QUESTO FORUM E' CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO... A LUI OGNI ONORE E GLORIA NEI SECOLI DEI SECOLI, AMEN!
 
Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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La Santa Messa: FONTE DI VITA VERA

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 12:30
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05/09/2009 12:25

LA MESSA FONTE DI VITA

Prendete e mangiate: questo è il mio Corpo!


ILDEBRANDO A. SANTANGELO
COMUNITÀ EDITRICE - ADRANO (CT) 1999


IL SACRIFICIO EUCARISTICO
1. Il Simbolo


Dio tutto ha creato per la sua gloria. Quando l'uomo impiega tut­ta la sua intelligenza e tutte le sue risorse per fabbricare un bel pa­lazzo per sé o per un altro uomo certamente fa bene; ma se questo facesse per un essere a lui inferiore, per es. per un cane, certamente sarebbe stolto.

Nessuno è uguale a Dio e quindi Dio, perché sapientissimo, non poteva creare l'universo per altro scopo che per la sua gloria. Questa gloria egli l'ottiene soltanto dall'uomo. È solo l'uomo infatti che può ammirare le divine perfezioni, diffuse nella natura, riferirle a Dio, lo­dare e glorificare Dio delle opere sue. C'è ancora un grado superiore di gloria che l'uomo può e quindi deve dare a Dio: offrirgli, cioè ri­tornargli, quanto da Lui ha ricevuto. Questo l'uomo lo ha capito fin dai primissimi tempi e fin d'allora ha offerto i suoi sacrifici a Dio. Talora gli offriva le primizie dei frutti, distruggendoli o lasciandoli disfare in suo onore; ma il principale e più simbolico sacrificio era l'offerta degli animali. Il sacrificio dell'animale era il sacrificio classi­co.

I fini intrinseci di ogni sacrificio erano e sono sempre quattro:

1) Latreutico. Luomo offrendo l'animale a Dio riconosce Dio co­me padrone di quanto esiste sulla terra e padrone assoluto della vi­ta e della morte. Con la distruzione dell'animale l'uomo si intende prostrare in adorazione ed annientare dinanzi all'infinita maestà di Dio. Nello stesso tempo si priva di quanto gli è utile e caro e ne fa un cordiale omaggio a Dio.

2) Eucaristico. Luomo riconosce che tutto quanto sulla terra è stato creato da Dio e a Dio appartiene; Dio nella sua infinita bontà glielo ha messo a disposizione. È giusto che l'uomo sia riconoscente ed in segno della sua riconoscenza Gli offre gli animali più belli e più utili. (Gli animali difettosi non potevano essere offerti in sacrifi­cio).

3) Impetratorio. Gratiarum actio, nova petitio. Il ringraziamento è in sé stesso una nuova domanda: esso ben dispone il benefattore verso il beneficato. Chi è buono e fa del bene non si aspetta ricom­pensa da coloro che benefica si aspetta però sempre la riconoscenza.

Niente più ci affligge dell'ingratitudine di coloro che abbiamo bene­ficato. Col sacrificio l'uomo si attira la benevolenza di Dio. L'uomo, conscio di questo, sottomette umilmente a Dio durante il sacrificio i suoi desideri e le sue preghiere fiducioso di essere esaudito.

4) Soddisfattorio. L'uomo sa che Dio, pur facendolo re dell'uni­verso, gli ha dato delle leggi alle quali è doveroso obbedire, anzitut­to per giusto rispetto e sottomissione a Dio, quindi per meglio rag­giungere i suoi fini terreni e ultraterreni.

Nello stesso tempo è conscio della sua fragilità e dei suoi molti peccati. Non ha coraggio di presentarsi a Dio, né mezzo di placarlo; geme dei castighi subiti, dei quali non si può liberare; teme quelli fu­turi che non potrà scongiurare. In questa dolorosa situazione vede un riparo: chiedere umilmente perdono a Dio; e cerca di distruggere i suoi peccati col sacrificio. Piglia un animale, gli stende le mani so­pra, intendendo con questo gesto scaricare su di esso i suoi peccati. Quindi fa immolare dal sacerdote e distruggere col fuoco l'animale confidando che insieme all'animale vengano distrutti i suoi peccati. Pur avendo ogni sacrificio questi quattro fini, l'uomo generalmente nel fare il suo sacrificio se ne prefiggeva uno e precisamente o il rin­graziamento o l'espiazione, per cui i sacrifici si distinguevano in Ho­stia laudis ed in holocaustum pro peccato.

Le parti del sacrificio erano ugualmente quattro:

1) Offerta. L'animale da immolare veniva dedicato a Dio con una preghiera. Da quel momento diventava cosa sacra, cessava di appar­tenere all'uomo e non poteva più essere adoperato per usi profani, anche se per essere immolato doveva passare molto tempo.

2) Immolazione. L'animale veniva ucciso dal sacerdote e col suo sangue si aspergeva l'altare. L'immolazione era la parte centrale del sacrificio.

3) Trasformazione. L'animale, posto su una catasta di legna, veniva bruciato o consumato nel fuoco. Mediante il fuoco il suo corpo cambiava di natura cioè si trasformava in fumo e in fuoco. Questa distruzione dell'essere, per cui la materia cambiava di stato diven­tando luce e calore, onorava sommamente Dio, perché per esse ve­niva riconosciuto il più assoluto dominio di Dio. Distruggendosi l'a­nimale venivano simbolicamente distrutti i peccati degli offerenti che su di esso li avevano scaricati.

4) Comunione. Questo era il compimento del sacrificio. Mentre l'animale si consumava nel fuoco ed il profumo saliva in odore di soa­vità a Dio, una parte della vittima veniva data all'offerente perché la mangiasse. Così la vittima serviva da monte tra l'uomo e Dio, con­giungeva il cielo e la terra e faceva comunicare l'uomo con Dio. Questa unione onorava sommamente Iddio perché per essa l'uomo, già purificato dai suoi peccati, distrutti nella trasformazione dell'ani­male, ritornava al suo Creatore.

Ma quale capacità poteva avere una povera bestia di purificare l'uo­mo dai suoi peccati? Poteva l'uomo con la riparazione offerta nel sa­crificio di un animale soddisfare la giustizia di Dio, riparare l'oltrag­gio infinito fattogli, pagare il suo debito infinito? Se tanto non poteva col sacrificio della sua persona come lo avrebbe potuto col sacrificio di un animale? Eppure con quei sacrifici l'uomo si propiziava Dio: Dio placava la sua giusta ira provocata dai peccati degli uomini, so­spendeva i suoi castighi, le guerre e le pestilenze, ricolmava gli uomi­ni dei suoi benefici, mandava loro l'acqua, i buoni raccolti, la prospe­rità. Perché un animale immolato aveva tanto potere su Lui? Unica­mente perché il sacrificio dell'animale simboleggiava il sacrificio di Gesù, l'unico sacrificio degno di Dio. Nell'animale ucciso e steso sul­l'altare Dio vedeva Gesù immolato e appeso nella Croce.



2. La realtà

Dio tutto ha creato per la sua gloria; tale gloria ottiene quando l'uomo ritorna a Lui liberamente.

L'uomo può dare gloria a Dio:

1) Ammirando e glorificando Dio per le opere sue.

In tal modo riferi­sce a Dio e idealmente a Lui ritorna la creazione.

2) Offrendo a Dio dei sacrifici;

in tal modo egli ritorna praticamen­te quando c'è di meglio nella creazione.

3) Offrendo sé stesso a Dio in sacrificio.

Tale sacrificio è quanto di più perfetto l'uomo possa fare. Con esso torna liberamente a Dio il suo capolavoro e si attua, per quanto è nell'uomo, la massima gloria di Dio. Ma anche il sacrificio dell'uomo era indegno di Dio, sia perché l'uomo era bacato dal peccato originale e dai peccati attuali, sia per­ché, per quanto nobile, era sempre una povera creatura, infinita­mente distante da Dio.

Se Dio non avesse potuto ottenere da tutta l'opera della creazione che il sacrificio di miseri uomini, sacrificio peraltro che ben pochi sarebbero stati disposti a fare personalmente, avrebbe ottenuto un risultato troppo scarso dall'opera sua.

Perciò Dio decreta fin dall'eternità l'incarnazione del Verbo. Gesù viene per rendere a Dio tutta la gloria possibile a forze umane e a forze divine, perché riunisce in sé tutte le perfezioni dell'umanità e tutte le perfezioni di Dio.

Infatti come il vegetale assomma tutte le perfezioni del minerale e le eleva ad un principio superiore di vita vegetativa; come l'animale assomma tutte le perfezioni dei minerali e dei vegetali e le eleva a un principio superiore di vita sensitiva; come l'uomo assomma tutte le perfezioni dei minerali, dei vegetali e degli animali e le eleva ad un principio di vita razionale; così Gesù riunendo per effetto dell'unio­ne ipostatica l'uomo completo, corpo ed anima, nella persona del Verbo, assomma in sé tutte le perfezioni dell'umanità e conseguente­mente di tutto il creato e le eleva ad un principio infinitamente su­periore, cioè alla vita divina. D'altro lato, essendo Gesù Dio, ogni sua azione ha un valore infinito. Quindi facendo Gesù il sacrificio di sé dà a Dio la massima gloria possibile, una gloria infinita. E per questo venne Gesù al mondo: « Hai rigettato le offerte e gli olocau­sti; mi hai quindi preparato un corpo. Ecco, o Signore, io vengo per fare la tua volontà » (Ebr. 10, 5).

Gesù è venuto per fare l'unico sacrificio degno di Dio, sacrificio di cui tutti quelli antichi erano simbolo e da cui traevano valore. Perché questo sacrificio fosse totale era necessario che abbrac­ciasse tutti gli istanti della vita di Gesù, tutti i sensi e tutte le fibre del suo corpo, tutte le facoltà e le potenze della sua anima, e che il tutto fosse consumato in olocausto perfetto. Così Gesù dà al Padre tutta la adorazione di cui Lui è degno, Lo riconosce il solo Buono, il solo Santo, il solo Altissimo Dio di infinita gloria; lo ringrazia de­gnamente per l'infinito amore e l'infinita misericordia con cui ha creato l'universo ed ha ricapitolato tutto quanto è in cielo ed in ter­ra al suo unico Figliuolo; gli offre una vittima di valore infinito e con ciò ripara tutti i doveri degli uomini, i sacrifici non fatti o mal­fatti ed espia tutti i peccati del mondo; Lo prega con la certezza di essere esaudito, per la remissione dei peccati degli uomini, per la loro conversione, per la loro santificazione e per tutti i loro bisogni temporali.

Il sacrificio di Gesù, come ogni sacrificio, consta di quattro parti:



1) OFFERTA. Gesù si offre al Padre fin dal primo istante della sua Incarnazione. « A principio del libro c'è scritto di me che io faccia, o Dio, la tua volontà » (Ps. 39, 11). Quando Gesù a quaranta giorni è portato per la prima volta al tempio, viene offerto pubblicamente da Maria SS. al sacerdote Simeone, il quale lo piglia e solennemente lo presenta ed offre al Padre. Quindi Gesù è cosa sacra, consacrata e ri­servata al Padre. Gesù non può vivere che per fare la volontà del Pa­dre e gli interessi del Padre. Quindi è:

1) Obbediente. I suoi passi, le sue opere, i suoi respiri, tutta la sua vita sono mossi non dalla sua volontà, ma da quella del Padre. Gesù nulla fa per sé: « Il mio cibo è far la volontà del Padre mio » (Jo. 4, 34). È obbediente fino alla croce e quando il prospetto delle immen­se pene fisiche e morali da sostenere lo abbatte nell'orto, così prega: « Padre, se è possibile passi da me questo calice; tuttavia si faccia non la mia ma la tua volontà » (Mt. 26, 3).

