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Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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LA CONFESSIONE

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 16:31
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05/09/2009 16:31

A chi il potere di "rimettere" o "ritenere"?

1 - Dal contesto di Giovanni 20, 19-23 appare ,abbastanza chiaro che i "discepoli", ai quali il Risorto affida il potere di rimettere o ritenere i peccati, sono il numero limitato e qualificato dei Dodici ". Infatti nella apparizione successiva, in circostanze analoghe, Giovanni richiama la precedente apparizione e dice: “Tommaso, uno dei Dodici, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore” (Giovanni 20, 24-25).

A stretto rigor di termini, Giovanni avrebbe dovuto dire: “Tommaso, uno degli Undici”, perché Giuda, il traditore, non era certamente con loro. Dicendo “uno dei Dodici”, fa chiaramente capire che la precedente apparizione col mandato di rimettere i peccati era stata fatta al gruppo qualificato degli Apostoli, detto comunemente “I Dodici”.

D'altra parte, se il mandato fosse stato conferito a tutti indistintamente i seguaci di Gesù, Giovanni avrebbe dovuto dire: “Tommaso, uno dei discepoli”, e non già “uno dei Dodici”. Inoltre, quando precisa: “gli dissero allora gli altri discepoli”, è implicito che Tommaso fosse uno del gruppo ristretto, ai quali era apparso il Risorto. Gli altri qui non suppone tutti gli altri, ma il gruppo qualificato di cui faceva parte Tommaso. Ecco ciò che scrive Giovanni:

“Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù.Gli dissero allora gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore! "” (Giovanni 20, 24-25).

2 - Ancora. Sembra del tutto inverosimile che tutti i discepoli fossero in quel luogo a porte chiuse, dove apparve il Risorto (cf. Giovanni 20, 19). L'autore degli Atti degli Apostoli, riferendosi agli avvenimenti di quei giorni, c'informa che tutti i discepoli, uomini e donne, erano circa 120 (cf. Atti 1, 15), ed erano tutti a Gerusalemme. Considerando come erano le abitazioni al tempo di Gesù, non sembra possibile che 120 persone fossero riunite “a piano superiore” (cf. Atti 1, 13) e stessero lì fino a tarda sera, ora in cui Gesù apparve ai "discepoli", assente Tommaso (cf. Giovanni 20, 19).

Sempre con riferimento ai quei giorni e a quei fatti Luca precisa che “al piano superiore” c'erano solo undici persone, e cioè gli Apostoli, di cui dà i nomi (cf Atti 1, 13).Non vi può essere dubbio che si tratta dello stesso luogo dove il Risorto era apparso “ai discepoli”, la sera del giorno dopo il sabato, cioè del giorno della Risurrezione. Era certamente quella stessa sala messa a disposizione da un amico del Maestro per celebrare la Cena pasquale coi suoi discepoli, cioè coi Dodici (cf. Luca 22, 12), e per alloggiarvi durante la loro permanenza a Gerusalemme. Sala spaziosa quanto si voglia, ma sempre inadeguata per una folla di 120 persone.

3 - Ancora più inverosimile è che in quella sala, al piano superiore, vi fossero donne e per di più fino a tarda sera a porte chiuse. Non ve ne erano state durante la Cena pasquale (cf. Luca 22, 10-11) e non ve ne furono certamente nei giorni che seguirono.

Non vi era neppure Maria, la Madre di Gesù, perché la stessa sera del venerdì, che noi ora diciamo santo, dopo che Gesù dalla croce l'affidò a Giovanni, questi precisa: “Da quel momento il discepolo la prese a casa sua” (Giovanni 19, 27). Non si può escludere che Giovanni avesse a Gerusalemme delle conoscenze (cf. Giovanni 18, 15-16), dove poteva alloggiare come a casa sua quando si recava a Gerusalemme, specie in occasione della Pasqua ebraica.

4 - Per quanto riguarda le altre donne, tutti e quattro gli evangelisti sono pienamente d'accordo nel riferire che i loro movimenti, agitati e frettolosi, ebbero luogo durante le ore antimeridiane. La sera le donne non compaiono sulla scena. all'ora della preghiera. Voler dedurre da questi testi che anche le donne abbiano avuto il potere di rimettere i peccati è semplicemente ridicolo ".

