perché non Gli permettiamo di far circolare fra di noi, membra del suo Corpo mistico, la sua linfa vitale.

Se veramente vogliamo essere membra vive del Corpo Mistico di Cristo, dobbiamo impegnarci seriamente a rea­lizzare, a concretizzare questo scambio di donarci e rice­verci.

Ritorniamo alle parole della Consacrazione. "Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo": nell'Ostia doniamo agli altri e riceviamo dagli altri tutto quello che facciamo giorno per giorno, e che in Gesù diventa per ognuno sostegno, conforto, consolazione, vita... "Prendete e bevete, questo è il mio Sangue": nel calice vi è tutto quello che ci fa soffrire, e che nel Sangue di Cristo diventa offerta riparativa per i nostri e altrui peccati. Per scoprire e vivere, almeno un poco, questa sconvol­gente realtà, impariamo a fare più attenzione in questi tre momenti della Messa:

- mentre il celebrante prepara la materia per il sacrificio, rendiamoci presenti nel pane e nel vino;

- mentre pronuncia le parole della Consacrazione, rendia-moci consapevoli che lo Spirito Santo agisce anche in noi e ci inserisce nel Corpo e nel Sangue di Cristo;

- mentre distribuisce la Comunione, ricordiamoci che nell'Ostia vi è presente non solo Gesù, ma anche tutti coloro che vi si sono inseriti, impariamo a riceverli ed essere ricevuti da loro.

Si apre davanti al nostro sguardo il vastissimo e mera­viglioso campo della carità fraterna, in cui possiamo veramente divenire un pane spezzato, donato, mangiato.

Un'immagine di questo scambio di doni, possiamo averla spostandoci dalla mensa eucaristica alla mensa domestica.

Tutti i membri della famiglia si siedono attorno all'unico tavolo e consumano un medesimo cibo. Però in quella pasta, in quel pane, in quel contorno... vi sono il lavoro e lo stipendio del padre, vi sono la premura e l'affetto della madre, vi sono la riconoscenza e il sorriso dei figli. Quanto più dovrebbe avvenire attorno alla mensa eucaristica, dove Gesù stesso è pane di vita.

Pensiamoci e prepariamoci a questo scambio di doni. Durante la giornata, la preghiera, il lavoro, la sofferenza, la solitudine, l'incomprensione... dev'essere tutta materia che dobbiamo portare alla Messa a beneficio di tutti i membri della nostra famiglia, che è la parrocchia, che è la Chiesa intera.



UN SOLO CORPO

Nella Messa, al momento della consacrazione, in gene­re ci mettiamo in silenzio e ascoltiamo con una certa rive­renza le parole che il celebrante pronuncia in nome di Cristo Signore.

Invece non diamo importanza né facciamo attenzione alle parole della seconda invocazione dello Spirito Santo, con cui chiediamo la realizzazione del fine della consa­crazione.

Nella prima s'invoca lo Spirito Santo su il pane e su il vino: "Manda il tuo spirito a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo ".

Nella seconda lo Spirito Santo viene invocato su ognu­no di noi e su tutta l'assemblea dei fedeli: "A noi che ci nutriamo del corpo e del sangue di Cristo, dona la pie­nezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito".

Due momenti di supplica, che sono intimamente uniti, poiché è una domanda unica con duplice riferimento: i doni e i fedeli.

Mediante l'azione dello Spirito Santo, alle due offerte - il pane e il vino, e l'assemblea dei fedeli, - subentrano i due corpi del Signore: il suo corpo reale, quello nato da Maria Vergine, morto, risorto e asceso al cielo; e il suo Corpo mistico che è la Chiesa.

Due presenze che soro ben diverse, ma non divise. La prima genera la seconda, questa completa la prima.

Il punto di unione e di fusione è il Pane eucaristico: "Il Pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane" (1 Cor. 10,16-17).