2) Umile. È assurdo che Gesù potesse essere superbo. La super­bia è la soverchia stima di sé, cioè l'attribuirsi perfezioni che non si hanno. Gesù ha tutte le perfezioni in grado infinito, e siccome non c'è nulla superiore all'infinito, Gesù non può avere né dare di sé un concetto superiore a quello che è, né stimarsi o farsi stimare più di quanto vale. Per essere meglio riservato al Padre, Egli non solo non si fa ammirare, ma si nasconde; non solo non cerca di essere ono­rato, ma cerca di essere disprezzato. Ed era conveniente che fosse umile. L'uomo infatti si insuperbisce o per i beni materiali o per le doti del corpo o per quelle dell'anima. Chi è Dio si avvilirebbe a fregiarsi di tutte queste cose infinitamente inferiori a sé. Gesù non solo non manifesta le sue perfezioni, ma positivamente le nascon­de per offrirle e riservarle al Padre. « Non cerco la mia gloria » (Io. 8,50).

3) Povero. La povertà assoluta lo accompagna dalla culla. Gesù si fa passare per il figlio del falegname Giuseppe, si confonde con la povera gente, se la fa con le persone dei più bassi ranghi sociali; mangia con i pubblicani, conversa con i peccatori, è affabile con tut­ti, tutti attira a sé per portarli al Padre suo. Lava i piedi agli apostoli, si fa coronare re di burla, sceglie di farsi sacrificare col supplizio più infamante, quello riservato agli schiavi delinquenti. È povero. La po­vertà assoluta lo accompagna dalla culla alla croce. Non ha nulla e nulla mai possiede nella sua vita. Era conveniente che così fosse. Il padrone dell'universo si sarebbe degradato ed avvilito se si fosse fat­to signore di una terra, di un castello, di qualunque altra proprietà. Essendo disceso dal cielo ed avendo occultata la sua infinita maestà, era giusto che non fosse padrone di cosa alcuna. « Le volpi - Egli poté dire - hanno le loro tane, gli uccelli i loro nidi, ma il Figlio del­l'Uomo non ha dove posare il capo » (Mt. 8, 20). Così, insieme al sacrificio di sé, Gesù fece al Padre il sacrificio di tutto il creato, che pure gli apparteneva.

4) Sacrificio. Il suo corpo appartiene al Padre e deve servire solo per il Padre, non per aver delle soddisfazioni. Ed era conveniente che così fosse. I Vangeli notano spesso che Gesù era triste, narrano che diverse volte ha pianto, mai che abbia riso. Gesù vive nel totale sa­crificio dei sensi, nel totale distacco dal mondo e muore fra i più atroci tormenti. Così riserva tutti suoi sensi, tutte le sue fibre al Pa­dre e le consuma integralmente nel suo sacrificio.

5) Zelante. Nella sua vita Gesù cerca solo la gloria del Padre e per essa spende tutte le sue energie e compie il suo sacrificio. Alla madre sua, che gli chiede perché si fosse eclissato per tre giorni lasciando nella costernazione lei e S. Giuseppe, risponde: « Non sapevate che io debbo trovarmi nelle cose che riguardano il Padre mio? » (Lc. 2, 49). Vive continuamente la sua consacrazione al Padre stando a Lui sempre unito nella preghiera, e, dopo aver faticato tutto il giorno a fare del bene e a predicare il Vangelo per attirare gli uomini al Padre, passa le notti prostrato in preghiera. La sua vita si riduce a questo: parlare agli uomini di Dio, parlare a Dio degli uomini per supplire i loro doveri verso Dio.



II) IMMOLAZIONE. Nessuno ha maggiore amore di chi dà la sua vi­ta per la persona amata. A Gesù non basta perdere la sua vita, cioè cessare di vivere per amore del Padre. Dopo tutto a vivere in quelle condizioni in cui Egli visse non c'era gusto e morire sarebbe stata una liberazione. Gesù volle positivamente annientare la sua vita fra gli strazi per amore del Padre. Era conveniente che così facesse per­ché fosse perfettissimo il suo sacrifico: così infatti non restava più che cosa soffrire e cosa sacrificare per il Padre.

Tutte le fibre della sua carne, tutti i suoi sensi e tutte le facoltà del­la sua anima soffrirono quanto umanamente potevano soffrire. Tutti i suoi organi oltrepassarono i limiti della sopportazione.

Tutto in Lui perì quando per la violenza dei crampi e dell'agonia il suo cuore cessò di battere.

Mai morte umana fu più completa e simultanea di quella di Gesù. Tutto il suo corpo divenne livido, mentre della sua anima Gesù po­té dire: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato! » (Mt. 45, 46). È grande come il mare la sua attrizione e nessuno potrà mai ar­rivare a comprenderlo e a compatirlo (Lamentaz. 2, 13).

Gesù soffrì non semplicemente quanto un uomo poteva soffrire, ma quanto poteva soffrire un uomo sostenuto dalla divinità. Niente ci fu al mondo più grande di Gesù; in Gesù niente più grande del suo sacrificio; nel suo sacrificio niente più grande della sua passio­ne; nella sua passione niente più grande della sua morte.

La morte di Gesù è la suprema glorificazione di Dio, il maggiore avvenimento della creazione; essa è il punto che divide i tempi. Bastava una sola goccia del sangue di Gesù a soddisfare la giusti­zia del Padre, a glorificarLo degnamente, a salvare tutti gli uomini. Gesù volle soffrire tutto quanto era possibile soffrire perché fosse completo il suo sacrificio, perché potesse dare la massima prova del suo amore, perché fosse sovrabbondante la glorificazione del Padre e la redenzione degli uomini.



III) TRASFORMAZIONE. Ma ancora dopo morto, il corpo di Gesù re­stava così come il Padre glielo aveva formato. Bisognava che il fuoco consumasse questo corpo perché il sacrificio di Gesù potesse dirsi completo. Dio lo investe col suo amore e, come aveva fatto col sa­crificio di Elia e di Salomone, lo consuma e lo fa brillare trasforman­dolo in un corpo glorioso, non più opaco e pesante, ma luminoso e leggero, non più materiale, corruttibile e deformabile, ma spirituale, bellissimo ed immortale. Ora quel Corpo è puro da ogni scoria umana, è degno di Dio perché già i peccati umani da Lui presi sono stati distrutti con la morte. Ora finalmente l'opera della espiazione e redenzione è completa; ora si attua la più grande gloria di Dio che è la ricompensa del giusto.

Dio ha dimostrato la sua giustizia annientando Gesù e ricevendo da Lui la riparazione completa dei peccati degli uomini. Tuttavia Gesù ha fatto tutto questo non per debito personale, poiché non aveva peccato, ma per amore al Padre e agli uomini. Egli è innocen­te. Resta quindi scoperta una partita importante. Dio è in debito, de­ve ricompensare Gesù e non può sopportare dilazioni a un siffatto debito. Per questo fu scritto: « Non permetterà che il suo Santo veda la corruzione » (Ps. 15, 10). Per questo all'alba del terzo giorno Dio lo risuscita; lo riempie di tutte le perfezioni possibili e concepibili per un corpo umano, lo rende in tutto degno di sedere alla destra del Padre e di godere la somma ed eterna felicità.



IV) COMUNIONE. Finalmente era tempo che Gesù, uscito dal Pa­dre, ritornasse al Padre. L'opera per cui il Padre l'aveva mandato nel mondo era compiuta. Il corpo suo risuscitato era ormai degno di entrare in cielo e sedere glorioso alla destra del Padre, perché nel se­polcro aveva lasciato tutto quello che era corruttibile e mortale. E così dopo quaranta giorni dalla resurrezione, fondata e confermata la Chiesa, Gesù ascende al cielo.

Ma se con l'ascesa al cielo Gesù avesse chiuso completamente la sua missione, la sua sarebbe stata una unione, non comunione e quindi il suo sacrificio sarebbe stato incompleto.

La giustizia di Dio era soddisfatta ma alla gloria di Dio mancava­no ancora gli uomini che dovevano a Lui essere condotti, e con Lui comunicare per la sua gloria e per la loro felicità.

Perciò Gesù prima di morire istituisce l'Eucaristia che sarà il mez­zo con cui unirà intimamente a Sé gli uomini in modo da formare con tutti essi una cosa sola, un Corpo Mistico da poter offrire al Pa­dre.



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EUCARISTIA

1. È il prodigio della onnipotenza di Dio


L'onnipotenza di Dio risplende nell'ottenere i più grandiosi effetti coi mezzi più umili. Il sommo Iddio che le intelligenze non possono contenere si racchiude con tutte le sue infinite perfezioni in una mi­nuscola ostia. Li c'è il Corpo glorioso di Gesù la cui bellezza sorpas­sa qualunque nostra idea e qualunque nostro sogno di bellezza. Lì c'è tutta l'infinita potenza di Dio.

Nell'Eucaristia, in una piccola ostia c'è racchiusa una potenza in­finitamente superiore a qualunque forza della natura; c'è l'onnipo­tenza di Dio, capace di incenerire l'universo e di tenere a freno, im­briggliate nella materia, le formidabili energie che la costituiscono.

Dinanzi all'Eucaristia c'è veramente da tremare, da umiliarsi, da prostarsi per terra in muta adorazione. Non possiamo avere parole per esaltare un tanto miracolo; non possiamo compiere i nostri do­veri verso di esso.

L'unica cosa degna che possiamo fare è di unirci a Gesù stesso ed offrire al Padre le nostre adorazioni insieme a quelle che Egli nel­l'Eucaristia continuamente gli offre.

Dinanzi a tale miracolo impallidiscono i miracoli operanti da Ge­sù nella sua vita pubblica e tutti i miracoli della creazione. Tale som­mo miracolo Gesù riesce per di più ad ottenerlo con una semplice parola di un povero uomo, un prete.



2. È il prodigio dell'amore di Dio

L'Eucaristia è il mezzo della nostra elevazione allo stato sopranna­turale ed il pegno della futura gloria.

Gesù si chiude in migliaia di tabernacoli per star sempre vicino a noi; ivi resta trascurato ed abbandonato dagli uomini per poter es­sere avvicinato ogni tanto da qualcuno bisognoso di conforto, di pa­ce, di elevazione. Gesù non sa stare senza di noi. « Le mie delizie so­no nello stare tra i figli degli uomini » (Prov. 8, 31). Oh, amore infi­nito di un Dio! Dove abbondò il peccato sovrabbondò la grazia. Dal tabernacolo Egli ci ripete: « L’uccello può dimenticare i suoi piccoli, la madre può dimenticare il frutto del suo seno, ma io non mi di­menticherò di te » (Is. 49, 15).

Un re avendo dovuto mettere il figlio ribelle in prigione e non ba­standogli il cuore a lasciarlo lì solo a soffrire, lasciò i suoi abiti rega­li, si vestì da galeotto e andò a fare compagnia al figliuolo per aiu­tarlo a scontare la pena. Il re è Dio; il figliuolo siamo noi, esiliati in questa terra di castigo e di prova.

Oh, tenerezza infinita di Gesù per dei miserabili peccatori!



3. È il prodigio della Sapienza di Dio

Realizza:

- il Corpo Mistico;

- il sacrificio completo della creazione (S. Messa);

- la nostra santificazione.



LA SANTA MESSA

Gesù nella sua vita terrena iniziò, non completò la sua missione. La sua missione era la gloria di Dio e la salvezza delle anime. A que­sto fine fece del suo corpo un'ostia pura, santa e immacolata e la of­frì in sacrificio perfetto a Dio; ma egli voleva che Dio ottenesse dal­la sua creazione il massimo onore e la massima gloria possibile.

A questo fine istituì l'Eucaristia colla quale riunisce gli uomini in un sol corpo, il suo Corpo Mistico, e li offre al Padre nel sacrificio della Messa.

Come il suo corpo fisico Gesù lo prese per sacrificarlo sulla croce, così forma il suo Corpo Mistico per sacrificarlo sull'altare. Nella S. Messa Gesù offre al Padre in sacrificio se stesso e tutti i fedeli a Sé uniti: così per essa tutte le membra hanno la possibilità di fare a Dio un sacrificio perfetto.

