QUESTO FORUM E' CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO... A LUI OGNI ONORE E GLORIA NEI SECOLI DEI SECOLI, AMEN!
 
Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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CON QUALE AUTORITA?

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 16:35
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05/09/2009 16:34

P. Nicola Tornese

All'origine dell'errore

1 - “I settari diventarono la spina più amara inflitta nella carne di Lutero, in quanto essi rappresentavano il chiaro segno del suo rifiuto dell'autorità esistente, e lo indussero ai gesti più violenti, compresa l'approvazione della pena di morte per gli eretici quali gli Anabattisti”.

A distanza di quattro secoli e mezzo dalla vita di Lutero non lo si può scagionare dall'aver dato l'avvio, certamente contro sua voglia, a quel proliferare di sette religiose spuntate dopo di lui, e che spuntano ancora, specie nelle nazioni e tra i popoli maggiormente toccati dalla Riforma luterana.

Si tratta certamente d'una applicazione errata del principio del “libero esame”, della “sola fede”, della “sola Scrittura”. Nella mente di Lutero questo principio voleva dire che la fede del vero cristiano si basa sull'autorità della Parola di Dio, di Cristo, del suo Spirito. Lutero non escludeva il ministero o servizio della Parola, ossia la presenza e l'opera nelle comunità cristiane di persone qualificate, che annunciassero autorevolmente la Parola di Dio (cfr. Efesini 4, 11-16; 1 Corinzi 12, 4-30 ecc.). Lutero fu una di queste.

2 - Tuttavia, fondati sul principio del “libero esame”, Lutero e i suoi seguaci, quanti cioè si sono ispirati e si ispirano al suo insegnamento, hanno rigettato l'autorità del Papa e dei Concili, cioè del Magistero ecclesiastico. A loro avviso, il Magistero ecclesiastico ha soppiantato l'autorità della Scrittura. Vedremo che non è così.

Questo rifiuto portò al rigetto di non poche dottrine ed elementi importanti della Chiesa Cattolica, quali la santa Messa, la confessione, il battesimo dei bambini, il culto della Madonna e dei Santi, la fede nell'esistenza del purgatorio ecc.

3 - I cattolici giudicarono errata questa nuova dottrina e quindi pericolosa per la vera fede, perché in definitiva dava troppo spazio, anzi tutto lo spazio, al proprio giudizio. Essa apriva le porte a un deleterio soggettivismo o, peggio ancora, a un deprecabile settarismo come di fatto avvenne. I protestanti o riformatori replicavano che si trattava d'un ritorno puro e semplice alle origini, al genuino insegnamento del Vangelo. A loro avviso, la Chiesa Cattolica se ne sarebbe allontanata, sostituendo all'autorità di Cristo quella di uomini come papi, vescovi, concili.

Dov'è la verità?

Precisazioni doverose

Prima di rispondere a questa domanda, seguendo fedelmente ciò che dice il Vangelo, è doveroso e anche utile fare alcune precisazione.

1 - Anzitutto non è esatto dire che i cattolici, nella loro scelta di fede e nella coerenza morale della vita, obbediscono a un'autorità diversa dalla Parola di Dio. E' errato dire che i cattolici basano la loro fede sull'autorità arrogante di uomini come papi, vescovi, concili.

Senza paura di essere frainteso, almeno da quanti sanno e ragionano, dico che per il cattolico l'atto di fede è fondamentalmente una scelta libera e responsabile del soggetto credente. Sono io a voler accettare la fede e la morale insegnate nella Chiesa Cattolica. Nessuno me lo impone.

In altre parole, l'atto di fede del cattolico è basato su un proprio giudizio, che è l'accettazione della “sola Scrittura”, purché si intenda tutta la Scrittura. Certo è lo Spirito Santo che muove all'obbedienza della fede (cfr. Romani 1, 5), dopo l'annuncio e l'ascolto della Parola (cfr. Romani 10, 14). Ma rimane il fatto che il credente cattolico risponde liberamente all'impulso dello Spirito che parla mediante tutta la Scrittura. Vedremo in seguita come la Scrittura, intesa nella sua integrità, non esclude anzi esige il servizio autorevole di Papi, Vescovi e Concili.

2 - Per ora diciamo che da questa norma o processo non sono esenti né papi né vescovi né concili. Anzi vi sono legati in modo particolare perché nel servizio alla comunità sono essi i garanti della fede. Qui fede va intesa in senso oggettivo, vale a dire il complesso di verità da accettare liberamente per essere un autentico discepolo di Cristo.

Il Concilio Vaticano Il ha espresso questa dottrina con la massima chiarezza:

“L'ufficio poi di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa è affidato al solo Magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. il quale Magistero non è superiore alla Parola di Dio, ma ad essa serve, insegnando soltanto ciò che è trasmesso, in quanto per divino mandato e con l'assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santa- mente custodisce e fedelmente espone quella Parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio”.

Osservazioni:

a) Per Magistero bisogna intendere l'insieme dei vescovi (papa e vescovi) in qualità di maestri o testimoni della Parola di Dio. Sono ministri della Parola e pastori del gregge (cfr. Atti 20, 28).

E' detto vivo nel senso che tali ministri e pastori, per volontà di Cristo, sono presenti nella sua Chiesa in ogni epoca della storia. Sono suoi rappresentanti per far conoscere agli uomini di tutti i tempi il suo insegnamento dato una volta per sempre (cfr. Giuda 3). Non il proprio insegnamento, ma l'insegnamento di Cristo.

b) Per compiere questo loro ministero, papi e vescovi devono essi stessi ascoltare la Parola di Dio e custodirla fedelmente senza alterazione alcuna. Sono servi della Parola, non superiori ad essa. Prima e sopra di loro vi è Cristo, vi è la Scrittura. Il papa e i vescovi insegnano solo ciò che Cristo ha insegnato senza aggiungere o togliere nulla. Ciò che essi insegnano è contenuto nel deposito della fede (cfr. I Timoteo 5, 20). Lo Spirito Santo guida nella conoscenza della verità tutta intera (cfr. Giovanni 14, 26).

c) Se nella lunga storia della Chiesa Cattolica vi sono pagine o gesti di papi e di concili che potrebbero far pensare diversamente, vale a dire che papi o concili abbiano alterato la parola di Dio, un'analisi accurata ed onesta di quelle pagine o gesti può rettificare e cancellare quella impressione. Bisogna analizzare coscienziosamente i singoli casi come hanno fatto storici e teologi di grande valore. In quanta verità di fede e di morale il Magistero Ecclesiastico, anche se alcune volte rappresentato da persone moralmente discutibili, non ha mai insegnato cose contrarie alla Parola di Dio.

3 - Riassumendo diciamo o ripetiamo:

a) Secondo la dottrina cattolica la fede del credente cattolico è una libera risposta alla chiamata di Dio mediante la sua Parola conosciuta intelligentemente e confermata autorevolmente. Nessun cattolico è forzato a credere ciò che crede. Dire il contrario è calunnioso. La fede è un dono di Dio accettato liberamente dall'uomo. Il cattolico accetta e aderisce alla Scrittura mediante una risposta libera, personale, soggettiva, in virtù di una libera valutazione e di una decisione personale.

Ci può essere, perciò, una interpretazione esatta del principio del “libero esame”, quando si vuole mettere in risalto la responsabilità della persona e il primato della Parola di Dio; ma non si può accettare l'uso che ne è stato fatto storicamente (e che si fa ancora oggi) per far passare l'individualismo e il soggettivismo nel campo della fede e della morale.

b) Affinché poi l'oggetto della fede e della morale sia garantito o, in altre parole, affinché ciò che il cattolico crede sia veramente Parola di Dio, Cristo ha stabilito il Magistero. Sotto tale guida la Parola di Dio non è lasciata all'arbitrio dei singoli, ma preservata nella sua integrità e purezza, e trasmessa nella sua genuinità.

c) L'atto di fede del cattolico ha perciò due componenti: una soggettiva, che è, la libera adesione alla Parola di Dio; l'altra oggettiva, nel senso che egli attinge ciò che crede dal deposito della fede custodito e interpretato fedelmente dal Magistero sotto la guida speciale dello Spirito Santo.

d) Il Magistero, infine, non è  libero d'insegnare ciò che vuole. Papi e Vescovi non sono superiori alla Parola di Dio, ma ad essa servono, insegnando soltanto ciò che è trasmesso. Essi piamente ascoltano, santamente custodiscono e fedelmente espongono la Parola di Dio.

 

PARTE PRIMA

LA STRUTTURA DELLA VERA CHIESA

Concetto o nozione di Chiesa

Ritorniamo ora alla domanda o questione di prima, che può essere formulata nel modo seguente.

Come riceve il cattolico la fede oggettiva, ossia le verità rivelate da Dio, a cui aderisce liberamente? Direttamente dalla Scrittura sotto l'impulso dello Spirito Santo oppure dalla Scrittura conservata e interpretata, attraverso il tempo, da una guida autorevole, diretta dallo Spirito Santo? E in questo secondo caso, qual è questa guida? Chi l'ha costituita?

Com'è facile capire qui è in questione la natura e la struttura della vera Chiesa di Gesù Cristo: Com'è strutturata questa Chiesa? Che cosa dice la Scrittura a questo riguardo?

1 - La parola chiesa (greco ekklesìa da ekkalèin convocare) indica l'assemblea religiosa. Il termine fu usato già prima di Cristo per indicare l'assemblea religiosa degli Israeliti nel suo insieme. Col tempo venne a indicare le assemblee religiose locali degli Israeliti fuori di Gerusalemme, ossia le comunità riunite intorno alla sinagoga.