Il racconto di Luca

1 - Per sostenere il loro punto di vista che Gesù avrebbe dato il potere di rimettere i peccati a tutti i suoi discepoli, donne comprese, alcuni sfruttano il racconto di Luca e precisamente Luca 24, 33-36.  Luca racconta come i due discepoli di Emmaus, dopo che riconobbero il Risorto, partirono precipitosamente e fecero ritorno a Gerusalemme dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro. “Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: "Pace a voi" (Luca 24, 36)”. A loro avviso, Luca qui riferisce l'apparizione, di cui in Giovanni 20, 19-23, e poiché erano presenti altri discepoli, oltre agli Undici, il conferimento del potere di rimettere i peccati sarebbe stato dato anche ad altri I. Dov'è la verità?

2 - Bisogna notare prima di tutto che Luca, nel racconto o racconti delle apparizioni del Risorto, fa solo un cenno implicito al conferimento del potere di rimettere i peccati. A leggere la Bibbia superficialmente la logica conseguenza sarebbe che Gesù non conferì a nessuno tale potere. Ma non è così. A parere dei biblisti, Luca ha una sua presentazione di alcune apparizioni del Risorto, avente come scopo di far sapere ai lettori che Gesù ha dato segni concreti e convincenti della sua risurrezione tanto da trionfare sulla incredulità dei discepoli, dei Dodici in particolare".

Questo appare chiaramente nel racconto dei due discepoli dubbiosi “in cammino per un villaggio distante circa sette 'miglia da Gerusalemme” (Luca 24, 13) Il Risorto trionfa sulla loro incredulità:

“Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista... E partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono gli Undici, e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone"” (Luca 24, 31.33-34).

Identica finalità nel racconto che segue:

“Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma... Gesù mostrò loro le mani e i piedi... Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro” (Luca 24, 40-43).

3 – E’ evidente che lo scopo di Luca nel riportare i racconti delle apparizioni del Risorto è quello di dimostrare come Gesù trionfa sulla incredulità de- gli Undici dando loro i segni della realtà della sua risurrezione.

Stando cosi le cose, il racconto di Luca non autorizza affatto a dire che il potere di rimettere i Peccati o di ritenerli sia stato conferito a tutti i discepoli indistintamente.

Una conferma

Sia Marco (16, 14) sia Paolo (1 Corinzi 15, 5) accennano a un'importante apparizione agli Undici. Paolo dice di averla appresa dalla tradizione, cioè dalla viva voce dei testimoni oculari, e la considera una prova convincente della sua fede. E’ dunque fuor di dubbio che l'apparizione ai Dodici occupava un posto di primaria importanza nella predicazione degli Apostoli.

Ora di questa apparizione ne parla solo Giovanni in modo chiaro ed esplicito, connettendola col conferimento del potere di rimettere i peccati (cf. Giovanni 20, 19-23). Ciò che racconta Giovanni riguarda solo il gruppo dei Dodici, e non tutti i discepoli indistintamente. Infatti proprio perché “Tommaso, uno dei Dodici” non era presente, Gesù appare di nuovo otto giorni dopo, cosi che tutti gli appartenenti al gruppo dei Dodici possono essere testimoni della Risurrezione e avere il potere dal Risorto.

Non bisogna dimenticare che Giovanni scrisse parecchi anni dopo Marco, Luca e Paolo. Col suo racconto particolareggiato dell'apparizione ai Dodici la sera del giorno della Risurrezione e il conferimento del potere di rimettere i peccati ha voluto forse chiarire qualche dubbio specie sul racconto di Luca ed esplicitare ciò che Marco e Paolo avevano detto succintamente.

In sintesi

1 - I testi biblici più significativi comprovanti il conferimento del potere di rimettere o ritenere i peccati dato dal Signore Gesù alla sua Chiesa si trovano in Matteo 16, 19 e 18, 18 e in Giovanni 20, 22-23. L'analisi accurata e oggettiva dei verbi usati dagli scrittori ispirati (legare - sciogliere; rimettere - ritenere) porta alla conclusione che il Signore Gesù ha dato alla sua Chiesa un effettivo potere di perdonare i peccati commessi dopo il battesimo.

2 - Soggetto di questo potere non è qualunque discepolo di Gesù, ma le guide qualificate della Chiesa, cioè gli Apostoli e i loro successori. A questa conclusione si arriva analizzando accuratamente e oggettivamente il contesto sia di Matteo 18, 18 che di Giovanni 20, 19-23. In Matteo la riconciliazione del fratello peccatore con Dio e la comunità deve ,avere il sigillo delle guide qualificate della Ekklesìa, ossia della comunità strutturata. In Giovanni 20, 19-23 l'apparizione del Risorto e il conferimento del potere di rimettere i peccati hanno come termine il gruppo degli Apostoli: i Dodici.