Il sacrificio della Messa è un unico sacrificio con quello della cro­ce. Come il Corpo Mistico è uno sviluppo di Gesù, mediante l'assor­bimento e l'assimilazione degli uomini che entrano a far parte della Chiesa; così il sacrificio della Messa è uno sviluppo del sacrificio di Gesù medante l'offerta e l'immolazione dei corpi e delle anime dei fedeli.

Ogni fedele come costituisce un membro del Corpo Mistico così deve costituire una parte del suo sacrificio. Il sacrificio di Gesù deve essere completato dal sacrificio di tutte le sue parti: questo attua la S. Messa.

Il sacrificio dei fedeli è tutt'uno col sacrificio di Gesù e da esso ac­quista il suo valore.

Le offerte, i sacrifici e i dolori degli uomini fatti e sopportati al di fuori della comunione al sacrificio di Gesù, cioè senza almeno lo stato di grazia, non hanno nessun valore. Dio accetta e premia tali offerte, sacrifici e dolori secondo il grado e l'intensità con cui sono uniti al sacrificio di Gesù.

La S. Messa è quanto di più sublime accade sulla terra: è il centro di tutto il creato e di tutti i tempi. Essa ha lo stesso valore infinito del sacrificio della Croce.

La vittima è la stessa: Gesù.

Il sacrificio della Croce è la causa della Redenzione: il sacrificio della Messa ne è l'applicazione e la perpetuazione. La S. Messa rac­coglie tutti i meriti della Croce e li distribuisce in grazia ai fedeli. Per mezzo della Messa, Iddio raggiunge tutti gli scopi propostisi nella creazione. L'umanità, mondata dal sangue di Gesù, si offre in­sieme al suo Capo in un unico sacrificio a Dio, in ogni angolo della terra ed in ogni momento del tempo. Si attua così la profezia di Ma­lachia: « Ecco in ogni luogo viene offerta al mio nome un'oblazione monda ». Non sono nominativamente tutti gli uomini che fanno quest'offerta; tuttavia sono tutti i gruppi e tutti i luoghi; sono i mi­gliori uomini che si trovano in ogni angolo della terra. Dio per essi preliba i più bei frutti di ogni albero umano. Essi rappresentano uf­ficialmente quanti sono buoni e temono Dio. Il cielo e la terra per virtù della Messa si congiungono: il ponte di congiunzione è Gesù. Tutti gli Angeli e i Santi trasaliscono di gioia, vedendo per essa rico­nosciuti e soddisfatti i diritti di Dio da parte degli uomini e vedendo gli uomini ricolmati da torrenti di misericordia, di grazia e di meriti, e resi idonei alla felicità eterna.

Senza la S. Messa non avrebbero più motivo di vivere gli uomini, di esistere la terra, di splendere il sole, di girare le stelle. Non ci sa­rebbe stato neppur motivo della creazione dell'universo, della crea­zione dell'uomo e dell'incarnazione di Gesù. La S. Messa è il centro dei disegni di Dio ed il movente di tutte le operazioni divine. Nella Messa Dio riceve la adorazione che tutta l'umanità gli deve, ed i do­vuti ringraziamenti per gli innumerevoli benefici con cui continua­mente inonda la terra: benefici materiali, quali l'aria, l'acqua, il sole, la vita, ecc.; benefici spirituali, quali la continua misericordia, i sa­cramenti, le grazie attuali, ecc.

Gesù nell'Eucaristia offre continuamente al Padre le sue adorazio­ni e i suoi ringraziamenti e quelli di quanti a Lui si uniscono.

Nella Messa la Divina giustizia, continuamente provocata dai pec­cati dell'umanità, si placa per il sacrificio di Gesù e continua ad aspettare gli uomini a penitenza.

La B. Anna Maria Taigi vide in una visione un globo, figura della terra, su cui si avventavano furiosamente da tutte le parti immense fiamme per incenerirlo, ma nello stesso tempo vide sul mondo il Di­vin Crocifisso mentre la SS. Vergine Addolorata si prostrava ai suoi piedi, implorando dal Padre misericordia per il sacrificio di Gesù. Ed ecco le fiamme si allontanavano ed il pericolo della fine della terra venne scongiurato. È quello che continuamente avviene e per cui il mondo ancora sopravvive, nonostante tutti gli innumerevoli pecca­ti. Gesù si presenta crocifisso al Padre nella S. Messa, la SS. Vergine intercede. La S. Messa a chi assiste ottiene il compatimento di Dio sulle proprie negligenze ed omissioni; il perdono dei peccati veniali; l'abbreviazione della pena del purgatorio meritato dai propri pecca­ti; la preservazione da molti pericoli e disgrazie dell'anima e del cor­po. La S. Messa raggiunge infine le anime del Purgatorio e solleva ed abbrevia le loro pene.

La S. Messa è come il mare. Quanto maggiore è la capacità dei re­cipienti, tanto maggiore sono i tesori che se ne riportano. I meriti del S. Sacrificio sono proporzionati al fervore con cui vi assistiamo e al grado con cui partecipiamo.

Con una S. Messa possiamo far discendere torrenti di grazie su tutta la Chiesa; grazie di conversioni, di divine ispirazioni, di provvi­denza, ecc. Tutte le grazie vengono a noi per la S. Messa. Essa appli­ca a noi i meriti infiniti del Sacrificio di Gesù in croce, proporziona­tamente alle nostre disposizioni. Si merita di più ascoltando devota­mente la S. Messa che col distribuire ai poveri tutte le proprie so­stanze e col girare pellegrinando tutta la terra (S. Bonaventura).

Il Signore ci accorda tutto quello che nella S. Messa gli domandia­mo e, ciò che è di più, ci dà quello che noi non possiamo neppure chiedere e ci è più necessario (S. Girolamo).

Per la S. Messa, Dio continua a dare a tutta l'umanità l'assistenza della sua Provvidenza, continua a far spuntare il sole sopra i buoni e sopra i cattivi, a far germogliare le messi, ed attirare l'umanità a Sé. Tutta la perfezione dipende dalla S. Messa.

La nostra maggiore o minore bontà e santità dipende dal grado maggiore o minore di partecipazione al S. Sacrificio.

L'opera della nostra santificazione è la nostra Messa; è la nostra unione e continuazione del sacrificio di Gesù.

Per capire la santità, bisogna capire la S. Messa. Per raggiungere la santità bisogna vivere integralmente la S. Messa.

Frattanto la cosa più grande che tu possa fare nella tua giornata è di ascoltare la S. Messa. Devi mettere tutti gli sforzi per ascoltarla ogni giorno, facendo sempre la S. Comunione, che della Messa è il compimento. Se hai tempo cerca di ascoltare tutte le Messe che puoi. La S. Messa è una perla preziosissima, di inestimabile valore che tu devi cercare giornalmente di incastonare nella tela della tua gior­nata. Dice un proverbio sapientissimo: Messa ascoltata, giornata guadagnata.



1. Offerta mistica

L'offertorio ricorda e rinnova l'offerta del Corpo di Gesù e della sua anima, di tutti i suoi sentimenti e di tutte le sue azioni, fatta da Gesù stesso al Padre fin dal momento della sua Incarnazione, e rin­novata solennemente nella sua presentazione al Tempio, privata­mente in tutti i momenti della sua vita.

La vita di Gesù fu tutta consacrata e riservata al Padre. Con ogni sua azione ed in ogni istante della sua vita Gesù diede al Padre una gloria infinita ed acquistò per tutti noi la grazia di santificare la no­stra vita e le nostre azioni, sì da poter con esse glorificare Dio e per­fezionare noi.

Col suo lavoro Gesù meritò a noi la grazia di santificare il nostro lavoro, il riposo, colle sue refezioni meritò a noi la grazia di santifi­care le nostre refezioni, colle sue sofferenze e colle sue lagrime meri­tò a noi la grazia di santificare le nostre sofferenze e le nostre lagri­me, colle sue preghiere meritò a noi la grazia di santificare, cioè ren­dere degne di Dio, le nostre preghiere, colla sua morte meritò a noi la grazia di santificare la nostra morte, ecc.

Il mezzo unico di santificare tutte queste cose nostre è quello di unirci a Lui e di offrirle per mezzo suo al Padre.

Nell'offertorio della Messa Gesù rinnova l'offerta di tutto se stesso ed insieme del suo Corpo Mistico. Allora egli offre al Padre noi e ciò che noi gli presentiamo.

Tutto quanto è offerto è naturale, come è frutto di natura l'ostia presentata nell'offertorio; ma come quel pane sarà trasformato nel­l'Immolazione in Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù, così tut­to quanto uniamo all'offerta del pane, fatta dal sacerdote in nome di Gesù e sotto le vesti di Gesù, si trasforma in azione e passione di Gesù.

Niente fuori di Gesù piace al Padre e glorifica il Padre: niente fuo­ri di Gesù è meritorio di grazia e di vita eterna.

Tutta la perfezione nostra consiste nel rivestirci della dignità e dei meriti di Gesù, offrendo a Lui noi stessi e tutte le cose nostre perché vengano assunte da Lui e da Lui santificate ed offerte come cosa sua al Padre.

Questo è il mistero e l'operazione della Messa.

Quando il Sacerdote offre a Dio l'Ostia bianca, noi, dopo esserci purificati colla confessione e colla contrizione, dobbiamo mettere sopra quella bianca ostia il nostro cuore, il nostro corpo, l'anima no­stra, il nostro lavoro, le nostre preghiere, le nostre fatiche di cui quel pane è simbolo.

Quanto il Sacerdote offre a Dio il Calice dobbiamo offrire insieme le nostre sofferenze e le nostre preoccupazioni, che sono come il succo del nostro corpo e della nostra vita.



a) Simboli dell'offerta

La Chiesa simboleggia:

NELLA COLLETTA


La partecipazione nostra al sacrificio. Anticamente i fedeli porta­vano dei pani che a principio della Messa il diacono raccoglieva e deponeva sull'altare. Alcuni dovevano essere consacrati, gli altri era­no destinati al mantenimento dei ministri ed il resto ai poveri. In se­guito fu sostituita l'offerta dei pani con l'offerta di denari, da servire per gli stessi scopi. Oggi lo scopo non si raggiunge per la poca gene­rosità dei fedeli. Nella colletta, potendo, dà la tua offerta, anche con sacrificio come simbolo dell'offerta del tuo cuore.



NEL PANE L'UNIONE E L'UNITA’ DEL CORPO MISTICO
Come infatti i molti chicchi di frumento macinati e riuniti, e quin­di fermentati dal lievito, formano un unico pane; così i molti cristia­ni, sacrificati e riuniti dalla professione dell'unica fede, dalla stessa osservanza della legge di Dio e dall'ubbidienza allo stesso Vicario di Gesù, e fermentati dallo stesso lievito di vita che è il Corpo di Gesù, formano un unico Corpo Mistico.

La Chiesa simboleggia la nostra divinizzazione nella infusione delle poche gocce d'acqua nel calice fatta un momento prima dell'of­ferta del vino. Come infatti quelle gocce d'acqua unite alla massa del vino diventano vino e quindi, nella consacrazione, anch'esse sangue di Gesù; così noi, unendoci all'offerta di Gesù e quindi al suo Corpo, restiamo divinizzati.

Come le gocce d'acqua se non fossero state unite al vino sarebbero restate sola acqua; così se non ci uniamo a Gesù restiamo allo stato naturale. Tutto quanto non viene unito a Gesù resta nello sta­to naturale, non acquista alcun valore divino né merito di vita eter­na. L’unione con Gesù produce la trasformazione in Lui.

Quanto più l'offerta nostra e delle cose nostre è totale e fervorosa tanto più ci uniamo a Gesù, ci soprannaturalizziamo, partecipiamo al suo sacrificio e quindi parteciperemo della sua felicità e della sua gloria.