Presso i cristiani la Ekklesìa venne a indicare il gruppo o i gruppi dei discepoli di Cristo che si riunivano prima a Gerusalemme e poi in altre città e località fuori di Gerusalemme. Indicava cioè le chiese o comunità locali, particolari. Così era chiamato il gruppo dei cristiani di Gerusalemme (cfr. Atti 11, 22), come pure quello di Antiochia (cfr. Atti 13, 1). Identico significato in san Paolo che scrive “alla chiesa di Dio che è in Corinto” (1 Corinzi 1, 2; 2 Corinzi 1,1); “alle chiese della Galazia” (Galati 1, 2). Anche le chiese, di cui in Apocalisse capitoli 2 e 3, sono chiese locali.

2 - Tuttavia lo stesso vocabolo Ekklesìa è usato nel Nuovo Testamento per indicare l'assemblea o comunità dei discepoli di Cristo nella loro totalità. Così, per esempio, in Efesini 1, 22-23 san Paolo parla della Chiesa come del Corpo di Cristo, la pienezza di Lui che tutto riempie. Identico significato> in Efesini 5, 25, dov'è detto che “Cristo ha amato la Chiesa e si è offerto per lei per santificarla”. E' tutto il Popolo di Dio, tutto l'Israele di Dio (cfr. Galati 6, 16), che Cristo ha santificato. Così pure in Matteo Gesù chiama Ekklesìa la moltitudine dei suoi discepoli, che avranno Pietro come fondamento incrollabile (cfr. Matteo 16, 16-18).

3 - Per indicare questa medesima realtà, ossia l'assemblea universale dei discepoli di Cristo, la Bibbia usa anche altri vocaboli, altre immagini. Ne ricordiamo solo alcune.

La Chiesa tutta è paragonata al gregge e ovile (cfr. Giovanni 10, 1-10). L'una e l'altra immagine fa pensare a un'unica grande comunità guidata da un Pastore. Un'altra immagine è quella della famiglia, che comporta anche una struttura unitaria sotto una guida incontestata e sicura (cfr. Efesini 2, 19-22). In quanto tale la Chiesa è detta anche “la dimora di Dio con gli uomini” (Apocalisse 21, 3), “tempio santo di Dio” (Efesini 2, 21), “la Città Santa” (Apocalisse 21, 2).

La Nuova Gerusalemme (Apocalisse 21, 10 ss.)

Soffermiamoci ora a considerare la Chiesa nella sua totalità, come l'assemblea di tutti i discepoli di Cristo: qual è la struttura che di essa ci offre la Bibbia? Citiamo e spieghiamo brevemente un testo dell'Apocalisse molto significativo.

1 “L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande ed alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele (...). Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello” (Apocalisse 21, 10-14, CEI).

 

Spiegazione:

1 - La città santa, Gerusalemme, che l'angelo mostra a Giovanni, è certamente la Chiesa universale, “tutto l'Israele di Dio” (Galati 6, 16). Di essa fa parte il popolo dell'Antico Testamento, come fa chiaramente capire la menzione dei nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele. Ma fa parte soprattutto il popolo della Nuova Alleanza, rappresentato dai nomi dei dodici apostoli dell'Agnello.

2 - Qui interessa mettere in rilievo come le mura della città santa Gerusalemme, che è la Chiesa, poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello. Giovanni dunque, presentando la struttura della Chiesa universale, assegna ai dodici apostoli la funzione di fondamento (cfr. anche Efesini 2, 20).

Se si tiene presente che le fondamenta sono insostituibili nella struttura d'un edificio, ne segue che la funzione dei dodici apostoli è essenziale e di primaria importanza per la solidità e stabilità della vera Chiesa di Cristo. San Giovanni non poteva essere più chiaro: la vera Chiesa di Cristo deve essere apostolica, altrimenti non è la vera Chiesa di Cristo.

Si ha qui un'illustrazione plastica del pensiero di san Paolo che, riferendosi a tutti i credenti in Cristo, dice: “Siete concittadini dei santi e membri della casa di Dio, sopraedificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti con lo stesso Cristo Gesù quale pietra angolare” (Efesini 2, 19-20).

La vera Chiesa di Cristo, nella sua universalità, non poggia su uno scritto, ma su uomini, testimoni e messaggeri di quello scritto.

3 - Ricordiamo infine che Giovanni nell'Apocalisse presenta la Chiesa di tutti i tempi, la Chiesa di ieri, di oggi, di sempre, come procede nel tempo tra lotte e trionfi, eroismi e tradimenti, coraggio e viltà. Questa Chiesa poggia sulle solide fondamenta dei dodici Apostoli.

Uno sguardo alle origini

Questa visione di Giovanni non è una sua invenzione. Egli era ben consapevole di come il divino Maestro aveva strutturata la sua comunità, il popolo della Nuova Alleanza. Uno sguardo alle origini ci aiuta a capire bene le cose.

1 - Nei vangeli non si legge che il Signore Gesù abbia avuto mai la preoccupazione di scrivere o di far scrivere i suoi insegnamenti, il Vangelo del Regno. Egli volle essere un Maestro (Rabbì), non uno scriba: “E si stupivano del suo insegnamento, perché li ammaestrava come uno che ha autorità e non come gli scribi” (Marco 1, 22). Né volle circondarsi di scribi.

Leggiamo invece nei vangeli che fin dai primi giorni della sua vita pubblica il Maestro accettò, anzi invitò, persone che lo seguissero come discepoli (cfr. Giovanni 1, 37-42). Il gruppo di questi discepoli andò sempre crescendo.Erano molti (cfr. Luca 6, 17).

2 - E arrivò un giorno in cui il Maestro, dopo aver pregato a lungo (cfr. Luca 6, 12), fece una scelta tra quanti lo seguivano come discepoli. Racconta san Marco:

“Poi salì sulla montagna e chiamò quelli che volle, ed essi andarono da lui. E ne costituì dodici perché stessero con lui, e per mandarli a predicare col potere di scacciare i demoni. Costituì, dunque, i Dodici: Simone, al quale diede il nome di Pietro ecc.” (Marco 3, 13-16, Garofalo). Seguono i nomi dei Dodici scelti.

San Luca, nel racconto parallelo, precisa che ai Dodici Gesù “diede il nome di apostoli” cioè inviati (Luca 6, 13). Parlando poi della prima missione, dice: “Riunì i Dodici” (Luca 9, 1).

La precisazione di Luca fa capire chiaramente che tra i discepoli in genere e i Dodici scelti da Gesù esiste una differenza rimarchevole. San Matteo dice: “I dodici discepoli”, ma subito dopo precisa: “I nomi dei dodici apostoli sono questi: primo, Simone detto Pietro ecc.” (Matteo 10, 2).

I Dodici dunque formano un gruppo ben distinto tra i seguaci o discepoli di Cristo, con compiti o funzioni particolari. A conferma vale il fatto che, dopo questa scelta o elezione, il gruppo è assai spesso designato col solo nome di “I Dodici” (Oi Dòdeka): 34 volte contro 8.

Gesù e i Dodici

Leggendo i vangeli si nota facilmente come dopo la scelta dei Dodici, tra Gesù e questo gruppo si siano creati gradatamente rapporti particolari. Molto significativa è l'espressione di Marco che dice: “Li scelse per averli con sé, per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Marco 3, 14-15).

1 - Effettivamente, non molto tempo dopo la scelta, Gesù affida ai Dodici la prima missione: li manda da soli, a due a due, rivestendoli della sua stessa autorità e dei suoi poteri. Oltre all'impegno di annunziare il Vangelo, come farà anche coi settantadue discepoli (cfr Luca 10, 1 ss.), ai Dodici Gesù “diede autorità sugli spiriti maligni e di guarire le malattie” (Luca 9, 1-2). Disse loro: “Guarite i malati, risuscitate i morti, sanate i  lebbrosi, scacciate i demoni” (Matteo 10, 8).

2 - Ai Dodici, in corso di tempo, Gesù fa conoscere la vera natura della sua missione messianica, vale a dire che, contrariamente alla comune attesa, egli restaurerà il Regno di Dio mediante la sofferenza e la morte, seguita dalla risurrezione. Più d'una volta Gesù aveva accennato alla sua passione (cfr. Matteo 16, 21; 17, 22, e paralleli; Giovanni 2, 19-22). Ma ai Dodici parlò in modo particolare e abbastanza chiaro:

“Mentre erano nella strada che sale a Gerusalemme (…) ancora una volta Gesù prese in disparte i Dodici discepoli e si mise a parlare di quello che gli doveva accadere. Disse loro: “Ecco, noi stiamo salendo verso Gerusalemme; là il Figlio dell'uomo sarà dato nelle mani dei capi dei sacerdoti” (Marco 10, 32-34).

3 - Altro momento forte di questa intimità tra Gesù e i Dodici è certamente la celebrazione dell'ultima Pasqua. Senza dubbio in quella circostanza c'erano a Gerusalemme altri discepoli. Ma Gesù volle celebrare la Pasqua solo coi Dodici: “Quando fu sera, si mise a tavola insieme ai Dodici discepoli” (Matteo 26, 20; Marco 14, 17; Luca 29,4).

Dal tenore delle parole che Gesù rivolse ai Dodici in quella circostanza, apprendiamo che conferì loro il potere sacerdotale di offrire l'unico sacrificio della Nuova Alleanza: “Fate questo in memoria di me” (Luca 22, 19).

            4 - Anche nel lungo discorso che segui la Santa Cena, in cammino verso il Getsemani, gli interlocutori immediati di Gesù furono i Dodici. A loro in modo particolare Gesù promette lo Spirito Santo.

“lo pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito (difensore, assistente, consolatore), che starà sempre con voi, Io Spirito di verità (... ). Vi ho detto queste cose mentre sono con voi. Ma il Padre vi manderà nel mio nome un Difensore: lo Spirito Santo. Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che ho detto” (Giovanni 14, 16.25-26).