La realizzazione di questo unico corpo è stato il fine della redenzione. È vero, non vi è dubbio che il fine della redenzione è stato la gloria di Dio, ma una gloria che deriva nel riportare l'uomo nella grazia, nell'amici­zia con Dio.

Per cui possiamo ritenere che il sacrificio della croce ha avuto come fine l'unione di tutti gli uomini in una sola famiglia: "Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi "(Gv. 11,51-52).

Ora, se la Messa è la rinnovazione del sacrificio della croce, è logico che lo stesso effetto di unire l'umanità, che è derivato dalla croce, derivi anche dalla Messa. Ce lo insegna il Vaticano II "Il Figlio, di Dio... istituì nella sua chiesa il mirabile sacramento dell'Eucaristia, dal quale l'unità della Chiesa è significata e prodotta" (N.R., n.2).

In genere tutte le preghiere liturgiche "dopo la Comunione" sono ispirate a questa verità fondamentale: "O Dio, che ci hai resi partecipi di un solo pane e di un solo calice, fa' che uniti al Cristo in un solo corpo, por­tiamo con gioia frutti di vita eterna" (Domenica 5 T.O.)

Una preghiera che ci fa rivolgere il pensiero anche alla vita futura. E la Messa ci guida, ci conduce verso la per­fezione dell'unità nell'eternità. La morte non ci separa, ma ci unisce. Essa è una porta, oltre la quale noi entriamo nella perfezione dell'unità. Gesù stesso ce lo assicura: "Che essi siano consumati - cioè resi perfetti - nell'unità, cioè in me e in te, o Padre, perché noi siamo l'unità" (Cfr. Gv. 17,21-23).

Se la Messa non ci porta all'unione con i fratelli fino all'unità, vuol dire che non l'abbiamo compresa nella sua essenza.

AI massimo ci accontentiamo di guardare Cristo sull'al­tare, ma non gli permettiamo di scendere in mezzo a noi. Lo Spirito Santo invocato sul pane e sul vino, è ugual­mente invocato su l'assemblea. E come trasforma il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Cristo, deve continuare e completare la sua azione su l'assemblea, perché diventi il Corpo mistico di Cristo.

Se non siamo impegnati a raggiungere questo traguar­do, a formare questo unico corpo, noi celebriamo delle "Eucaristie incomplete". Forse poco ci pensiamo, ma è questo il fine della Messa, quello di formare in Cristo di tutti noi un solo corpo, e di essere in Cristo e da Cristo presentati al Padre.

Guardiamo, osserviamo l'Ostia, trasformata nel Corpo del Signore: essa ci manifesta la fusione, l'unità in un piano visibile e materiale, in quanto è formata dall'insie­me di più chicchi di grano. E rendiamoci disponibili all'azione dello Spirito Santo perché possa realizzare questa unità fra noi su un piano interiore e spirituale. È questa sua presenza che ci unisce insieme, pur lasciando­ci diversi e indipendenti. Apparentemente siamo separati l'uno dall'altro, ma di fatto siamo membra vive come parte integrante di un unico corpo, vivificate da un medesimo principio vitale, quindi unite e influenti le une su le altre.

Di conseguenza, non sentiamoci soli nella Messa, non guardiamo soltanto in alto, ma anche attorno a noi, per celebrare insieme la Messa, per unirci insieme a Cristo, per cibarci insieme del suo Corpo, per presentarci insie­me al Padre, per far circolare in noi e fra noi il medesimo amore di Cristo, che fa di tutti noi un solo corpo.



OFFERTO IN SACRIFICIO

"Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi".

Gesù c'invita - "prendete" - ad una mensa - "mangia­te" - per farci partecipare ad un sacrificio - "il mio corpo offerto in sacrificio".

L'altare è mensa perché il sacrificio è la cena del Signore. Altare-sacrificio, mensa-convito: questi due termini s'intersecano prevalendo ora l'uno ora l'altro, talora fon­dendosi.