3 - Per quanto riguarda Giovanni 20, 19-23 e la sua retta comprensione è nel ricordare che nessuno degli evangelisti intende dirci tutto sulla Risurrezione del Signore (Cf. Giovanni 20, 30; 21, 25). I loro racconti sono selezionati secondo vari punti di vista. Luca insiste sulla oggettività o realtà della Risurrezione e la missione della Chiesa nascente, mentre Giovanni mette più in evidenza il conferimento del potere ai Dodici.

4 - Su quest'ultimo punto, mentre Marco non dice nulla, Luca ne parla in modo implicito (Cf. 24, 44-47), Giovanni è più particolareggiato. Egli racconta minuziosamente l'apparizione dei Risorto ai "discepoli", che poi specifica essere il gruppo degli Apostoli, e ricorda il conferimento del potere penitenziale, di rimettere cioè i peccati commessi dopo il battesimo.

5 - Nei racconti della Risurrezione del Signore le donne hanno un ruolo certamente non secondario: sono le prime messaggere del glorioso evento. Ma tutto quello che esse fanno è collocato nelle ore antimeridiane del primo giorno dopo il sabato, ossia del giorno della Risurrezione. Poi di esse si parla solo in riferimento alla vita comunitaria dei discepoli del Signore (cf. Atti 1, 14) e alla discesa dello Spirito Santo (cf. Atti 2, 1.17-18).

La fede della Chiesa Cattolica

La Chiesa Cattolica ha ribadito e precisato la sua dottrina sul Sacramento della Penitenza soprattutto al Concilio di Trento (1545-1563) in contrapposizione agli errori di Lutero e di Calvino.

Circa l'istituzione di questo sacramento il Tridentino ha definito:

“Il Signore (Gesù) ha istituito il sacramento della penitenza soprattutto quando, dopo la risurrezione, alitò sui suoi discepoli, dicendo: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Giovanni 20, 22-23). Con questo gesto così significativo e parole così chiare fu conferito agli Apostoli e ai loro legittimi successori il potere di rimettere e di ritenere i peccati per riconciliare i fedeli caduti in peccato dopo il battesimo... Condanna le artificiose interpretazioni di quelli che distorcono falsamente quelle parole contro la istituzione di questo sacramento come se si trattasse del potere di predicare la parola di Dio e di annunciare il Vangelo di Cristo”.

“Per quanto riguarda il ministro di questo sacramento il Santo Sinodo dichiara essere false e per nulla conformi alla verità del Vangelo tutti quegli insegnamenti, che con grave pericolo estendono a qualsiasi uomo oltre ai vescovi e ai sacerdoti il ministero delle chiavi, insegnando che quelle parole del Signore: “Tutto quello che legherete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo” (Matteo 18, 18) e: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (Giovanni 20, 23) siano rivolte indifferentemente e promiscuamente a tutti i discepoli di Cristo, di modo che chiunque abbia il potere di rimettere i peccati”.

 

Riportiamo ora alcune affermazioni del Catechismo della Chiesa Cattolica:

“1441. “Dio solo perdona i peccati” (cf. Marco 2, 7). Poiché Gesù è il Figlio di Dio, egli dice di se stesso: “Il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati” (Marco 2, 10) ed esercita questo potere divino: “Ti sono rimessi i tuoi peccati !” (Marco 2, 5; Luca 7, 48). Ancor più: “In virtù della sua autorità divina dona tale potere agli uomini” (cf. Giovanni 20, 21-23) affinché lo esercitino nel suo nome”.

“1442. risto ha voluto che la sua Chiesa sia tutta intera, nella sua preghiera, nella sua vita e nelle sue attività, il segno e lo strumento del perdono e della riconciliazione che egli ha acquistato per mezzo del suo sangue. Ha tuttavia affidato l’esercizio del potere di assolvere i peccati al ministero apostolico. A questo ha affidato il “ministero della riconciliazione” (2 Corinzi 5, 18). L’apostolo è inviato “nel nome di Cristo”, ed è Dio stesso che, per mezzo di lui, esorta e supplica: “Lasciatevi riconciliare con Dio”” (2 Corinzi 5, 20).

“1445. Le parole legare e sciogliere significano: colui che voi escluderete dalla vostra comunione, sarà escluso dalla comunione con Dio; colui che voi accoglierete di nuovo nella vostra comunione, Dio lo accoglierà anche nella sua. La riconciliazione con la Chiesa è inseparabile dalla riconciliazione con Dio”.