I bambini che muoiono appena battezzati vengono offerti al Pa­dre da Gesù al momento stesso del battesimo per mezzo di chi li fa battezzare. Essi non fanno personalmente alcun sacrificio; viene lo­ro imputato il sacrificio di Gesù e solo per Lui si salvano, senza al­cuna cooperazione personale.

Moltissimi cristiani non fanno mai alcuna offerta di sé a Dio: non lo amano, tutt'al più lo temono. Vivono quasi perennemente in pec­cato mortale; se lo evitano è per paura dell'inferno, e se vanno a Messa e fanno pure il precetto è piuttosto per salvarsi.

Costoro vivono al margine del cristianesimo, alla periferia del Corpo Mistico e stanno continuamente nell'alternativa di salvarsi o di dannarsi. Sono come i ramoscelli malati e semisecchi di un albe­ro: non crescono e non producono frutti, ossia non acquistano al­cun merito. La loro salvezza più che da loro dipende dalle circostan­ze cioè dalla Misericordia di Dio; bisognerà che muoiano precisa­mente in qualcuno di quei rarissimi giorni o momenti in cui si tro­vano in grazia di Dio, cioè subito dopo confessati o quando, im­provvisamente illuminati da Dio, hanno fatto un atto di contrizione perfetta. Intanto, non c'è grazia che riceva un peccatore che non sia stata pagata per lui da un giusto.

Questi tiepidi e mali cristiani che si salvano, si salvano solo per i meriti altrui, per i sacrifici e per le preghiere dei giusti. Essi sono i parassiti del Corpo Mistico: vivono sul sangue altrui. Iddio permet­te la loro esistenza per la formazione di un eletto stuolo di Santi: co­storo infatti si santificano precisamente coll'unirsi maggiormente al sacrificio di Gesù, cioè col pigliare insieme a Lui un buon numero di peccati di tutti questi mali cristiani e col mutarli in sé col sacrificio della propria vita, unita al sacrificio di Gesù.



b) Gradi di offerta

I gradi di offerta e di partecipazione al sacrificio sono vari, e cor­rispondono ai gradi di amore di Dio e di vita soprannaturale.

Il 1° grado è l'offerta del proprio essere a Dio colla volontà di amarlo e servirlo per tutta la vita, disposti a voler sacrificare tutto, piuttosto che offenderlo gravemente col peccato mortale. Ad esso corrisponde il 1° grado di vita spirituale, detto vita purgativa, perché in esso si bada ad evitare i peccati e a purificarsi di essi. È il grado in cui generalmente si ferma la massa dei buoni cristiani. Non si è buo­ni senza tale volontà.

Il 2° grado è l'offerta al Signore del proprio essere colla volontà di amarlo e servirlo per tutta la vita, disposti a sacrificare tutto piutto­sto che offenderlo col peccato veniale. Ad esso corrisponde il 2° gra­do di vita spirituale, detta vita illuminativa, perché in esso si bada a conoscere meglio il modello divino e i suoi insegnamenti per osser­varli. È il grado in cui generalmente si fermano i fervorosi. Non ci può essere fervore senza volontà decisa di evitare a tutti i costi il pec­cato veniale.

Il 3° grado è l'offerta del proprio essere a Dio in puro amore, dis­posti a voler cercare unicamente e con tutte le proprie energie il maggior beneplacito e la maggior gloria di Dio, fino ad essere con­sumati per questo fine in un sacrificio totale. Ad esso corrisponde il 3° grado di vita spirituale detta vita unitiva, perché in esso si bada soprattutto ad amare Dio e a stare a Lui continuamente uniti colla preghiera.

Questa è l'offerta delle anime perfette.

Quanto maggiore è il grado di offerta, tanto maggiore è il distacco dal mondo, e tanto più intenso e più stretto è il vincolo con cui ci si obbliga, perché ogni cosa consacrata deve essere separata da quanto è profano e riservata a Dio.

Nel 1° grado ci si distacca dai legami e dai piaceri gravemente ille­citi e ci si obbliga col vincolo della promessa: la si fa nel battesimo e la si rinnova nella conversione.

Nel 2° grado ci si distacca dai legami e dai piaceri leciti, dalle co­modità materiali, dai piaceri carnali e dalle stesse inclinazioni della volontà e ci si invola coi voti di povertà, castità e obbedienza, priva­ti o solenni.

Non bisogna fare il secondo passo senza aver fatto il primo; né il terzo senza aver fatto il primo e il secondo. Chi salta, costruisce sen­za fondamenta e rovina tutto il proprio lavoro ed i propri sacrifici. Molti si fanno scrupolo di un peccato veniale e non curano quelli mortali, per es. rispettano al millesimo la roba altrui, ma non fanno la carità secondo la propria condizione, oppure vanno sempre a messa ma peccano contro il matrimonio, ecc. Vorrebbero fare una vita fervorosa e intanto perdono ogni merito perché cadono e spes­so anche vivono nel peccato mortale.

Molti fanno i voti religiosi e intanto cadono, e spesso vivono, in peccato veniale.

Niente vi è di più lagrimevole della loro sorte: non hanno né le gioie terrestri dei mondani, né quelle celesti delle anime consacrate. Fanno come quegli emigranti che vendono la proprietà, lasciano la famiglia per andare lontano ed arricchire, ed ivi invece si riduco­no a fare i pezzenti. Non valeva la pena far tanti sacrifici per questo. Era meglio restare a casa propria. Questa è la sorte di tanti religiosi. Sarebbe stato molto meglio per loro se avessero fatto i buoni pa­dri o le buone madri di famiglia.

Chi non vuol rovinare la sua vita non deve far voto di castità se non ha ferma volontà di santificarsi.



c) Qualità dell'offerta

L'offerta nostra è più o meno gradita a Dio secondo il grado della nostra vita spirituale, ossia del nostro amore. La qualità del frutto dipende dalla qualità dell'albero. Non può un albero cattivo far frut­ti buoni, né un albero ammalato far frutti di buona qualità.

Lo stesso sacrificio divino offerto a Dio da un cristiano mediocre attira su di lui qualche grazia; offerto da un S. Andrea Avellino libe­ra un gran numero di anime purganti ed attira su tutta la Chiesa grandi grazie; offerto da Maria SS. scampa tutto il mondo da gravi sciagure ed attira su un immenso numero di anime grazie efficaci di conversione.

Così una palla di ferro lanciata da un bimbo arriva a qualche metro, lanciata da un uomo arriva a diverse diecine di metri, lan­ciata da un cannone arriva a molti chilometri. Tutto sta nella po­tenza di lancio. Quello che importa è aumentare la nostra potenza di lancio nel fare la nostra offerta a Dio, cioè aumentare il grado del nostro amore.

È così che le stesse azioni fatte nello stesso convento da una suo­ra tiepida le permetteranno a stento di salvarsi; fatte da una suora fervorosa li rendono un'anima molto accetta a Dio e molto distinta nel cielo; fatte da suor Teresa del Bambino Gesù ne fanno una gran santa.

Non basta far l'offerta; bisogna viverla. Tutto il lavoro della nostra vita spirituale sta nel vivere la nostra Messa. Ogni qualvolta nella Messa offri a Dio te stesso e le cose tue per le mani di Gesù, rinnovi e completi l'offerta di Gesù. Dio si ferma e si compiace nella tua of­ferta più ancora di quanto si è compiuto nel sacrificio di Abele, di Abramo e di Melchisedec, perché nella tua offerta vede il suo figlio­lo che offre.

E tutte le volte che nella tua giornata offri a Dio il tuo cuore e le tue opere in unione a Gesù e per mezzo suo, rinnovi a Dio la sua di­vina compiacenza per l'offerta stessa di Gesù. Bada però che quanto è a Dio consacrato non si ritira più.



2. Immolazione

Nel sacrificio della S. Messa l'immolazione della vittima si rinno­va nella consacrazione. Qui Gesù muore misticamente. Si tratta di uno stato di morte misteriosa. È il mistero dell'attuale e perenne agonia di Gesù nella Chiesa. Gesù soffre certamente nell'Eucaristia. Lo ha rivelato esplicitamente in molte apparizioni. Qualche esem­pio:

a) Nella terza grande rivelazione a S. Margherita Alacoque Gesù, lamentando le ingratitudini e le sconoscenze degli uomini, disse: « E questo è quello che mi addolora ancora più di quanto ho sofferto nella mia passione ... ».

b) Il 26.11.1922 Gesù disse a Suor Josefa Menendez: « I peccato­ri mi feriscono senza compassione, e non soltanto i peccatori, ma quante altre anime mi trafiggono con frecce che causano grande do­lore. Consolami, amami, abbandonati. Un atto di abbandono mi consola più di molti sacrifici ».

c) A Limpias, nella Spagna, dal 1919 al 1922 in molte volte oltre centomila persone, fra cui anche moltissimi medici, scienziati, sacer­doti ed anche un Vescovo, mons. Manuele Rujz y Rodriguez di Cu­ba, videro il crocifisso muovere gli occhi tristissimi, sudare abbon-

dantemente come i moribondi, contrarre spasmodiscamente il pet­to, boccheggiare affannosamente, muovere e piegare il capo sconso­latamente come nel momento della sua morte.

Volere spiegare queste ed innumerevoli altre rivelazioni riferendo­le ai dolori da Gesù sofferti per la sua onniscienza nella sua vita ter­rena è un voler forzare il senso evidente. Non bisogna mai compli­care e rendere difficile il senso delle parole quando questo è chiaro.

« Ci si domanda come si possono spiegare teologicamente le ma­nifestazioni di Cristo sofferente per i peccati e le offese degli uomini.

Prima di rispondere a questo quesito è necessario porre in rilievo due fatti:

1. Gesù Cristo nel presente stato glorioso non è più soggetto alle sofferenze come nella vita terrena. Essendo infatti nello stato di ter­mine e quanto al corpo e quanto all'anima, nessun agente estrinseco può influire in lui a modo di causa efficiente di dolore, né fisico, né morale.

2. Le manifestazioni di Gesù Cristo a S. Margherita Alacoque non possono dirsi allucinazioni emotive, ma debbono ritenersi reali, og­gettive e storiche; ciò è dimostrato dall'esplicita dichiarazione della Chiesa: sia nell'approvazione dei detti e dei fatti della stessa santa, sia nel decreto della sua canonizzazione, sia nell'approvazione del culto al S. Cuore di Gesù. Dalla lettera apostolica di Leone XIII del 28.6.1889 risulta evidente che motivo del culto al S. Cuore di Gesù è consolarne l'amore disprezzato ed integrarne l'onore leso.

Poste tali premesse ci si domanda come conciliare lo stato di Ge­sù glorioso con le manifestazioni di Gesù sofferente.

Le spiegazioni dei teologi sono varie:

a) Gesù soffre così come soffre Dio stesso in quanto odia il pec­cato. È da notare che in questo caso la ragione del dolore è fuori di Cristo stesso.

b) Gesù soffre in atto nelle membra del suo Corpo Mistico, come è dato vedere negli Atti IX, 4: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?". Anche in questo caso il motivo della sofferenza è estrinseca a Ge­sù Cristo stesso. Infatti è proprio dell'amore infinito effondere le sue manifestazioni di bene e di grazia sull'umanità. Ora, l'uomo abusan­do della propria libertà si dichiara nemico di Cristo quando disordi­natamente, si orienta alle creature. Ciò costituisce l'ostacolo perché si attui la manifestazione della bontà e della misericordia divina.

Il peccato dunque non è causa dei dolori di Gesù, ma solo condi­zione.

Il concetto di causa include il concetto di dipendenza e di possibi­lità che nel nostro caso non può verificarsi.

Dunque la causa della sofferenza di Gesù è da ricercarsi nella sua stessa infinita carità verso gli uomini, impedita dalla sua giustizia che non gli fa manifestare la sua carità così, quando e dove egli vor­rebbe.

Quindi le manifestazioni della sofferenza di Gesù sono manifesta­zioni della infinita perfezione del suo amore e della sua giustizia » (Santi Pesce).