Senza dubbio lo Spirito Santo è dato a tutti i credenti in Cristo (cfr. Giovanni 7, 39). Ma qui appare chiaro che una particolare effusione dello Spirito è promessa ai Dodici, in vista certamente della funzione speciale che avrebbero dovuto svolgere in seno alla comunità dei discepoli di Cristo.

5 - Dopo la crisi del venerdì santo, che vide dispersi anche i Dodici, il Risorto li ristabilisce nella loro missione, che riceve un assetto definitivo dalla certezza della risurrezione. Luca ci informa che il Risorto fu assunto in cielo “dopo aver dato istruzioni agli Apostoli che si era scelti nello Spirito Santo. Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo per quaranta giorni e parlando del Regno di Dio” (Atti 1, 2-3).

Certo il Risorto apparve anche ad altri; ma nelle apparizioni una particolare attenzione fu riservata ai Dodici. Nel racconto sommario che san Paolo fa delle apparizioni di Cristo Risorto afferma esplicitamente che si fece vedere ai Dodici (cfr. 1 Corinzi 15, 5).

I Dodici nella Chiesa primitiva

La scelta dei Dodici fatta da Gesù e la cura particolare che egli ebbe nei loro riguardi spiegano e giustificano il ruolo che i Dodici ebbero nella Chiesa dei primi tempi. I primi cristiani ricevettero la fede non da uno scritto, ma dalla viva voce dei Dodici e dei loro    collaboratori.

1 - I Dodici insegnano e presiedono nella comunità di Gerusalemme (cfr. Atti 2, 42-43). Con grande coraggio attestano la risurrezione del Signore e riscuotono grande simpatia (cfr. Atti 4, 33), ma anche avversità e persecuzioni (cfr. Atti 5, 17-18). S'interessano dei beni della comunità (cfr. Atti 4, 34-35; 5, 2). Parlano in nome di Gesù e sempre in suo nome compiono segni e miracoli (cfr. Atti 5, 12 e 5, 40). Riservandosi il servizio della Parola, autorizzano altri ad aver cura della distribuzione dei beni (cfr. Atti 6, 2-6).Si riuniscono a Gerusalemme insieme agli anziani per decidere, sotto la guida dello Spirito Santo, che cosa bisogna esigere dai cristiani provenienti dal paganesimo (cfr. Atti 15, 2-22).

2 - A conferma di questo ruolo direttivo dei Dodici nella Chiesa primitiva vale quanto sugli Apostoli, ossia sui Dodici, dice san Paolo nelle sue Lettere.

Scrivendo ai cristiani di Corinto afferma che nell'organismo ecclesiale, oltre alla basilare uguaglianza di tutti come membra di Cristo, vi sono diversità di funzioni volute da Dio:

“Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte. Alcuni però Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli” (1 Corinzi 12, 27-28).

E altrove:

“E' lui (Cristo) che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti” (Efesini 4, 11).

Commentando queste parole dell'Apostolo la Traduzione Ecumenica della Bibbia osserva:

“La Lettera pone l'accento sull'iniziativa del Signore che dà alla Chiesa gli uomini necessari per la propria edificazione. In questa lista di ministri si nota il primato degli apostoli”.

Significato d'una scelta

1 - Nella Chiesa primitiva i Dodici, oltre al ruolo di annunciare la Parola e dirigere le comunità, ebbero anche la preoccupazione di assicurare che queste due funzioni fossero partecipate e continuate mediante persone qualificate ad essi intimamente legate.

Il primo esempio di questa preoccupazione fu l'elezione di Mattia per occupare il posto lasciato vuoto dal traditore. Siamo alle origini della Chiesa. Il Vangelo doveva essere annunziato da testimoni oculari e auricolari della vita e della risurrezione del Signore. Mattia era uno di quelli che fin dal battesimo di Gesù era stato in loro compagnia, e lo fu fino alla fine. In questo modo era qualificato a diventare testimone della sua risurrezione e ascensione (cfr. Atti 1, 21-22).

2 - Neppure Saulo, divenuto Paolo, era del numero dei Dodici scelti da Gesù durante la sua vita terrena. Tuttavia egli fu riconosciuto Apostolo a pieno titolo. Egli considera la sua missione come un incarico ricevuto direttamente dal Signore (cfr. Atti 9, 15; Galati 2, 7-10; 1 Corinzi 9, 1). Anche a lui era apparso il Risorto (cfr. Atti 9, 3-5; 1 Corinzi 15, 8).Paolo poteva dire di essere Apostolo “non per volere di uomo né per tramite d'uomo, ma per opera di Gesù Cristo e di Dio Padre” (Ga- lati 1, 1; cfr. 1 Timoteo 2, 7; 2 Timoteo 1, 11; Tito 1, 1;  1 Tessalonicesi 2, 7).

3 - In seguito, nella misura in cui la fede si diffondeva anche fuori la Palestina, e i testimoni oculari diminuivano sempre più, non vi fu la preoccupazione di conservare il numero dei Dodici. L'essenziale era la continuità della missione apostolica. Nessuno prese il posto dell'Apostolo Giacomo, uno dei Dodici, fatto decapitare da Erode (cfr. Atti 12, 2); ma molti dentro e fuori la Palestina continuarono la sua missione in stretta collaborazione con gli Apostoli.

Nelle nuove comunità furono costituiti maestri e guide qualificate ed autorevoli col compito di continuare ed estendere nel tempo e nello spazio la testimonianza e la funzione dei Dodici. Comincia così la catena dei collaboratori prima, e dei successori poi. Non più condizionamento di numero, ma compito di annunciare la Parola, di guidare le comunità e di presiedere l'Eucaristia. La catena non si è mai interrotta attraverso i secoli. In questo modo comincia ad attuarsi quella nota caratteristica della vera Chiesa di Cristo, che è la sua apostolicità mediante la successione.

4 - Nella scelta dei Dodici possiamo e dobbiamo perciò distinguere due aspetti o componenti.

Una personale, quindi irripetibile, finita con la morte dei Dodici. I Dodici furono testimoni della risurrezione del Signore e fonte diretta della Rivelazione da lui fatta all'umanità. Fin dal tempo degli Apostoli la Lettera di Giuda esortava a combattere per la fede, “che fu trasmessa ai credenti una volta per sempre” (Giuda 3).

L'altro aspetto o componente della scelta dei Dodici è la funzione che essi hanno trasmesso ai loro successori: il compito di annunciare il Vangelo, di guidare la comunità, di santificare i credenti coi sacramenti.

L'una e l'altra cosa ci danno il vero significato di quella scelta.

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I primi collaboratori dei Dodici

Ma vediamo come sono andate le cose seguendo fedelmente la Bibbia e le più antiche testimonianze. Il Nuovo Testamento ci fa assistere fin dall'età apostolica al sorgere e costituirsi d'una gerarchia di governo che prolunga nel tempo la funzione degli Apostoli.

1 - A Gerusalemme, uno dei più noti collaboratori dei Dodici fu Giacomo, detto il minore (cfr. Marco 15, 40). Lo vediamo a capo della comunità di Gerusalemme forse anche a motivo della sua parentela con Gesù. Era infatti figlio di quell'altra Maria (cfr. Matteo 27, 56; Marco 15, 40), sorella o cugina della Madre di Gesù (cfr. Giovanni 19, 25). E' detto, assieme a Cefa (= Pietro) e Giovanni, “colonna della Chiesa” (Galati 2, 9). Al concilio di Gerusalemme formulò le decisioni da prendere dopo che Pietro, parlando per prime>, ebbe esposto la questione (cfr. Atti 15, 6-21). Giacomo è comunemente conosciuto come il primo Vescovo di Gerusalemme. Fu infatti capo di quella chiesa dopo che Pietro fu costretto ad andare altrove (cfr. Atti 12, 17).

2 - Un caso tipico è quello di Barnaba. Non era del numero dei Dodici né ebbe una vocazione miracolosa come Paolo. Fu uno tra i primi convertiti al Vangelo e, dopo questa scelta, si dedicò al servizio del Signore a tempo pieno (cfr. Atti 4, 36-37). Ebbe perciò incarichi di prim'ordine da parte degli Apostoli.

Barnaba fu inviato ad Antiochia in forma ufficiale, quale delegato di Pietro e di Giovanni, per rendersi conto, approvare e incoraggiare la nascita e la crescita di quella comunità: “Vi fu inviato Barnaba. Arrivò, vide quel gran dono di Dio e ne gioì. Poi si diede a esortarli a restar fedeli a Gesù con tutto lo slancio. Era un uomo virtuoso, pieno di Spirito Santo e di fede, e una grande moltitudine fu così guadagnata a Gesù” (Atti 11, 22-24).

Episcopi e presbiteri

Nell'opera degli Apostoli avente lo scopo di prolungare nel tempo la loro funzione, accanto alle grandi figure di Giacomo e di Barnaba, appaiono fin dalle origini gli episcopi e i presbiteri.

1 - Gli episcopi  erano dei sorveglianti come indica la parola (greco episkopein = sorvegliare). Ad essi vengono attribuite le funzioni di pascere il gregge di Dio (cfr. Atti 20, 28; 1 Pietro 5, 1-3), presiedere le assemblee (cfr. 1 Timoteo 3, 5; 5, 17), esercitare il ministero della Parola con autorità (cfr. 1 Timoteo 5, 17; Tito 1, 9).

2 - I presbiteri erano persone anziane chiamate a compiere varie funzioni in seno alle comunità dei cristiani. A Gerusalemme ricevono ed amministrano gli aiuti mandati dai fratelli di Antiochia ai fratelli della Palestina (cfr. Atti 11, 29-30). Sempre a Gerusalemme gli anziani prendono parte al concilio, assieme agli Apostoli e a Giacomo (cfr. Atti 15, 6.21-28).