Oggi c'è una forte tendenza per la mensa-convito, a scapito dell'altare-sacrificio, eppure su la mensa vi è una carne immolata.

Si accetta volentieri l'invito, con festa ci si siede attor­no alla mensa, ma non si cerca di sapere come è stato pre­parato il cibo che viene offerto.

Il pane è la carne di Cristo, una carne sacrificale, per­ché è offerta in sacrificio; il vino è il suo sangue, ma sangue sacrificale, perché viene sparso per la remissione dei peccati.

La loro duplice consacrazione è un'immolazione come quella avvenuta sul calvario, misticamente manifestata dalla separazione del sangue dal corpo.

Noi, mangiando il corpo di Cristo e bevendo il suo san­gue, entriamo in sintonia con l'atto sacrificale di Cristo: offrire Lui e da Lui imparare ad offrire noi stessi in sacrifi­cio spirituale per la gloria di Dio e la salvezza del mondo.

Gesù, per unirsi a noi e per unirci a Sé, si è lasciato inchiodare sul legno della croce, si lascia immolare su l'altare.

Noi, se vogliamo partecipare alla sua mensa e ricevere i benefici del suo sacrificio, dobbiamo metterci nelle sue stesse condizioni, in uno stato sacrificale.

Non basta sedersi alla mensa, ma si deve entrare nella Messa inserendoci la nostra offerta, unire il nostro sacrifi­cio a quello di Cristo.

Senza questa partecipazione non vi è comunione, per­ché prima di essere un'incorporazione alla vita di Cristo, deve essere un'incorporazione alla sua morte.

Gesù, per donarsi a noi, si lascia "immolare" sopra l'alta­re; anche noi dobbiamo permettere al suo amore di sacrifi­care sull'altare del cuore il nostro egoismo, il nostro orgo­glio, tutto ciò che può offendere il suo sguardo, se vogliamo unirci a Lui..., divenire con Lui "una cosa sola".

La Messa, partecipata con questo spirito, e la Comunione, fatta con questo scopo, ci portano ad essere vere anime eucaristiche riparatrici, piccole ostie nella grande Ostia.

Oggi, invece, si pensa più al banchetto che all'altare. Questo atteggiamento potrebbe portare i fedeli a dare più importanza all'unione fra loro che all'unione perso­nale di ciascuno con Cristo. Infatti succede che molti di loro ritengono "riuscita" la celebrazione eucaristica per la soddisfazione che provano nello "stare insieme". L'assemblea diventa quasi fine a se stessa. Si dimentica che la gioia di "stare insieme" è autentica solo se l'unio­ne fra loro è basata su quella di ognuno col Cristo.

Eliminata la dimensione verticale, la Messa presenta quella orizzontale del rapporto dell'uomo all'uomo, non più dell'uomo a Dio.

Si viene a perdere di vista la Messa-sacrificio, per slit­tare verso la concezione di una Messa-convito, dove si celebra più il trionfo del Cristo Risorto, che la sua Morte espiatrice.

Uno slittamento che può allontanarci dall'insegnamen­to, dalle direttive della Chiesa, per cui facciamo molta attenzione quando partecipiamo a certe riunioni in cui si dà troppa importanza alla mensa.



FATE QUESTO...

"Fate questo in memoria di me".

"Fate questo!". È un ordine, Gesù autorizza i suoi discepoli a ripetere i suoi gesti e a pronunciare le sue parole sul pane e sul vino.

"Fate questo!". È un dono. Gesù fa agli uomini il dono della presenza della sua persona.

"In memoria di me". È un memoriale. Gesù prolunga nella presenza sacramentale il suo atto di offerta al Padre e la condivisione di Sé con i suoi fedeli.

"In memoria di me". È un esempio. Gesù chiede ai suoi di fare quello che Egli ha fatto.

Perché le sue parole fossero interpretate in senso giu­sto: "preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita..., versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli... Quando ebbe lavato loro i piedi, disse loro: ho lavato i vostri piedi... anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi" (Gv. 13,4-5;12-5).