Gesù soffre perché ama; vuol diffondere il suo amore, ma molti­tudini lo rigettano.

Come le onde del radar, se intercettate, ritornano all'apparecchio generatore perturbandolo e segnalando così l'oggetto intercettato; così l'amore di Gesù, rigettato dai peccatori, ritorna a Lui facendolo soffrire.

Come conciliare l'agonia di Gesù, dal Getsemani in poi, colla feli­cità della visione beatifica?

È un mistero. Una pallida intuizione di tale conciliazione ce la può dare la patetica musica funebre. Essa ci rattrista ancor di più quando siamo già tristi, spesso ci scioglie come un grumo in gola e ci fa piangere, ci immerge in un mare di amarezze e di nostalgie, ma nello stesso tempo ci attrae, ci incanta, ci placa, ci fa diventare dolce la tristezza ed il pianto, e ci spinge a voler naufragare in un mare di lagrime e di armonie.

Tuttavia non vorremmo per tutto l'oro al mondo che si ripetesse quel lutto o quel dolore.

Nell'Eucaristia si ripete misticamente l'agonia del Getsemani.

I motivi, a parte la visione della sua passione e morte, sono gli stessi:



a) La visione dei peccati

Nel Getsemani Gesù doveva riparare a Dio l'offesa dei peccati e soddisfare la giustizia di Dio. La malizia del peccato è infinita ed in­finita è pure la giustizia di Dio.

Gesù dovette sostenere su di sé il peso tremendo di Dio infinito e onnipotente che l'oppresse, lo schiantò e l'annientò più ancora che tutto il peso dell'universo.

È terribile sostenere il peso del Dio vivente che precipita come un uragano sulla terra desolata dal peccato.

Nessun uomo può sostenere, neppure per un istante, una scintilla della giustizia di Dio. Gesù ci riuscì unicamente perché sostenuto dalla stessa forza di Dio; ma si sentì l'anima stritolata da una tristez­za spaventosa. Un solo peccato ha fatto soffrire Gesù più di tutti i tormenti della sua passione.

Ora continuamente la giustizia di Dio, provocata dagli infiniti peccati degli uomini, gravita col suo peso infinito sopra l'umanità, e Gesù continuamente la trattiene e la sostiene perché non incenerisca gli uomini e la terra.

Ogni peccato è una freccia al cuore di Gesù. Gli uomini continua­no a vivere e a divertirsi peccando, e non riflettono che frattanto Ge­sù, l'innocentissimo, il sensibilissimo, il più bello dei figli degli uo­mini, geme col cuore squarciato e con l'anima straziata per il suo amore disprezzato.



b) L'immolazione continua della Chiesa

Il corpo di Gesù non ha più la corona di spine; non percepisce più i suoi dolori fisici, ma soffre nel suo Corpo Mistico.

La Chiesa rinnova continuamente l'immolazione fisica di Gesù. Essa è sempre universalmente e parzialmente in catene, sempre torturata, sempre crocifissa.

Nei primi tre secoli fu perseguitata ferocemente dagli imperatori romani. I cristiani a migliaia venivano decapitati, bruciati, torturati, divorati dalle belve.

Nei successivi tre secoli fu perseguitata dai barbari e dagli eretici: prevalsero i tormenti morali, gli imprigionamenti, gli esili, ma non mancarono torture e uccisioni particolarmente da parte di Giuliano l'apostata, dei Vandali e dei Visigoti.

Nel secolo VII cominciò la persecuzione mussulmana che si pro­trasse, tra alti e bassi, fino alla caduta della potenza islamica nel XVII secolo, uccidendo e facendo schiavi molti milioni di cristiani.

Nel XVI e XVII secolo imperversarono le persecuzioni protestanti in buona parte dell'Europa, particolarmente quella luterana nella Germania e quella anglicana nell'Inghilterra, che a furia di imprigio­namenti, di confische e di uccisioni, distrusse il nome cattolico in quelle nazioni già interamente cattoliche.

Nel secolo XVI si scatenò nella fiorente cristianità giapponese una violentissima persecuzione che mise a morte diverse centinaia di migliaia di cristiani ed abolì nel Giappone la Chiesa Cattolica.

Nel XVIII secolo si scatenò la Rivoluzione Francese che mise a morte tutti i vescovi, i sacerdoti, i religiosi, le suore, i cristiani di un certo nome, che furono decapitati.

Nel secolo XIX si ebbero violente persecuzioni in Cina, nel Ton­chino, nella Cocincina e quelle sanguinosissime dei Drusi contro gli Armeni, protrattasi fino al primo quarto del presente secolo.

Infine nel secolo XX ci sono state le tremende persecuzioni comu­niste in Russia, nel Messico, nella Spagna, negli Stati Baltici, negli Stati Balcanici, in Cina, che hanno messo a morte o imprigionati molti milioni di cristiani in odio alla fede. I martiri dei primi secoli sono stati calcolati 18 milioni. Ma quanti sono quelli che in tutti i tempi hanno perduto la vita direttamente o indirettamente per cau­sa della fede? Quanti quelli che per lo stesso motivo hanno perduto i diritti civili, hanno subíto dei soprusi, delle ingiurie, o danni fisici e morali? Incalcolabili.

Gesù soffre nel corpo dei suoi martiri tutti i loro tormenti.

Come la SS. Vergine ai piedi della croce soffrì nel suo cuore tutti i tormenti di Gesù, per cui divenne la regina dei Martiri; così sempre Gesù dall'Eucaristia soffre tutti i dolori della sua sposa dilettissima, la Chiesa.

Ma oltre il martirio classico c'è la passione di un immenso numero di cristiani, vittime del proprio zelo o della volontà di Dio o della mali­zia dei cattivi. Per il cuore di Gesù passano i dolori dei penitenti, i tor­menti dei miliardi di ammalati, gli strazi dei suoi figli squarciati nei campi di battaglia, negli ospedali, nelle disgrazie, le separazioni delle persone amate subíte in vita o in morte a causa del suo amore o della sua volontà, il freddo e la fame di milioni di poveri sofferenti nell'oscu­ro dei propri tuguri, nelle strade o nei campi di concentramento, ecc.

Gesù geme con gemiti inenarrabili per tutti i dolori dell'umanità e li offre al Padre perché li accetti come tributo di sangue dell'umanità, e ne faccia strumento di gloria per le vittime e di conversione per i peccatori.

Tutto questo Gesù compie nell'immolazione mistica che conti­nuamente rinnova nelle sante Messe celebrate in ogni istante sulla faccia della terra.



c) La dannazione dei peccatori

Il più grande dolore Gesù lo soffre per coloro che si dannano. L'ultimo istante mortale di costoro è l'istante in cui egli perde tutte le speranze, in cui vede frustrato tutto il suo sacrificio, in cui sente do­lorosamenhte amputate le membra del suo Corpo vivo, in cui versa l'ultima amara lagrima sulla loro eterna sventura, perché appena morti la giustizia di Dio li dovrà gettare all'inferno.

Come una madre di numerosa famiglia piange desolatamente la morte di uno dei suoi figli sebbene altri ne restino, perché intanto quel figlio è perduto; così Gesù amaramente piange su ogni sventu­rato figlio del suo cuore e del suo dolore che va all'inferno, non con­siderando in quel momento quanti altri gli restano vivi.

È così che nell'Eucaristia si rinnova misticamente e continuamen­te l'immolazione e la morte di Gesù.

L'Eucaristia è la consumazione del sacrificio di Gesù. Nell'Incarnazione egli si abbassa a pigliare la forma di servo, cioè la forma di uomo; ma l'uomo è il re della natura e Gesù si abbassa ancora, coll'Eucaristia, fino a pigliare la forma di cosa inanimata, cioè dell'essere che possiede il grado minimo di esistenza. Nella sua vita umana Gesù poteva ancora difendersi, sottrarsi ai suoi nemici, confonderli colla sua sapienza. Nell'Eucaristia è a disposizione di tutti, anche dei suoi nemici. Questi lo possono sempre pigliare, rice­vere sacrilegamente, insozzare e trafiggere: Gesù non si difende mai, non fulmina nessuno, non confonde nessuno, non risponde a nes­suno. Chiunque può scapricciarsi su di Lui, può sfogare su di Lui il suo veleno. Questo stato di supremo dolore, di suprema umiliazio­ne, di supremo annientamento glorifica sommamente il Padre; è espresso nella doppia consacrazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Gesù, che così permangono separati fino al momento della trasformazione.

Per perpetuare questa massima glorificazione del Padre, Gesù isti­tuisce l'Eucaristia non solo come sacrificio, ma anche come sacra­mento.

Mediante l'immolazione, cioè la consacrazione del pane e del vi­no, nella S. Messa Gesù perpetua la sua immolazione nella croce e manifesta in modo più completo il suo amore e la sua obbedienza al Padre, il suo amore agli uomini, ai quali così estende i benefici della sua redenzione.

Offri a Dio, durante la consacrazione, Gesù immolato in supremo sacrificio di lode e di espiazione, per supplire degnamente ai tuoi doveri di adorazione e di ringraziamento a Dio, per espiare i peccati tuoi e dell'umanità e per implorare su te e su tutti la divina miseri­cordia e le divine grazie. Rinnova spesso durante il giorno la se­guente offerta che l'Angelo insegnò ai bambini di Fatima, raccoman­dando loro di ripeterla spesso, ogni volta per tre volte: « SS. Trinità, Padre, Figliuolo e Spirito Santo, io profondamente vi adoro; vi offro il preziosissimo corpo, sangue, anima e divinità di nostro Signore Gesù Cristo in riparazione degli oltraggi coi quali egli medesimo è offeso. Per i meriti del suo sacratissimo cuore e per l'intercessione del cuore immacolato di Maria vi domando la conversione dei pec­catori. Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo, com'era nel prin­cipio, ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen ».

In questa sua continua agonia Gesù è piuttosto solo, come nel Getsemani, e cerca anime generose che gli facciano compagnia e lo sostengano nell'eccesso del suo sconforto.

Ma gli uomini sfuggono dalla croce: la vita è bella, il sole splen­dente ed essi sentono ripugnanza alla rinunzia, al raccoglimento, al pianto.

Niente vi è di più grande nella vita nostra che consolare Gesù nel­la sua agonia.

Questo puoi fare:


TOGLIENDO LE SPINE AL CUORE DI GESÙ


Naturalmente prima bada a non conficcargliene tu coi peccati tuoi; quindi bada a far evitare dagli altri quanti peccati puoi; infine bada a riparare i peccati di tutti. « Ogni atto d'amore ripara per mil­le peccati », ha rivelato Gesù a suor Josepha Menendez.

Mentre ti è data questa meravigliosa possibilità, fa spesso, duran­te il giorno e nelle veglie della notte, ma specialmente quando senti bestemmiare o vedi peccare, degli atti d'amore.



COMPATENDO AI DOLORI DI GESÙ

Una lagrima di compassione sparsa sulle sue sofferenze è immen­samente più preziosa di qualunque brillante e più grande di qualun­que opera umana. Ogni bacio dato sul corpo di Gesù agonizzante gli chiude qualche piaga apertagli dagli uomini. Unendoci a Gesù agonizzante colla meditazione amorosa, colla preghiera e colla com­passione, lo confortiamo, lo solleviamo, gli diamo per tutto quel tempo una tregua di gioia in mezzo ai suoi dolori. Per questo Gesù chiede a tutte le anime generose, come già a S. Margherita Alacoque, che gli facciano per un'ora la settimana compagnia, possibilmente alle ore 23 di ogni giovedì. Fa' settimanalmente la tua ora santa, sia pure in altra ora.



LAVORANDO PER SALVARE LE ANIME

Quanti dolori risparmiano a Gesù, quale gioia gli danno coloro che lavorano e si sacrificano per la conversione delle anime. Una tra le più grandi prove d'amore a Gesù è il consacrarsi all'apostolato. Per questo Gesù, dopo la resurrezione chiese a S. Pietro se lo amas­se e per prova gli chiese: « Pasci i miei agnelli » (Jo. 21, 15).