Fuori della Palestina, nelle chiese fondate da Paolo, i presbiteri o anziani sono incaricati di guidare le comunità locali (cfr. Atti 14, 23). Scrivendo a Tito, Paolo lo esorta a stabilire presbiteri in ogni città (cfr. Tito 1, 5).

Le funzioni o compiti dei presbiteri erano diverse: presiedevano alle comunità in qualità di pastori (cfr. Atti 20, 28), di amministratori (cfr. Tito 1, 6-9; 1 Timoteo 3, 1-7; Atti 11, 29-30), di maestri,  cf. Atti 20, 28.32; 1 Timoteo 5, 17; Tito 1, 9). Ad essi spettava pure l'esercizio di determinati riti liturgici come l'unzione degli infermi (cfr. Giacomo 5, 14). Dai più antichi documenti sappiamo che i presbiteri presiedevano alla “celebrazione del sacrificio eucaristico”.

3 - Episcopi e presbiteri spesso coincidono. In Atti 20, 18 sono detti presbiteri quelli che poco dopo Paolo chiama episcopi. Agli uni e agli altri vengono spesso attribuite le stesse funzioni (cfr. Atti 20, 28; 1 Pietro 5, 1-3; 1 Timoteo 3, 5; 5, 17; Tito 1, 9).

Tuttavia è da notare che nelle Lettere Pastorali il titolo di episcopo appare solo al singolare e con l'articolo determinativo. Paolo esorta Tito a stabilire presbiteri nelle singole città; poi, subito dopo, dà istruzioni riguardanti l'episcopo (ton episkopon) al singolare.

All'inizio pare che i termini presbiteri ed episcopi siano equivalenti, nel senso che indicano gli anziani che guidano le comunità. Con l'andare del tempo invece i compiti si specificano come appare dalle Lettere Pastorali, e l'episcopo assume la direzione della chiesa locale.

I grandi rappresentanti dell'Apostolo

Come nella Chiesa Madre di Gerusalemme, dove accanto alla figura di Pietro e di Giovanni appare quella di Giacomo, così pure nelle chiese fondate da Paolo emergono figure, il cui ruolo supera di molto quello di un semplice responsabile locale. Tali sono soprattutto Timoteo e Tito.

1 - Timoteo era nato da padre pagano e da madre giudea convertita al cristianesimo (cfr. Atti 16, 1; 2 Timoteo 1, 5).Fu compagno di Paolo nel secondo e terzo viaggio missionario (cfr. Atti 17, 14 ss.; 18, 5; 19, 22; 20, 4). A lui Paolo diede incarichi speciali di grande fiducia (cfr. Atti 19, 22; 1 Corinzi 4, 17; 16, 10; 2 Corinzi 1, 9; 1 Tessalonicesi 3, 2-6).Segno di questa stretta collaborazione sono le due Lettere indirizzate da Paolo a Timoteo, oltre a quelle indirizzate dall'Apostolo alle varie chiese anche in nome di Timoteo (cfr. Filippesi 1, 1; Colossesi 1, 1; 1 e 2 Tessalonicesi, esordio).

A un dato momento della sua vita, quasi certamente verso gli ultimi anni, Paolo, prevedendo prossima la sua morte, affida a Timoteo la cura o governo della Chiesa di Efeso:

“Quando partii per andare in Macedonia ti raccomandai di rimanere a Efeso. Restaci ancora, ti prego, perché vi sono alcuni che insegnano false dottrine e tu devi ordinare che la smettano” (i Timoteo 1, 3).

Le parole usate da Paolo hanno tutto il sapore di un affidamento più che di una semplice e ordinaria collaborazione. E' qui indicato chiaramente un caso di successione apostolica, cioè di trasmissione di poteri apostolica per la continuità dell'annuncio genuino del Vangelo conforme alla struttura della Chiesa voluta esplicitamente dal Signore Gesù.

2 - Tito fu pure un immediato collaboratore di Paolo, che lo chiama “mio vero figlio riguardo alla fede comune” (Tito 1, 4). Paolo lo aveva generato in Cristo essendo stato lui lo strumento, di cui Cristo si era servito, per dare a Tito la nuova vita nella fede (cfr. Galati 4, 19; 1 Corinzi 4, 14-1 5; 2 Corinzi 6, 13).

Tito ebbe dall'Apostolo vari incarichi anche delicati (cfr. 2 Corinzi 2, 13; 7, 6; 8, 6-17; 12, 18; Romani 15, 26). In modo analogo a quanto aveva fatto con Timoteo, Paolo affida a Tito la cura della Chiesa di Creta coi potere di continuare l'opera sua.

“A Creta ti lasciai per questo scopo: perché tu dia l'ultima mano a ciò che resta da fare e faccia in modo che in ogni città ci sia qualche presbitero, secondo le disposizioni che ti ho dato” (Tito 1, 5).

E' chiaro che Tito riceve da Paolo la consegna della sua stessa missione, che comportava non solo la vigilanza e la testimonianza della sana dottrina, ma anche la scelta delle guide o pastori che partecipassero e continuassero la stessa missione.

Abbiamo qui un altro caso di successione apostolica analogo a quello di Timoteo.

 

PARTE SECONDA

LA SUCCESSIONE APOSTOLICA

Verità da ricordare

Ricordiamo ancora alcune verità bibliche:

1 - Il Signore Gesù vuole che il suo Vangelo sia annunziato a tutte le genti e assicura che in quest'opera universale e perenne egli sarà sempre coi suoi inviati o apostoli fino alla fine dei mondo (cfr. Matteo 28, 19-20; Marco 16, 15). In effetti con la scelta dei Dodici e la missione loro affidata Gesù aveva fatto chiaramente capire che quest'opera universale e perenne di salvezza si sarebbe realizzata mediante il servizio di persone qualificate e autorizzate (cfr. Matteo 28, 18-20; Marco 16, 15; Luca 24, 46-49; Giovanni 20, 20-23).

I Dodici hanno ricevuto questo mandato direttamente dal Maestro (cfr. Marco 3, 14, e paralleli). Ma essi sono morti. Come può essere continuato questo ministero qualificato voluto dal Maestro divino? Come sarà perpetuata la struttura della comunità dei suoi discepoli quale egli ha chiaramente indicata?

2 - Gli Apostoli hanno ben capito questa volontà del loro Maestro. Perciò non solo ebbero la preoccupazione di predicare il Vangelo anche fuori della Palestina, nel mondo allora conosciuto, ma si circondarono di collaboratori, che potessero continuare la loro missione. A questi essi trasmisero anche mediante un gesto visibile e significativo, vale a dire con la imposizione delle mani  l'autorità che essi avevano ricevuto dal loro Maestro. In seguito diedero disposizioni che, quando essi fossero morti, altri uomini fedeli ed esimi, subentrassero al loro posto.

Abbiamo qui delineata quella che si chiama “successione apostolica”, cioè la continuità del ministero o servizio qualificato nella Chiesa mediante uomini collegati ai Dodici senza interruzione, e mediante i Dodici allo stesso divino Fondatore della Chiesa.

Giustifica la Bibbia questa continuità?

Giustificazione biblica

Un assertore esplicito della successione apostolica è, in modo particolare, san Paolo. Non molto tempo prima della sua morte scriveva a Timoteo: “Tu, dunque, figlio mio, fortificati nella grazia che è in Cristo Gesù. Le cose che udisti da me con l'appoggio di molti testimoni, affidale ad uomini fedeli, capaci di istruire altri a loro volta” (2 Timoteo 2, 1-2).

Spiegazione:

1 - Quando Paolo scriveva queste parole ave- va  poca o nessuna speranza di ricuperare la libertà, di poter cioè vivere ancora a lungo. Prevedendo  prossima la sua fine si preoccupa di assicurare la  continuità nella trasmissione del Vangelo mediante ministri fedeli e ben preparati. Timoteo era certamente uno di questi. A lui Paolo, in una Lettera precedente, aveva raccomandato: “Non trascurare il carisma che è in te e che ti fu dato per mezzo della profezia insieme all'imposizione delle mani dei presbiteri” (1 Timoteo 4, 14).

Timoteo, dunque, può essere considerato il primo anello, dopo Paolo, d'una lunga catena, che è la successione apostolica. Questo significano le parole: “Le cose da me udite con l'appoggio di molti testimoni”. Si tratta d'una consegna, d'una trasmissione di poteri. L'espressione allude a un particolare momento nella vita di Timoteo, nel quale ricevette la missione di predicare il Vangelo con autorità. La consegna era accompagnata da un rito, cioè la imposizione delle mani (cfr. 1 Timoteo 4, 14; 6, 12).

2 - Ma Paolo guarda più avanti. Egli vuole che anche dopo Timoteo vi siano nella Chiesa uomini fedeli e capaci di continuare la stessa autorevole missione. Ad essi Timoteo deve trasmettere lo stesso ministero che ha ricevuto da Paolo: “Le cose che udisti da me affidale ad uomini fedeli, capaci”.

Abbiamo qui il secondo anello della stessa catena: come Timoteo si ricollega a Paolo nel servizio qualificato e autorevole della Parola, così altri devono collegarsi a lui e, mediante lui, a Paolo, a Cristo. Questo servizio non è perciò lasciato allo sbaraglio, alla balìa di avventurieri, ma deve essere continuato mediante la trasmissione da parte di coloro che a loro volta l'hanno ricevuto e fedelmente esercitato.

3 - La catena continua. Gli uomini fedeli e capaci, a cui Timoteo ha affidato le cose udite da Paolo, ossia il Vangelo autentico di Cristo, devono fare lo stesso cammino, affidare cioè ad altri, fedeli e capaci, quelle stesse cose, non altre.

Abbiamo qui il terzo anello della catena. E' implicito nel pensiero di Paolo che su questi altri incombe lo stesso dovere, vale a dire di non spezzare la catena, ma continuarla affidando ad altri ancora lo stesso qualificato e autorevole servizio della Parola. E cosi fino alla fine dei tempi.