"Come ho fatto io". Gesù, lavando i piedi dei disce­poli, manifesta la sua disponibilità, il suo servizio, la sua donazione verso gli altri.

Quel boccone che dà ai suoi discepoli non è più pane, è la sua carne, è tutto se stesso.

Si lascia mangiare dai suoi discepoli perché la sua vita di servizio diventi la loro vita.

"Facciate anche voi". Gesù ci invita a collaborare con Lui nella missione del donarsi. Dobbiamo donarci agli altri come Lui si dona a noi.

Volentieri, anche con una certa disinvoltura, rinnoviamo il sacrificio di Cristo, perché non ci costa nulla. Ad una semplice parola del celebrante, Gesù si rende presen­te nel pane e nel vino per donarsi.

Ma in genere questo suo dono si ferma in noi, perché non sappiamo o non riusciamo a rinunciarci per trasmet­terlo agli altri.

Gesù fa la sua parte, la fa sempre, ciò che manca è la nostra parte.

Proprio per la mancanza di questa donazione, le nostre celebrazioni rimangono incomplete.

La Messa non deve terminare sull'altare, ma prosegui­re nell'assemblea dei fedeli, trasformandoli in un prolun­gamento di Cristo, in un donarsi vicendevole.

Gesù ci convoca attorno al suo altare per metterci di fronte al suo grado di amore (Gv. 13,31).

Se questo incontro può essere un momento gioioso, deve essere anche un momento mortificante. Perché vediamo la sproporzione, la distanza che ci separa dall'e­sempio di Cristo; ma il suo comportamento è anche un richiamo, uno stimolo, un'incoraggiamento.

Per cui dobbiamo fare attenzione che le parole di Gesù: "Fate questo in memoria di me", non si perdano nel vuoto, ma penetrino nel nostro animo e lo scuotino da tanta freddezza, indifferenza, abitudine.

Rendiamoci consapevoli che è proprio questa freddez­za abituale a creare un muro di separazione tra noi e Gesù.

Egli viene in noi, viene come presenza viva, che desi­dera entrare in relazione con la nostra persona, ma trova in noi una realtà vuota, assente, impermeabile, per cui la sua volontà rimane impotente e noi ritorniamo poveri come siamo venuti.

Se dopo una celebrazione eucaristica tutto è come prima; se dopo aver ricevuto il dono della generosità di Cristo non succede niente nella nostra generosità, nella nostra carità, nel nostro darci agli altri, dobbiamo ricono­scere che non ci siamo lasciati penetrare dal dono di Cristo, il quale si fa appunto dono per dare a noi la forza di essere dono.

Riflettiamo ed impariamo ad unire l'ordine di Gesù: "Fate questo in memoria di me", al saluto di congedo del celebrante: "Andate, la Messa è finita!". È finita la Messa di Cristo, deve iniziare la nostra messa.

Gesù, dopo essersi donato a noi, vuole continuare in noi e con noi la sua donazione.

Rendiamoci fedeli trasmettitori- del dono del suo amore. Abbiamo ricevuto, sappiamo dare. Non pensiamo ai lontani, ma iniziamo dai più vicini, dai più prossimi.

Uscendo dalla chiesa, per la strada, in casa..., rido­niamo l'amore ricevuto con il perdono e la pace, con il sorriso e la gioia, con la comprensione e la sopportazio­ne, con il servizio e l'accoglienza, con il conforto e il sollievo...

Saremo coerenti con quello che chiediamo nella secon­da preghiera eucaristica: "Padre, rendici aperti e disponi­bili verso i fratelli che incontriamo nel nostro cammino, perché possiamo condividerne i dolori e le angoscie, le gioie e le speranze, e progredire insiemè nella via della salvezza".

È la testimonianza che la società attende oggi da noi. Di conseguenza, sappiamo sostituire la soddisfazione di ascoltare più Messe, con l'impegno di vivere la Messa.


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