IMMOLANDOTI INSIEME A GESÙ COL VOTO DI VITTIMA
Questo è il massimo che possa fare e la prova più grande di amo­re che possa dare.



3. Trasformazione

La resurrezione è la terza parte del sacrificio di Gesù. Per essa venne trasformato tutto il suo corpo: si spogliò della mortalità e del­la corruttibilità e si rivestì dell'immortalità; ogni sua fibra brillò del­lo splendore della gloria di Dio, e così divenne degno di sedere alla destra del Padre e capace di tutta la felicità preparatagli da Lui.

Con la risurrezione si compie la gloria di Dio.

Tale atto di somma gloria a Dio Gesù lo rinnova nel sacrificio della Messa e lo perpetua nell'Eucaristia ove il suo corpo è presente nello stato di gloria per partecipare la gloria della resurrezione agli uomini. Nella S. Messa, la risurrezione di Gesù si rinnova misticamente quan­do il sacerdote spezza l'ostia consacrata e ne lascia cadere una parte nel calice; allora il corpo di Gesù presente nell'ostia si riunisce al suo sangue presente nel calice come nella mattina di Pasqua.

Tale mistione e riunione applica a quanti si uniscono colla comu­nione al sacrificio di Gesù la grazia della vita eterna e della resurre­zione gloriosa. Ma se Gesù risorto ormai più non muore, non può naturalmente tornare ancora a risorgere. Risorge però continuamen­te nella sua Chiesa e nelle membra vive del suo Corpo Mistico, che egli a contatto del suo corpo glorioso rende idonei alla resurrezione finale nel giudizio universale.

Dall'assieme della sua Chiesa, da ciascuno dei suoi membri vivi, che egli vivifica nella S. Comunione, Gesù continuamente riceve, rinnovata, la gioia dolcissima della sua resurrezione.

Per questo gli è dolce restare nell'Eucaristia: « Le mie delizie sono nello stare coi figli degli uomini » (Prov. 8, 31).

Tali consolazioni sono il contrabbilancio alle pene infinite della sua continua agonia, causata dai mali e dai peccati dell'umanità. Un giusto ripara per mille peccatori.



a) Gesù risorge nella sua Chiesa

Gesù vive la vita della Chiesa; la vita della Chiesa è la sua vita prolungata.

Come il martirio della Chiesa costituisce il suo martirio, così lo sviluppo, lo splendore della Chiesa, che egli ha meritato colla sua immolazione nella croce ed alimenta colla sua immolazione nell'al­tare, costituiscono la sua delizia e la sua felicità. Dall'Eucaristia Gesù vede con grande giubilo:

• la sempre maggiore stabilizzazione e lo sviluppo sempre maggio­re del dogma lungo i secoli.

• La nascita e lo sviluppo degli ordini religiosi contemplativi e atti­vi, delle congregazioni dedicate all'apostolato o alla carità, delle scuole di spiritualità, delle case e dei centri di formazione; dell'a­zione cattolica, delle sue specializzazioni e delle sue molteplici forme di apostolato; di ogni organizzazione e forma di pietà litur­gica, di carità e di apostolato, ecc.

• Lo sviluppo interno della perfezione della Chiesa.

Quanto maggiormente cresce il male e l'attrattiva del piacere, del lusso e del denaro, tanto maggiormente cresce il bene, il merito del sacrificio della carne, del disprezzo e della povertà. Mai il mondo è stato così allettante come oggi, mai lo scandalo più eccitante. II vizio viene direttamente suggerito e potentemente colorito nelle reclames, nelle varietà, nelle riviste. Il nudo più sfacciato esibito nei teatri, ne­gli sport, nelle spiagge. La moda ispirata quasi per intero alla sen­sualità. Da ogni poro respiriamo lo scandalo. La corruzione ci in­canta e ci attrae coi suoi mille tentacoli.

Ciononostante un esercito grande di fedelissimi taglia recisamen­te i mille tentacoli, rinuncia ad ogni piacere, combatte per mantener­si puro, umile, povero.

In questi umili eroi Gesù si compiace, esulta di gioia. « Ti ringra­zio, o Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e le hai rive­late ai piccoli » (Mt. 11, 25).

• L’espansione della Chiesa.

Il granello di senapa da Lui seminato continuamente cresce e me­ravigliosamente si va sviluppando sotto i suoi occhi. I popoli ad uno ad uno vengono evangelizzati; da per tutto giungono i suoi missio­nari a impiantare la sua croce ed a formare centri di fervorose cri­stianità. Su tutti i fronti cresce la Chiesa. Gesù con infinita tenerezza segue e cura la sua Sposa; ne vede continuamente crescere la bellez­za, copia viva della sua; ne vede continuamente sviluppare la statu­ra e attende con amorosa ansia il giorno in cui sarà completa per correrle incontro nel giudizio universale, stringerla al suo cuore, es­sere con lei felice, offrirla al Padre ed immergersi con lei nel suo se­no.

L’apostolato della preghiera, del sacrificio e dell'azione per la con­quista delle anime ci fa contribuire allo sviluppo della bellezza e del­la statura della Chiesa e ci fa affrettare il giorno delle sue nozze col Verbo Incarnato per la sua e per la nostra felicità.



b) Gesù risorge in ciascuno di noi

Gesù vive la vita di ciascuno di noi come la madre vive la vita di ciascuno dei suoi figli. Dall'Eucaristia egli segue con tenerezza e gioia la vita nostra.


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Sesso: Femminile
05/09/2009 12:30

SI RALLEGRA DELLA NOSTRA NASCITA

Quel giorno, salutato con gioia dai nostri genitori, è salutato con gioia più grande da Gesù, che decretando dall'eternità la nostra crea­zione, ne aveva stabilita la data. In quel giorno egli si è rallegrato im­mensamente vedendo tutta la perfezione che avremmo acquistata, tutta la gloria che avremmo data al Padre, la felicità che egli avrebbe avuto da noi e che noi avremmo avuto da Lui eternamente.

Il merito di tale gioia di Gesù è dei nostri genitori. La gioia degli sposi cristiani è quella di dare figli alla Chiesa, membri al Corpo Mi­stico di Gesù. Questa è la loro missione: nel compimento di essa sa­rà il loro premio, nel rinnegamento di essa il loro castigo eterno.



SI RALLEGRA DEL NOSTRO BATTESIMO

Esso è la nostra vera nascita, perché in esso avviene la nascita di quel corpo e di quell'anima che abiteranno il cielo e che già in quel giorno ne divengono cittadini di diritto. Nel battesimo Gesù piglia possesso di noi, ci inserisce nel suo Corpo Mistico. Col battesimo si inizia in noi il ciclo delle divine operazioni e misericordie tendenti alla nostra perfezione e felicità. Non sarebbe giovato nascere se non avessimo potuto rinascere col battesimo.



SI RALLEGRA PER LA NOSTRA CONVERSIONE

Al sorgere delle passioni il disegno di Gesù fu distrutto in noi per il peccato mortale. Quello fu per Gesù un giorno di dolore. Mentre in stato di peccato mortale lavoriamo, ci divertiamo, ridiamo o dor­miamo Gesù sta crocifisso nel nostro cuore; supplica il Padre, mo­strandogli le sue piaghe e il suo tormento di aver pietà di noi; ci ot­tiene la grazia di non cader fulminati all'istante dalla giustizia di Dio, e frattanto ci prepara i richiami e gl'incontri che potranno portare al­la conversione. Finalmente spunta il giorno della nostra conversio­ne: è un giorno di grande gioia per Gesù. Egli l'ha voluto persino profetizzare nella parabola della pecorella smarrita.

Quando un peccatore si converte, Gesù risorge nel suo cuore. Ogni qualvolta cooperiamo per la conversione di un peccatore rin­noviamo a Gesù la gioia della sua resurrezione. Al "Pax Domini" do­manda a Gesù in virtù della sua mistica resurrezione che dia a te e a tutti i fedeli e a tutti i peccatori la grazia di una vera conversione, della gloriosa resurrezione finale e della vita eterna.



SI RALLEGRA DELLA NOSTRA CONVERSIONE DALLA TIEPIDEZZA AL FER­VORE

Forse la nostra anima, pur vivendo in stato di grazia, è ammalata: affetti disordinati, menzogne, impazienza, vanità, come tanti morbi, l'attaccano e la fanno illanguidire. Non ci fanno più profitto gli ali­menti spirituali: la comunione, le letture spirituali, le divine ispira­zioni; e viviamo una vita amara e illusa, piena di sacrifici ma senza profitto. Gesù allora ci guarda dall'Eucaristia con immensa tristezza, come una madre il figlio ammalato, e implora per il suo sacrificio la nostra guarigione. Finalmente un giorno abbiamo forse decisamen­te rinunziato alla vanità e alla mediocrità. È stato il giorno della no­stra guarigione e della più grande gioia di Gesù: l'anima della sua sorella, della sua sposa guarisce; ritorna in lei la salute, il colore, la bellezza, la possibilità di svilupparsi e raffinarsi meravigliosamente.

Se non lo sei, diventa subito fervoroso. L’anima fervorosa incanta Gesù. Tutto egli in lei trova bello come un innamorato nella sua fi­danzata. Una preghiera, un sacrificio, un pensiero, uno sguardo lo rallegrano. Offri sempre a Gesù tutto quello che fai, tutto quello che ti riempie l'animo. Molti si ricordano di Gesù nel dolore, ma lo di­menticano nella gioia. Offrigli le tue gioie, anche più piccole, un bel frutto o una bella melodia, un bel fiore o un bel panorama. Offrigli tutti i tuoi piaceri leciti di qualsiasi genere. Gesù si rallegra delle no­stre gioie. Vivi con Gesù tutta la tua vita, nella gioia e nel dolore. Santa Maddalena de' Pazzi, stando un giorno ammalata con una grande sete e ricevendo un grappolo d'uva, lo offrì a Gesù e quindi lo mangiò coll'intenzione di estinguere la sua sete nel Calvario. Ge­sù gradì tanto quell'atto semplice e affettuoso e glielo manifestò in un'apparizione.



SI RALLEGRA DEL NOSTRO PROGRESSO

Gesù si rallegra vedendoci crescere come una madre vedendo cre­scere il suo figliuolo. Ci vorrebbe far crescere cogli occhi ed a questo fine ci ha preparato un cibo meraviglioso, il suo Corpo.

Dio ha stabilito un processo generale di crescita per ciascun esse­re vegetale o animale secondo la propria natura. Ha stabilito pure per questa nostra umanità, divenuta ora così dinamica e così fitta, dei processi accelerati di crescita per darle più cibi, più vesti.

Gli ormoni (particolarmente quello T) per messi, foraggi e alberi affinché crescano molto più celermente e producano frutti più nu­merosi e più grossi; gli antibiotici per molte qualità di animali do­mestici (particolarmente polli e suini) affinché crescano più presto e divengano più grossi, raggiungendo anche il 40% in più del loro pe­so normale; le onde ultra-sonore per i germi vegetali ed animali per imprimere loro una grande celerità di sviluppo.

Per fare più celermente sviluppare la nostra vita soprannaturale, immensamente più grande e più nobile di ogni altra vita, e per farle raggiungere una perfezione e una bellezza maggiore, Gesù ha dato:

- il cibo meraviglioso del suo corpo. Per aumentare il numero e la qualità degli eletti ha fatto diffondere l'uso della comunione quo­tidiana.

- Le rivelazioni del suo amore infinito.

- La devozione alla sua Madre SS. mediante molteplici rivelazio­ni della medesima.

Ogni comunione è un'immagazzinamento di numerosi princípi attivi, stimolanti efficacemente alla perfezione. La comunione fre­quente porta da sé, se non vi sono ostacoli da parte nostra, alla santi­tà, cioè al più celere e al più perfetto sviluppo del nostro essere e dà a Gesù una grandissima gioia.