4 - In questa chiara esposizione dell'Apostolo sono ben delineati i connotati di quella che si chiama “la successione apostolica”. E' una catena ininterrotta - ripetiamo - che dal Signore Gesù, mediante gli Apostoli da lui scelti, autorizzati, inviati, e mediante i loro legittimi successori, deve continuare fino alla fine del mondo (cfr. Matteo 28, 20). Chi si pone fuori di questa catena non ha nessuna autorità, nessun diritto, nessuna garanzia di annunciare il Vangelo eterno del Figlio di Dio. Il Signore Gesù ha assicurato la sua presenza, cioè la sua assistenza, ai suoi Apostoli, non ad altri, fino alla fine del mondo.

Commenta un biblista:

“La "successione apostolica" è qui chiaramente delineata (...). L'Apostolo si preoccupa che Timoteo stesso si prepari dei collaboratori nell'insegnamento, tra i quali, ovviamente, qualcuno avrebbe dovuto prendere il suo posto quando il discepolo stesso sarebbe morto. "Quelle cose da me udite davanti a molti testimoni, affidale in custodia ad uomini sicuri, i quali siano capaci di ammaestrare anche altri" (2 Timoteo 2, 2). Come Cristo si è creato i suoi rappresentanti legittimi, cioè gli Apostoli, così questi si scelgono e designano dei successori, i quali a loro volta designano altri; e così fino alla fine dei tempi. C'è una "legittimità" di rappresentanza, la quale non può prescindere, oltre che da specifiche doti umane e spirituali, quali l'apostolo ripetutamente enumera, anche da un autentico e ben chiaro rapporto di ascendenza che, in qualche maniera, ricolleghi a colui o a coloro dai quali viene gestita la rappresentanza”.

0 Timoteo, custodisci il deposito (1Timoteo 6, 20)

Noi arriveremo alla stessa conclusione esaminando ciò che Paolo scrive ancora a Timoteo nella prima Lettera: “0 Timoteo, custodisci il deposito” (1 Timoteo 6, 20).

Quando Paolo scriveva questa Lettera, dense nubi si addensavano all'orizzonte della sua vita. Infatti, dopo appena due anni, arriverà per lui il tempo di levare l'ancora (cfr. 2 Timoteo 4, 6), e verserà il suo sangue come offerta a Dio gradita.

In questo contesto, le parole sopra citate a Timoteo, che era stato preposto alla guida della chiesa di Efeso, hanno tutto il sapore di un testamento. Al discepolo, che aveva tutte le caratteristiche di un Vescovo, Paolo raccomanda di custodire il deposito. Nel linguaggio giuridico del tempo deposito era qualcosa consegnata a una persona di fiducia, che contraeva il diritto-dovere di custodire la cosa consegnata nella sua integrità per riconsegnarla a suo tempo sostanzialmente immutata.

Al di là della metafora, le cose sono chiare senza possibile dubbio. Cristo ha affidato il deposito del Vangelo agli Apostoli. Paolo si sentiva ed era Apostolo di Cristo a tutti gli effetti. Come i Dodici egli sentiva di essere un depositario della Parola di Dio. Presentendo vicina la sua fine terrena, affidava tale deposito a persona qualificata e di fiducia quale era appunto Timoteo.

Trattandosi di un deposito, Timoteo a sua volta dovrà fare lo stesso, finché il tesoro depositato si conservi integro fino al ritorno del Depositante, che è Cristo Signore. Si forma così una catena ininterrotta di depositari, che garantiscono la custodia integra kl deposito conforme alla volontà del Padrone.

“Come Paolo ha ricevuto gli insegnamenti che ha tra- smesso ai suoi discepoli (cfr. 1 Corinzi 11, 2 e 23; 15, 1-3; Galati 2, 2.9), così dovrà fare a sua volta Timoteo il deposito (cfr. 1 Timoteo 6, 20) è da custodirsi e insieme trasmettersi. Canale di questa trasmissione è Timoteo insieme ad altri, perché non udì da solo gli insegnamenti di Paolo, ma fra molti testimoni (cfr. 1 Timoteo 6, 12). Timoteo e i testimoni insieme formano come una sola vox populi del cristianesimo che è la vox Dei, ed essi a loro volta trasmetteranno quella unica voce ad uomini fedeli”.

Modalità nella successione

Gli Apostoli dunque ebbero dei collaboratori, ai quali trasmisero il ministero o servizio qualificato e autorevole di maestri e guide delle comunità. I collaboratori divennero successori. Ma quale fu la forma concreta di questa successione? Chi ne fu il soggetto?

1 - Dai documenti in nostro possesso, soprattutto dagli Atti degli Apostoli e dalle Lettere di san Paolo, appare chiaro che la trasmissione dei poteri dell'Apostolo è personale e individuale, non collettiva e anonima. A Gerusalemme abbiamo il caso di Giacomo. Fin dai primissimi tempi appare come il Vescovo di quella chiesa, attorniato da anziani o presbiteri (cfr. Atti Il, 30; 15, 6-13; 21, 8). Simile corso ebbe luogo nelle chiese di Efeso con la presenza e l'opera di Timoteo (cfr. 1 Timoteo 1, 3), e di Creta con Tito (cfr. Tito 1, 5). Ben a ragione i due collaboratori dell'Apostolo vanno considerati come i primi successori in quelle comunità col potere d'insegnare e di guidare.

La stessa cosa sembra potersi dire della chiesa di Antiochia di Siria. Con ogni probabilità fu Pietro a guidare quella chiesa per un certo tempo (cfr. Galati 2, 11). A lui successe Evodio, a cui tenne dietro come Vescovo Ignazio, che finì la vita col martirio a Roma nel 107 d.C. Il martire Ignazio è il testimone più esplicito della forma monarchico-episcopale delle chiese fin dai suoi tempi, vale a dire fin dalla seconda metà del primo secolo (cfr. infra).

Infine è molto probabile che “gli angeli” delle sette chiese, di cui parla l'Apocalisse nei capitoli 2 e 3 (cfr. anche 1, 20), rappresentino i singoli Vescovi di quelle chiese. E Giovanni scrisse verso la fine del primo secolo.

2 - Tuttavia, almeno in alcune chiese di origine paolina, sembra che la successione si sia attuata in un primo tempo in una forma collegale, sfociata a breve scadenza in quella monarchica, a imitazione delle altre chiese. Le cose si sarebbero svolte nel modo seguente in sintonia con quanto aveva fatto lo stesso Paolo.

Finché visse l'apostolo era lui il responsabile. Ma la cura immediata delle singole comunità era affidata a un consiglio di anziani (cfr. Atti 14, 23; 1 Tessalonicesi 5, 12-13). Tra gli anziani era eletto uno chiamato “episcopo” con funzioni direttive particolari (cfr. Tito I# 5). La figura dell'episcopo è di qualcuno che debba avere qualità non comuni (cfr. 1 Timoteo 3, 1 ss; Tito 1, 7-9). E' significativo il fatto che Paolo, nella Lettera a Tito (1, 7), parli dell'episcopo al singolare.

Dopo la morte dell'Apostolo, assai di buon'ora, prevalse la forma monarchica di successione. L'episcopo divenne Vescovo, imitando il comportamento avuto da Paolo nei riguardi di Timoteo e Tito.

3 - Testimone autorevole di questo sviluppo è certamente il martire Ignazio di Antiochia, già ricordato. Egli visse nella seconda metà del primo secolo e fu quindi contemporaneo dell'autore dell'Apocalisse. Di lui rimangono numerose e chiare testimonianze sulla struttura delle singole chiese, che si accentra nella figura del Vescovo.

“Procurate di fare ogni cosa (...) sotto la guida del Vescovo, che tiene il luogo di Dio”: “Nessuno faccia senza il Vescovo alcuna di quelle cose, che riguardano la Chiesa (...). Dove appare (il Vescovo), ivi sia la comunità, come dov'è Gesù Cristo, ivi è la Chiesa cattolica         Quello che il Vescovo fa è approvato da Dio”.

In tutte le lettere di Ignazio, anche in quelle indirizzate alle chiese di origine paolina, la figura del Vescovo appare in modo chiaro ed inequivocabile.

“Dato che prima della fine del 1 secolo si trovano chiese sotto un unico Vescovo, si può presumere che uno dei membri del collegio fosse eletto a succedere all'apostolo, dopo la morte di lui, come capo monarchico della chiesa”.

 

PARTE TERZA

TRADIZIONE E SUCCESSIONE

Concetto cattolico di Tradizione

1 - Per Tradizione noi cattolici non intendiamo quello di cui i tdG e altri settari malignamente ci accusano, vale a dire la sostituzione di insegnamenti umani alla Parola di Dio. L'uso che essi fanno di alcuni testi biblici come Matteo 15, 1-6; Marco 7, 1-13, per dare un'apparenza di verità alla loro calunnia, è completamente errato. Nei testi citati Gesù rimprovera i farisei di anteporre al comandamento di Dio, quale l'onorare i genitori, precetti umani quali il lavarsi le mani prima del cibo o al ritorno dal mercato, come, pure lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame (cfr. Marco 7, 4; Matteo 15, 2). E' semplicemente ridicolo attribuire alla Chiesa Cattolica l'insegnamento per tradizione di questi e simili precetti. Al contrario, la Chiesa Cattolica si basa sulla Tradizione per conoscere in modo completo e fare osservare fedelmente e in modo esatto la Parola di Dio. Questo concetto di Tradizione è perfettamente giustificato dalla Bibbia.