“1461. Poiché Cristo ha affidato ai suoi Apostoli il ministero della riconciliazione (cf. Giovanni 20, 23; 2 Corinzi 5, 18), i vescovi, loro successori, e i presbiteri, collaboratori dei vescovi, continuano ad esercitare questo ministero. Infatti sono i vescovi e i presbiteri che hanno, in virtù del sacramento dell’Ordine, il potere di perdonare tutti i peccati “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo””.

 

PARTE SECONDA

LA FORMA DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA

Una legittima domanda

A questo punto del nostro discorso qualcuno dei lettori e forse più di uno potrebbe domandare: Dove erano e come erano i confessionali al tempo degli Apostoli? La domanda è legittima. E la risposta è pronta e molto semplice: al tempo degli Apostoli non vi erano confessionali come noi li conosciamo, e non ve ne furono per vari secoli anche dopo.

E allora non vi era la Confessione!  Questa illazione non è logica, e perciò è illegittima. Non ha né senso né valore come non ne hanno tante altre domande e soprattutto risposte che si leggono nei libri e nelle riviste dei tdG. E si leggono pure negli scritti e nella propaganda di gruppi più o meno settari sempre accaniti contro la Chiesa Cattolica.

Ma - ripetiamo - la domanda è legittima, anzi opportuna. E merita una risposta, che non mancheremo di dare in questa seconda parte del nostro opuscolo, trattando della forma del sacramento della Penitenza o Confessione.

Ripetiamo prima in che cosa consiste la sostanza di questo sacramento. Consiste nell'esercizio del potere spirituale o dono o carisma dello Spirito Santo di rimettere i peccati commessi dopo il battesimo. Il Signore Gesù ha conferito questo potere alla sua Chiesa nella persona degli Apostoli e dei loro successori, cioè i vescovi e i presbiteri, loro collaboratori. La Bibbia, spiegata senza preconcetti e ben capita, dà prove abbondanti e convincenti di questa verità. L'abbiamo esaminato nella Prima Parte.

La forma della Confessione o Sacramento della Penitenza è il modo in cui è stato ed è esercitato il potere di rimettere i peccati. Vi sono stati vari cambiamenti nella storia della Chiesa e forse ve ne saranno ancora a motivo di diverse circostanze sociali, ambientali, culturali. Ma questi cambiamenti non hanno intaccato né possono intaccare mai la sostanza.

Il caso dell'incestuoso (cf. 1 Corinzi 5, 1-5)

Anche se nella Bibbia non si parla di confessionali, non mancano indicazioni del modo tenuto dagli Apostoli nell'esercitare il potere di rimettere i peccati. Seguivano una forma per così dire comunitaria. Viene subito in mente il caso dell'incestuoso, ossia del cristiano (o fratello) della chiesa di Corinto, “che teneva con sé la moglie del proprio padre” (1 Corinzi 5, 1). Si tratta evidentemente di uno che ha già ricevuto il battesimo, ma è caduto in un peccato grave. Da tutto il contesto si deduce che egli non vuole abbandonare la comunità. Vuol riconciliarsi, essere perdonato, sottomettendosi anche a una penitenza in vista del perdono e della salvezza.

Paolo, fondatore e padre di quella chiesa (cf. Atti 18, 1-17; 2 Corinzi 6, 13; 12, 14) è messo al corrente dello scandalo ed interviene con uno scritto. Pur essendo lontano col corpo, si sente presente con lo spirito tra quei cristiani ed esercita il potere di salvare il peccatore.

Alla sua azione di giudizio e di riconciliazione l'apostolo associa la comunità di Corinto, che dobbiamo pensare strutturata, cioè guidata dagli anziani o presbiteri (cf. Atti 14, 23). I responsabili della chiesa di Corinto devono radunarsi e pronunciare la sentenza accompagnati da Paolo presente in spirito.

Nota un biblista:

“L'adunanza riguardava evidentemente i capi, più che i fedeli, essendo impossibile riunire in un sol luogo o in una sola piazza, dinanzi ai pagani, tutti i fedeli”.

Al colpevole, certamente pentito del suo peccato, viene inflitta una grave pena. Ma la pena ha un carattere medicinale e salvifico “affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore” (verso 5).

A noi interessa soprattutto il verso 4: “nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati insieme voi e il mio spirito, con il potere del Signore Gesù...”. Segue la sentenza.