Un giorno (3.9.1922) Gesù, comparendo a suor Josepha dopo la comunione della comunità e abbassando lo sguardo sulle suore im­merse nel ringraziamento, disse: « Ora sono sul trono che io stesso mi sono preparato. Le mie anime non possono capire fino a qual punto riposano il mio cuore accogliendolo nel loro piccolo e misero, ma certamente tutto mio! Poco mi importano le miserie, quello che voglio è l'amore. Poco mi importano le debolezze, ciò che voglio è la fiducia. Queste sono le anime che attirano nel mondo la misericor­dia e la pace; senza di esse la giustizia divina non potrebbe essere contenuta. Ci sono tanti peccati! ».

Gesù ha sete d'amore. Nel 1923 rivelò alla medesima suor « Quando ti lascio nell'angoscia, il tuo dolore impedirà alla mia colle­ra di colpire i peccatori. Quando pur sentendoti fredda e insensibile, mi dici ugualmente che mi ami, allora veramente consolerai il mio cuore. Un solo atto d'amore fatto quando ti lascio sola, ripara moltis­sime ingratitudini di altre anime. Il mo cuore conta quegli atti d'amo­re e li raccoglie tutti quasi balsamo prezioso. Voglio che tu mi dia ani­me; per questo non ti chiedo altro che amore in tutte le tue azioni. Fa' tutto con amore, soffri con amore, lavora per amore e, soprattutto, abbandonati al mio amore. Valgono tanto le anime! Bisogna molto soffrire per salvare un'anima. L’unica cosa che io da te desidero è l'a­more. Il verace amore è quello che allontana tante anime dall'abisso di perdizione a cui corrono... L’amore è soave, ma operoso.

Dimmi che mi ami: è ciò che più mi consola, perché sono affama­to d'amore. Voglio che tu arda dal desiderio di vedermi amato e che il tuo cuore non si alimenti che di questo desiderio. Partecipa alle mie pene, alla mia solitudine, alla mia tristezza; tienimi compagnia. Amami per tante anime che mi disprezzano ».

Come ogni amante Gesù desidera le dichiarazioni d'amore delle persone amate. Il cuore di Gesù è un cuore di carne come il nostro; solo è molto più grande, tanto che vi entra il mondo intero.



4. Comunione

Il fine della vita di Gesù fu la sua ascensione al cielo; ad essa fu orientata tutta la sua vita. Dopo aver soddisfatto la giustizia di Dio, dopo aver manifestato la misericordia di Dio, redimendo colla sua morte gli uomini e rendendoli idonei a divenire figli di Dio; dopo essere divenuto degno di sedere alla destra del Padre colla sua resur­rezione, Gesù ritorna al Padre dal quale era venuto.

Colla sua ascensione Gesù completa l'opera sua; con Lui l'umani­tà e la creazione ritorna a Dio.

La gloria di Dio è nella manifestazione delle sue perfezioni alle creature intelligenti, sicché queste ne restino ammirate e felici. Nell'Ascensione di Gesù, Dio manifesta in grado sommo le sue divine perfezioni:

a) a Gesù, verso cui estingue un debito di giustizia, ricompensan­dolo del suo sacrificio per gli uomini, coll'esaltarlo, col glorificarlo e con l'assoggettargli tutte le creature. Le quali come sono state causa del suo martirio, così saranno causa della sua gloria e della sua uma­na felicità.

b) Alle anime dei giusti, alle quali, col rivelarsi perfettamente fac­cia a faccia, dà la felicità massima, ricevendone la massima ammira­zione, le massime lodi ed i massimi ringraziamenti.

La totale gloria di Dio coincide con la felicità nostra. La croce è solo un punto di passaggio; è una prova ed una preparazione.

Dio non ci ha creati per farci soffrire, ma unicamente per renderci felici. La sofferenza è una conseguenza del peccato; è l'espiazione del peccato e la prova della nostra fedeltà e del nostro amore a Dio.

Dio finalmente si riposerà dell'opera sua quando ci avrà resi tutti felici; quando anche noi, dopo la resurrezione, saremo ascesi al cie­lo.

Frattanto lo stato di somma gloria che Gesù diede nella sua ascensione a Dio lo volle perpetuare nella S. Messa, nella Comunio­ne, in cui rinnova misticamente la sua comunione con Dio e cogli uomini. Contemporaneamente si rinnova nella sua anima la gloria della sua ascensione.

Il suo corpo è alla destra del Padre ed ormai vi resterà per tutta l'eternità. La sua felicità e la gloria di Dio aumentano ad ogni nostra comunione.

Con la comunione eucaristica infatti Gesù:

• moltiplica i suoi doveri verso il Padre;

• inizia e consuma il nostro sacrificio;

• ci rende idonei alla comunione eterna.



a) Gesù moltiplica i suoi doveri verso il Padre

Gesù è venuto per dare al Padre non semplicemente la maggior gloria, ma tutta la gloria possibile. A questo fine ha ideato il Corpo Mistico, cioè la nostra comunione con Lui e la conseguente nostra divinizzazione. Tutto questo egli ottiene mediante la comunione, in cui diveniamo due anime in una carne. Il corpo di Gesù ed il corpo nostro si uniscono e si fondono. Allora le opere nostre diventano opere di Gesù.

Così Gesù si riproduce ed opera in ogni suo discepolo:

• moltiplica il suo cuore per quanti cuori tiene uniti a sé;

• moltiplica le sue adorazioni, le sue lodi, i suoi ringraziamenti, le sue preghiere al Padre per quanti, uniti a Lui, per Lui e con Lui of­frono a Dio le loro adorazioni, le loro lodi, i loro ringraziamenti e le loro preghiere; moltiplica l'atto supremo del suo sacrificio per quan­ti accettano cristianamente la morte e particolarmente per quanti of­frono la loro vita a Dio.



b) Gesù ci rende idonei alla Comunione eterna

• ASPIRAZIONI UMANE

In natura nessun essere sta quieto in sé. La quiete è la morte. Dio solo è vivo ed è quiete, perché infinito e felice in sé. Nell'universo tutto corre, tutto anela, tutto ama. Amare è tendere. Dio tende a sé stesso: il Padre tende al Figlio, il Figlio tende al Padre; entrambi ten­dono allo Spirito Santo; lo Spirito Santo tende al Padre e al Figlio. Le creature invece, essendo limitate, tendono fuori di sé e solo fuori di sé trovano la propria quiete.

Le energie corrono a formare gli atomi e nell'atomo stan quiete; gli atomi corrono a formare gli elementi materiali che costituiscono il mondo e negli elementi stan quieti; i mondi corrono verso il loro centro di attrazione, il centro dell'Universo, quello che gli astronomi chiamano il Trono di Dio e nella loro ordinata tendenza stanno in equilibrio e in quiete.

Nella terra i venti e le onde si rincorrono, si accavallano, si abbracciano, si fondono; le piante tendono al sole, i fiori aprono le lo­ro corolle anelanti verso il polline e quando l'han ricevuto si chiudo­no in pace, gli uccelli si inseguono instancabili nel cielo.

Questa tendenza generale è l'amore inconscio delle creature. Non tendere, ossia non amare è morire. Muore il mondo materiale che non corre, muore la pianta che non tende al sole e non raggiunge la luce, muore ogni essere che non raggiunge l'oggetto dei propri istinti.

L’uomo, che è l'essere più perfetto della creazione, è quello che più di tutti tende ed ama; è quello in cui l'amore è più perfetto, perché cosciente, e più potente perché ne costituisce la vita stessa. Nella creazione solo l'uomo veramente ama. Amare è vivere. L’uomo che non tende e che non ama ma si chiude in sé si annulla o nella ina­zione o nel pessimismo. Ciò avviene quando egli si convince di non poter raggiungere un ideale d'amore, o perché non vi crede più o perché lo vede molto lontano. Non è vero che ci si stanca di amare. Ci stancano gli amori che occupano il nostro cuore, o perché perdo­no la loro bellezza o perché perdono la nostra stima. Se perdiamo ogni speranza di trovare o di conservare il nostro amore finisce per noi ogni attrattiva e ogni scopo di vivere.

Ogni aumento di amore è aumento di vita; ogni diminuzione di amore è diminuzione di vita. Chi non ama resta nella morte: la vita a lui diviene vuota, insulsa, noiosa; la morte una liberazione. Se poi si è amato e si è perduto il proprio amore, senza speranza alcuna di poterlo qualche volta riabbracciare, subentra la disperazione, che è tanto più struggente, quanto più grande era l'amore.

Nell'inferno la vita è una morte continua perché non vi si ama; c'è la disperazione più orribile, perché morendo si è conosciuto l'Amo­re infinito che si è perduto per sempre. Suor Josepha Menendez, di­scesa diverse volte all'inferno vi provò la pena più terribile che vi si soffre, causa a sua volta delle altre pene: quella di non poter amare.

L’uomo continuamente cerca, continuamente aspira: con tutte le sue facoltà, tutti i suoi sensi. A tutto vuol correre, tutto vuole attrar­re a sé: cogli occhi, colle braccia, colla bocca, col corpo intero.

Tutto in noi ama, brama, geme. Siamo continuamente spinti, continuamente anelanti, continuamente delusi.

L'uomo crede di trovare l'oggetto di tutte le sue aspirazioni nella donna, la donna nell'uomo: quindi entrambi credono di trovarlo nei figli e poi nei nipoti. Così l'uomo compie i destini di Dio, ma la sua vita si risolve tutta in una ricerca e spesso in un pianto in due, in tre, in quattro.

Non è questo lo spettacolo che ci danno gli amanti per le strade, nei cinema, nelle anticamere dei medici, degli avvocati, negli ospe­dali, nei lutti?

Se fossero perfettamnete contenti e felici non andrebbero mai in giro.

La loro vita non è altro che la ricerca inconscia in due di un amo­re più grande da godere assieme.

Cosa cerca ogni uomo? La gioventù e l'amore assoluto.

Nel caso più fortunato in cui l'uomo riesce ad avere tutto quello che la vita può dare, tutti i piaceri della carne e dello spirito, una grave minaccia sempre gli incombe: quella della fine. Ad ogni risve­glio si sente qualcosa di amaro in bocca e di vuoto nell'anima; ad ogni autunno si accorge che qualche foglia è caduta dalla sua rosa. Dopo un breve splendore, effimero come quello del fiore, le linee della sua bellezza vanno sformandosi, l'elasticità e le energie comin­ciano a venirgli meno, cominciano a sorgere piccoli disturbi organi­ci che pian piano vanno aggravandosi. Ad un certo punto, con infi­nita tristezza, si accorge che non riesce più simpatico come prima e che la giovinezza è perduta, e con essa la felicità.

Non v'è tristezza maggiore per l'uomo che ha posto tutte le sue speranze in questa vita che il passaggio della gioventù. È suo questo canto desolato: « Non ritorna mai più / come un sogno se ne va la gioventù!».

Qualunque sacrificio egli farebbe per allungarla. Un poeta fortu­nato, considerato quasi un semidio e corteggiato da uomini e don­ne, diceva amaramente a un suo amico: « Darei tutta la mia gloria vana per ringiovanire di dieci anni ».

Invano gli alchimisti e i maghi hanno lavorato per tanti secoli per trovare il filtro della eterna gioventù.

Ma soprattutto l'uomo cerca l'amore, e la gioventù stessa la cerca in funzione dell'amore. Nessun amore lo sazia definitivamente, ma solo per qualche tempo. Se alle volte ci si dice sazi non è perché lo siamo veramente, ma perché non abbiamo altre speranze ed altre possibilità umane di amare.

La disperazione dell'uomo comincia quando ha trovato tutto quello che cercava e che umanamente poteva sperare. Allora si ac­corge che ancora resta nel suo cuore un vuoto incolmabile. Cosa è allora che in fondo cerchiamo?