2 - La parola “tradizione” (greco paràdosis) significa “trasmissione”. In questo senso i detti e i fatti di Gesù, cioè il Vangelo (per limitarci solo al Nuovo Testamento) furono trasmessi da Lui a viva voce ai suoi discepoli, soprattutto ai Dodici, e da questi ad altri. E' fuor di dubbio che quanti udirono Gesù o furono testimoni delle sue opere non scrissero subito la cronaca di quegli eventi per farla leggere ad altri. Il “servizio stampa” era ancora lontano secoli e millenni. Quei discepoli si imprimevano nella memoria i detti e i fatti del Maestro, che poi riferivano ad altri a viva voce. Il Vangelo fu Tradizione prima che prendesse forma scritta (cfr. 1 Corinzi Il, 23; 15, 3; Luca 1, 1-2).

Gli scritti che vennero dopo non erano destinati a riportare tutta la Tradizione (cfr. Giovanni 20, 30-31; 21, 24-25). Questo è talmente vero che lo stesso Paolo raccomandava ai cristiani di Tessalonica di “mantenere le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera” (2 Tessalonicesi 2, 15).

3 - Da ciò ne segue che il contenuto della Tra, dizione, vale a dire dei detti e dei fatti di Gesù, che è Parola di Dio, ci può essere pervenuto anche per altri canali che non siano i vangeli e gli scritti apostolici. Infatti alcuni discepoli immediati degli Apostoli ci hanno lasciato testimonianze scritte di ciò che avevano udito da loro. Noi possiamo considerare queste testimonianze come autentici insegnamenti di Gesù e degli Apostoli.

A questo tipo di Tradizione, che è Parola di Dio, appartengono non pochi detti riguardanti la successione apostolica. Tale dottrina - come abbiamo dimostrato - è contenuta nella Bibbia. Ma anche fuori della Bibbia abbiamo numerose testimonianze della stessa verità. Sono gli scritti di alcuni eminenti testimoni delle prime generazioni cristiane.

Testimoni e testimonianze

1 - San Clemente Romano

Tra i discepoli immediati degli Apostoli, nel caso specifico di san Pietro, va annoverato Clemente Romano. Fu terzo successore di san Pietro a Roma, dopo Lino, ed Anacleto, dall'anno 92 all'anno 101 Era Cristiana. Clemente conobbe molte cose, cioè insegnamenti di Pietro e forse anche di Paolo. Poi ebbe occasione di mettere queste cose per iscritto. Uno di questi scritti è giunto fino a noi e contiene un'esplicita testimonianza della successione apostolica. Eccola:

“Gli Apostoli furono mandati a portare la Buona Novella dal Signore Gesù Cristo; Gesù Cristo fu mandato da Dio. Il Cristo dunque viene da Dio, e gli Apostoli da Cristo. Ambedue le cose procedettero dunque ordinatamente dalla volontà di Dio. Ricevuto quindi il loro mandato, resi sicuri dalla risurrezione dei Signore Nostro Gesù Cristo e fiduciosi nella Parola dì Dio, con l'assicurazione dello Spirito Santo, andarono ad annunziare la Buona Novella, l'avvicinarsi del regno di Dio. Predicando per le campagne e per le città, essi provavano nello Spirito Santo le loro primizie (= le prime  conversioni) e le costituivano vescovi e diaconi dei futuri credenti. E questa non era cosa nuova, poiché da gran tempo la Scrittura parlava di vescovi e diaconi. Così dice infatti la Scrittura in un luogo. "Stabilirò i loro vescovi nella giustizia e i loro diaconi nella fede”.

E ancora: “Anche gli Apostoli nostri conobbero, per mezzo del Signore Nostro Gesù Cristo, che ci sarebbero stati contrasti a riguardo della dignità episcopale. Per questa ragione, prevedendo perfettamente l'avvenire, istituirono coloro che abbiamo detto (cioè vescovi e diaconi); e diedero ordine che, quando costoro fossero morti, altri uomini provati succedessero nel ministero. Coloro dunque che furono stabiliti dagli Apostoli, oppure in seguito da altri uomini esimi con l'approvazione di tutta la Chiesa (... ), costoro noi crediamo che non sia giusto scacciarli dal loro ministero”.

Osservazioni:

a) La testimonianza di san Clemente Romano in materia di successione apostolica è di un valore incalcolabile sia per la sua antichità sia per la forma assai esplicita in cui è affermata. La Lettera è stata scritta “dalla chiesa di Roma alla chiesa di Corinto” verso l'anno 96 Era Cristiana. Sappiamo da sant'Ireneo che la Lettera deve essere attribuita a Clemente, che guidava in quel tempo la chiesa di Roma. Di lui scrive Ireneo: “La predicazione degli Apostoli risuonava ancora nelle sue orecchie e il loro insegnamento era ancora sotto i suoi occhi”.

b) Clemente fa risalire a Gesù Cristo l'origine della successione apostolica. Fu Lui a voler assicurare la trasmissione del vero Vangelo mediante una catena ininterrotta di persone qualificate e autorizzate. Questo vale sempre. Ma vale specialmente quando lupi rapaci si intromettono nel gregge di Cristo (cfr. Atti 20, 29-31), arrogandosi un potere che nessuno ad essi ha mai dato. Così era. avvenutovi tempi di Clemente, così avviene in altre epoche della storia, anche ai nostri giorni. Gesù ha ammonito: “Guardate di non lasciarvi ingannare (...). Non seguiteli” (Luca 21, 8).

c) E' da notare infine che la chiesa di Corinto, a cui Clemente indirizzava la sua Lettera, era una chiesa di origine paolina. Anche in quella chiesa la guida della comunità era affidata a persone fedeli e capaci che fossero legate agli Apostoli mediante il filo ininterrotto della successione.

2 - Sant'Ireneo Appartiene alla terza generazione cristiana. Nacque verso la metà del secondo secolo, probabilmente nell'anno 140 d.C., a Smirne (nella odierna Turchia), e chiuse la sua vita col martirio a Lione in Francia, dov'era Vescovo, nell'anno 203 d.C.. Nella sua prima gioventù fu discepolo di san Policarpo (69 - 155), Vescovo di Smirne, che a sua volta era stato alla scuola di Giovanni, l'autore del quarto vangelo. Sant'ireneo fu anche a Roma, dove poté conoscere direttamente molte cose riguardanti quella chiesa.

L'opera principale di Ireneo è lo scritto Adversus Haerescs (contro le eresie), in cui parla anche della successione apostolica. Basandosi sui testi della Scrittura, Ireneo dimostra che gli eretici sono in errore perché sono fuori della successione .

“Così tutti coloro che vogliono conoscere la verità possono osservare in ogni chiesa la tradizione degli Apostoli, manifestata in tutto il mondo. Noi possiamo enumerare coloro che dagli Apostoli furono stabiliti vescovi nelle chiese, e i loro successori fino ad oggi. Essi non hanno insegnato nulla, nulla hanno conosciuto che somigli alle fantasticherie di costoro (degli eretici) ...”.

Continua Ireneo: “Ma poiché sarebbe troppo lungo, in un volume come questo, enumerare la successione di tutte le chiese, noi esaminiamo la chiesa grandissima e antichissima e conosciuta da tutti, fondata e stabilita a Roma dai gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo; e dimostreremo che la tradizione, che essa ha dagli Apostoli, e la fede, che ha annunciato agli uomini, sono giunte fino a noi attraverso la successione di Vescovi”.

Segue l'elenco dei successori di san Pietro nel governo della chiesa di Roma. Da questi dati di fatto Ireneo tira le conseguenze:

“Tali essendo le nostre prove, non c'è, bisogno di andare a cercare altrove la verità, che è facile trovare nella Chiesa, perché gli Apostoli come in uno scrigno vi hanno deposto tutta la verità nella sua pienezza affinché chiunque lo voglia, possa attingervi la bevanda di vita (cfr. Apocalisse 22, 17). Questo è l'ingresso alla vita. Tutti gli altri sono ladri e briganti (cfr. Giovanni 10, 1.8-9). Bisogna perciò evitarli, ed amare invece d'un amore sommo tutto ciò che è della Chiesa, e apprendere la tradizione della verità”.

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05/09/2009 16:35

Osservazioni:

a) La testimonianza di Ireneo relativa alla successione, non meno di quella di Clemente Romano, merita la più grande credibilità. Egli aveva appreso da testimoni oculari il comportamento degli Apostoli in questo settore della vita della Chiesa, vale a dire come essi si erano preoccupati di trasmettere a persone ben provate e preparate la funzione di preservare e passare ad altri il tesoro o sacro deposito delle verità rivelate, della Parola di Dio. A Smirne, sua città natale, Ireneo aveva appreso questa dottrina da san Policarpo, discepolo dell'Apostolo Giovanni. A Roma poté apprendere da persone degne di fede come si erano svolte le cose in quella grandissima e antichissima Chiesa.

b) Basandosi su documenti e testimonianze dirette, Ireneo è convinto che la successione ininterrotta dei vescovi è la sola garanzia della preservazione e trasmissione autentica della Parola di Dio nella vera Chiesa di Cristo. Fuori di questo canale ininterrotto dei successori degli Apostoli non vi può essere vera Chiesa e non si può trovare la verità.

3 - Tertulliano

Nacque a Cartagine verso il 160 Era Cristiana. Il suo intero nome era Quinto Settimio Fiorenzo Tertulliano. Pagano di nascita si convertì al cristianesimo all'età di 33 anni circa. Era avvocato. Divenuto cristiano fu apologista, polemista, teologo e moralista. Morì in età avanzata verso il 240. La sua attività letteraria si svolse soprattutto nei primi decenni del terzo secolo, dal 200 al 220 circa.