Due cose appaiono abbastanza chiare. La prima è la forma o modo di esercitare il potere dato dal Signore Gesù per la salvezza del peccatore.La forma - come si è detto - è comunitaria, Le guide di quella chiesa esercitano il potere di rimettere il peccato radunati quasi certamente in una sala, che era forse qualche stanza messa a disposizione da qualche famiglia della comunità per l'esercizio del culto come le riunioni di preghiera, lo studio della Bibbia, la celebrazione della Santa Cena ecc.

La seconda è la natura o effetto della sentenza. E’ evidente che Paolo con gli anziani o presbiteri sono convinti di aver ricevuto dal Signore il potere di giudicare un fratello peccatore. Nel nome del Signore Gesù essi rimettono il peccato e riammettono il peccatore nella comunità dei "santi", pur infliggendogli la dovuta penitenza.

Notiamo ancora che, pur essendo una forma pubblica, anche se limitata alle guide della comunità, il peccatore non è obbligato a confessare in pubblico il suo peccato. Pubblica vuol dire che il rito o celebrazione del Sacramento della Penitenza non era fatta al confessionale, a tu per tu col presbitero, come è poi invalso nei secoli seguenti. Ma quel rito pubblico comportava sempre l'esercizio del potere di perdonare i peccati commessi dopo il battesimo in virtù del dono speciale dato dal Risorto ai suoi Apostoli e ai loro successori.

La forma pubblica della Confessione

1 - Il caso del peccatore di Corinto e il modo com'è stato risolto ci danno un'idea di come era esercitato il potere di rimettere i peccati fin dai primi anni della Chiesa, ossia della forma del Sacramento della Penitenza. Non vi erano confessionali. Per diversi secoli rimase in uso la forma detta pubblica. Ma questa parola non deve trarre in inganno. L'abbiamo già accennato, ma vogliamo ancora precisare che cosa si intendeva per forma pubblica.

In effetti, l'aggettivo pubblica potrebbe far pensare che il peccatore fosse obbligato a dire in pubblico i suoi peccati davanti alla comunità al fine di ricevere il perdono. Non fu mai così. Mai il peccatore fu obbligato a fare pubblica accusa dei suoi peccati. E’  vero che alcune volte i peccati erano noti. E’ vero. che alcune volte erano resi pubblici spontaneamente. Ma mai il fratello peccatore era obbligato ad accusarsi pubblicamente dei propri peccati. Alcune volte ci furono degli abusi in questo senso. Ma le guide o pastori della Chiesa intervennero per correggerli.

2 - La forma pubblica della Confessione era un cammino penitenziale, che comprendeva varie tappe.

a) Il fratello peccatore generalmente si riconosceva tale davanti al vescovo o anche davanti ai presbiteri. Altre volte, specie quando i peccati erano noti, il vescovo invitava il peccatore a intraprendere il cammino penitenziale. In caso di rifiuto, veniva escluso dalla comunità, cioè era scomunicato.

b) I peccatori, sia quelli che si dichiaravano tali spontaneamente sia quelli invitati o richiamati dal vescovo o dai presbiteri, formavano un gruppo a parte in seno alla comunità: il gruppo dell'ordine penitenziale. All'ordine penitenziale si era ammessi mediante un rito o gesto, che poteva essere l'imposizione delle mani da (parte dei vescovo. Alcune volte e in alcune chiese ufficiali era d'obbligo qualcosa di più grave come portare il cilicio, radersi i capelli; oppure, in alcuni luoghi, proprio il contrario come lasciar crescere disordinatamente barba e capelli.

Ma vi erano penitenze ancora più dure come digiunare, pregare lungo tempo in ginocchio, seppellire i morti, astenersi da cariche pubbliche, da attività commerciali, dai rapporti coniugali ed altre ancora.

c) Anche la durata del cammino penitenziale poteva variare da luogo a luogo. Si andava da alcune settimane fino a tre e anche sette anni. A stabilire la durata era il vescovo secondo la gravità o meno dei peccati. Il vescovo tuttavia non poteva agire di testa propria. Doveva attenersi a delle norme stabilite dai Concili.

d) Alla fine del cammino penitenziale il cristiano peccatore veniva ammesso all'assoluzione dei peccati mediante un rito pubblico o meno solenne. Il vescovo imponeva le mani sul capo del peccatore accompagnando questo gesto con una preghiera. La cerimonia si svolgeva generalmente in chiesa con la partecipazione di tutta la comunità. In caso di necessità (malattia per esempio) e in pericolo di morte questa cerimonia poteva essere presieduta anche dal presbitero. Il cristiano riconciliato, dopo l'assoluzione, veniva ammesso alla comunione eucaristica e alla piena partecipazione della vita comunitaria.

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