Vorremmo un amore bellissimo, buonissimo, intelligentissimo, sempre giovane; vorremmo un amore che ci capisse a fondo, che ec­citasse la nostra sensibilità, che ci attraesse coi suoi occhi, che ci pe­netrasse l'anima.

Vorremmo con lui l'unione più intima, tale da divenire una sola cosa con lui, che in lui si saziasse finalmente l'anima nostra e la no­stra carne; e vivere così con lui sempre giovani, sempre sani, sempre felici.

Vorremmo non essere estranei a tutto quello che è bello e buono, vorremmo tutti amare e da tutti essere amati. Vorremmo tutti posse­dere e da tutti essere posseduti. Vorremmo riunire finalmente i fili sparsi del nostro amore, riavere tutti i brandelli di cuore che in terra spesso ci portano gli esseri belli che incontriamo. Vorremmo che tutto questo fosse nobile, puro, ideale.

Vorremmo così col nostro amore, con tutto ciò che di bello è sta­to creato, immergerci in un mare di delizie. Ma non è questo un so­gno pazzesco?

Sarebbe stato pazzesco se Dio, infinitamente buono, non avesse voluto, nella sua misericordia, renderlo una realtà.

Senza saperlo cerchiamo Gesù ed il suo Corpo Mistico.

In Lui e per Lui conosceremo tutta la scienza e possederemo tut­to l'amore. `



VALORE DELLA SANTA MESSA

I. Se il Figlio di Dio è venuto nel mondo, tale avvenimento costi­tuisce l'avvenimento più importante nella storia dell'universo e l'av­venimento centrale dei tempi e degli spazi.

NELLA S. MESSA GESÙ CRISTO, UOMO-DIO, È NOSTRO INTERCESSORE, NOSTRO SACERDOTE E NOSTRA VITTIMA: ESSENDO DIO E UOMO INSIEME, LE SUE PREGHIERE, I SUOI MERITI, LE SUE OFFERTE SONO DI UN VALORE INFINITO.

Se il figlio di Dio fatto uomo ha patito ed è morto, questo avveni­mento è di tale importanza che al mondo non sta altro che ricordar­lo, celebrarlo e ritualizzarlo ogni giorno.

Tutta la storia del mondo deve gravitare, incentrarsi e giustificarsi in tale avvenimento.



2. La Chiesa per ordine stesso di Gesù, rievoca, celebra, rinnova misteriosamente tale sacrificio di Gesù ad ogni istante in ogni gior­no nelle 465.000 messe che ogni giorno vengono celebrate nei cin­que continenti.



3. Per tal motivo la cosa più gradita a Dio è la compassione con Gesù Crocifisso e la contemplazione della sua passione. Dice giusta­mente Sant'Alfonso: « Vale più una lacrima sparsa sul Crocifisso che lunghe penitenze e lunghi pellegrinaggi ».

Niente poi c'è al mondo di più prezioso di un'anima crocifissa con Cristo.



4. Nella santa Messa la Chiesa unisce intimamente il suo sacrifi­cio al sacrificio di Gesù, così da risultare un unico sacrificio: il sacri­ficio di tutto il Corpo Mistico, del Capo, Gesù, e delle membra.

LA S. MESSA, DEVOTAMENTE PARTECIPATA, PERORA IL PERDONO DEI NOSTRI PECCATI, DIMINUISCE IL PURGATORIO, PROCURA ALLE ANIME PURGANTI IL MIGLIOR SUFFRAGIO.

Nella S. Messa Gesù offre al Padre insieme alle sue virtù, alle sue preghiere, ai suoi dolori, al suo sangue e alla sua morte, le virtù, le preghiere, i dolori e la morte della Madonna, dei martiri, dei santi e di tutti i buoni cristiani con i quali completa la sua passione, ai qua­li partecipa mediante i suoi meriti infiniti la sua dignità divina.



5. L'unica offerta degna di Dio è il sacrificio del suo Figlio. L'unica maniera di rendersi graditi a Dio è di offrirsi in un solo sa­crificio col sacrificio di Gesù.

L'unica espiazione, riparazione, propiziazione per i peccati nostri e del mondo intero è il sacrificio di Gesù.

L'unica fonte di grazie per noi e per il mondo, l'unica speranza per il mondo e per noi è il sacrificio di Gesù.

L'unico supplemento alle nostre omissioni, alle nostre indigenze, ai nostri vuoti, è il sacrificio di Gesù.

L'unica cosa che può rendere preziose le nostre preghiere, le no­stre opere buone, le nostre fatiche, i nostri sacrifici è il sacrificio del­la Messa.



6. Una Messa dà una gloria infinita al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo, una grande gioia a tutti i santi del cielo, un grande sollievo al­le anime del Purgatorio, una pioggia di grazie a tutti gli uomini del­la terra, dei grandissimi meriti e delle grandissime grazie a te, che l'ascolti e vi partecipi. Tutto ciò che ha valore ha valore, dalla Messa, cioè dal sacrificio di Gesù.

LA S. MESSA E’ LA RINNOVAZIONE DEL SACRIFICIO DELLA CROCE; TRATTIENE LA GIUSTIZIA DIVINA; REGGE LA CHIESA; SALVA IL MONDO.



7. É la S. Messa che tiene in vita il mondo, che placa la giustizia di Dio per i peccati dell'umanità. Senza la Messa il mondo verrebbe di­strutto ogni giorno per i suoi peccati.

La Beata Anna Maria Taigi vide in visione che le fiamme distrug­gitrici della giustizia di Dio, le quali stavano per avventarsi sulla ter­ra e distruggerla, se ne allontanavano per il sacrificio di Gesù offer­to dalla Chiesa quotidianamente.



8. Perché la Messa sia per te un sacrificio che ti renda accetto a Dio occorre che divenga il tuo sacrificio; e affinché divenga il tuo sa­crificio occorre che tu lo offra unito a Gesù, cioè in stato di grazia e che tu ti offra insieme a Gesù, prendendo parte attiva alla Messa.



9. Occorre innanzi tutto che ti renda degno di Dio, purificandoti di tutti i tuoi peccati con un atto di contrizione perfetta ogni volta che entri in chiesa per partecipare al Sacrificio della Messa.

La Chiesa mette il fonte di acqua benedetta all'entrata per rimet­terci con essa i peccati veniali, e per farci ricordare di far l'atto di contrizione che ci lava e ci rimette anche tutti gli altri peccati.



10. La Messa sarà tanto più sorgente di grazie e di meriti per la tua santificazione quanto più ne fai di essa il tuo sacrificio.

Perché la Messa sia il tuo sacrificio occorre che tu offra per le ma­ni del sacerdote, insieme al pane e al vino, le tue preghiere, le tue fa­tiche, i tuoi sacrifici, tutte le tue opere buone.



11. Alla consacrazione, durante la Messa, si compie un mistero: il Verbo come coll'incarnazione unì alla sua persona la natura uma­na per farne un sacrificio degno di Dio e offrirlo al Padre nella Cro­ce, così nella Messa unisce a sé la tua persona con tutte le tue cose buone e tutti gli uomini membri del suo Corpo Mistico con le loro opere buone e i loro sacrifici, li trasforma in suoi e li offre al Padre in un unico sacrificio.

Alla consacrazione nella S. Messa si compie il mistero solenne e meraviglioso del rinnovamento mistico dell'immolazione di Gesù in croce e dell'immolazione del Corpo Mistico.

Questo mistero è simboleggiato dall'unione delle poche gocce di acqua col vino nel calice, che nella consacrazione diventano insieme al vino Corpo e Sangue di Gesù.



12. Alla comunione si compie questo mistero: Gesù si unisce in­timamente con quanti lo ricevono così da diventare con loro una co­sa sola; così comunica loro la sua vita e i suoi meriti e li unisce inti­mamente al Padre e allo Spirito Santo.



13. Gesù nella comunione compie tutto questo in te nel grado in cui ti unisci a lui spiritualmente con l'amore, nel grado, cioè, in cui lo ami, lo scegli come primo amore e primo ideale della tua vita e che vuoi vivere per lui.



14. Non c'è cosa più importante, più preziosa, più utile a te e al mondo intero, che tu possa fare nel giorno, che andare in chiesa e offrire a Dio il sacrificio della Messa.

Qualunque somma potessi andare a ritirare ogni mattino e met­terla in un libretto, sarebbe un nonnulla rispetto ai meriti e ai tesori che acquisti e ti conservi per l'eternità ogni giorno che vai a Messa. Devi stimare la Messa come l'atto più importante della tua giornata.



15. Quando ti senti vuoto, quando ti senti oppresso, quando hai di bisogno di importanti grazie e ti accorgi che non hai alcun titolo per ottenerle; quando ti senti vuoto, quando ti senti preoccupato per l'avvenire di te, dei tuoi e del mondo intero, offri al Padre Gesù nel sacrificio della Messa. Egli basta a tutto.



16. Tutta la tua vita deve diventare la tua Messa e una prepara­zione alla Messa.

Come nei giorni avanti viene preparata l'ostia e il vino che deb­bono venire consacrati, così nel tempo che intercorre tra una tua Messa e l'altra devi preparare la materia del tuo sacrificio: mortifica­zioni, elemosine, atti di carità, di pazienza, di ubbidienza, preghiere, lavoro fatto per Dio, sofferenze offerte a Dio, ecc. Questi saranno i tuoi doni che devi portare in Chiesa ogni volta che vieni a parteci­pare alla Messa, e che devi offrire ogni volta a Dio con l'ostia santa. In tal maniera ancora tutta la tua vita diventa la tua Messa.



17. La Messa è il centro e lo scopo della creazione. Come di tanti chicchi di grano macinati e ripuliti dalla crusca si fa un pane che nel­la Messa si trasforma in Cristo; così di tanti cristiani contriti dai lo­ro peccati e purificati dalle loro scorie si fa nella Messa un solo Cor­po, una sola Ostia che viene immolata con Gesù.



18. Completa ogni volta la tua Messa con la comunione. Chi va a Messa e non fa la comunione rassomiglia a uno che va a pranzo, vede la tavola imbandita, non mangia, e se ne torna digiuno.

D'altro lato chi può fare la comunione una volta l'anno è segno che la può fare ogni giorno, perché deve avere le disposizioni che lo rendono idoneo a fare la comunione ogni giorno: pentimento dei peccati, distacco dal peccato, volontà di non farne più, volontà di amare Dio sopra ogni cosa.



19. Ogni cristiano deve mettere nella Messa il proprio cuore nel­l'ostia, deve unirlo intimamente al Cuore di Gesù e al cuore di tutti i fratelli con un amore ardente cosi che venga consumato con gli altri in uno nella comunione.



20. Il cristiano che non intende purificare il proprio cuore, e non intende unirlo a quello di Cristo, resta al di fuori non solo della Mes­sa, ma anche del Corpo Mistico. Nella Messa il cristiano deve opera­re ogni volta la sua conversione, la sua purificazione, la sua adesio­ne a Cristo, la sua donazione totale a lui.



21. Il cristiano che non unisce il suo cuore a quello di tutti i fra­telli, come un chicco di grano agli altri per fare un solo pane del sa­crificio e un solo cuore, resta estraneo al sacrificio della Messa e al Corpo Mistico.

Per compiere tale unione deve purificarsi col dolore e deve in atto sentire un amore sincero e fraterno verso tutti gli uomini.



22. Le prime comunità cristiane erano viventi e conquistatrici perché erano unite nella preghiera, nella Messa e nella Comunione eucaristica, nell'amore fraterno e nella comunione dei beni materiali.



23. Uscendo dalla Messa devi sentirti il fratello di tutti, devi esse­re desideroso di salutare tutti, di fare amicizia con tutti, di aiutare tutti con le tue prestazioni e con tutte le economie personali che ti è possibile realizzare; devi sentirti Gesù che continua la sua missione e che esce per cercare gli uomini, per beneficarli, per salvarli. Solo così vivi la tua Messa e il tuo cristianesimo.


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