Per Tertulliano il vero cristiano è colui che appartiene alla Chiesa fondata dagli Apostoli, aderisce alla dottrina insegnata da loro e preservata nelle chiese apostoliche. Questo gli eretici non ce l'hanno. Quindi non sono cristiani. Sono fuori della vera Chiesa di Cristo. Col suo stile energico Tertulliano scrive in forma di sfida:

“Non pare che Gesù Cristo abbia rivelato il Padre suo ad altri che agli Apostoli, che egli inviò a predicare (... ). E qual è la materia della loro predicazione? ( ... ). Per saperlo bisogna necessariamente rivolgersi alle chiese che gli Apostoli in persona fondarono e costruirono, sia a viva voce sia, più tardi, per lettera. Se la cosa sta così, ne consegue che si debba considerare vera solo quella dottrina che concordi con la dottrina delle chiese apostoliche, madri e sorgenti della fede (...). Ne segue che deve essere giudicata a priori parto di menzogna ogni altra dottrina che contraddica alla verità delle chiese degli Apostoli di Cristo e di Dio”.

L'eresia manca di apostolicità:

“Può darsi che ci siano eresie, le quali osino rifarsi all'età apostolica sì da parer insegnate dagli Apostoli. Si può replicare ad esse: “Mettano fuori dunque le carte di nascita delle loro chiese; sciorinino i cataloghi dei loro vescovi, che dimostrino la loro successione fin dal principio, in modo che si veda che quegli che fu il primo vescovo ricevette l'investitura e fu preceduto da uno degli Apostoli o almeno da un uomo apostolico, che con gli Apostoli avesse avuto rapporti costanti. Questo è il modo con cui le Chiese apostoliche esibiscono i propri titoli: così la chiesa di Smirne mostra che Policarpo fu collocato in quella sede da Giovanni; così quella di Roma mostra che Clemente vi fu ordinato da Pietro; e così pure le altre esibiscono i vescovi che, costituiti nell'episcopato dagli Apostoli, sono per esse i veicoli della semente apostolica”.

Rivolto agli eretici Tertulliano scrive: “Alto là! Chi siete voi? Quando e da dove siete venuti? Che cosa volete fare presso di noi, voi che non siete dei nostri? (... ). Come mai venite a seminarvi e a pascolarvi a vostro piacere? Il podere è mio; lo posseggo da lungo tempo e prima di voi. Il mio diritto originario è sicuro e inviolabile, poiché risale a coloro che ne furono i primi padroni. lo sono l'erede degli Apostoli! Come essi hanno deposto per me nel loro testamento e mi  trasmisero per fedecommesso e confermarono per giuramento, così io sono il possessore. Quanto a voi, resta dunque chiaro che essi vi hanno per sempre diseredati e rinnegati, come degli estranei, come dei nemici”.

Conclusioni

Al termine della nostra breve rassegna sia biblica che storica noi possiamo e dobbiamo dedurre e puntualizzare alcune conclusioni. Sono piuttosto verità o principi o norme indispensabili per conoscere con certezza quale deve essere l'oggetto della fede e della morale del vero discepolo di Cristo.

La prima. Cristo ha voluto che la sua vera Chiesa procedesse nel tempo poggiata sulla testimonianza degli Apostoli, ossia di uomini scelti ed autorizzati dal Signore Gesù a preservare e trasmettere il Vangelo eterno. La vera Chiesa di Cristo o è apostolica o non è la sua vera Chiesa. Chiunque si è distaccato o si distacca da questa Chiesa Apostolica non ha nessuna autorità di annunciare ciò che bisogna credere e fare per piacere al vero Dio è conseguire la salvezza.

La seconda. A cominciare dagli Apostoli si è formata una catena ininterrotta di persone qualificate e autorizzate, ossia di successori degli Apostoli. Sono i loro legittimi eredi, i custodi capaci e fedeli del deposito della fede. Solo essi danno la garanzia di preservare e trasmettere con fedeltà e integrità i fatti e i detti del Signore. Chiunque si arroga il diritto di annunciare la Parola di Dio senza essere inserito in questa catena, deve dirsi un intruso, o, peggio ancora, un usurpatore, un ladro (cfr. Giovanni 10, 1-10).

La terza. Numerose testimonianze storiche, a cominciare dall'età sub-apostolica, attestano al di là d'ogni possibile dubbio che nella Chiesa Cattolica la catena dei successori degli Apostoli non è stata mai interrotta. Papa e Vescovi sono i legittimi eredi degli Apostoli nella funzione di pascere i veri discepoli dì Cristo, di guidarli cioè nella sana dottrina della fede e della morale. Il diritto della Chiesa Cattolica a dare il vero senso della Scrittura è originario e inviolabile. Esso risale a coloro che ne furono i primi custodi, ossia agli Apostoli, e mediante gli Apostoli, allo stesso Signore Gesù Cristo.

 

PARTE OUARTA

CHI VI HA MANDATO?

Chiunque ha il diritto...

1 - Non è raro oggi il caso, anzi è piuttosto frequente, che qualcuno bussi alla vostra porta e chieda di entrare e di essere ascoltato perché vi vuol parlare di felicità e di Bibbia. Può darsi che sia una buona cosa. Ma chiunque riceve una tale visita ha il diritto di chiedere: Chi vi ha mandato?

La Bibbia non è una merce qualunque e tanto meno lo è il suo contenuto. Non può essere lasciata in balìa di avventurieri e di mercanti spregiudicati.

Supponiamo che il visitatore e l'offerente sia un cattolico. Anche a lui dobbiamo rivolgere la domanda: Chi vi ha mandato? Egli può rispondere con tutta verità: Mi ha mandato Gesù Cristo. Il cattolico ha perciò il diritto-dovere di diffondere la Bibbia, di far conoscere il suo messaggio.

In effetti, il cattolico è legato al suo Vescovo, anzi a tutti i Vescovi del mondo, che sono in rapporto di continuità con gli Apostoli. Sono i loro legittimi successori. E in quanto tali hanno l'autorità di predicare il Vangelo, di diffondere la Bibbia. Tale autorità l'hanno ricevuta da Gesù Cristo. Lo abbiamo dimostrato nelle pagine che precedono.

Mediante il suo Vescovo, ogni cattolico, prete o laico, uomo o donna, è inserito nella catena! ininterrotta dei legittimi proclamatori del Vangelo, che hanno ricevuto tale missione direttamente da Gesù Cristo. Il cattolico interpellato sull'origine della sua missione può rispondere con tutta verità: Mi ha mandato Dio.

2 - Ma supponiamo che si presenti alla vostra porta un testimone di Geova (tdG), cosa non rara ai nostri giorni. Egli vuoi entrare nella vostra casa, vuoi vendervi la sua Bibbia, spiegarla a modo suo, aggregarvi alla setta a cui appartiene. Anche a lui, specialmente a lui, ho il diritto di chiedere: Chi vi ha mandato?

Forse risponderà: Mi ha mandato Geova

Ma io insisto: Chi è questo Geova? Quando, come, dove vi ha parlato? Quali sono le prove concrete, storiche, convincenti che sia vero quanto voi dite?

La verità è tutt'altra! Se vogliamo conoscere la vostra identità, sapere con esattezza chi siete e chi vi ha mandato, basta ricordare un pochino le strutture della vostra organizzazione e alcune pagine della sua storia. La vera storia, non quella raccontata dagli agenti assegnati dai vostri capi a uso e consumo dei creduli seguaci.

La verità è che vi ha mandato il capo della locale congregazione geovista, che voi chiamate “anziano”.

La congregazione locale è il gruppo di tdG di un determinato quartiere o rione o paese o villaggio, che hanno come mandante autoritario d'ogni loro movimento un capo chiamato “anziano”. Il luogo dove si riuniscono è detto “sala del regno”. Là si trova il cervello direttivo dei singoli membri; là avviene lo smistamento dei propagandisti o venditori ambulanti; là pure è la sede del tribunale, che giudica ogni trasgressione...

Il testimone di Geova che bussa alla vostra porta e vuole entrare a ogni costo e vendere e spiegare la sua Bibbia, se vuol essere sincero (cosa rara!), alla vostra domanda: “Chi vi ha mandato?”, dovrebbe  rispondere: “Mi ha mandato l'anziano”, dando di lui cognome, nome e domicilio. Non lo farà mai!  Il cattolico, sì, vi dirà cognome, nome e domicilio  del Vescovo che l'ha mandato.

3 - Ma anche se il tdG vi dicesse: “Mi ha mandato l'anziano”, la risposta deve dirsi insoddisfacente. Infatti, gli si può, gli si deve chiedere: “E con quale autorità vi ha mandato l'anziano?”. Sappiamo infatti che l'anziano locale non ha nessuna autorità. Egli è stato messo lì per volere di un altro membro della setta, che manovra tutte le attività a livello distrettuale o nazionale. Gli anziani locali devono fare in tutto e per tutto la volontà di altri, eseguire i loro ordini come marionette nelle mani del burattinaio.

Perciò possiamo e dobbiamo andare oltre, salire ancora la scala. I responsabili distrettuali o nazionali sono a loro volta manovrati da altri. Non hanno nessuna autorità. Anche loro sono burattini nelle mani di chi sta più in alto, al supremo gradino della setta. Siamo così giunti al vertice di tutta la manovra.

Il tdG che bussa alla vostra porta, come pure l'anziano della congregazione locale e i responsabili distrettuali e nazionali, seguono meccanicamente gli ordini di pochi uomini con a capo un presidente, che risiedono a Brooklyn, negli Stati Uniti d'America.

Chi sono costoro? Sono il Corpo Direttivo. Si qualificano come “santi” o “unti”, come “lo schiavo discreto e fedele”, di cui parla Gesù nel Vangelo (cfr. Matteo 24, 45). Dicono di essere “l'unico canale”, per cui Dio o piuttosto Geova trasmette agli uomini e alle donne che cosa devono pensare, volere, fare...

In realtà sono esseri mortali, falsi profeti, per, ché “hanno fatto sbagli nel loro intendimento dì quello che sarebbe accaduto alla fine di certi periodi di tempo” e non solo in questo ...

Un po' di storia farà capire meglio le cose.

Carlo Russell, il profeta!

I tdG sono una delle tante sette religiose sorte sul prolifero suolo degli Stati Uniti d'America. Il loro fondatore fu Carlo Taze Russell, nato nel 1852 nello Stato americano di Pennsylvania, e morto pure in terra d'America mentre era in viaggio di propaganda nell'ottobre del 1916.

Era un commerciante di stoffe e, come tanti altri figli della grande America, sentì a modo suo il problema religioso e lo risolse anche a modo suo. Non ebbe, comunque, mai la preoccupazione di accertarsi quale fosse la vera Chiesa fondata da Gesù Cristo e quali le sue note specifiche (cfr. 1 Tessalonicesi 5, 21). Come tanti suoi concittadini era vittima di pregiudizi contro la Chiesa Cattolica in modo particolare.

Pur non avendo i requisiti per capire e spiegare la Bibbia, si autodefinì “profeta”, e naturalmente trovò alcuni che gli credettero e lo seguirono. La sua principale preoccupazione, oppure astuzia, fu quella di stabilire date e scadenze, e neppure in questo fu originale.

Mediante un uso distorto o abuso della Bibbia riuscì a convincere poche migliaia di fanatici che Cristo sarebbe tornato visibilmente su questa terra nel 1914, per esaltare in cielo lui e i suoi, facendo allo stesso tempo piazza pulita dell'odiata Cristianità.

Scrisse Russell: “No, le verità che io presento, come portavoce di Dio (God's mouthpicce), non sono rivelate in visioni o sogni, né per aver io udito sensibilmente la voce di Dio, e neppure tutte una sola volta, ma gradatamente, a cominciare specialmente dal 1870, e in modo particolare dal 1880. Né questo chiaro svolgimento della verità è dovuto a qualche umana ingenuità o acutezza d'intendimento, ma al semplice fatto che il tempo stabilito da Dio è arrivato; e se io non parlassi, e se nessun altro mezzo si potesse trovare, le stesse pietre parlerebbero ad alta Voce”.

Né visioni dunque né sogni né voce di Dio né ingenuità né acutezza d'intendimento, ma solo il fatto che egli, l'ex commerciante di stoffe, aveva parlato, ipse dixit, preannunciando prossima la fine. Voce dunque di uomo, non di Dio!

E la fine non venne! E la Cristianità non fu distrutta!

All'origine dunque della propaganda geovista vi è un falso profeta, un semplice mortale, che ha parlato per presunzione! Non ha nessuna autorità di far conoscere quale sia la mente e la volontà dell'unico e vero Dio! (cfr. Deuteronomio 18, 22).

Carlo Russell, un uomo qualunque

Russell avrebbe voluto che i suoi insegnamenti fossero ritenuti validi anche dopo la sua morte. Lo scrisse nel suo testamento. Ma non furono di questo parere coloro che dopo di lui ebbero ed hanno in mano le sorti della setta.

L'elezione del successore  di Russell nella carica di presidente avvenne mediante una votazione truffaldina. Joseph Franklin Rutherford, l'ex legale di Russell, fu eletto alla presidenza con 150 mila voti da un corpo elettorale di appena 600 persone. Come mai?

La Torre di Guardia, nel numero del I' novembre 1955, p. 633, fa sapere che gli elettori avevano diritto a tanti voti per quante donazioni di 10 dollari avessero fatto a favore della società geovista.Così non fu difficile a Joseph Rutherford occupare il posto rimasto vuoto con la morte di Russell.

Divenuto presidente, Rutherford non ebbe nessuna preoccupazione di eseguire le ultime volontà di Russell. Nei riguardi di lui, profeta e portavoce di Dio, il nuovo presidente si espresse nei seguenti termini:

“Il lavoro dell'organizzazione di Dio non è soggetto al controllo di un uomo (cioè di Russell), né è controllato dalla volontà d'una creatura (cioè di Russell)”.

Così Rutherford spogliò Russell dell'aureola di “profeta e microfono di Dio”, e lo ridusse al rango d'un uomo qualunque. Ora il “profeta” era lui, Rutherford, e quanto lui diceva, doveva essere recepito come parola di Dio anche se in contrasto con ciò che lo stesso Geova aveva fatto sapere tramite Russell.

Essendo dunque un uomo qualunque, Russell aveva fatto in modo che “il popolo di Geova fosse ancora tenuto in restrizioni babiloniche ereditate da tradizioni pagane adottate dalla cristianità (... ). I testimoni di Geova celebravano alcune feste pagane, come il Natale; usavano il simbolo della croce come segno di devozione cristiana e in quanto all'organizzazione seguivano nella congregazione l'ordine democratico e presbiteriano”.

Sotto il nuovo presidente questo sconcio fu eliminato. I tdG piansero questi loro peccati, dovuti alla poca chiaroveggenza del 'profeta' Russell, e sotto la guida teocratica, cioè dispotica, di Rutherford, si avviarono a un futuro brillante.

Tra le nuove luci accese da Rutherford ricordiamo solo la sua profezia circa la fine. Il nuovo microfono di Dio aggiornò quanto aveva detto il suo predecessore, spostando la data della fine prima al 1918 e poi al 1925. Ma, ahimè, la nuova luce si rivelò una falsa luce. Venne infatti il 1925 e gli unti seguaci di Geova non andarono in cielo. Rutherford mori di cancro l'8 gennaio 1942.

“Guai a coloro che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre” (Isaia 5, 20).

Il servo fidato e prudente

Dopo la morte di Rutherford fu eletto presidente Nathan Knorr. Era un uomo d'affari con scarsa conoscenza della Bibbia. Per circa due decenni, governò la setta da monarca come avevano fatto i suoi predecessori. Ma negli ultimi anni, a motivo di contestazioni anche tra i suoi più vicini collaboratori, dovette addivenire a una forma di governo apparentemente democratica. Al vertice della setta fu collocato un “Corpo Direttivo”, composto di un numero limitato di “santi” o “unti”, ossia della classe privilegiata destinata al comando in questa vita e in quella che ha da venire. Abbiamo detto “apparentemente democratica” perché di fatto, anche dopo la ristrutturazione, il presidente è riconosciuto come il portavoce di Geova. Egli dà il significato della Bibbia e gli altri - tutti gli altri - devono accettare supinamente ciò che egli dice.

Ma con quale autorità il Corpo Direttivo si autodefinisce il canale di Dio o piuttosto di Geova? Strumentalizzando qualche versetto della Bibbia come avevano fatto Russell e Rutherford.

Nel caso presente grande importanza danno i capi della setta, e naturalmente anche la base, ad alcune parole di Gesù di cui in Matteo 24, 45:

“Qual è dunque il servo fidato e prudente che il padrone ha proposto ai suoi domestici con l'incarico di dar loro il cibo in tempo opportuno?”

A parere dei tdG il servo fidato e prudente sarebbe il Corpo Direttivo, che Geova avrebbe costituito per comunicare a tutte le creature umane il suo pensiero e soprattutto la sua volontà.

Nulla di vero in tutto questo. Si tratta d'una spiegazione settaria della Parola di Dio.

Notate, prima di tutto, come al tempo di Russell e Rutherford il 'servo fidato e prudente' era una singola persona, cioè Russell e Rutherford. Dopo, sotto Nathan Knorr, il pensiero di Gesù sarebbe cambiato ed egli avrebbe avuto in mente più persone, cioè il Corpo Direttivo.

La verità è molto diversa. Nella parabola Gesù non si riferisce né a una singola persona né a un gruppo di persone privilegiate, ma a tutti i suoi discepoli. Soprattutto egli non intende conferire nessuna autorità di comando. La parabola ha come unico scopo di esortare alla vigilanza tutti i discepoli di Cristo durante il tempo dell'attesa della sua venuta.

A conferma vale il fatto che Gesù insiste sullo stesso insegnamento nelle due parabole che seguono immediatamente: quella delle vergini stolte e delle prudenti (Matteo 25, 1-12), e quella dei talenti (Matteo 25, 14-30). Le tre parabole servono a illustrare quanto Gesù aveva detto poco prima,

“Considerate però questo: se il padre di famiglia sapesse in quale veglia della notte deve venire il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe sfondare la casa. Perciò anche voi siate preparati, perché il Figlio dell'uomo verrà all'ora che voi non supponete” (Matteo 24, 43-44).

Le tre parabole sembrano riferirsi allo stesso contesto precedente, cioè alla seconda venuta del Signore o giudizio finale (cfr. Matteo 24, 44). Ma sarebbe possibile anche considerarle come avvertimenti 1per la venuta del Cristo nella vita dei singoli uomini, sia che si tratti di suoi ministri sia che si tratti dei semplici fedeli.

In ogni modo, sia che si tratti della fine del singolo o del giudizio che riguarda l'umanità intera, il contenuto della parabola del “servo fidato e prudente”, come pure delle altre due, non è il conferimento di un potere a una singola persona o a un gruppo di persone, ma l'esortazione alla vigilanza rivolta a tutti i discepoli di Cristo per essere trovati nel pieno adempimento del loro dovere al ritorno del loro Signore.

Conclusione

Nei centoventi anni di storia della setta geovista una cosa appare certa ed è che ogni presidente si è appropriata la qualifica di portavoce di Dio, e su questa base ha disdetto il suo predecessore, affermando cose radicalmente diverse. E' mai possibile che Dio si contraddica? E' mai possibile che faccia apparire nero e buio ciò che prima era presentato bianco e luminoso? Dio è verità. E allora una conclusione s'impone nei riguardi di chi bussa alla vostra porta con lo scopo di aggregarvi alla setta dei tdG:

“Si sono fatti della menzogna un rifugio e nella falsità si sono nascosti” (Isaia 28, 15).

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